Attenzione: il presente scritto
ha come protagonisti persone realmente esistenti. Non s'intende
offendere nessuno, non vi è alcuna pretesa di
veridicità o verosimiglianza, si tratta di opera di pura
fantasia. Nessuno scopo di lucro. Nessun diritto legalmente tutelato
s'intende leso.
Junior
-Wow!
Ti senti male?
Regola
numero uno: non chiedere mai a
Brian Molko se per caso si senta male solo perché lo hai
beccato nel cesso di
uno studio di registrazione mentre vomita anche l’anima nel
gabinetto.
a)
Che
stia male è abbastanza evidente perché
lui non desideri davvero risponderti.
b)
Non
ci sono molte persone che possano
permettersi, a questo mondo, di far notare a Brian Molko
l’evidenza e poi
andarlo a raccontare in giro.
Io
non rientro nel novero di queste
persone.
Quindi
lui, ovviamente, non mi risponde.
Ho
una visione molto chiara della sua
schiena. Pensare che è più basso di
me…! o.k., io non sono un gigante, ma lui è
molto più basso di me, se
capite cosa
intendo. Quindi, a fissare la sua schiena, non dovrei comunque sentirmi
in
soggezione. No?
No.
“No”
nel senso che mi ci sento comunque,
in soggezione.
Sarà
il fatto che lui – appunto - non mi
ha risposto, si è risollevato, mettendo dritta quella stessa
schiena che fino a
poco fa stava piegata a novanta gradi sulla tazza del citato cesso, si
è pulito
la bocca con il dorso della mano e si è diretto in un
silenzio minaccioso al
lavandino alle mie spalle.
Io,
per quel che mi riguarda, ho ruotato
su me stesso per continuare a guardarlo ed ho seguito per intero il
tragitto
della sua schiena: dal gabinetto al lavandino.
Mi
sento un coglione.
-Junior,
fai una favore a te stesso ed a
me.- esordisce dopo essersi sciacquato mani e bocca sotto
l’acqua.- Se non hai
nulla di intelligente da dire, sta zitto.
-…mi
sembrava una domanda intelligente.-
replico- Stavi qui da solo, vomitavi…mi sono informato se
stessi male.
O.k.
Lo
so.
Non
era una domanda intelligente. Quella
cosa dell’evidenza avrei dovuto pensarla prima
di aprire bocca. E poi ripensarla dopo – adesso
– prima di ribadire il concetto e fare nuovamente la figura
dell’idiota. Così a
Brian basta guardarmi ed io balbetto lo stesso
“o.k.” imbarazzato che ho solo
pensato, ruotando gli occhi a terra e strascicando i piedi sul
pavimento come
un dodicenne deficiente.
Lui
sospira. Sembra sul punto di aggiungere
qualcosa, ma poi deve giudicare che io sia un caso perso,
perché agita la mano
e mi abbandona lì, uscendo e tirandosi dietro la porta del
bagno per isolarmi
all’interno.
Bene.
Per amore di quel po’ di orgoglio
che mi rimane, dirò giusto appena due cosette o tre.
Non
mi chiamo davvero “Junior”. In realtà
mi chiamo Steve. Steve Forrest. Il punto è che credo che steve sia una parola che Brian non
pronuncerà mai più in tutta la
sua vita.
Diciamo
che questo è un pessimo punto di
partenza per me.
Diciamo
anche che, quando mandai il
provino agli Studi della EMI perché lo visionassero, non
credevo che sarebbe
stato un brutto punto di partenza.
I
“Placebo” li
conoscevamo…cioè, io ed i
ragazzi, i miei vecchi compagni di band, li conoscevamo; quelli della
EMI ci
avevano chiesto di aprire ai loro concerti ed un paio di volte Brian ci
aveva
anche fatto i complimenti per la nostra musica. Sapete come succede,
qualcuno
ti dice che sei bravo e tu ti convinci che stia dicendo sul serio. E
poi lui
sembrava anche un tipo socievole, con gli altri ci eravamo detti che
quella
storia dell’orco cattivo era davvero una stronzata: Brian era
una persona
simpatica, rideva e scherzava con tutti. Si stava bene con lui. Poi,
cazzo!
erano pur sempre i “Placebo”! sarei stato un
coglione a non provarci neppure.
Beh,
ci ho provato. E ci sono pure
riuscito.
Una
mattina mi arriva la telefonata di
Alex, la loro…la nostra…manager. Mi dice che
quelli della produzione hanno
visto il provino, sono tutti d’accordo che io abbia del
talento. Mi dice che la
cosa si può fare e che devo andare agli Studi a discuterla
con lei e quelli
della produzione. Io salto in macchina al colmo della gioia, approdo
agli Studi
euforico e mi ritrovo un contratto già confezionato:
decorrenza Luglio 2008.
“Avete
fretta?”, dico stralunato.
Alex
ride. Mi spiega che i ragazzi
saranno fuori dall’Europa fino a Settembre 2007, che anche io
ho già degli
impegni con gli “Evaline”, che comunque –
dopo l’annuncio che Hewitt mollerà la
band – dovranno dare ai fan il loro periodo di
decompressione. Insomma, o
accetto di starmene buono per un bel pezzo ancora o non se ne fa niente.
“Va
bene”, dico io, “ma almeno posso
sapere che ne pensano Brian e Stefan?”.
La
risposta di Alex è educata ma decisa come
sono sempre le sue risposte.
“No”.
E
torniamo qui. Siamo alla fine di Agosto
2008, fa caldo e la California è
un forno in cui cuocere lentamente. Brian dice
di odiare il caldo, si lamenta continuamente ed è di
malumore dal mattino
quando scende a colazione alla sera quando se ne torna in stanza a
dormire.
Beve. Troppo, dicono Stef ed Alex, ma quando io mi intrometto per
chiedere
spiegazioni ad uno dei due, loro mi rimbeccano gentilmente e mi
rimettono al
mio posto.
Sì,
steve
è un pessimo punto di partenza per me.
So
che avrei dovuto arrivarci da solo,
non era davvero necessario che iniziassimo le sessioni di
registrazioni,
bastava che mi fermassi a riflettere sul fatto che sono entrato nella
band da
quasi un anno e nessuno dei suoi componenti – nessuno,
neppure Stefan – mi ha ancora detto una parola di
benvenuto. Ogni contatto che ho avuto è stato con Alex e con
la produzione.
Tutti carini. Tutti gentili. Tutti estranei.
Sapete
quella cosa che Brian ha detto
all’annuncio dell’abbandono di Steve – il
“vero” Steve, mi viene da pensare –
quella
che i gruppi musicali sono come i matrimoni? Beh, in parte è
davvero così. Sono
come le famiglie: non puoi passare un sacco di tempo con delle persone
che
consideri degli estranei, o sei parte del gruppo o non lo sei.
Io,
al momento, penso proprio di non
esserlo.
Non
è che mi considerino un peso, l’altro
giorno ad una domanda diretta di Alex in questo senso Brian ha anche
mugugnato
un assenso sul fatto che io fossi effettivamente bravo. Mugugnato, eh!
Nel
senso che ha proprio borbottato un “mmh” poco
interessato mentre sfogliava
svogliatamente le partiture di una delle canzoni. Poi mi ha anche
ringhiato
dietro di muovermi a portare il culo dietro la batteria che non voleva
passare
la mattinata lì dentro. Posso accontentarmi, immagino che se
non fossi effettivamente
bravo – almeno, abbastanza bravo – mi avrebbe
già sbranato ed avrebbe rispedito
il mio cadavere alla EMI, dicendogli di darsi una mossa a trovare
qualcuno che
potesse fare il mio lavoro per bene.
…in
effetti è una consolazione abbastanza
magra.
Ma
è una consolazione. Mi permette di
restarmene qui buono buono, dopo essere tornato nella saletta di
registrazione,
seduto sul divano nell’angolo a guardare da lontano Stefan,
Brian e David
mentre discutono tra loro di riarrangiare il pezzo che abbiamo provato
ieri e
che non ha convinto affatto nessuno dei tre. Io gioco con le bacchette,
tamburellando sul bracciolo in un suono sordissimo, e fingo di
disinteressarmi,
perché a nessuno frega niente che io mi interessi davvero a
quello che stanno
dicendo.
-Brian,
capisco il tuo punto di vista e
sono d’accordo sul fatto che si possa migliorare ancora, ma
sono quasi tre
giorni che siamo fermi su questo solo pezzo.- fa notare David paziente,
mentre
Stefan sposta lo sguardo da lui a Brian in attesa di sentire la
risposta.- Ci
stiamo lavorando da ancora prima che arrivassimo a provarlo…
-Perché
è quello che offre più
potenzialità ma che, al momento, da meno risultati.- dice
Brian secchissimo.
È
una cosa che si scopre in fretta di
lui: Brian sul lavoro parla pochissimo, il meno possibile, e da ordini,
precisi
e diretti. Non si aspetta che qualcuno disubbidisca, semplicemente
perché chi
lavora con lui sa che la propria autonomia nel prendere decisioni si
esaurisce
nel momento in cui lui esprime il proprio parere. In compenso, Brian si
assume
completamente la responsabilità di ogni cosa sul lavoro. Lui
fronteggia la
produzione, lui fronteggia i fan, lui discute con chiunque trovi
qualcosa da
ridire su quello che è stato realizzato…
È
per questo che la gente lo odia.
Ma
credo che sia per questo che la gente
lo ama, anche.
Adesso,
David sospira. Stefan si lascia
andare contro lo schienale della sedia ed è Brian a spostare
gli occhi su di
lui, forse in attesa di un commento. Stefan è
l’unico - …no, c’è anche Alex
– a
cui Brian, a volte, permette di obiettare sulle sue decisioni. Nella
maggior
parte dei casi, comunque, la loro sintonia e tanta e tale che Stef non
ha
assolutamente nulla da obiettargli.
Ora
come ora, David interpreta bene la
chiusura rigida di Brian: quella canzone non gli piace
com’è e la cosa non di
discute. Sicuramente David sa che alla fine arriveranno ad un
compromesso, ma
il tempo che ci vorrà dipende dall’umore di Brian,
dalla sua voglia di
continuare il lavoro e di farlo seriamente e dalla necessità
della produzione
di chiudere queste registrazioni. Troppi elementi per un futuro
immediato.
-…che
ne dite se…andiamo in…spiaggia?-
borbotto stentatamente in un infantile tentativo di sminuire il clima
di
tensione che si è creato nella stanza.
Tre
paia di occhi diversi si voltano verso
di me, ed io arrossisco imbarazzato rendendomi conto di aver nuovamente
fatto
la figura del moccioso che non sa stare al proprio posto. Per un
momento credo
che Brian mi incenerirà con lo sguardo, per fortuna che non
ha davvero poteri
di questo tipo. E per fortuna ancora maggiore, David scoppia a ridere,
sinceramente divertito. Stef lo guarda di sottecchi e, quando torna a
fissarmi,
sta sorridendo anche lui, comprensivo.
Vorrei
che Brian avesse la stessa
reazione.
-Ne
abbiamo parlato nel bagno meno di due
ore fa, Junior.- scandisce lento- Non abbiamo davvero bisogno dei tuoi
interventi fuori luogo.
-Già.-
biascico io.
-Brian…-
interviene Stefan, ma quando lui
gli punta addosso quegli occhi assassini anche Stef cambia idea-
Facciamo
veramente una pausa.- suggerisce, invece di prendere le mie difese come
avrebbe
voluto.
Brian
ci pensa su, poi annuisce e si
alza.
-Sono
fuori a fumare.- annuncia senza
rivolgersi a nessuno in particolare.
Oggi
mi sembra che la cosa più
interessante su cui riuscirò a concentrarmi sarà
la punta delle mie scarpe. Non
mi succedeva da quando ho passato i dieci anni.
Sospiro,
sbattendo un po’ di più le
spalle contro la macchinetta del caffè a cui me ne sto
appoggiato. Ho bisogno
di provare almeno un po’ una sensazione di
solidità, di avere un appoggio
stabile. In realtà la macchinetta oscilla sotto il mio peso,
per cui di stabile
non c’è proprio un tubo. Sospiro ancora e riprendo
lo studio attento delle
variazioni cromatiche che lo sporco lascia sull’angolo
esterno delle mie Nike…
-Steve.
Alzo
gli occhi nel riconoscere la voce di
Stefan e lo vedo venirmi effettivamente incontro, reduce da una
discussione a
tu per tu con David e senza Brian. Mi sorride quando si accorge che lo
sto
fissando ed io ricambio, anche se so che probabilmente sono molto poco
convincente.
-Chiacchieriamo,
ti va?- mi invita mentre
io mi sposto per permettergli di utilizzare la macchinetta.
Lo
osservo, lui fa cadere le monetine
nell’apposito spazio con un rumore metallico che mi ricorda
del bicchiere quasi
vuoto che ho ancora in mano. Osservo il caffè nero
all’interno, rendendomi
conto di aver aspettato troppo a finirlo, quando lo avvicino alle
labbra il
caffè è freddo e fa schifo, storco la bocca e lo
butto via con una protesta
disgustata.
Stefan
ride e mi passa il bicchiere che
ha appena prelevato dalla macchinetta, poi ripete meccanicamente gli
stessi
gesti per prendersi un altro caffè.
-Grazie.-
mormoro accettando la sua
offerta.
Lui
si serve e muove verso il gruppetto
di divani e tavolini che occupa un lato del corridoio.
-Allora.-
inizia mentre passa in rassegna
i posti a sedere e ne sceglie uno.- Qual è il problema?- mi
chiede non appena
si è accomodato su una delle poltrone più piccole.
Mi
lascio cadere sul divano che gli sta
di fronte, sollevando uno sbuffo di polvere nel cadere di schianto sui
cuscini,
e lo fisso stranito.
-Problema?-
ripeto- Dovresti chiederlo a
qualcun altro!- faccio notare perplesso.
-Ma
io so qual è il problema di Brian.-
afferma calmo Stefan.- Ora vorrei sapere qual è il tuo.
Sorrido
storto, nascondendo quella
smorfia nel bicchiere e gustando il calore del caffè mentre
scende in gola a
sorsi piccolissimi.
-Beh,
sai anche il mio, visto che
coincide con quello di Brian.- commento a quel punto, sarcastico.
Lui
scuote il capo senza parlare, osservandomi
con tranquillità si sistema meglio sulla poltrona: posa il
gomito contro il
bracciolo, la testa contro il pugno chiuso e mi guarda.
Sbuffo.
-Andiamo!-
protesto- Mi rimbrotta in
continuazione…!
-Brian
rimbrotta tutti, Steve.- m’interrompe
lui.- Compresi me, Alex, Helena e perfino David. Solo che noi non ce ne
rimaniamo zitti.
-Dovrei
rispondergli?- chiedo strozzato.
La sola prospettiva di affrontare Brian mi fa gelare il sangue nelle
vene.
-No.-
mi dice lui dopo averci riflettuto
solo un momento.- Ora come ora ti farebbe a pezzi.- mi annuncia blando
come se
stesse parlando di football- Ma per il futuro comincia a metterlo da
conto.-
consiglia pacato.
Sì.
Magari nella prossima vita futura,
considero io scrollando i miei pensieri e le spalle; osservo il muro
bianco dietro
Stef ed affogo nel caffè le mie paure.
-Steve,
non mi hai risposto.- nota lui
strappandomi a quella fuga.
Quasi
mi affogo con la bevanda nel
sentire la sua voce irrompere bruscamente nella mia testa. Tossisco per
riprendere fiato e sgrano gli occhi senza capire.
-Ma
cosa dovrei dirti?! Io non ho davvero
un problema con Brian, è lui che ha un problema con me!-
sbotto.
-Sì,
questo l’ho capito, Steve.- schiocca
Stefan infastidito. Mi dispiace stargli dando noia, rimbalzo sul mio
posto,
mogio mogio, raddrizzando poi la schiena per cercare di darmi un
contegno un
po’ più dignitoso e non costringerlo ad avere a
che fare con un ragazzino incapace
di comportarsi da
adulto.- Ma non stiamo parlando dei rimbrotti di Brian,
perché non ti
giustificano dallo startene sempre in disparte quando si parla di
lavoro.-
continua lui imperterrito ed ignaro di quei miei pietosi tentativi.
È
un rimprovero molto pacato. Di quelli
che mi ricordano mio padre quando tornavo alle cinque del mattino e lui
mi
aspettava dietro la porta, braccia incrociate e sguardo severo. Non
alzava mai
la voce ed io mi ritrovo a credere che neanche Stef la alzi mai, la
voce,
neppure per sbaglio.
Ma
è un rimprovero.
Sospiro
pesante. Mi sembra di essere tornato
a scuola e sono settimane, ormai, che mi sento così. Da
quando loro sono atterrati
all’aeroporto ed io
sono andato con David a prenderli per accompagnarli in albergo. Ero
felice quel
giorno, sorridevo come un cretino e non ero riuscito a chiudere occhio
tutta la
notte. Poi ho visto Brian e lui ha visto me, la sua aria scocciata si
è portata
via tutto il mio entusiasmo ed io sono finito dietro le spalle di
David,
lasciando a lui il compito di salutare Brian, Stefan ed Alex.
Ecco
qual è il problema, Stef.
-Brian
mi odia.
-Stai
continuando a focalizzare su di lui
l’attenzione, Steve, mi sembra sufficientemente inutile.
Sollevo
gli occhi per riportarli su Stefan
e lo guardo mentre finisce il proprio caffè, in silenzio ed
in attesa che io
rifletta su quello che sta cercando di dirmi.
-Lui
non mi considera davvero un membro
della band!- contesto io apertamente.
-Perché
non sei un membro della band.-
afferma Stefan glaciale.
…e…fa…dannatamente
male.
Fa
male perché io ero il
membro di una band! E ci stavo bene con la mia band! E li ho
mandati al diavolo per questi qui e
per ritrovarmi trattato a questo modo!
Ho
mandato al diavolo i miei migliori
amici! L’ho fatto perché…cazzo!
io i
“Placebo” li stimavo, prima di scoprire che razza
di persone sono!
-Bene!-
commento prima di rendermi conto
di aver aperto la bocca.- Buono a sapersi!- insisto comunque, quando
invece
realizzo di averla aperta per davvero.
-Cosa
vorresti sentirti dire, Steve? Che
io Brian siamo felici di averti con noi?- mi domanda lui retorico, ma
non perde
nemmeno per un attimo quella sua quieta compostezza, tanto che le sue
parole –
per quanto maledettamente affilate – non arrivano a far male
sul serio ed io mi
ritrovo ad ascoltarle – Che siamo felici di aver perso uno
dei nostri più cari
amici, quello che consideravamo un fratello e che ci ha piantati in
asso dopo
dieci anni, perché così abbiamo trovato te?
Annaspo.
La sua visione e la mia non
coincidono. Perché?
-Continui
a dire che Brian ti odia,-
ricomincia Stefan in tono mansueto.- io ti dico che tu non stai
ricevendo
nessun trattamento “di favore”. Brian è
con te come è con tutti, sei tu a
dovergli dimostrare che vali qualcosa, lui a te non deve dimostrare
niente.-
spiega in modo semplice.- E se è di cattivo umore, lo
è per tutti. Non è gentile
con me, non è gentile con Alex né con David e
neppure con la sua compagna.
Brian non è gentile con nessuno da mesi, Steve.
…sì…ma
è solo il mio, il nome che si
rifiuta di pronunciare.
-Soffri
di gastrite?
Brian
mi scocca un’occhiata infastidita
da sopra la spalla, mettendomi a fuoco e tornando subito dopo a
voltarsi verso
il bancone del bar. Io mi arrampico sullo sgabello che gli sta di
fianco, ma
lui non mi degna di un secondo sguardo e preferisce fingere di seguire
la voce
della giornalista alla televisione – che non si sente,
perché nel locale c’è
troppo rumore – e far roteare il cocktail nel bicchiere alto
che regge sospeso
tra le dita.
-Se
soffri di gastrite dovresti evitare
di bere.- continuo imperterrito, alzando una mano verso il tipo al
bancone per
farmi servire una birra.- Mio padre soffriva di gastrite, si alzava la
mattina
che aveva già voglia di chiudersi al cesso a vomitare.
-Junior.-
sibila lui secco, senza
guardarmi.
So
che vuole dirmi di stare zitto. Oggi,
con questa, me lo ha già detto almeno sette volte. Le ho
contate ad una ad una.
La prima nel bagno. La seconda nella saletta di registrazione con Stef
e David.
Altre tre davanti ai tecnici mentre provavamo. Una a cena, quando con
Alex
discutevano dei tempi di uscita del disco… Questa
è l’ultima. La settima.
Il
tizio al bancone posa la mia birra
accanto al braccio di Brian, lui si sposta impercettibilmente, come se
gli
desse fastidio la sola idea che un altro essere umano entri nel suo
ristrettissimo raggio personale. Probabilmente gli da fastidio davvero.
Osservo
il boccale chiedendomi quale sia il modo migliore per prenderlo senza
andare ad
aggiungere motivi di irritazione ad altra irritazione, lui se ne
accorge, segue
il mio sguardo fino al boccale e sospira, facendosi indietro sullo
sgabello per
liberare il piano dalla propria presenza e darmi modo di allungare la
mano fin
lì.
Dovrei
ringraziarlo?
Quando
torno al mio posto, lo fa anche
lui. Si riappoggia al piano e ricomincia a guardare il televisore
appeso sopra
le nostre teste.
-Mio
padre è riuscito a tenere sotto
controllo la cosa iniziando a fare meditazione yoga.- riprendo dopo il
primo
sorso di birra. Mi accorgo che Brian non riesce a reprimere un sorriso,
che pur
essendo cattivo e tirato è pur sempre un sorriso. Mi sento
incoraggiato,
nonostante tutto.- Mia madre lo prendeva in giro, ma sai che
funzionava!? Alla
fine era talmente zen ed in pace con se stesso che lei non riusciva
più a
litigarci! Credo che siano finiti anche in terapia di coppia per questa
cosa,
secondo mia madre rovinava il dialogo…
-Sei
cresciuto in una famiglia davvero
strana, tu.- commenta Brian a mezza voce, rivolgendomi
un’ironia pungente ma
diversa da quella solita. Per una volta tanto ho quasi
l’impressione che non
sia sua intenzione farmi del male.
Peccato
continui a non guardarmi.
-Beh,
e questo è niente! Avresti dovuto
vedere cosa successe quando mia madre decise di imparare a ballare la
salsa e
trascinò mio padre a scuola di ballo…
Mi
strozzo. La birra mi va di traverso
nell’istante stesso in cui lui si volta, poggia il gomito sul
piano e mi
squadra per un momento. Abbasso di colpo il boccale e sbotto un unico
colpo di
tosse, piuttosto discreto, costringendomi poi a deglutire e restare a
ricambiare il suo sguardo.
-Parlavo
del fatto che i tuoi si
preoccupassero di avere un dialogo.- mi notifica.
Ed
io apro la bocca per dire qualcosa e
scopro di non esserne capace.
Almeno…l’unica
cosa che penso è “…come?”
Per
fortuna non lo dico. Non in tempo,
quanto meno, perché Brian torna quasi subito a girarsi al
bancone per chiamare
il tizio e farsi portare un altro giro. Quello esegue ed io mi lascio
distrarre
e volto la testa nella sua direzione, guardandolo mentre prepara il
cocktail.
-Non
credo che farò meditazione yoga, in
ogni caso.- mi informa intanto Brian, ed io annuisco come un cretino
completo.
-…quindi…soffri
davvero di gastrite…-
deduco, tentando di recuperare punti.
Brian
ride nel bicchiere nuovamente pieno
e sembra perfino sinceramente divertito, tanto che non mi da neanche
troppo
fastidio che stia ridendo di me.
-Ma
perché accidenti devi sempre dirne
una di troppo, Junior?!- sbotta alla fine.- Non ci riesci proprio a
fermarti un
istante prima di dare fiato alla bocca?- mi chiede.
-Ehm…-
bofonchio io a disagio,
grattandomi la nuca.- se così fosse…è
un grosso problema?- domando.
-Enorme.-
risponde lui calmo. Posa il
bicchiere, si volta del tutto verso di me ed incrocia le mani davanti a
sé,
poggiandosi ancora al ripiano con il gomito ed alla coscia con
l’altro.
Sorride, ma io non so davvero come interpretarlo quel suo dannato
sorriso, non
è come quelli che ho visto in tour…Brian non
è felice, in questo momento.- Tu
non devi parlare, Junior. Per questo ci sono io.- mi spiega pacato.- A
te non è
richiesto né di parlare, né di pensare, nemmeno
di respirare se non è il
momento idoneo.
-Ma…io
credevo che voi realizzaste la
vostra musica tutti assieme!- ribatto perplesso.- Lo avete detto in
un’intervista…
-Nelle
interviste si dice quello che la
gente vuole sentirsi dire.- mi rimbrotta gentilmente Brian.- Ed io da
te non
voglio sentire dire nulla.- ribadisce quindi. Il momento successivo
è già in
piedi, i soldi delle consumazioni sul bancone e gli occhiali da sole in
mano
pronti ad essere inforcati.- Buonanotte, Junior.- mi saluta, nuovamente
senza
guardarmi in faccia.
Io
non gli rispondo. Il punto è che mi
dimentico di farlo, troppo impegnato a guardarlo andar via dopo aver
rimarcato
per l’ennesima volta che non mi vuole tra i piedi.
Sono
un ingenuo, sospiro voltandomi al
bancone, non è che, siccome per dieci minuti mi ha permesso
di rimanere seduto
accanto a lui, io posso davvero considerarmi accettato. Diciamoci la
verità,
non sono neppure del tutto sicuro che arriverà un momento in
cui potrò
considerarmi accettato. Al di là di quello che Stefan ne
possa pensare – quel
suo “per il futuro preparati a dire la tua”
– io penso davvero che Brian mi
odi. Non posso dargliene tutti i torti, sono un moccioso al loro
confronto, non
so nulla di cosa voglia dire fare parte di una band come questa, per me
la
musica è ancora giocare e divertirsi, fare qualcosa che mi
piace…Ma per Brian è
lavoro.
Magari
dovrei limitarmi a starmene buono
e zitto nel mio angolo, fare quello che so fare meglio –
pestare sulla batteria
– e dirmi che è tutto a posto così.
Brian prima o poi tornerà a sorridere
davvero, no? Quando succederà ci sarò anche io in
mezzo agli altri a cui
sorriderà. Pazienza. Per lo meno sarò
più vicino di tanti…
-Era
quel finocchio dei “Placebo”?
Mi
concentro sulla voce che ha parlato.
Un ragazzo grosso il doppio di me. Anche più grande, mi pare
a colpo d’occhio.
Lui ed un amico si appoggiano al bancone con le spalle e continuano a
scrutare
la porta in fondo al locale con un’aria incattivita e
rabbiosa.
-Sì.-
sbotta l’altro disgustato.- La mia
ragazza spacca le palle da settimane con questa stronzata che quel
gruppo di froci
sta da queste parti a registrare il disco!
Quello
grosso ride.
-Che
diavolo ci troveranno le femmine in
un tizio del genere?! Posso capire che quando era giovane era una gran
bella figa, ma adesso…!-
commenta volgarmente.
-Certi
coglioni dovrebbero ritirarsi
quando cominciano a diventare vecchi.- annuisce l’amico.
-Certi
imbecilli dovrebbero accendere il
cervello prima di parlare.- dico io.
I
due si girano a guardarmi.
…o.k.
Lo
so.
Oggi
non è decisamente la mia giornata.
Il
rumore delle chiavi nella toppa e dei
catenacci che vengono tirati mi riscuote. Ammetto che mi stavo
addormentando.
Ammetto anche che a riaprire gli occhi e staccare la schiena dal muro
sento
dolore un po’ dappertutto. Almeno hanno avuto la gentilezza
di mettermi in una
cella diversa da quella in cui hanno messo i due bestioni del pub,
altrimenti
sono quasi certo che si sarebbero assicurati di fratturarmi tutte le
ossa che
ho ancora intere e di spappolarmi quegli organi che continuano a
funzionare
nonostante i lividi. Rilascio l’aria con uno sbuffo doloroso,
mentre la faccia
dell’agente di sorveglianza alle celle fa capolino davanti a
me e mi getta
un’occhiata pietosa.
-Muoviti,
ragazzino.- mi apostrofa brusco.-
I tuoi amici hanno pagato la cauzione e sei libero.
-Oh.
Lui
scuote la testa davanti alla mia faccia
frastornata e torna indietro lasciandomi la porta aperta.
Mi
alzo faticosamente in piedi per
rendermi conto che sì, sono ancora tutto intero anche se non
integro. Così
riesco in qualche modo a capitombolare fuori di lì, e poi
dietro all’agente per
tutto il corridoio; quando passiamo davanti alla cella in cui hanno
rinchiuso i
miei due nuovi “amici” mi arrivano un paio di
epiteti tutt’altro che carini, ma
approdo incolume alla seconda porta, dietro cui mi attende la mia
salvatrice.
O
forse no.
-…avevo
chiesto di chiamare Alex…- sono
le mie prime parole di saluto.
-E
invece ho preso io la telefonata.-
ribatte Brian, braccia incrociate sul petto in un atteggiamento molto
paterno
ma con sulla faccia un’espressione tutt’altro che
paterna. Si volta all’agente
che mi segue da vicino e domanda educatamente- E’ tutto a
posto?
-Sì,
può portarselo via.- annuisce quello
sbrigativo.- Ma la prossima volta lo tenga al guinzaglio,- rincara in
vena di
paternale anche lui- ne abbiamo abbastanza di giovani attaccabrighe
nella
nostra città.
-Ci
stiamo lavorando, signor agente.- è
l’affermazione pacata e sorridente di Brian.
Quando
si volta per uscire non ha nemmeno
bisogno di dirmi di seguirlo, io gli corro praticamente dietro e,
nonostante i
doloretti infiniti che sento un po’ dappertutto, mi metto al
passo e raggiungo
l’auto che ha posteggiato davanti la stazione di polizia.
Brian ci gira attorno
per raggiungere il lato guida ed io mi affretto a spalancare lo
sportello ed
infilarmi al mio posto, allacciando le cinture e mettendomi dritto.
Adesso
dovrei ringraziarlo!
Mette
in moto.
-Junior,
tu sai cos’è uno scandalo?-
s’informa mentre la macchina scivola fluida fuori dal
parcheggio e nel traffico
notturno della città. Faccio per rispondere, ma Brian non se
ne accorge perché
continua a studiare la strada e riprende da dove si era interrotto.- La
parola
“scandalo”, per quel che a noi interessa,
può assumere principalmente due
significati.- inizia a spiegare lentamente, come se stesse parlando con
un
bambino.- Il primo è positivo: significa attenzione dei mass
media su di te. Va
bene nella fascia di età compresa tra i 20 ed i 30 anni o,
in alternativa e per
equivalente, nei primi quattro anni di vita della tua band. Il secondo
non è
affatto positivo: significa attirare l’attenzione su qualcosa
che non è la
musica, significa far rivedere le proprie posizioni alla critica
perché non può
certo approvare un branco di quindicenni fuori target, significa far
pensare in
giro che non vali un cazzo e che hai bisogno di essere sulla bocca
degli altri
con qualcosa di diverso dalle canzoni.- Mi guarda. Deglutisco.-
Capito?- mi
chiede.
Annuisco,
rigido sul sedile.
-Alex
non
sa quello che è successo. È chiaro che
lo saprà, perché nessuno di noi due
può impedire che succeda, e che quando lo saprà
s’incazzerà come una belva e,
credimi, Junior, non ti piacerà.- mi dice ancora, freddo e
distaccato.- Ma per
quel che mi riguarda te lo dico una volta sola e poi basta: io domani
ti difenderò
davanti ad Alex, perché in quanto membro della band non
potrei fare
diversamente, ma non tollero e non intendo tollerare per il futuro che
il mio
batterista si comporti come un moccioso incapace di controllarsi.
-…il
tuo
batterista…- biascico io recependo solo quello di tutto il
discorso.
Ah
sì, e il fatto che domani mi difenderà
in quanto membro della band.
Mi
arriva un’altra occhiata di
sufficienza.
-Perché,
cosa sei?- m’interroga.
-Ah…beh…io…immagino
che sì…- balbetto
scuotendo la testa ed evitando di ricambiare il suo sguardo.
Brian
sospira profondamente.
-Vorrei
che oltre al nome tu avessi pure
le palle di Steve!- sbotta ferocemente ingranando una marcia
più alta e dando
gas.
La
macchina fa un balzo in avanti ed io
mi ritrovo dolorosamente appiccicato allo schienale del sedile,
annaspando per
recuperare un minimo di fiato tra le costole contuse.
-Ma
che diavolo hanno detto quei due per
farti scatenare una rissa?!- ringhia Brian spazientito mentre governa
la
macchina con scatti irati.
-Eh!-
sbotto io inarcando le
sopracciglia- Che sei un finocchio!- rispondo.
Brian
ride ed io lo guardo, perché per
una volta sta ridendo davvero.
E
mi sembra di poter tornare indietro di
mesi…un anno…
-Facci
l’abitudine, Steve.- mi
ritorce con un sorriso.
…beh…non
sono nemmeno in mezzo ad una
folla.
Wow!
“Junior”
MEM
2008
|