Guardò la sua immagine riflessa. Non era possibile che la
ragazza nello specchio fosse lei. Eppure aveva cambiato aspetto tante
volte...
Ricordò quando era successo per la prima volta: era con
un’amica, e aveva visto i suoi capelli castani diventare
biondi.
A scuola, poi, tutti la guardavano e sorridevano, tutti la salutavano.
Si era sentita bella per la prmia volta, ma a lei importava soltanto
essere bella per una persona: il suo ragazzo.
Si
chiamava Philip, e sapeva di essere considerato uno dei ragazzi
più belli della scuola. Era alto, aveva la pelle scura, e
occhi
profondi in cui alla sua ragazza piaceva tantissimo perdersi. Stavano
insieme dall’ultimo anno di liceo, e decisero di iscriversi
alla
stessa università. Lei era convinta che la loro storia non
sarebbe mai finita, ma non fu così.
Una
sera, entrambi vennero invitati ad una festa in discoteca, organizzata
da un loro compagno di università. Era notte fonda, quando
lasciarono il locale per tornare alle rispettive case. Per strada non
c’era nessuno, eccetto loro due. Erano all’incrocio
della
strada che stavano percorrendo con un vicolo senza uscita, quando
successe qualcosa che la ragazza non dimenticò mai.
Philip
la spinse violentemente contro il muro del vicolo senza uscita, e la
baciò. La ragazza pensò che lui doveva aver
bevuto molto,
a giudicare dal suo comportamento strano e dal suo odore di alcool.
Respinse il ragazzo con un calcio, dopodiché estrasse una
pistola dalla sua borsetta e sparò al ragazzo. La pistola
apparteneva a sua madre. L’aveva trovata in un cassetto, e
l’aveva presa, pensando che potesse tornarle utile,
conoscendo i
pericoli di feste come quella in cui era appena stata.
Il
ragazzo cadde a terra. La ragazza si avvicinò a lui e
continuò a sparare. Ebbe l’impressione di non
sapere bene
cosa stesse facendo, come se il suo corpo si muovesse da solo, senza
che il cervello ordinasse niente. Dopo altri cinque o sei colpi per
assicurarsi che il ragazzo fosse morto veramente, si rese conto di
ciò che aveva appena fatto. Scoppiò a piangere,
spaventata, rimise la pistola nella borsetta e corse alla
più
vicina stazione di polizia, per farsi arrestare.
Si
ricordò della sua cella fredda e buia, della poca luce che
filtrava dalle sbarre, e delle altre ragazze che erano nella sua stessa
situazione. Tutte quelle altre ragazze la lasciavano da sola, la
consideravano una specie di ‘angioletto’, dato che
aveva
soltanto ucciso una persona. Loro, invece, avevano commesso crimini ben
più gravi, e alcune addirittura facevano a gara a chi avesse
fatto il crimine peggiore!
Soltanto una persona non la trattava in questo modo. Fran, con cui
condivideva la cella, era l’unica che le parlava. Era
veramente
l’unica, dato che nessuno era mai venuto a visitarla, durante
il
suo soggiorno in carcere.
Questa
ragazza era la cosa più vicina ad un’amica che
avesse, in
quel periodo. Era stata arrestata per aver svaligiato una trentina di
negozi, per aver ucciso un vecchio negoziante facendogli cadere addosso
alcuni scaffali pieni di soprammobili, e per aver tentato di forzare la
serranda di una gioielleria. Fran non la considerava un
‘angioletto’ come tutte le altre ragazze, ma
pensava
soltanto che avesse agito per legittima difesa. Secondo lei, non aveva
alcun motivo di essere in carcere, ma ammirava il coraggio che aveva
avuto nell’andare volontariamente dalla polizia.
La sua
esperienza in carcere fu brevissima. Dopo appena un paio di settimane
uscì, grazie ad uno sconosciuto (forse un parente, o forse
la
sua stessa famiglia) che pagò la sua cauzione. Non appena
uscì, la sua storia fu su tutti i giornali:
“Oregon,
ventenne uccide il fidanzato e si consegna alla polizia. Esce dal
carcere pochi giorni dopo, grazie alla famiglia ricca.”.
Tutti i
più importanti siti Internet riportavano la storia, spesso
stravolta, di Kennedy F. Johnson, che, in un momento di follia, aveva
ucciso il suo fidanzato senza un motivo valido.
Non
poteva sopportare che tutti la ricordassero così. Decise di
scappare, il più lontano possibile. Tornò a casa,
in un
momento in cui era sicura che non ci fosse nessuno, prese alcune cose
necessarie, caricò tutto sul suo motorino, e
scappò. Si
ricordò che aveva una cugina in Tennessee: sicuramente, lei
l’avrebbe ospitata, in un momento come quello.
Era
decisa a ricominciare da capo. Appena giunta in Tennessee, e spiegata
la situazione a sua cugina, trovò il modo più
semplice di
non farsi riconoscere. Andò da una parrucchiera, e
tornò
ad avere i suoi vecchi capelli castani. Mise da parte le lenti a
contatto, per tornare ad indossare gli occhiali, e pensò
che, in
questo modo, nessuno avrebbe più potuto ricollegare il suo
aspetto a quell’omicidio. Decise di non rivelare a nessuno il
suo
nome completo, né di parlare troppo di sé. Si
presentava
agli altri semplicemente come ‘Kenny’, senza
aggiungere
altro.
Un paio
di mesi dopo, aveva cambiato look ancora una volta. Nella nuova
università, si era fatta nuove amiche, e sentiva che poteva
fidarsi di loro. Si confidò con la sua nuova migliore amica
a
proposito della sua paura di fidarsi delle persone e di innamorarsi di
nuovo, e finì per raccontarle la storia di come aveva ucciso
il
suo fidanzato. Aveva paura di essere giudicata per questo, ma la sua
nuova amica la rassicurò, e le disse che, secondo lei, un
cambio
di look era quello che ci voleva per risolvere la situazione!
Ma come
era possibile, si chiese la ragazza, se fino a quel momento il cambiare
aspetto le era servito soltanto per nascondersi agli occhi della gente?
Poi si ricordò di quando aveva tinto i capelli per la prima
volta: non lo aveva fatto per nascondersi, per evitare di essere
riconosciuta, ma perché voleva farlo! E allora
perché non
cambiare aspetto ancora una volta, perché non sentirsi
libera di
essere sé stessa, di fare ciò che voleva, senza
paura
dell’opinione di qualcun altro?
Ora era
lì, davanti allo specchio, che guardava il suo nuovo
aspetto. I
capelli erano lunghi fino alle spalle, lisci, di colore rosso scuro,
quasi rosso sangue. Aveva ricominciato a portare le lenti a contatto,
dato che, in questo modo, i suoi occhi scuri si vedevano meglio, e
aveva un piercing al naso.
Aveva
ricominciato a fidarsi degli altri, è vero, ma continuava a
non
presentarsi con il suo vero nome. Aveva paura che gli altri
continuassero a giudicarla per via di un’azione che aveva
compiuto quasi inconsciamente, in un momento in cui aveva bisogno di
difendersi. Aveva paura di essere isolata, di essere emarginata,
perché gli altri avrebbero potuto avere paura di lei. Aveva
paura che il passato potesse ripetersi.
Forse
niente di questo sarebbe successo, forse la sua nuova vita sarebbe
stata diversa. Aveva una nuova occasione per ricominciare, e non doveva
permettere alle sue paure di fermarla.
L'angolo
dell'autrice:
Questa one-shot
è cominciata come un esperimento. La protagonista, infatti,
è un tipico esemplare di
personaggio uscito male. Avevo creato un backstage perfetto, una
personalità abbastanza strana, in linea con la maggior parte
dei
personaggi che creo, ma mancava lo stesso qualcosa: la storia vera e
propria! Non ho potuto fare altro che scrivere una one-shot sul passato
di questo personaggio, sul perché sarebbe dovuto essere un
personaggio 'strano', in grado di attirare l'attenzione. Questa
one-shot, comunque, è stata ispirata dalla canzone 'Man
Down' di Rihanna (almeno in parte).
Spero che questa mini-storia vi sia piaciuta. Mi farebbe molto piacere
se mi lasciaste una recensione, e, se volete, date un'occhiata alle
altre storie che ho pubblicato o che sto (ri)pubblicando!
A presto!
Arkytior