La liberazione nell'essere schiava

di brattolif
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Guardò le sue dita della mano.

I suoi occhi si focalizzavano sull'indice e sul medio e più manteneva lo sguardo su di essi più la sensazione di voler rigettare tutto si faceva sentire.

Distolse gli occhi dalle dita e li direzionò verso la porta del bagno.
Mentre fissava la porta contava i respiri affannosi e ogni respiro corrispondeva al numero di quanto avesse masticato e ingoiato.
Quando mangiava era solita contare la quantità delle penne, le foglie di insalata, i pezzi di carne.
Ognuno di essi aveva un valore.

Era solita appuntarlo su un block notes. Insieme a questi riportava anche il numero di grammi che perdeva al giorno.

Guardò nuovamente le dita e immaginò di infilarle in bocca e farle scendere lungo la gola.
Ripensò a come si sentiva ogni volta che le sue dita sfregavano essa insistentemente, profondamente e ripetutamente.
Come si sentiva soffocare ma non si dava per vinta finché non sarebbe fuori uscito ciò che era stata costretta a mangiare.
Come le lacrime scendevano, scorrevano sul viso, bagnavano la mano e continuavano il loro percorso lungo il braccio senza trovare una fine.

Poi la liberazione.

Non riusciva mai a guardare quello che aveva espulso.

Ogni volta tirava direttamente lo scarico e rimaneva seduta in bagno a fissare la mano e ad aspettare che le sue lacrime terminassero.
Non se la si può chiamare liberazione.
Più che altro si sentiva schiava. Schiava di una piccola parte del suo corpo.
Quelle che potevano sembrare due insignificanti e piccole dita di una mano avevano il controllo del suo corpo e della sua mente.





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