Past, Present, Future di Juliet88 (/viewuser.php?uid=232926)
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jndeù
"William Van Der Bilt?" chiese Chuck, preda dello shock.
Non riuscivo a pensare. William Van Der Bilt era il nonno di Chuck, il papà di Bart. Era quasi surreale.
Tutto questo voleva dire che Chuck e Nate, amici di sempre...erano in
realtà legati anche da un rapporto di parentela. Erano cugini.
Le mie riflessioni furono però interrotte.
"Scusatemi un secondo" bisbigliò, Chuck, con gli occhi stanchi, e la voce spezzata.
Non mi sorprese che scegliesse di prendersi qualche minuto, quella
giornata era stata un'inferno, un turbinio continuo di
sensazioni. Credo fosse normale che
ne avesse abbastanza. Aveva scoperto degli aspetti sulla sua famiglia
che nemmno avrebbe mai sospettato, una nuova nonna sorta
all'improvviso, un padre ancora una volta deludente, e un nuovo vecchio
cugino.
Era comprensibile quanto fosse stanco e stressato.
In realtà un crollo di nervi sarebbe stata la reazione
più umana immaginabile. Non valeva, però, per Chuck Bass.
Lo vidi uscire dal locale, ringraziando e sollevando il viso verso il cielo per quel fresco autunnale.
Guardai la donna osservare lo stesso punto fuori dal locale che qualche
istante prima stavo fissando io, con sguardo preoccupato, pensieroso.
Aveva paura.
Paura che Chuck non la volesse nella sua vita, paura di soffrire
ancora. Avvertivo quasi empatia per quella bella e affascinante donna.
"Supponi che mio nipote saprà mai perdonarmi?" domandò, improvvisamente Adaline.
Riflettei qualche istante, quella domanda fu per me inaspettata.
"Chuck ha ricevuto solo del male dalla sua famiglia. Ha paura. Gli dia
qualche giorno, e lo rivedrà. Ne stia certa. Se non avesse avuto interesse nel
conoscerla non l'avrebbe rivisto neanche oggi, mi dia retta..."
Adaline sorrise delicatamente, tornando a posare gli occhi sul nipote.
"Può scusarmi un momento?" dissi.
"Vada pure, signorina Waldorf" rispose, cosciente di dove volessi andare.
"Blair."
Poggiò elegantemente le mani sul tavolo, sorridendo. "Blair".
"Chuck!" cantai, nel tentativo di avere la sua attenzione.
"Voglio tornare in hotel, Blair. Ti dispiace se vado via? Ho bisogno di
riflettere." immediatamente pronunciò, seguendo il filo logico
del suo pensiero.
Io fui colta quasi di sorpresa.
"Ah...no, sta' tranquillo, va' pure"
Mi sorrise, sfiorandomi la mano, e voltandosi subito verso la limousine.
"Chiamami...se ne avrai bisogno" dissi, dopo...con voce leggermente bassa.
Pensavo non mi avesse sentito, e forse sarebbe stato meglio così, quando vidi la sua nuca annuire.
Osservai la limousine diventare sempre più piccola e sparire nel
traffico di New York. Rimasi ferma, guardandolo mentre si allontanava
da tutto.
Era scosso. Chiaramente e ovviamente scosso. Chissà con quali pensieri si stava tormentando...
Sapevo che io invece avrei tormentato me con il pensiero su di lui. Ero preoccupata.
Prendemmo un taxi con Adaline e durante il tragitto volle sapere qualche curiosità
sul nipote, da quanto tempo ci conoscevamo, chi fosse Nate Archibald.
Il suo volto disegnò un'espressione sorpresa quando gli spiegai,
e capì.
"E' incredibile come i destini continuino ad intrecciarsi, se sono
destinati a farlo. Non importa il tempo, non importa dove. Se due
nastri legano a doppio filo, sono impossibile da sciogliere"
sussurrò, guardandosi le mani, con una maturità e
coscienza evidentemente più saggia della mia.
"Il problema arriva quando quel nodo comincia a diventare una matassa..." continuò, fermando i suoi occhi sui miei.
Le sorrisi, nascondendo dei ricordi, delle esperienze dietro quel sorriso.
Probabilmente lei se ne accorse.
"Ad esempio, Blair...quanto è ingarbugliata la matassa tra te e
mio nipote?" chiese, con l'abilità d'osservazione, e l'acume
della donna sveglia quale era.
"Ah..." tutto ciò che riuscii a dire, incapace di formulare frasi di una qualche logica.
Adaline rise, guardando fuori dalla macchina.
"Grazie, per esserti presa cura di lui durante la sua vita" bisbigliò, senza osservarmi.
"Non l'ho sempre fatto, signora Bass." risposi, sinceramente. Tante
volte gli avevo fatto del male, infliggendolo poi anche a me. Tante
volte avrei voluto stargli vicino, malgrado lui non lo permettesse.
Ecco la nostra matassa.
La accompagnai nella sua casa d'assistenza, e non seppi spiegarmi
perchè non ebbe una casa tutta sua. Sembrava indipendente in
qualsiasi azione. Avrei dovuto domandarglielo, dissi a me stessa,
promettendomelo.
Guardai il telefono, nessuna telefonata, nessun sms. Non che mi
sorprendesse. Riuscivo quasi a immaginarlo, nel suo divano, con gli
occhi ambra in un punto indefinito, e le dita che cingono un bicchiere
di scotch.
Avrei voluto dare l'indirizzo dell'empire all'autista, cercare di farlo
riflettere, di farlo calmare, di capire cosa avesse avesse in testa, ma
sapevo che avesse necessità di stare solo, così
saggiamente, ma con un leggere rammarico, tornai a casa.
Nel mio attico l'odore di lavanda e ribes fu una perfetta accoglienza
aromaterapeutica. Quell'odore mi fece subito immaginare la vasca da
bagno, così corsi al piano di sopra, cominciando a prendere
tutto ciò di cui avevo bisogno.
Asciugamani caldi, candele profumate, leggero sottofondo musicale
sarebbero stati la mia tripletta dedicata al liberare la mente.
Se non fosse per...
"Serena? Che ci fai qui?" domandai, mentre la abbracciavo.
"Ho preso un thè con Eleanor mentre aspettavo che arrivassi. Tutto bene?"
Mi chiedeva se andasse tutto bene...suonò quasi ironico.
Quanta necessità avevo di parlarle, spiegarle tutto, spiegarle
il motivo della mia aria sempre pensierosa, sempre distratta...ma avrei
potuto?
"B?" invocò di nuovo una mia risposta.
"Sì, Serena...tutto bene"
Lei sembrò convinta.
"Perfetto, stasera voglio vederti raggiante. Ci saranno anche alcuni
amici e collaboratori di mia madre, puoi anche avere da fare..." disse,
con fare malizioso.
"Stasera? Di che parli, S" domandai, confusa.
"L'avevi scordato? B, ma si può sapere dove hai il cervello? La raccolta fondi che ha organizzato mia madre, Blair!"
L'avevo totalmente rimossa.
"Oh, certo...perdonami. Allora ci vediamo alle nove" dissi, cercando di
farle gentilmente capire che fosse per me il momento di stare sola.
"B, alle otto..." pronunciò, mentre alzava le lunghe ciglia, e gli occhi al cielo.
"Alle otto" ripetei, sorridendo per chiedere scusa.
"Signorina, la borsa!" esclamò, fuori dalla porta della mia stanza.
"Grazie, Dorota" risposi, semplicemente.
Ci mancava anche che dovessi giustificarmi con Dorota.
"Ci sarà anche il signorino Chuck stasera?" domandò,
improvvisamente inopportuna, mentre sistemava la coda e lo scollo sulla
schiena del vestito rosso di Valentino che avevo scelto.
Mi voltai bruscamente, borbottando qualcosa sul suo licenziamento e biglietti di sola andata verso la Russia.
Lei rise, probabilmente non aspettava altre diverse reazioni.
Ed erano proprio quelle reazioni che riuscivano a dare a Dorota
più risposte di una lettera a cuore aperto. Mi conosceva persino
meglio di mia madre, sapeva quando mentivo e quando no, quando avevo
qualcosa che non andava e quando no.
"Le chiamo l'autista, e può scendere. Stia attenta a lei, e...al
suo cuore, signorina Blair." affermò, non per essere ficcanaso,
ma con l'amore materno che mi aveva sempre riservato.
Le diedi un bacio sulla guancia, e andai verso la macchina, mentre mia madre e Cyrus ancora perdevano minuti in smancerie.
"Blair, cara! Sei un raggio di sole stasera" mi salutò, dolcemente Lily.
"Grazie Lily, sei favolosa anche tu. Come procede la raccolta fondi?"
"Splendidamente, tesoro. Siamo quasi arrrivati all'obiettivo, sai quanto ami la filantropia."
"Lo so bene. Sei una persona splendida. Serena?" domandai.
Lei sorrise.
"Con Dan, chiaramente. Dovrebbe essere lì accanto la scalinata."
La ringraziai e andai verso la mia migliore amica, indefferente al fatto che potessi disturbare i due innamorati.
"S!" quasi urlai, dandole un abbraccio.
"Humphrey..." feci in segno di saluto, con il solito finto astio a cui Serena e Dan erano abituati.
"Waldorf, buonasera anche a lei" rispose, il moro.
"Sei bellissima, B!" si complimentò, Serena.
Io le ricambiai il complimento, mentre afferrai un flute di champagne,
mandandolo giù tutto in un sorso, sotto lo sguardo dei due
increduli.
"Bisogno di bere?" chiese sarcasticamente Serena.
"No, affatto. Perchè dici così?" domandai, prendendo il secondo flute.
"Sarà solo una mia supposizione" disse, mentre rideva.
Guardai la sala, fremeva di uomini in cravatta, e consorti, che avevano
tutta l'aria di poter essere considerati come possibili futuri clienti
della Waldorf designs. Decisi di fare un po' di "conoscenze". Eleanor
sarebbe stata orgogliosa.
Non cercai nemmeno di distinguere degli occhi profondi marroni nei visi
degli altri, sapevo non avesse l'umore adatto per prendere parte ad un
evento così frivolo come una raccolta fondi.
Passai la prima mezz'ora della serata tra scontate battute, frasi di
circostanza, tutte cose che odiavo, in fondo. L'unica sfumatura
positiva la ebbe lo champagne che mi tenne compagnia per tutta la
duarata di quella tortura.
Lavoro, mi dissi tra me e me, cercando di trovare consolazione.
"Champagne? Ho notato che avessi il bicchiere vuoto" inaugurò
una nuova conversazione un uomo alle spalle, dalla voce inconfondibile.
Mi voltai.
"Chuck? Non credevo saresti venuto" lo salutai, afferrando il flute che mi aveva portato.
"Posso permetterti di bere tutti quei bicchieri di champagne senza che io sia nei paraggi?"
Gli sorrisi, inarcando un sopracciglio.
"So badare a me stessa. Come stai?"
"Benissimo, Blair. Balliamo?" chiese, offrendomi il palmo della sua mano.
Poggiai le mia dita sulle sue, accettando.
Mentre ci avvicinavamo verso il salotto dove altri invitati ci avevano
preceduti, non potei fare a meno di pensare quanto fosse strano che lui
fosse venuto, quanto fosse starno che lui asserisse di stare
"benissimo". Non credetti ad una sola lettera.
Mi prese un fianco, mentre cominciavamo a danzare.
"Chuck, non c'è necessità di fingere. Non credo tu abbia
veramente voglia di stare in questo posto" dissi piano, sinceramente.
"Ti sbagli, Waldorf. So che Lily ci tenesse, e non scorgo presupposti
per cui io non avessi dovuto averne voglia" rispose, con il suo solito
accento ironico.
Non capivo perchè volesse fingere che andasse tutto bene. Solo
poche ore prima era visibilmente scosso, gli occhi vitrei, con alle
spalle una storia che sicuramente in parte cambiava la sua vita. Era
incredibile.
Lo osservai, sempre più confusa.
"Ma solo poche ore fa..." cercai di dire, ma luii subito volle interrompermi.
"No, Blair. Non voglio più che se ne parli. Quella donna mente. E' solo la classica arrampicatrice
sociale, mi dispiace solo non averlo capito prima di darle la
possibilità di raccontare tutte quelle bugie"
Lo guardai, senza la possibilità di poter dire parola.
"Però, c'è da dire che abbia una bellissima immaginazione. Ha creato una vera storia strappalacrime."
"Chuck..."
"Che c'è, Blair" disse, alzando il tono di qualche nota, e
interrompendo lo sguardo, spostandolo sui muri della bellissima
location che Lily aveva affittato.
"Smettila, Chuck. Smetti di essere chi non sei. Chi non sei più da anni."
"Che ne sai tu? Che ne sai tu di chi sono stato o diventato in questi
anni? Tu non eri presente" pronunciò, con tono sorprendentemente
risentito.
Mi colse proprio nel tallone d'Achille. Fu come uno schiaffo morale, acqua gelida che scorreva dentro le mie vene.
Non ballavamo più. Non ci sfioravamo più.
"Chuck..." fu quasi un sussurro, con il capo abbassato.
"Cosa?"
"Smettila! Smetti di farti e farmi solo del male! Hai impiegato tanto
per migliorarti, per non essere come tuo padre, e io so che non lo sei."
"Smettila di dire quello che dovrei o non dovrei fare, chi dovrei o non
dovrei essere, Blair" quasi ringhiò, con la voce bassa per non
far sentire alle persone accanto, ma minacciosa.
Ero sempre più stupita.
"Quella donna non mente, Chuck. Lo so" asserii, con tono iracondo.
"Ci vediamo, Blair" disse, voltando il capo, e ritrovandomi sola nel mezzo del salotto in cui le coppie felicemente ballavano.
"Codardo" fu quel che dissi, e fui certa che l'avesse udito.
Corsi fuori. Ogni passo la minaccia delle lacrime più presente.
Mi fermai solo dinanzi il recinto che si affacciava sulle siepi. E
lì non potei fare a meno di non piangere.
Sembrava tornato. Sembrava tornato quel rancore, quella rabbia,
quell'indifferenza che utilizzava nell'adolescenza. I suoi occhi non
più lucenti, solo cupi, smarriti.
E in quel momento la rabbia fu anche ciò che sentii io.
Avevo investito tutta la mia volontà, tutto il mio amore per
farlo mutare nell'uomo migliore che sapeva di essere e che gli era
sempre appartenuto, anche se accuratamente nascosto. Io ero riuscita a
renderlo più sicuro di sè, togliere quell'arroganza,
quella freddezza, e adesso sembrava tutto inutile.
Perchè non credeva ad Adaline? Come riusciva a non vedere la
sincerità e l'amore dei suoi occhi? Preferiva credere all'uomo
che aveva tentato di mettere fine alla sua vita. Volevo conservare
umanità per un uomo che umanità non aveva.
Odiavo Bart. Lo odiavo.
Mentre provavo rabbia verso Chuck.
Il signor Thorne aveva confermato tutto, avevamo tutti i documenti
scritti. Lei diceva la verità. Perchè non voleva
crederle? Aveva paura? Non posso biasimarlo se spaventato al pensiero
di dedicare ancora una volta il suo amore alla sua famiglia. Una
famiglia che sembrava non meritarlo. Ma Adaline sembrava diversa,
sincera, onesta. Avevo visto gioia quando aveva visto Chuck, dolore
quando disse la sua storia, paura quando il nipote andò via. La
sua indifferenza, il suo gelo non sarebbe stato coraggio, solo paura, e
vigliaccheria.
Chiamai l'autista e decisi di andare a casa. Volevo stare in solitudine.
Però...
"George, tieni quest'indirizzo. E' qui che devi andare."
Ci trovammo davanti il palazzo con il quale solo qualche ora prima ero stata con Chuck. Volevo parlare con Adaline.
"Salve, sono qui per Adaline Bass"
"Mi dispiace, è tardi per l'ora di ricevimento. Tenti domani."
"Devo parlare con Adaline Bass, subito." dissi piano, con tono leggermente corruttore.
Mi guardò per qualche secondo, per poi andare verso la porta lignea.
Pochi minuti dopo uscì lei.
"Salve, Blair. Non credevo di dover ricevere qualcuno stasera..."
Vidi il suo sguardo cambiare da sereno a impensierito quando si accorse del mio umore scosso.
"Tutto bene, cara?" chiese.
"No" fu la mia risposta, semplice, ma chiara.
Lei si sedette vicino a me, incoraggiandomi con i suoi occhi a proseguire.
"Io...io..."
Guardai il pavimento.
"Io e Chuck abbiamo litigato" riuscii a comunicarle.
"Chiunque si voglia bene poi deve affrontare anche qualche litigio. Lui
ti vuole bene e sono riuscita a rendermene conto in pochi minuti. E
sta' tranquilla, non sto credendo che ci sia anche qualcosa di
romantico tra di voi, non andare sulla difensiva" disse dopo, con
malizia, sorridendo.
Invece lo pensava, e lo sapevamo entrambe.
Ma non ero lì per quello, e Adaline aveva il diritto di conoscere le decisioni del nipote.
"In realtà, Adaline...volevo parlarti di altro. Abbiamo litigato
perchè sembra arrivato a credere che tu stia mentendo, che tu
non sia chi dici di essere. Sembra rifiutare di voler credere a te, a
me. Non osserva tutte le basi per cui io ti credo...la foto, i
documenti che ci ha fornito l'investigatore, la tua storia. Ho cercato
di fargli capire che i tuoi occhi sono sinceri, ma lui sembra fermo sui
suoi punti. Ed è un codardo."
Adaline sembrò riflettere qualche secondo, chiaramente dispiaciuta delle paole che gli avevo comunicato.
"Blair...mio nipote ha ricevuto solo bugie dalla sua famiglia. Credo,
credo sia quasi umano che lui si rifiuti di credermi. Gli hanno sempre
fatto del male. E' spaventato che anche io abbia le stesse intenzioni"
"Ma io so che tu sei sincera. Non domandarmi in che modo, ma lo so. I
suoi occhi...sembravano spenti, come quelli del padre, come quelli che
aveva quando aveva 17 anni."
"Sono felice che tu mi creda, Blair. Aspettami qui, voglio mostrarti un cimelio"
La osservai, curiosa.
Dopo qualche minuto la donna dai capelli d'argento tornò, e
aveva in mano una collana con un ciondolo color platino, che stringeva
forte tra le sue dita affusolate.
Lo consegnò subito a me, facendomi vedere la foto che nascondeva.
Era la stessa foto che Elizabeth diede a Chuck. Era Chuck, con la madre. Come era riuscita ad entrarne in possesso?
Lo guardai con espressione interrogativa.
Lei capii istantaneamente, e cercò di darmi delle spiegazioni.
"Ci fu un periodo...quando Charles era probabilmente appena nato, in
cui Elizabeth e io cercavamo di incontrarci di nascosto. Le chiedevo di
mio nipote e di mio figlio, volevo avere loro notizie. E...un
pomeriggio, ricordo ancora la frescura autunnale, mi diede questa
fotografia che avrei difeso con la mia stessa esistenza."
Le strinsi le mani, con i suoi occhi divenuti commossi.
"Perfetto" dissi, contenta.
"Di che parli?" domandò Adaline.
"Darò questa collana a Chuck. Non avrà più ragioni per poter pensare che tu dica bugie..."
"No" ottenni da Adaline.
"No, Blair. Non voglio che lui si convinca tramite oggetti o fatti
oggettivi. Se lui vorrà perdonarmi dovrà farlo con il suo
cuore, non con la sua testa." continuò.
Capii il discorso di Adaline.
"Oh...credo, credo sia giusto. Ma se non volesse? Rinunciare a
ricostruire la famiglia che tanto desidera ma che aveva operato
autodistruzione...non è corretto. Io so che nell'angolo
più nascosto del suo cuore lui ti crede, Adaline."
"Lo spero, Blair. Ma non devo essere io a convincerlo per questo. Ho
già tentato. E a te non spetta la mansione di avvocato."
Lo avvertii come un rimprovero. Adaline aveva uno sguardo comprensivo
ma testardo, proprio come Chuck, e riusciva a far provare empatia, ma
anche un senso di rispetto impagabile.
"Adesso va' a casa, tesoro. E' evidente che necessiti un po' di riposo."
Le obbedii, e dandole un bacio sulla guancia, andai verso l'auto con il cuore che invocava i sentimenti più antitetici.
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