Premessa. La prima scena è ambientata una decina
di anni prima rispetto alla serie TV; la seconda scena è un missing moment dell’episodio
1x04 e si colloca nel momento in cui Alec scocca la freccia al membro del
Conclave che stava per attaccare Magnus.
What’s
in a smile?
“From the world outside, you're hiding
your face
But I can see you shine, I can see you
shine.”
I can see you shine. Gabe Dixon
Magnus stava percorrendo con andatura
rilassata uno dei corridoi dell’Istituto, quando incappò nella freccia. Anche
se, ripensandoci, convenne che il termine incappare non esprimeva al
meglio le dinamiche di quell’incontro tutt’altro che piacevole: l’aggeggio
aveva trafitto l’aria a qualche metro di distanza da lui, facendolo trasalire.
Lo
stregone si guardò attorno perplesso; per un attimo si sorprese perfino a
domandarsi, indignato, se qualcuno non avesse cercato di tendergli un agguato. Era
stato invitato all’Istituto perché desse una mano ad amplificarne le difese e
stava incominciando a pentirsene, nonostante la proficua ricompensa che Maryse
e Robert Lightwood gli avevano promesso in cambio dei suoi servigi.
Era
già sul punto di entrare nel salone di addestramento da cui era partita la
freccia, quando il responsabile di quel tiro mancino saltò fuori.
Magnus,
che si era aspettato di trovarsi di fronte a uno Shadowhunter adolescente, si
sorprese nel vedersi venire incontro un cosino minuscolo – nove, dieci anni al
massimo.
Il
ragazzino si avvicinò con aria cauta, l’arco in mano e l’andatura composta di
un adulto, tradita dai tratti infantili del suo volto e dal paio di occhi blu
più grandi – e ingenui –che lo stregone avesse mai visto.
Il
candore della sua giovane età si confondeva con il portamento serio, da
guerriero, tipico della maggior parte degli Shadowhunter.
Magnus
fece roteare la freccia, avviluppandola con uno sbuffo di fumo.
“…
Non sei concentrato, Alec…” una voce maschile li raggiunse, attraverso i muri
del salone di addestramento. “… Non capisco che ti prenda oggi.”
Il
bambino sembrò arrossire a quelle parole e la sua espressione s’indurì.
Rivolse
un’occhiata nervosa alla freccia, che ancora volteggiava grazie al gioco di
mani di Magnus.
“Mi
scusi…” mormorò allo stregone, senza tuttavia ricambiare il suo sguardo.
Tese
poi il braccio per riavere indietro la freccia, ma Magnus si limitò a
sorridere. Tenne d’occhio la reazione del bambino, divertito e affascinato al
tempo stesso. C’era qualcosa di contraddittorio in lui: i suoi occhi gli
trasmettevano candore e l’innocenza tipica della sua giovane età, ma la serietà
del bambino e la sua compostezza sciupavano un po’ quell’impressione.
“Nessun
problema…” rispose infine, smettendo di giocare con la freccia per
restituirgliela. “… Alexander.”
Non
faticò ad attribuire un’identità a quel ragazzino: sapeva che Maryse e Robert
Lightwood avevano dei figli piccoli e non dovevano esserci molti bambini
all’Istituto.
Alec
ringraziò a mezza voce, senza tuttavia ricambiare il sorriso di Magnus. Mise la
freccia nella faretra e tornò in palestra, non prima di aver rivolto un’ultima
occhiata fugace allo sconosciuto: era palese che non fosse un tipetto
socievole, ma la presenza di uno stregone nell’Istituto sembrava averlo
incuriosito.
Magnus
si avvicinò alle pareti della palestra per sbirciare attraverso i vetri. Il
bambino era già tornato ad esercitarsi, una freccia incoccata e la testa che
annuiva in risposta alla pacata ramanzina dell’istruttore.
Il
bersaglio con cui si stava allenando era parecchio distante e Magnus non poté
fare a meno di inarcare sorpreso un sopracciglio quando Alec lo colpì,
trafiggendo il secondo cerchio a partire dall’interno.
Anche
l’istruttore si compiacque di quel risultato: il bambino, al contrario, sembrò
incupirsi.
I
due tiri successivi furono meno precisi del primo, ma comunque decenti. La
quarta freccia giunse vicinissima al centro e Magnus non poté fare a meno di
sorridere, divertito dalla capacità di concentrazione di quel piccoletto.
Alec,
al contrario, continuava ad apparire nervoso. Fu in quel momento che lo
stregone capì cosa ci fosse di così contraddittorio in quel visetto serio e controllato:
aveva occhi limpidi, Alexander, occhi che avrebbero dovuto concordare con un
sorriso timido e solare. Invece quel bambino non aveva sorriso una sola volta
da quando aveva incominciato a guardarlo.
Era
un dettaglio che non avrebbe dovuto sorprenderlo, si disse mentre lo osservava
incoccare di nuovo. Una volta, ricordò, qualcuno gli aveva detto che i bambini
imparano a sorridere per imitazione dei genitori: e aveva senso, se ripensava
all’aria austera con cui Maryse aveva accolto il suo ingresso – l’ingresso di
un Nascosto, per quanto potente e rinomato Magnus fosse – nell’ Istituto. Il
ragazzino non doveva aver avuto tante occasioni per prendere in prestito i
sorrisi della madre.
Ed
era un peccato, perché un così bel visetto sarebbe risultato ancora più
luminoso se accompagnato da un’increspatura di labbra all’insù.
Privo
di una motivazione logica che giustificasse ciò che stava per fare, Magnus si
concentrò sulla freccia e attese con calma che Alec la scoccasse.
Una
volta scagliata, la traiettoria dell’arma venne manipolata da energie
invisibili, che la guidarono a infilzare il centro esatto del bersaglio.
Alec
sgranò gli occhi sorpreso mentre il suo istruttore si complimentava con lui,
stringendogli affettuoso una spalla.
Fu
in quel momento che le labbra del bambino s’inarcarono per la prima volta,
modellandosi a formare un sorriso genuino.
La
contrapposizione nel suo aspetto sfumò tutto a un tratto, scalfita dal candore
del suo sguardo.
Anche
Magnus sorrise di riflesso: qualcosa dentro di lui si mosse, nell’individuare
un barlume di vivacità in quel ragazzino così serio e composto.
Erano
momenti come quello che gli ricordavano quanto la magia potesse dimostrarsi
utile anche nei più frivoli sprazzi di quotidianità.
“Lieto
di essere riuscito a farti sorridere, Alexander” mormorò fra sé indirizzando
un’ultima occhiata compiaciuta al giovane Lightwood, prima di dare le spalle
alla palestra. “Dubito che quelli in grado di farlo siano molti.”
***
Uno
dei leccapiedi di Valentine si stava impegnando per rendere il Pandemonium
degno del suo nome, quando Magnus vide la freccia. Anche se, ripensandoci più
tardi, convenne che il termine vedere non esprimeva al meglio le
dinamiche di quell’incontro: l’aggeggio aveva trafitto repentino il suo
avversario da parecchi metri di distanza, facendolo trasalire.
Lo
stregone si guardò attorno confuso, ammirato dalla precisione di quel tiro. Il
suo sguardo rincorse l’andatura decisa di un bel ragazzo con l’arco in mano,
che si era appena fatto strada fra lui e il biondino per controllare il membro
del Circolo a terra.
“E
tu chi sei?” commentò fra sé, studiando con interesse il suo bell’aspetto e la
sicurezza ostentata dal ragazzo, mentre privava lo sconfitto della spada
angelica.
Il
suo sguardo incrociò quello del giovane per un istante: i sui occhi blu– fieri,
ma velati di una limpidezza insolita per uno Shadowhunter – funsero da
interruttore e riaccesero in lui un ricordo.
Lo
stregone sorrise, muovendo un passo verso di lui.
Il
ragazzo non ricambiò: il suo sguardo rimase cauto, quasi lo stesse a sua volta
studiando.
Tuttavia,
Magnus Bane non era il genere di persona che si arrende facilmente.
“Lieto
che le nostre strade si siano incrociate di nuovo, Alexander” mormorò fra sé, sistemandosi
meglio la giacca. “A quanto pare sono ancora in pochi quelli in grado di farti
sorridere.”
Un paio di
ore più tardi si compiacque nello scoprire che rientrava ancora in quella
categoria di pochi eletti.
E
questa volta, per far sorridere Alec, non ebbe nemmeno bisogno della magia.