A/N: Questo era
un prompt che ho trovato su una pagina americana, e non poteva trovarmi
più d'accordo, perchè non puoi mandarmi Matt in panico e mollarlo lì da
solo come un cane... *istitnti omicidi verso la produzione*
Anyway...
questa è la mia versione dei fatti.
Buona lettura!
I can still
hear you.
Matt era in ritardo. Di nuovo.
Anzi, no. Non era in ritardo. Non più. A dire il vero, era ormai da
considerarsi un miracolo se ogni tanto si fosse degnato di arrivare
puntuale, ma no, perchè mai farlo? Il suo migliore amico era un
dannatissimo vigilante con delle ridicole corna che non più tardi di
ieri mattina aveva dovuto recuperare da un tetto perchè qualcuno gli
aveva sparato a bruciapelo sul casco, mancando per chissà quale fortuna
il suo cervello.
Era stato un avvertimento?
Foggy non lo sapeva, e avrebbe davvero voluto essere una di quelle
persone capaci di fregarsene e andare avanti con la propria vita,
perchè, davvero, era stanco di tutto. Più che stanco. Ne aveva le palle
completamente, e irrimediabilmente piene, cosa che non avrebbe avuto se
avesse mandato al diavolo Matt quel giorno, dopo averlo trovato mezzo
morto, o se, ancora meglio, quella sera si fosse ubriacato fino a
svenire invece di andare a bussare alla porta del suo appartamento, con
tutto ciò che ne era conseguito.
Foggy rimpiangeva la sua ignoranza soprattutto perchè, quando non lo
sapeva, Matt era più cauto. Certo, arrivava a volte con qualche livido,
o zoppicando, ma evitava di farsi malmenare a tal punto da non riuscire
a venire al lavoro, e questo perchè detestava mentirgli, e Foggy lo
sapeva bene, nonostante tutto. Sapeva bene che Matt rimpiangeva ogni
singola bugia o mezza verità che gli aveva detto dal giorno in cui si
erano conosciuti.
Certo, l’ignoranza aveva anche avuto un risvolto positivo: quando Foggy
non sapeva della doppia vita di Matt, non doveva mentire a Karen ogni
fottuta mattina, nè cercare di aggirare le sue domande sul perchè ogni
due per tre aveva un occhio nero, o riuscisse a malapena ad appoggiare
un piede a terra.
“Dov’è Matt?” Appunto.
“Doveva… ehm…” le parole gli morirono in gola. Porca puttana! Perchè
Matt non poteva raccontare da solo le proprie bugie?
Poi, all’improvviso, tra l’irritazione e la preoccupazione, qualcosa
fece breccia. Gli avevano sparato alla testa, a bruciapelo. Il
proiettile, grazie al casco, lo aveva a malapena graffiato, ma
l’impatto doveva essere stato comunque ingente, e se gli avesse
provocato una commozione celebrale o Dio solo sapeva che altro?
Un rivolo di sudore freddo gli scese lungo la schiene, mentre paura e
preoccupazione gli attanagliavano il cuore.
“Non mi ha ancora chiamato” rispose, cercando disperatamente di suonare
normale “Vado al suo appartamento e vedo se sta bene” decise
nell’istante in cui aprì bocca, perchè non aveva importanza quanto
fosse incazzato, doveva assicurarsi che Matt stesse bene.
“Vuoi che venga con te?”
Certo, perchè sarebbe stato facile spiegarle l’intera situazione.
“No, Karen, grazie” corse ai ripari “Ti chiamo se mi serve aiuto, ok?”
Per un attimo gli sembrò ferita, i tre avevano ormai sviluppato uno
stretto legame, e Foggy non aveva alcun dubbio che tra i due stesse
nascendo qualcosa di più. Capiva che al momento si sentisse esclusa,
ma, davvero, finchè Matt non si fosse deciso a dirle tutto, lui aveva
le mani legate.
Uscì dall’ufficio di corsa e fermò il primo taxi che passava di lì,
quasi facendosi investire, e gli offrì 50 dollari extra se avesse
ignorato ogni limite di velocità. Pochi minutì dopo si ritrovò ad
aprire la porta di casa del suo migliore amico con la chiave di scorta
che lo aveva obbligato a dargli.
“Matt?” chiamò entrando e guardandosi intorno. Le sue scarpe e il
bastone, così come gli occhiali da sole, erano appoggiati vicino alla
porta, dove Matt li lasciava ogni sera prima di andare a dormire… o
fuori in costume. Giusto per scrupolo, controllò dietro una pila di
libri se ci fosse il cellulare usa e getta che Matt portava con sè in
caso di bisogno quando usciva la notte. Era in carica, ben nascosto.
Foggy lo aveva trovato solo perchè sapeva esattamente dove guardare. Se
il telefono era lì, Matt era in casa. E allora perchè diamine non gli
aveva ancora risposto?
“Matt?!” chiamò ancora, a voce più alta questa volta, cercando di
ignorare la morsa di terrore che gli stringeva il cuore. Fece un passò
ed entrò nel salotto… e finalmente lo vide. Era seduto contro una
parete, con le ginocchia strette contro il petto e il volto nascosto
contro di essere, e Foggy si chiese come fosse possibile che un uomo
della sua statura potesse farsi cos’ piccolo, ma quello che lo
sconvolse furono i singhiozzi che lo scuotevano. “Matt!”
Questa volta praticamente gridò il nome del suo amico, a pochi
centimetri da lui, ma senza ricevere risposta. Non era possibile che
non l’avesse sentito. Cavolo, probabilmente l’aveva perfino sentito
ringraziare il tassista e pagargli la corsa!
C’era qualcosa che non andava. Per forza.
“Matt?” tentò di nuovo, facendo un passo avanti e riducendo
ulteriormente la distanza tra di loro.
E finalmente ottenne una reazione, anche se non era quella che si
aspettava.
L’intero corpo si tese e la sua testa scattò in alto. Gli occhi di Matt
erano pieni di puro terrore.
“Matt?” cercò di rassicurarlo “Ehi, sono io. Sono Foggy. Che succede,
amico?”
***
C’era qualcuno in casa sua.
Alla fine era successo: qualcuno aveva scoperto la sua vera identità e
aveva fatto irruzione in casa sua, e ora si avvicinava sempre di più.
Matt non riusciva a sentirne il battito cardiaco, e nemmeno i passi, ma
la sua pelle recepiva il movimento dell’aria e i micro-terremoti
procurat
I dai suoi passi.
Probabilmente l’intruso aveva anche un odore caratteristico, ma l’odore
del caffè che si era fatto quella mattina, riempiva completamente
l’aria, nascondendo ogni altro odore.
E, ovviamente, il suo udito era completamente fuori servizio, il che,
automaticamente, toglieva dalle sue abilità anche il senso radar.
I suoi occhi non funzionavano ormai da anni, e ora era anche sordo,
forse momentaneamente, o forse per sempre, non lo sapeva e non osava
pensarci per non cadere completamente nel panico.
Era completamente cieco.
E c’era qualcuno in casa sua.
Forse era quel tizio che gli aveva sparato, quello che girava per
Hell’s Kitchen e uccideva criminali in una propria idea di giustizia,
ma che aveva di proposito risparmiato lui, limitandosi a un
avvertimento.
Magari aveva semplicemente cambiato idea, e aveva deciso di venire a
finire il lavoro per essere certo che Daredevil non gli rovinasse di
nuovo i piani.
La cosa che lo terrorizzava a morte era però che se aveva trovato lui,
allora anche Foggy e Karen erano in pericolo, senza contare che
collegare con il suo socio anche Brett era un attimo.
Quasi tutti quelli a cui teneva erano in pericolo, e non poteva fare
niente per evitarlo.
Sollevò la testa, sperando disperatamente che qualcosa sarebbe
cambiato, che sarebbe stato in grado di sentire qualcosa, ma era tutto
un grosso, terrificante, buco nero e silenzioso.
L’aria si stava ancora muovendo. L’uomo (era sicuramente un uomo, i
passi delle donne erano, generalmente, più leggeri) si stava
avvicinando.
Non poteva restare immobile. Doveva agire.
Cercò di rimettersi in piedi e raggiungere la porta, per poter correre
giù dalle scale e poi in strada. Tra la folla, forse, sarebbe stato al
sicuro. I pantaloni della tuta gli si infilarono sotto il tallone e
scivolò di nuovo a terra. Non riuscì ad aggrapparsi a niente e cadde
malamente, la testa che gli girava vertiginosamente. Non poteva fare
nulla.
Il panico iniziò a crescergli in petto.
Respira. Medita.
Ricordava bene le parole di Stick sui metodi per calmarsi, ma non
riusciva a metterli in pratica in quel momento. Riusciva solo a pensare
a Foggy, che avrebbe pagato per la sua imprudenza, e a Karen, che
sarebbe stata ugualmente in pericolo. E poi, ovviamente, c’era Claire.
Respira.
Provò a iniziare un respiro profondo, ma gli si bloccò in gola, e il
senso di soffocamento lo oppresse. Non riusciva a respirare.
Qualcuno era a pochi centimetri da lui, in casa sua, e non poteva
difendersi. Gli serviva aiuto.
Iniziò a gridare, più forte che poteva; anche se non poteva sentirsi,
sapeva che la vote gli stava uscendo dalla gola, sentiva le corde
vocali vibrargli in gola e l’aria uscirgli dalla bocca. In un giorno
normale, un urlo del genere l’avrebbe ridotto in ginocchio, con le mani
sulle orecchie, ma oggi, non c’era niente, nemmeno il suono della
propria voce.
***
“AIUTO! AIUTO!”
Matt aveva iniziato a urlare come mai Foggy l’aveva sentito prima
d’ora. Onestamente, non aveva mai pensato che la voce del suo amico
potesse raggiungere un tale livello. Era una visione che lo stava
uccidendo. Era un urlo quasi isterico, unito a un pianto disperato, il
petto gli si gonfiava così tanto che sembrava gli dovesse esplodere
prima di ogni grido.
Che cavolo stava succedendo?
Foggy cercò di non andare in panico. Il panico non è la soluzione se il
tuo migliore amico è in preda a un attacco di panico.
Fece un respiro profondo e ece un altro passo verso di lui, cauto e
lento. Non era nelle sue intenzioni venire attaccato e ucciso dal suo
migliore amico cieco. Sarebbe stato imbarazzante. E difficile da
spiegare.
Certo, perchè i morti passavano il loro tempo a spiegare alla polizia
come erano state uccise.
“Matt” Foggy cercò di nuovo di parlargli “Ti prego… dimmi che succede…
Matt!”
Nessuna risposta.
E, se fosse stato possibile, Matt sembrò più spaventato di prima, e
questo lo spinse ad agire.
Decise che non gli importava che Matt reagisse e lo riducesse a un
colabrodo, non poteva restare lì impalato e vedere il suo migliore
amico accovacciato sul pavimento in quel modo, anche se la causa di
tutto ciò era la sua attività notturna di cui Foggy non era proprio il
più grande fan.
Era comunque Matt.
Era ancora quel ragazzo gentile che lo aveva aiutato al college, quando
nessun altro credeva in lui, che aveva letteralmente e metaforicamente
distrutto la sua madre naturale, Rosalind “Rasoio” Sharp, uno degli
avvocati più temuti di New York, l’unica volta che gli aveva fatto
visita, quando aveva commentato che adesso avrebbe potuto essere un
salumiere con una laurea in giudisprudenza invece che un semplice
salumiere.
Anche se il solo pensare a Daredevil e a tutte le bugie che gli aveva
raccontato lo mandava ancora in bestia, non poteva abbandonarlo.
Rompendo ogni indugio, azzerò la distanza tra di loro e gli prese i
polsi, stringendo la presa quando Matt cominciò a divincolarsi,
l’addestramento e la tecnica azzerati da quanto stava tremando.
“Matt. Sono io. Sono io. Calmati. Sei al sicuro. Sono io”
***
L’uomo era passato all’attacco, e adesso lo stava tenendo intrappolato
in quell’angolo usando solo le proprie mani. Non era nemmeno una vera e
propria presa, non una di quelle efficaci di una persona con un certo
addestramento. Gli stava solo bloccando i polsi.
Se solo fosse riuscito a uscire dalla morsa del panico, avrebbe potuto
liberarsi anche fin troppo facilmente. Aprire di scatto le mani per
indebolire la presa e poi un colpo di piatto sul collo. Tecnica di
difesa standard. Perfino un ragazzino ci sarebbe riuscito… ma non
riusciva a muovere un muscolo.
E anche se ci fosse riuscito, poi cos’altro avrebbe potuto fare?
Non era nemmeno riuscito ad alzarsi, e muoversi e orientarsi sarebbe
stato difficile prefino in casa sua, fare parkour tra i tetti era fuori
discussione, e combattere seriamente pure. Tuttavia, non poteva
arrendersi. Più tempo riusciva a guadagnare, meglio era. Continuò a
dimenarsi.
Poi qualcosa attirò la sua attenzione.
L’uomo lo stava praticamente circondando, e il profumo di shampoo e
dopobarba che riusciva a sentire, insieme all’odore di caffè che gli
usciva a ogni respiro, avevano qualcosa di famigliare, anche se tra il
panico e la sordità, era difficile dargli un nome.
Percepiva anche che l’uomo gli stava parlando, perchè l’aria umida e al
profumo di caffè era variabile e a tratti si fermava del tutto, ma non
riusciva a decifrare le parole. Non aveva mai imparato a leggere le
labbra. Quasi gli venne da ridere. Un cieco che leggeva le labbra.
Sarebbe stato un gran numero in un circo.
La presa sulle sue mani cambiò, l’uomo prese il pollice e lo mosse, ma
non per romperlo, come si aspettava. Lo appoggiò su un polso, il suo. E
finalmente riuscì ad avere un informazione utile. Poteva finalmente
sentire il battito cardiaco dell’intruso. La sensazione era diversa dal
sentirlo, perchè quello che veramente gli permetteva di riconoscere le
persone era non tanto la frequenza a riposo, quando la risonanza dei
battiti sulla pelle, più o meno come il modo in cui le corde pizzicate
risuonavano nella cassa di una chitarra. Ogni persona aveva un “suono”
caratteristico. Tuttavia, il battito cardiaco era comunque meglio di
niente, e Matt si concentrò su quello.
Era come attutito, come se lo stesse ascoltando con indosso un paio di
cuffie e l’uomo fosse all’altro capo della stanza, ma, concentrandosi
solo su quello, era più che sufficiente.
Esalò un singhiozzo disperato e grato, e allo stesso tempo smise
completamente di lottare, appoggiandosi contro Foggy in cerca di
sostegno mentre il suo corpo si arrendeva, trascinandolo nel vortice di
un pianto tremante.
“Fo… Foggy… io…” iniziò a spiegare, ma poi si bloccò, perchè sapeva che
Foggy non l’avrebbe presa bene, e forse sarebbe stata la volta buona e
l’avrebbe abbandonato per sempre. Non poteva dirglielo. Non sarebbe
sopravvissuto a tutto questo senza Foggy, ma allo stesso tempo Foggy
doveva sapere la verità. Mai più bugie a Foggy. “Io…” ricominciò tra i
singhiozzi “Non… ci… sento”
***
Come cavolo era possibile? Nell’istante in cui era riuscito a
riconoscerlo tramite il battito cardiaco, o chissà che altro, Matt era
passato dal lottare per liberarsi di lui all’appoggiarsi a lui in meno
di un secondo, piangendo e tremando come mai l’aveva visto prima.
“Non… ci… sento”
Un attimo. Cosa? No!
E allora Foggy lo abbracciò stretto, strofinandogli una mano sulla
schiena per ribadire che era lì, accanto a lui, mentre la sua mente
elaborava quello che aveva appena saputo. Matt non poteva essere
diventato sordo, no. La vita non poteva fargli anche questo! Gli aveva
tolto la vista, la famiglia, non poteva togliergli l’unica cosa che gli
permetteva di comunicare col mondo!
Non andare in panico.
Doveva rimanere calmo, adesso che Matt era così spaventato. No,
spaventato non si avvicinava nemmeno a descrivere il suo stato mentale.
Era fuori di sè della paura, e questa volta toccava a Foggy aiutarlo a
calmarsi e a entrare in uno stato di meditazione o qualunque altra cosa
gli servisse per star meglio, incluso il chiamare un’ambulanza se la
situazione non fosse tornata alla normalità in… qual era un tempo
ragionevole in qeusti casi? Sei, dodici ore? Una giornata intera?
Non ne aveva la più pallida idea, era un avvocato, non un medico! Ad
ogni modo, al momento non aveva il tempo di pensare alle tempistiche.
Non potendo usare le parole, doveva trovare un altro modo per
comunicare con lui.
Pensa, Foggy, pensa.
Sarebbe stato più facile se il suo migliore amico, una delle persone
più toste che avesse mai conosciuto, quello che si era guadagnato il
soprannome di Diavolo di Hell’s Kitchen, non fosse al momento una palla
di carne singhiozzante sulla sua spalla. Cercando di escluderne il
pianto dalla sua mente, fece scorrere lo sguardo lungo tutta la casa,
cercando qualunque cosa potesse aiutarlo.
Si fermò su un oggetto piccolo e nero. Certo! La stampante braille
portatile di Matt!
Cercò di alzarsi e andarla a prendere, ma la presa dell’altro su di lui
si strinse compulsivamente sulla sua camicia.
“Foggy…” Matt lo stava praticamente implorando, con gli occhi
spalancati e spaventati da cucciolo, e questo mandò in frantumi tutta
la sua risolutezza. Non poteva lasciarlo, ma nemmeno trascinarlo per
tutta la casa. “Non me ne sto andando, Matt, te lo giuro. Ma devo
prendere la tua stampante così potremo com… ma che parlo a fare? Non mi
senti!”
Si lasciò cadere di nuovo sulle ginocchia e mise entrambe le mani sulle
spalle dell’amico. Matt si lanciò contro il suo petto, l’orecchio
destro premuto contro il lato sinistro del suo petto, in corrispondenza
del cuore.
Finora, egoisticamente, aveva sempre reputato la capacità di Matt di
ascoltare i battiti cardiaci irritante e invasiva, ma ora si rendeva
conto di quanto Matt avesse fisicamente bisogno della sua capacità
esattamente quanto Foggy necessitava degli occhi per risconoscere
qualcuno. Doveva ammettere di non averci mai pensato in questi termini,
ma effettivamente Matt non aveva altro modo di relazionarsi col mondo.
***
Foggy non se ne era andato. Foggy era ancora qui, anche se poteva a
malapena percepirlo. Premette l’orecchio contro il suo petto, in una
disperata ricerca di qualcosa che non fosse solo oscurità e silenzio.
La sua pelle riusciva a registrare le vibrazioni trasmesse dal battito
del cuore, ma non era accompagnato dal suo solito tono caratteristico,
che l’aveva calmato e cullato in più notti insonni di quanto gli
piacesse ammettere. Poi si ricordò che a Foggy non piaceva quando
ascoltava il suo cuore, e a malincuore si spinse via da lui. Non voleva
metterlo a disagio a tal punto da convincerlo ad andarsene come stava
facendo un minuto prima.
Non voleva rimanere solo in quel momento.
La reazione di Foggy lo sorprese, e lo commosse profondamente: lo
afferrò fermamente per la nuca e lo tirò di nuovo contro il suo petto,
e il significato di quel gesto era tale da fargli perdere di nuovo il
controllo di sè stesso. Ricominciò a piangere in ampi singhiozzi, tanto
forti da mandarlo in iperventilazione.
Respira. Smetti di farti prendere dal panico. Aiutati.
La voce di Stick nella sua testa aveva ragione. Foggy non poteva fare
nulla per lui se prima non fosse riuscito a calmarsi, se non gli dava
modo di provare a comunicare con lui. Sentiva l’aria muoversi, gli
stava parlando, ma quelle che sapeva essere onde sonore senza una voce
non avevano significato.
Matt fece un respiro profondo, cautamente, senza fretta, e questa volta
riuscì a non soffocare. L’aria riuscì finalmente a gonfiare i polmoni a
dovere. Lo esalò, sempre molto lentamente e ricominciò la procedura,
lentamente, contando i respiri e usando il respiro dell’amico per
rimanere ancorato alla realtà. Non era solo. C’era Foggy con lui.
Respirare adesso era più facile.
Un dito di Foggy iniziò a muoversi lungo il suo braccio, ora che era
più calmo. Non era un movimento casuale. Sembravano… Lettere?
Interessati, Matt si concentrò sui movimenti.
B-R-A-I-L-L… Ma certo! Geniale! Matt per un istante pensò che avrebbe
anche potuto baciarlo in quel momento per essersi ricordato
dell’oggetto. Ma dove l’aveva lasciata? In ufficio? Dio, ti prego, fa
che non sia in ufficio… No. Non era in ufficio. Era in casa, da qualche
parte. Magari dove aveva appoggiato il portatile? Si, ora ricordava di
averla appoggiata lì.
“Sì. Sì… Fo… Foggy” implorò, la voce ancora rotta di pianto “Per fa…
favore…”
Foggy stava di nuovo scrivendo sulla sua mano. Matt prestò attenzione.
DEVO ALLONTANARMI,
No. No. No.
Il panico strinse di nuovo le tenaglie sui suoi polmoni.
CALAMTI. RESPIRA.
“Fog…”
La mano di Foggy era di nuovo sulla sua schiena, ed era assolutamente
strabiliante come quel contatto caldo fosse sufficiente a riportarlo
sulla terra. L’altra si spostò sui suoi capelli, rassicurante e
calmante. E Matt ritornò a respirare. Foggy voleva che respirasse.
Finchè gli obbediva, non si sarebbe arrabbiato, e se non lo faceva
arrabbiare, allora non se ne sarebbe andato. Gli stava di nuovo
parlando, e Matt provò davvero a dare a quelle ondate d’aria un
significato, ma nulla. “Foggy… non… ti sento. Scusa… scusa… mi…
dispiace tanto”
La mano nei suoi capelli si spostò di nuovo sulla sua mano e ricominciò
a scrivere. Il messaggio sembrava molto lungo, e fu estenuante
decifrarlo lettera dopo lettera. Se solo Foggy avesse imparato il
codice morse...
PRENDO LA TUA STAMPANTE. TORNO SUBITO.
Ci fu una pausa che sembrò lunghissima. Foggy non stava scrivendo, ma
non si era nemmeno allontanato. Matt non mosse un muscolo, la sua mano
sempre stretta attorno alla camicia dell’amico. Non voleva che si
allontanasse da lui. Senza Foggy era completamente solo al mondo, e
senza l’udito, senza il mondo in fiamme, era totalmente isolato.
NON ME NE VADO. Scrisse Foggy dopo un po’. PROMESSO.
E Matt annuì, sentendo uno strano calore salirgli alle guance. Si stava
comportando da completo idiota, e lo sapeva.
DIVANO?
Che? Ah, già, Erano ancora sul pavimento.
“Mi aiuti?” Chiese, perchè l’attacco di panico l’aveva lasciato
sfinito, le gambe e le braccia gli dolevano dal tanto tremare, e non
pensava di avere le forze per alzarsi, senza dimenticare la faccenda
cecità, ovviamente.
CERTO.
Foggy cambiò posizione, e Matt lo sentì alzarsi in piedi riuscendo, non
sapeva esattamente come, a non staccarsi mai da lui. Gli prese le mani
e lo fece alzare quasi di peso. Come previsto, le ginocchia gli
cedetterò nell’istante esatto in cui gli appoggiò sopra il peso, ma per
fortuna Foggy riuscì a prenderlo al volo e un po’ lo trascinò e un po’
lo accompagnò fino al divano, dove lo fece stendere. Matt chiuse gli
occhi; si sentiva sfinito.
PRENDO LA STAMPANTE.
Il contatto svanì e Matt ripiombò in quel buco nero. La paura tornò ad
assalirlo e ricominciò a tremare.
“Foggy!” gridò disperato.
***
La disperazione e il terrore nella voce di Matt erano tali da
spezzargli il cuore, ma Foggy si costrinse a ignorarlo. Sarebbero stati
solo pochi secondi e avevano assolutamente bisogno
Foggy’ di quella stampante. Corse subito a prenderla e tornò al suo
fianco il più in fretta possibile.
Matt era di nuovo sull’orlo delle lacrime, e aveva ricominciato a
tremare. Gli prese subito la mano.
“Sono qui, Matty. Sono qui”
Matt si rilassò e aprì gli occhi, voltandosi verso di lui. Foggy
scrisse velocemente sulla stampante, posando poi la stringa di carta
sotto le sue dita, che si mossero subito a leggere il messaggio.
Finalmente, un sorriso genuino comparì sulle labbra del suo amico, e in
quel momento Foggy decise che forse sarebbe sopravvissuto a questa
crisi senza avere un infarto.
“Ciao, Foggy…”
CHE E’ SUCCESSO? SEI FERITO?
“No… è stato il rumore, credo. Lo sparo. Mi ha… incasinato i sensi.
Riesci a sentirmi bene? Sto urlando? Sussurrando?”
VA TUTTO BENE. STAI ANDANDO BENISSIMO. SONO QUI. STA CALMO. RESPIRA.
Ora che riuscivano a comunicare in maniera efficiente, Matt stava
riacquistando il controllo. Tenenva stretta la sua mano, e ansimava, ma
sembrava un po’ più lucido, e il pianto sembrava ormai dimenticato.
Foggy tirò fuori un fazzoletto dalla tasca e lo utilizzò per
asciugargli la fronte imperlata di sudore e le lacrime. Matt sussultò,
come sorpreso, ma non accennò nemmeno a difendersi.
Foggy prese di nuovo la stampante.
ACQUA?
Era una domanda retrorica. Matt continuava a cercare di umettarsi le
labbra come faceva sempre quando aveva sete, ma scosse ugualmente la
testa.
“Non lasciarmi, ti prego” lo implorò.
NON VADO DA NESSUNA PARTE, AMICO.
Matt a quel punto mosse la mano libera di scatto, e come se fosse
disperato per un contatto annaspò alla cieca fino a quando non riuscì
ad afferrare un lembo della sua giacca e a tirarlo verso di sè con una
tale forza da farlo urlare per la sorpresa. Lo slancio gli fece anhe
perdere l’equilibrio, e riuscì a malapena ad allungare le braccia
dietro le spalle dell’amico e a frenare la caduta prima di cadergli
sopra a peso morto.
“Cosa è successo? Foggy?”
“Riesci a sentirmi?”
Nessuna risposta. Ok, l’udito ancora non gli era tornato, ma
probabilmente l’improvviso peso su di sè l’aveva allarmato.
CAVOLO, SEI FORTE. Scrisse sulla stampante.
“Scusa. Oh, mio Dio. Ti ho fatto male? Sei ferito?”
SOLO NELL’ORGOGLIO.
Matt si lasciò andare a una risata.
“Mi stai dicendo la verità?”
Giusto. Niente battito cardiaco, niente poligrafo integrato.
NO. Rispose. IN REALTA’ MI STO DISSANGUANDO E PROBABILMENTE MORIRO’, MA
NON VOGLIO PERDERE L’OCCASIONE DI MENTIRTI.
Se non altro, questo lo fece ridere di nuovo, e gli sciolse un po’ di
tensione.
“Il mio naso lavora ancora bene. Non stai sanguinando. Sai di caffè”
SAI CHE HO PIU’ CAFFE’ CHE SANGUE IN CORPO. MI STO DISSANGUANDO.
“Grazie, Foggy”
Foggy si limitò a dargli un paio di pacche amichevoli sul braccio.
SARO’ SEMPRE QUI PER TE. SEMPRE.
ALla fine, dopo una quantità spropositata di tempo, almeno secondo
Foggy, Matt si decise ad allentare la presa su di lui e lasciarlo
alzare. Gli portò un po’ d’acqua e preparò dei sandwich per entrambi.
Aiutò l’amico a bere e a mangiare, poi, per distarlo dalla sua
condizione per un po’, lo convinse a leggergli qualcosa, proposito che
andò quasi al diavolo quando si accorse che in casa Murdock
praticamente non esistevano libri in braille che non riguardassero la
giudisprudenza; alla fine riuscì a trovare una copia de: “Il miglio
verde” di Stephen King, non esattamente il massimo dell’allegria, ma
sempre meglio dei loro libri dell’università.
Per il resto del pomeriggio Matt cercò di meditare e dormire un pochino
accoccolato sul divano, mentre Foggy lavorava accanto a lui, mantenendo
il contatto fisico in ogni momento.
Quella notte, il cieco rimase a dormire sul divano, con una mano
intrecciata a quella dell’amico, e Foggy si ritrovò costretto a trovare
una posizione confortevole per dormire a metà tra il seduto e lo
sdraiato sul tappeto. Sapeva che l’indomani l’avrebbe rimpianto, ma non
gli importava. Per nessun motivo l’avrebbe lasciato solo, nemmeno per
sdraiarsi nella stanza accanto su un letto.
***
Foggy iniziò a russare più forte, e lo svegliò. Il calore del sole
stava già iniziando a scaldare le finestre, e i raggi gli arrivavano
sul braccio e sul viso, scaldandoli.
Un attimo.
Foggy stava russando. E riusciva a sentirlo. E insieme a lui i suoi
vicini che si godevano del sano sesso mattutino prima di svegliare i
figli e portarli a scuola. Ed ecco anche i clacson delle auto, sei
piani più sotto sulla strada, con i rispettivi autisti che si
insultavano a vicenda nel traffico mattutino. E… eccolo, finalmente. Il
battito del cuore del suo migliore amico. Non era ancora un suono ben
definito come gli altri, segno che l’udito non si era ancora
ristabilito del tutto, ma era lì, e gli importava solo di quello al
momento.
Sentiva di nuovo.
Rise, e la risata si trasformò subito in un pianto di sollievo, mentre
il mondo in fiamme tornava al suo posto forma dopo forma.
Ci sentiva.
Il ritmo del respiro di Foggy cambiò mentre si svegliava, e sussultò
quando lo sentì piangere.
“Matt?” Cavolo, quanto gli era mancata la voce logorroica del suo
migliore amico.
“F...Foggy!”
“Mi senti?”
“Sì… sì, Foggy…” E all’improvviso Foggy era tutto intorno a lui,
e lo sovrastava, abbracciandolo così stretto da fargli mancare il
fiato, e Matt si ritrovò di nuovo con l’orecchio premuto contro il suo
petto, ad ascoltarne il battito cardiaco. Foggy era felice, ma allo
stesso tempo era anche terrorizzato, e Matt non riusciva a dargli torto.
Due giorni prima aveva dovuto recuperarlo sul tetto di un palazzo, ieri
l’aveva trovato sordo in salotto in preda a un attacco di panico.
Doveva aver reso realtà tre quarti degli incubi peggiori di Foggy in
meno di 48 ore…
“Scusami, Foggy… scusami tanto”
“Sta zitto, idiota. Sono sono felice che tu stia bene”
Sì… stava bene,
Sarebbero stati bene.
A/N: grazie per
aver letto fin qui! Fatemi sapere cosa ne pensate!
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