The
passion of thought
Bolund
I litigi in
piazza tra Bolund e Valga Vinicia erano all'ordine del giorno a
Farkreath. Tutti conoscevano il pensiero del nord nei confronti degli
stranieri a Skyrim ma solo Valga aveva il coraggio di affrontarlo
apertamente, facendo valere le sue idee senza vergognarsi di essere
un'imperiale.
L'uomo era
arrivato a voler pagare Valga perché se ne tornasse a
Cyrodiil, un
gesto simbolico ma carico di odio ed estremamente significativo;
offensivo non solo per lei ma anche per gli altri abitanti della
città, stranieri e non.
Valga non
si era fatta intimidire nemmeno quella volta e, preso il sacchetto di
septim, lo portò direttamente da Lod, il fabbro, per
forgiarne una
bellissima collana ed indossarla ad ogni occasione pubblica per
deridere Bolund.
Era così
da anni, i due si punzecchiavano e si facevano scherzi di ogni tipo,
entrambi convinti di avere ragione sulle proprie idee riguardo al
diritto di vivere a Skyrim.
Finchè una
sera Bolund finì alla locanda della Goccia Fatale
completamente
ubriaco e si riversò sul pavimento dopo aver bofonchiato i
soliti
commenti spregevoli su Valga.
La donna,
senza batter ciglio, si fece aiutare da un paio di clienti e
portò
Bolund in una delle stanze, lasciandolo riposare per quasi tutta la
notte.
All'alba
l'uomo si riprese abbastanza da reggersi in piedi ed uscire dalla
stanza. Nessuna traccia di clientela, era troppo presto e Valga stava
spazzando il pavimento. Si avvicinò al bancone e
occupò uno
sgabello cercando di non pensare al mal di testa. Valga gli
preparò
un intruglio per fargli passare i postumi e glielo piazzò
sotto al
naso.
- Che diavolo è?! Mi vuoi forse uccidere? - si
lamentò
lui.
- Se avessi voluto ucciderti, l'avrei già fatto - rispose
l'altra con un sorriso.
Valga tornò alle sue mansioni e Bolund la
guardò in silenzio fare avanti e indietro per la locanda.
Prese un
sorso dell'intruglio contro la sbornia e fece una smorfia contraria
prima di mandarlo giù tutto d'un fiato.
Quando
sentì Valga avvicinarsi canticchiando per prendere il
boccale vuoto
lui la fermò, afferrandola per un braccio. Lei
reagì bruscamente,
strattonando per liberarsi ma lui non mollò la presa.
Allarmata per
il suo comportamento, non poteva far altro che pensare che volesse
farle del male, visti i loro precedenti ma le intenzioni di Bolund
furono diverse.
Si alzò
prendendola di forza e avvicinandola al bancone, le teneva ferme le
mani intanto che lei tentava di ribellarsi e la baciò con
forza.
- Sei
ubriaco?! - chiese lei.
- Non più...
La risposta di Bolund fu
incisiva e rivelatrice. Da quel momento i due non si odiarono
più.
Vex
Ci pensava
da giorni, la cosa iniziava ad ossessionarla ed incideva sulle sue
prestazioni professionali di ladra nelle missioni indette dalla
gilda. Il suo orgoglio non le permetteva di ammettere a sé
stessa
che i suoi sentimenti per Brynjolf erano cambiati e si erano
intensificati.
Sin da
quando era entrata a far parte della gilda dei ladri si era distinta
per il suo talento ma fallire la missione alla Tenuta Goldenglow le
aveva causato un brutto colpo.
Quando poi
Karliah si era rifatta viva, spiegando le ragioni per cui si era
accollata la responsabilità di essere una traditrice solo
per
incastrare Mercer Frey, le cose andarono anche peggio. La pelle
grigia passava fin troppo tempo con Brynjolf e la gelosia prese il
sopravvento.
Quella
notte, Vex prese la sua decisione, lasciò il suo giaciglio
per
raggiungere la stanza di Brynjolf indossando solo una veste leggera
color avorio.
Volutamente
provocante, era intenzionata a sedurlo.
Lui era lì,
disteso. Le dava le spalle ma sapeva che non era prudente avvicinarsi
di soppiatto, rischiava la vita. L'uomo era fin troppo allerta, anche
quando riposava. Vivere quella vita significava prepararsi a
combattere e a morire in ogni momento.
Vex si
sciolse i capelli biondi e si schiarì la voce per attirare
la sua
attenzione. Era impacciata ed intimidita, priva di esperienza di quel
tipo. Aveva sempre rifiutato gli uomini che le facevano la corte, li
considerava tutti dei deboli che non riuscivano a controllarsi alla
vista di una donna ma al tempo stesso, lei non era in grado di
sedurre nessuno.
Brynjolf si
rigirò nel letto e socchiuse gli occhi. Ci mise qualche
momento per
capire che lei era lì. Si mise seduto grattandosi la nuca e
sbadigliando vigorosamente.
- Che ci
fai qui, Vex? È successo qualcosa? - Chiese nella
più totale
confusione.
Vex agì d'impulso e prima di cedere all'imbarazzo, si
infilò nel letto mettendosi a cavalcioni su di lui. I due si
fissarono e lei non riuscì a fare nulla, il suo sguardo
illuminato
dalla debole luce delle candele la rendeva ancora più bella
e
Brynjolf anche se sorpreso, non si tirò indietro.
La baciò con
veemenza facendole scivolare la veste lungo le sue forme. La sua
piccola Vex, letale e silenziosa mai si sarebbe aspettato di trovarsi
in una situazione simile. Lei rispose ai baci e alle carezze e si
lusingò delle sue attenzioni.
La notte di
passione fu appagante e piena di quesiti ma fu la più bella
per Vex.
Il mattino seguente si risvegliò sola, in quel letto freddo,
in
quella stanza umida, col viso coperto dai capelli arruffati, si
avvolse la ruvida coperta attorno al corpo e si affacciò. La
Cisterna era ancora deserta.
In lontananza riconobbe Brynjolf, in
piedi vicino alla scala le conduceva fuori.
Con lui, Karliah.
Stavano parlando. Si stavano scambiando informazioni,
probabilmente sulla posizione di Mercer.
Si
allontanarono insieme, sotto lo sguardo umido di Vex.
Onmund
L'accademia
di Winterold, da sempre la massima aspirazione per molti maghi, si
ergeva maestosa e solitaria al di sopra dell'omonima cittadina.
Il giovane
Onmund ci studiava da tempo ma sin dal primo giorno aveva provato
attrazione per la sua insegnante Mirabelle Ervine. L'affascinante
quanto preparata maga gli aveva catturato il cuore con la sua forza
d'animo e il suo carattere gentile ma determinato.
Ovviamente,
quell'attrazione non era ricambiata dalla donna che lo vedeva come un
giovane allievo e nient'altro. Più di una volta si era anche
dimenticata il suo nome ma ciò non servì a
fermare le intenzioni
dell'ammiratore.
L'attrazione
che crebbe col passare dei giorni, delle settimane, dei mesi, si
trasformò in ossessione. All'inizio fu una cosa innocua e
nemmeno
Mirabelle se la sentì di denunciarlo al corpo insegnanti ma
quando
Onmund venne sorpreso ad utilizzare alcuni incantesimi proibiti per
controllarla e costringerla a fare ciò che voleva, venne
espulso
dall'accademia.
Nemmeno con
l'espulsione Onmund si arrese, anzi, divenne sempre più
pericoloso.
Si stabilì
alla locanda del Focolare Ghiacciato, in città, come un
semplice
viandante, non fece sapere a nessuno di essere un mago men che meno
di comunicare che era stato espulso.
Tenne in
allenamento i suoi poteri ed era arrivato a dormire pochissime ore a
notte per non perdere l'occasione della sua vita. Attendeva, spiava,
controllava. La paranoia crebbe e il giorno in cui Mirabelle
passò
in città, finalmente il mago ebbe l'occasione di mettere in
atto i
suoi piani.
La guardò
a lungo dalla finestra della sua stanza e quando la donna si
incamminò lungo il sentiero che portava fuori da Winterold,
lui la
seguì senza perdere altro tempo.
Utilizzò
tutte le sue abilità per pedinarla senza farsi vedere.
Giocò con
lei per settimane, di giorno nascosto e di sera avvicinandosi
talmente tanto da sentire il suo respiro sul viso, mentre dormiva.
Era diventato bravo, aveva affinato i suoi poteri ma Mirabelle non
era una sprovveduta e si era resa conto che c'era qualcosa di strano.
Una sera,
la maga decise di porre fine a quella situazione e finse di dormire
attendendo il momento giusto per affrontare colui che la tormentava
da così tanto tempo. Fu piuttosto sorpresa di trovarselo
davanti
dopo tanto tempo ma le intenzioni di Onmund furono chiare.
Tentò di
colpirla con un incantesimo di paralisi e ci riuscì al
secondo
tentativo, Mirabelle cadde nella neve come una statua, gli occhi
fissi e vitrei. Il mago le si avvicinò con un pugnale in
mano e dopo
essersi chinato su di lei, annusando il suo profumo, prese ad
affondare la lama nel petto per un'infinità di volte. Non ci
fu
nessun rumore, nessun grido, nessuna colluttazione.
- Avresti
dovuto amarmi.
Fu
semplice, pulito e veloce, il sangue caldo macchiò il
candido manto
sotto Mirabelle e una lacrima le rigò il viso, prima di
spegnersi
per sempre.
Elisif
Si sentiva
sola Elisif, la bellissima e giovane Elisif, diventata jarl dopo la
morte del marito. Accettò quell'impegno gravoso e si fece
influenzare dalla potenza imperiale, dando così vita alla
Solitude
che tutti conoscono come capitale dell'impero.
Furono in
molti ad essere in disaccordo con le sue scelte e c'era chi non si
tirava indietro dal dimostrare la frustrazione di vedere la propria
terra in mano agli invasori. Avevano tentato di ucciderla molte volte
ma grazie al suo consigliere, amico e guardia del corpo Falk
Firebeard, nulla di male le era mai capitato.
Ma era
sola, chiusa dentro al Palazzo blu, circondata da un sacco di gente
ma pur sempre sola.
Durante una
festa in suo onore decise di dimenticarsi per qualche ora di essere
lo Jarl e di essere semplicemente Elisif. Bevve a sproposito fino a
stare male e Falk dovette riportarla in camera in braccio.
Provava
ammirazione sia per lei che per il marito defunto e capiva
perchè
stava iniziando ad agire così sconsideratamente, senza
riflettere
sulle voci che poi avrebbero messo in giro gli invitati. Sentiva la
sua tristezza ma non osava commentare, men che meno abusare di lei o
sedurla, le stava vicino sperando che lei si sarebbe accorta un
giorno dei suoi sentimenti.
Sdraiata
comodamente a letto, Elisif gli accarezzò il viso e sorrise
dolcemente, anche se l'alcool poteva forviarla era ancora in grado di
capire che, in quanto Jarl, non poteva cedere alla tentazione e
dimostrarsi lasciva nei confronti del suo consigliere.
Ma il suo
cuore le esplodeva nel petto. Lo amava, lo desiderava da
così tanto
tempo da arrivare a credere che il suo defunto marito non era mai
esistito.
Falk
sorrise dolcemente ma si allontanò prima che la situazione
potesse
degenerare, era pur sempre un uomo ed Elisif era così bella
da
togliere il fiato.
La giovane
lo inseguì fermandolo prima che potesse lasciare le sue
stanze e lo
baciò con passione.
Pur
dimostrandosi in uomo dagli alti valori morali, Falk cedette e quel
dolce gesto venne ricambiato subito. L'avvolse tra le sue braccia
possenti riconducendola a letto senza però abbandonarla ad
una notte
solitaria.
Elisif
aveva un corpo tanto perfetto quanto immacolato e ciò la
rendeva un
oggetto del desiderio anche maggiore per Falk. Con i muscoli tirati
dal piacere, non perse tempo a cogliere quel frutto proibito ponendo
entrambi in una situazione pericolosa ed eccitante.
Fu la notte
in cui Elisif si sentì rinascere, desiderata, appagata e
amata
ancora una volta, non voleva rinunciare a quella bellissima
sensazione, al tocco gentile e lussurioso di Falk, ai suoi baci e al
suo amore.
Il tempo
scivolò tra le dita come acqua e l'alba arrivò
senza preavviso. I
due amanti dovettero separarsi per tornare ai loro ruoli e con
amarezza decisero di rinunciare ad una vita d'amore alla luce del
sole per nascondersi dietro alla facciata che la società
imponeva.
Borkul
Aveva perso
il conto di quanti anni aveva passato nelle miniere di detenzione di
Markhart, per il puro e semplice crimine di essere la guardia del
corpo di Madanach, capo dei rinnegati.
Stava
marcendo là sotto, come tutti gli altri e le promesse di
Madanach di
evadere si stavano facendo sempre più inconsistenti, creando
del
malcontento tra i prigionieri.
Lo stesso
Borkul, conosciuto ormai come “la bestia” si era
rassegnato a non
rivedere più la luce del sole e doveva trovare un modo per
passare
le giornate in quel buco.
L'occasione
gli si presentò quando vide alla miniera un'affascinante,
quanto
rude orchessa. Aveva portato le nuove armi per le guardie ed era
conosciuta da tutti come il fabbro di Markhart. Quale visione per
Borkul che non solo la vedeva come una dolce distrazione dalla vita
da minatore ma anche come un bellissimo esemplare della sua specie.
In seguito scoprì che si chiamava Ghorza Gra-Bagol e
corrompendo un
paio di guardie, riuscì ad instaurare una corrispondenza in
lettere
con lei.
Fu sorpreso
e felice quando ricevette la sua prima lettera, come un bambino che
vede la prima neve della sua vita e fu anche più felice
quando capì
che per lui c'erano speranze di poterla conoscere meglio. Quelle
lettere racchiudevano un mondo, tra le righe scritte nella loro
lingua, la forgiatrice e la bestia ricordavano i tempi in cui erano
dei cuccioli e vivevano la loro vita spensierati negli avamposti
della loro gente.
Più si
approfondiva la conoscenza e più il loro amore cresceva e
arrivò
anche il momento in cui le lettere non bastavano più.
Avevano voglia
di vedersi di persona, di stare insieme ma ogni volta che Ghorza si
presentava alle prigioni le veniva negato l'accesso, i detenuti erano
traditori e criminali e non meritavano nessun privilegio.
La
sofferenza fu grande ma, quando tutto sembrava perduto, Madanach
annunciò finalmente che il fatidico giorno dell'evasione era
arrivato. Per Borkul fu un tuffo al cuore e la speranza di vedere la
sua amata si rafforzò maggiormente. Decise di rischiare
tutto
scrivendole un'ultima lettera, usando non solo la sua lingua ma anche
dei messaggi in codice, nella speranza che lei capisse.
L'evasione
avvenne ma le guardie erano preparate, in qualche modo erano venuti a
sapere del piano. A Borkul venne il sospetto che fosse stata colpa
della sua lettera ma non c'era tempo per pensarci, i prigionieri
combatterono e tentarono di fuggire dalla città. Molti
morirono ma
non tutti fallirono. L'orco, assieme a pochi altri, passarono le
porte principali e continuarono a correre in aperta campagna. Le
frecce fischiavano vicino alle orecchie e alle loro spalle, guardie e
cani li braccavano come prede di caccia.
Borkul si
fermò d'improvviso non credendo ai suoi occhi. Ghorza alla
guida di
un carro, era ferma in mezzo al nulla ad aspettarli. Gridava con
tutte le sue forze di raggiungerla, diceva di avere armi e armature
con sé.
L'orco
sorrise e le corse incontro.
Muiri
Il
tradimento del suo amato le aveva permesso di aprire gli occhi. Alain
Dufont doveva morire.
Colui di
cui si fidava ciecamente l'aveva usata e tradita con quella
sciacquetta di Nilsine e più tempo passava, più
la sua collera
cresceva, sapendo che entrambi stavano vivendo la loro vita senza
preoccuparsi di quanta sofferenza le avessero causato.
La vendetta
la stava consumando e doveva metterla in atto il prima possibile.
Pronunciò il sacramento nero per ottenere i favori della
Confraternita Oscura ma l'assassino non soddisfò
completamente le
sue richieste.
Alain era
morto ma Nilsine non ancora e fu in quel momento che Lisbet
entrò a
far parte della sua vita.
Era
affascinante, sicura di sé e si presentò a Muiri
con il sorriso più
dolce che avesse mai visto. Rimase spiazzata ed inaspettatamente
attratta da quella donna che, pur spaccandosi la schiena per tirare
avanti, restava così meravigliosamente bella.
Le due
iniziarono a costruire una forte amicizia che ben presto
lasciò il
passo ad un affetto anche più profondo. Muiri era confusa e
non
comprendeva a fondo Lisbet ma quando era in sua compagnia si sentiva
qualcuno, era amata, desiderata e non aveva nessuna intenzione di
rinunciare a lei.
- Perché
sei ancora così turbata? - chiese Lisbet mentre le
accarezzava
teneramente la schiena.
Muiri si sistemò i capelli dietro alle
orecchie e sorrise imbarazzata.
-
L'assassino che avevo ingaggiato non ha portato a termine tutte le
mie richieste. Non posso fare a meno di pensare che è stata
una
vendetta a metà e non riesco a fare a meno di soffrirci
ancora.
-
Beh dovresti trovare un modo per riuscire a passare oltre e ad andare
avanti.
Lisbet le baciò il collo, facendo scivolare la mano sui
glutei sodi dell'altra.
- E tu cosa proponi? - chiese Muiri
chiudendo gli occhi.
- Soddisfare la tua vendetta fino in fondo -
sussurrò l'altra.
La coppia finì in un vortice di passione e
l'idea di portare a termine quell'omicidio insieme rendeva la cosa
pericolosamente eccitante. Lisbet le rivelò il suo segreto,
venerare
Namira non si poteva gridare di quattro venti e convinse Muiri che
sacrificare Nilsine alla daedra era la cosa giusta da fare.
E così fu.
Venne
preparato un banchetto in onore di Nilsine che cadde nella trappola
ideata dalle due donne. Muiri non nascose un senso di disgusto
vedendo cosa ne fecero successivamente del sacrificio ma finalmente
poteva dormire sonni tranquilli accanto alla sua Lisbet.
Farkas
“Quei due
fratelli sono una gioia per gli occhi”
Era questo
che le donne di Whiterun dicevano di Farkas e Vilkas di Jorrvaskr,
due guerrieri nord con l'onore nel sangue e i muscoli al punto
giusto. Erano entrambi estremamente affascinanti ma molto diversi tra
loro. Vilkas era considerato quello intelligente, sveglio e ruba
cuori; un donnaiolo di prima categoria che aveva
“assaggiato”
quasi tutte le giovani donzelle avvenenti della città ma
Farkas non
era così quotato come il fratello, pur essendo prestante
allo stesso
modo. Il guerriero conosceva solo la lotta, il combattimento, la
lealtà verso i compagni ma non aveva mai avuto il coraggio
di
avvicinare una donna. Tutti a Jorrvaskr pensavano che sarebbe rimasto
solo oppure che, prima o poi, una donna con un po' più di
coraggio
avesse preso in mano la situazione per portarselo a casa.
Seduto al
lungo tavolo posto al centro del salone principale di Dragonsreach,
Farkas era intento a sorseggiare del buon idromele dopo aver passato
la mattinata a caccia di banditi nei dintorni della città.
Aveva
ancora indosso la sua armatura grondante sangue e lo spadone nel
fodero appoggiato accanto a sé. Era in compagnia dei suoi
compagni
di scudo e dallo Jarl che presiedeva a capotavola. Vilkas aveva
portato con sé la sua bambina, la piccola Onna ed era
occupato a
raccontarle della battaglia mentre gli altri si gustavano il pranzo
preparato da Fianna, cameriera, cuoca e governante dello Jarl.
La donna
era bella e giovane ma al tempo stesso aveva un temperamento forte e
risoluto. Sapeva tener testa persino allo Jarl che la apprezzava
proprio per la sua audacia. Farkas era da sempre attratto da lei ma
Fianna lo intimoriva e lui non aveva il coraggio di corteggiarla
propriamente. Nonostante la sua giovane età, Onna se n'era
resa
conto e all'ennesimo fallimento da parte di zio Farkas di attirare
l'attenzione della donna, decise di intervenire.
Si infilò
nelle cucine e si avvicinò a lei con fare dolce e gentile.
- Lo sai
che piaci a mio zio Farkas?
Fianna venne presa alla sprovvista e
arrossì visibilmente. La bambina continuò
imperterrita a parlare
senza peli sulla lingua.
- Vorrebbe
parlare con te ma non ha il coraggio, sai, lui è timido.
Puoi
parlarci tu?
- Non so se sia il caso, piccola... - rispose con
imbarazzo.
- Zio Farkas ne sarebbe davvero felice.
Onna sfoderò
tutta la sua tenerezza che solitamente convinceva Vilkas a concederle
qualsiasi cosa e Fianna si schiarì la voce tornando dai
commensali
con la seconda portata. La bambina rimase a guardare dalle cucine e
riuscì ad intravedere Fianna che sorrideva a Farkas dopo
avergli
servito un trancio di proboscide di mammuth. Il guerriero rispose
timidamente a quel sorriso e per tutta la durata del banchetto i due
si rubarono sguardi e sorrisi.
Al termine
del pranzo in onore dei guerrieri di Jorrvaskr, Farkas raggiunse
Fianna in cucina ma non riuscì a dire nulla. La donna prese
uno
strofinaccio e iniziò a ripulire il suo viso dal sangue del
combattimento.
Roggvir
Fu l'ultima
notte tra i vivi per Roggvir prima di essere giustiziato e
raggiungere con fierezza Sovngarde. L'aver aiutato Ulfric Manto della
tempesta a fuggire da Solitude l'aveva messo in guai seri ma il suo
onore rimase intatto, non si sarebbe mai perdonato un tradimento
simile.
In quella
cella fredda, senza nemmeno una finestra per contemplare i cieli di
Skyrim, ripensava al passato e alla sua Vivienne che ora giaceva nel
letto di un altro.
Si
incolpava di non averla conquistata prima, di non averle fatto la
corte e di aver lasciato che il suo peggior nemico, Sorex Vinius,
gliela portasse via. Quel maledetto imperiale fu il primo a puntare
il dito contro di lui, nonostante fossero cresciuti insieme,
tuttavia, covare rancore in quel momento era inutile, sarebbe morto
in ogni caso e Sorex avrebbe vinto per l'ennesima volta.
I suoi
pensieri furono interrotti da una visita inaspettata, nel cuore della
notte.
La guardia
aprì la porta della cella e la figura esile incappucciata si
avvicinò a Roggvir.
- Lasciaci
soli.
La guardia si allontanò e l'ospite si scoprì il
viso,
rivelando la sua identità.
-
Vivienne...
Roggvir riuscì solo a sussurrare il suo nome,
sorpreso di vederla.
I due si abbracciarono e Viviene gli fece
compagnia in quell'ultima notte.
Non ci fu
bisogno di dire nulla, entrambi sapevano che era la loro ultima
occasione.
Parlarono a
lungo del passato, di quando erano solo dei ragazzini e giocavano
insieme e Sorex Vinius era loro amico. Di quando non c'erano tutti i
problemi del mondo, di quando erano solo loro tre e il resto non
importava.
- Ho sempre
preferito te a lui. - Ammise Vivienne improvvisamente.
Roggvir la
guardò. Quella frase, detta in maniera così
semplice, spontanea, fu
una pugnalata. Si ammutolì e non ebbe il coraggio di
guardarla.
-
Roggvir...
- Esci da qui, ho bisogno di stare solo. Ti prego di
rispettare le mie ultime volontà.
- Ma che
dici, pensavo di facesse piacere avermi qui.
- Ora non
più.
Vivienne non aggiunse altro. Confusa e triste lasciò la
cella e Roggvir tirò un pugno al muro, rompendosi la mano.
All'alba
fu condotto dal boia, con le mani legate dietro alla schiena venne
presentato al popolo e furono elencate le sue colpe. Quando fu
sentenziata la pena di morte per alto tradimento, lui volse un ultimo
sguardo a Vivienne prima di inginocchiarsi davanti al ceppo e
chinarsi attendendo la scure del boia sul suo collo.
Potevano
accusarlo di qualunque cosa ma non di aver sbagliato con la donna che
amava. Lo sbaglio l'aveva commesso lei, scegliendo Sorex Vinius molto
tempo prima.
Hermir
Jarl Ulfric
aveva la consuetudine di passare la notte con una fanciulla nord di
Windhelm. Si chiamava Hermir ed era l'apprendista del fabbro. L'aveva
scovata lo Jarleif su richiesta dello stesso Jarl per scaricare la
tensione che la guerra in corso gli stava causando.
Trovava quella
ragazza appagante e al tempo stesso non invadente e mentre lui la
utilizzava come valvola di sfogo, quella ragazza forte e determinata
non poteva che subire quella situazione pur di far felice di suo
Jarl.
Gli era
vicina negli ideali, lo vedeva come un condottiero valoroso e un capo
di stato degno di governare su tutta Skyrim. Così di giorno
era
semplicemente Hermir della forgia e di notte diventava la prostituta
numero uno di Ulfric. Non l'avrebbe mai ammesso ma era quello che
tutti pensavano.
Una notte,
Ulfric era particolarmente preoccupato per aver perso uomini e
risorse in una missione suicida che aveva approvato e si incolpava
per quel grave errore. Non esternava mai i suoi sentimenti e le sue
paure, nemmeno con il suo comandante in seconda e caro amico, Galmar
ma senza nemmeno rendersene conto, iniziò a parlare della
questione
con Hermir che giaceva accanto a lui.
La fanciulla lo ascoltò in
silenzio, non osò interrompere. Egli lasciò il
letto, camminando
avanti e indietro ed esternando quei pensieri che rasentavano la
follia. Pronunciava nomi e faceva riferimento a situazioni di cui lei
era allo scuro ma lo lasciò finire prima di permettersi di
aprire
bocca.
- Di cosa
avete bisogno, mio Jarl?
Una domanda delicata, priva di giudizio e
affettuosa. Ulfric per la prima volta guardò Hermir con
occhi
diversi, fu come se finalmente la considerò come una persona
e non
come un oggetto. In quel momento Ulfric capì che desiderava
solo
essere ascoltato e compreso e l'unica che gli aveva dato quel che
realmente voleva fu proprio lei.
Al mattino, come di consueto,
Hermir lasciò il suo posto accanto allo Jarl e si
rivestì in fretta
per tornare alla forgia ma Ulfric la fermò prima che possa
andarsene.
- I miei ringraziamenti per questa notte, Hermir.
Volevo farti sapere che potrei riconsiderare la tua posizione a
Windhelm, una volta vinta la guerra contro gli imperiali.
La
fanciulla rimase senza parole, abbozzò un sorriso timido e
con un
breve inchino, si allontanò col cuore leggero, pieno di
felicità.
Fine.
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