Drunk
Note
autore: Salve a tutte/i!
Vi
chiederete, o forse no, come mai stia pubblicando questa storia
invece che l'ultimo capitolo dell'altra. Beh,l'ho dimenticata a casa.
E' un periodo che per motivi vari sto facendo diversi giri e
normalmente porto sempre l'hard disk con me ma questa volta,
purtroppo, è rimasto al calduccio nell'altra mia borsa da viaggio.
Scusatemi. Provvederò a pubblicarla non appena tornata a casa questo
weekend.
Per
quanto riguarda questa storia, è nata per caso grazie alle poesie
brevi di Gio Evan (se non lo conoscete vi consiglio di andarlo a
cercare anche su facebook, ogni tanto regala delle vere e proprie
perle) che sono andate a riempire le mancanze di un'idea
sconclusionata che si aggirava da un po' nella mia testolina.
E'
un missing moment (se così lo si può definire) fra la seconda e la
terza stagione.
Spero
vi piaccia e che mi aiuti a rendermi più perdonabile ai vostri occhi
per il capitolo mancato.
Come
sempre, a voi l'ardua sentenza e qualora voleste lasciarmi correzioni
o critiche sarete e saranno le benvenute.
A
presto,
Anne
^^
Drunk
Il
sorriso alcolico iniziò a scivolar via dalle sue labbra man mano che
saliva la rampa di scale.
Inciampò
sull'ultimo gradino ma evitò la caduta aggrappandosi alla ringhiera.
La sua risata innaturale e gutturale riecheggiò nel pianerottolo. A
passi lenti e incerti raggiunse la porta del suo appartamento e vi si
appoggiò pesantemente; le chiavi graffiarono il legno intorno alla
serratura un paio di volte prima di trovare la strada ed aprire
l'uscio.
Una
volta entrata si appoggiò alla porta per chiuderla con il proprio
peso, provocando un rumore sordo. Guardò il buio totale del suo
appartamento e valutò se arrivare fino in camera da letto o
lasciarsi cadere sul divano di fronte a lei. La stanchezza, unita
alla quantità di alcol nel suo corpo ed al suo umore nero, le fecero
scegliere la seconda opzione. Le gambe del divano rosso
scricchiolarono quando il peso di Molly gli si impose con poca
eleganza.
La
donna, il cappotto ancora addosso e la sciarpa a cingerle il collo,
guardò per qualche istante la stoffa cangiante del sofà a pochi
millimetri dal suo naso per poi respirare profondamente e chiudere le
palpebre. I suoi occhi la ringraziarono per quella tregua che
aspettavano ormai da ore. I muscoli delle sue gambe iniziarono a
rilassarsi dopo una giornata fatta di ore in piedi ad esaminare
reperti, corse in giro per l'ospedale a consegnare documentazione e
alcolici saltelli serali che avrebbero dovuto somigliare a passi di
danza.
Si
fece avvolgere da quel silenzio notturno ritrovandosi a dover fare i
conti con sé stessa. Era sola adesso. Cercava il più possibile di
non esserlo. Si svegliava presto ogni mattina per poi precipitarsi a
lavoro focalizzando tutta la sua attenzione su ciò che doveva fare;
la sua mente veniva delimitata da impalpabili muri così che non
potesse andare oltre il sentiero prestabilito, senza poter fare
connessioni e senza poter accedere ai ricordi. In pausa pranzo stava
con i colleghi, parlando del più e del meno, ma prestando loro la
massima attenzione; sicuramente più di quanto loro avessero voglia o
intenzione di suscitare in lei o di dedicarle. La sera, infine,
usciva. Con le amiche, con Tom, con gli stessi indifferenti colleghi
o con chiunque le venisse in mente così da poter tornare a casa,
distrutta, e aver tempo solo e soltanto per dormire. Certo, non
sempre era abbastanza, anzi la maggior parte delle volte la sua
mente, costretta e incarcerata in quella routine, si liberava, ed in
un certo senso si vendicava, di lei proprio la notte. I suoi sogni,
così, diventavano un insieme irrefrenabile di lui.
Aprì
gli occhi lentamente ritrovandoselo di fronte. Il cappotto, la
sciarpa, le gambe accavallate e le braccia posate sui braccioli della
sua poltrona. Il suo viso la studiava rimanendo inespressivo e
immobile.
Molly
richiuse le palpebre inspirando per il nervosismo. Quando le riaprì
lui era ancora lì.
Si
mise a sedere con estrema difficoltà e allargò la sciarpa cercando
di eliminare quella specie di sensazione di asfissia.
“Si
può sapere che cosa vuoi da me?”
Lui
rimase immobile salvo un sopracciglio che lentamente si andò ad
arcuare.
“Oh,
non osare guardarmi così?! Tu sei l'ultimo che può permettersi di
farmi una morale, va bene?”
La
mancanza di reazione del suo interlocutore la fece innervosire ancor
di più.
“Ti
odio!”
Lo
sguardo di lui e l'impercettibile movimento delle sue labbra la
convinsero ad abbassare lo guardo sconsolata. La rabbia che
improvvisamente l'aveva presa se ne andò altrettanto velocemente.
“...e
mi manchi. Non so più che cosa devo fare con me stessa.” *
Non
vide quell'ombra di dolcezza che passò rapida sul volto di lui, come
un riflesso improvviso, andandosene senza lasciar traccia.
“Se
solo fossi qui ad ignorarmi come sempre non starei così. Mi ero
abituata sai? In fin dei conti poteva anche andarmi bene. Mi bastava
il vederti ogni tanto, potevo andar avanti giorni, persino settimane.
Ma così...il fatto di non sapere dove sei, se sei
ancora oppure no...”
Rialzò
lo sguardo e si spostò in avanti sul divano per protrarsi un po'
verso di lui. La sua figura era incerta e sapeva che sarebbe potuta
cadere anche da lì ma voleva cercare di spiegargli.
“Ti
amo.” I muscoli della mandibola di lui si strinsero in uno spasmo e
le sue iridi si fecero più scure. Lei, un sorriso debole e triste,
alzò una mano per cercare di placare quella specie di paura che lo
aveva colto. “Ma non ti preoccupare, non ti ho chiesto niente. Me
la vedo io!*So benissimo che è un mio problema e che non ti
riguarda...” Lui inspirò e raddrizzò la schiena come a cercare di
trattenersi dal fare o dire qualcosa. “...però tu così non mi
aiuti, capisci? Devi scegliere. O sei qui, con John, in giro per la
città a vivere la tua vita oppure non ci sei. Ma non puoi fare così.
Non puoi andartene e lasciare che io mi immagini dove tu sia, o cosa
tu stia facendo, vedendo, provando e soprattutto se tu sia vivo o no.
Devi, cioè devo
smetterla!”
Continuò
a guardarlo per qualche istante prima di alzarsi con fare incerto e,
dopo aver trovato un'illusoria stabilità, incamminarsi verso camera
sua.
Lo
sentì alzarsi, incrociare le mani dietro la schiena e seguirla a
debita distanza. Non la aiutò quando per un attimo perse
l'equilibrio appoggiandosi al muro.
Si
sedette sul letto per poi alzare con indicibile fatica prima una e
poi l'altra gamba per togliere le scarpe. Lui rimase in piedi, vicino
alla finestra, continuando ad osservarla litigare con i lacci.
Quando
lei se ne accorse gli lanciò uno sguardo indecifrabile.
“Pensi
che sono un alcolizzata?”
Un
sorriso bonario si aprì sul volto di lui.
“No.”
“Che
mi piaccia bere?”
“Ogni
tanto.”
“Ma
sai che è colpa tua,vero?”
Un
velo simile alla tristezza si posò sugli occhi di lui. Fece qualche
passo per alzare un lembo del piumone così da permetterle di
mettersi sotto di esso e poi lasciare che lei lo prendesse e vi ci si
accoccolasse dentro.
Molly
si lasciò sfuggire un sospiro pesante e chiuse gli occhi.
Dopo
qualche istante di silenzio un sorriso le si aprì sulle labbra.
“Potrei
raccontarti del giorno in cui ti innamorerai di me.” *
Le
palpebre chiuse non le permisero di vedere il sorriso affettuoso di
lui ma percepì la sua mano spostarle quei capelli ribelli, che le
solleticavano il naso, dietro l'orecchio.
“Un'altra
volta.”
La
voce di lui era stata tenue e quasi lontana per lei, intenta a
lasciarsi prendere dal sonno.
“Domani?”
la speranza presente in quel sussurro quasi impercettibile era la
chiara dimostrazione del suo non volerlo lasciar andare, dopotutto.
“Domani.”
Il
suono fastidioso e inopportuno della sveglia le provocò una
sensazione di fastidio indescrivibile. Fece una smorfia di dolore
prima di aprire con fatica gli occhi ed osservare la luce del primo
sole mattutino filtrare dalla sua finestra.
Si
concesse qualche minuto prima di alzarsi per poi istintivamente
portarsi una mano alla fronte. La sua mente era confusa e dolorante.
Analizzò con occhi vacui la sua stanza vuota prima di notare il
bicchiere colmo d'acqua sul comodino con affianco un'aspirina.
Inclinò
la testa da un lato continuando ad osservarlo e sorrise.
Non
si ricordava di essere stata così premurosa con sé stessa ma si
ringraziò ugualmente.
“E
io che c'entro?”
“Se
mi sentissi male rovinerei tutta l'atmosfera.”
“Sei
laureato in chimica, non puoi fare da solo?”
“Mi
manca l'esperienza sul campo.”
“Tu
pensi che a me piaccia bere?”
“Ogni
tanto.”
“Che
sia un'alcolizzata?”
“No...no!”
“Com'è
possibile che lui....e se...”
Note
autore:
*Sono
le tre poesie brevi di Gio Evan che mi hanno ispirato e che ho voluto
inserire, anche se talvolta un po' riadattate, per rendere al meglio
i pensieri di Molly. Spero che a vostro avviso siano più o meno
pertinenti con una Molly Hooper ubriaca e per questo un po' illogica
e sconclusionata.
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