Avida
Si guardò intorno, in cerca di una qualche conferma
inesistente a giustificare la pazzia che stava facendo. Controllò per
l’ennesima volta in quel giorno di scuola l’orologio attaccato al muro della
sua classe, sopra la lavagna. 10.15. Fra cinque minuti sarebbe scattata la
tanto attesa ricreazione, la tanto attesa ora X. La professoressa aveva
già abbandonato le speranze di continuare la lezione da dieci minuti buoni, e
questo voleva dire che l’avrebbe dovuto fare ancor prima del dovuto. Fissò il
suo riflesso nel vetro della finestra: uno schifo. Aveva i capelli riccissimi, corti, biondi, e anche se quella
mattina si era alzata alle 5.00 precise e spaccate per lavarseli, ora le
sembravano odiosamente impicciati come se fosse da una settimana che non ci
badava. Forse di tutto il viso, passato in vivisezione ormai dall’inizio della
scuola, le sembrarono belli solo gli occhiali: la loro montatura era verde
chiaro abbastanza brillante ed era stata scelta appunto dalla madre, al
contrario di quelli scuri e cupi che invece voleva lei. Le ritornarono in mente le parole della sua
amica, in un ricordo sfocato del giorno prima:
-Gioia, guarda che non sei assolutamente obbligata a
dirglielo domani…-
Ma alla fine lei non aveva dato ascolto a nessun consiglio
di nessuna persona e aveva deciso di fare di testa sua. Tantomeno quello della sua migliore amica,
che non voleva assolutamente ritrovarsela davanti in uno stato abbandonato,
silenzioso e, in maniera riassuntiva, orrendo. Gioia… Poche volte
il suo nome aveva veramente rispecchiato il suo stato d’animo. Per lei ci
sarebbe stato bene Crocifissa, semmai. “Ma veramente al diavolo tutto e
tutti, porca miseria…” borbottò, mentre lo cercava con lo sguardo. Ma in fondo lei si sentiva di aver ragione,
nel più profondo dello spirito: quando glielo avrebbe detto, se non ora?
Avrebbe aspettato fino alla fine della scuola senza trovare un minimo di
coraggio per dichiararsi? Ma assolutamente no, era fuori discussione. Almeno si
sarebbe tolta quel peso dallo stomaco, una volta per tutte.
-Ma ti piace da due settimane appena!-
Di nuovo le parole di Eva le riaffiorarono nella mente,
fastidiose come una mosca. I suoi consigli erano quanto mai scartati già in
partenza, visto che lei per dichiararsi aveva aspettato 4 anni e poi alla fine
aveva mandato al diavolo l’amore, tradita e delusa. Ma fra le due c’era anche
da dire che andavano da un’esagerazione all’altra…
L’aveva notato. Eric era lì, dall’altra parte della classe,
seduto. Aveva la testa poggiata al muro, sembrava che neanche lui avesse dato
tanto peso all’inizio della pausa merenda. I capelli gli ricadevano lisci e
morbidi sul viso, nascondendone le espressioni. Ma tanto Gioia sapeva già che
sotto il sipario ombroso dei capelli c’era il sorrisino sghembo che tanto amava.
Quel sorrisino che le donava durante le
lezioni, quel suo sorrisino. Quel fluido movimento delle labbra che la
mandavano in brodo di giuggiole. Perché lui era, oltre che il solito schianto a
cui vanno dietro frotte di ragazze, anche l’unico ragazzo con cui lei avesse
mai trovato veramente intesa. Non
un ragazzo che appena vede che provi interesse per lui comincia a parlare di
calcio o di qualsiasi altro argomento di cui non ti interessa un fico secco, ma
uno che sa ascoltare e dare consigli. E lei se ne era perdutamente innamorata.
Punto. A chi importava di averlo solo come “amico”? O tutto o niente, prendere
o lasciare. Gioia sapeva fin troppo bene che davanti a un rifiuto si sarebbe
anche vergognata di guardarlo in faccia, ma valeva la pena tentare. Perché
l’uomo è avido, perché lei in quel momento era in una situazione di pure
follia. Era quel momento in cui ci si sente di scoprire tutte le verità, di
levarsi la maschera e guardare dritti in faccia al mondo, urlandogli le proprio
condizioni. E volgere lo sguardo verso il sole quel secondo che basta per
fargli capire che non solo lui può avere la sfacciataggine di splendere mentre
qui sotto noi ci facciamo il culo. Tirando le somme, di quei sorrisini non le
importava nulla, voleva tutta la torta, e non solo una fetta.
Raccolse tutto il coraggio che aveva in petto e gli andò
vicino.
-Eric?-
-Ehi, ciao.- Di nuovo quel sorriso. Sarebbe diventata la
sua condanna. Non ci volle nemmeno pensare, e andò dritta al sodo.
-Se ti stai chiedendo perché non sono da sola nel mio
angolo buio di classe a deprimermi, è perché devo parlarti. E’… importante.-
Sputò tutto come se fosse veleno. Vide il suo beato volto
angelico corrucciarsi per un secondo, per poi tornare di nuovo alla posizione
solitaria. Era curioso e al tempo stesso preoccupato.
-Dimmi-
-Ecco… tu… mi piaci.-
L’aveva preso in contropiede, di sicuro non se l’aspettava.
La ragazza godette per quel poco che poteva godere di quella perfezione, da cui
non avrebbe fatto ritorno.
-Lo sapevo, me n’ero accorto.- Ora era il tono era gelido, come una ventata tagliente in pieno
volto.
La fine era arrivata, e lei ora stava cadendo, colpita e
affondata, tradita e delusa. Come Eva.
Non si era tanto dilungato, l’aveva liquidata in fretta. Forse avrebbe dovuto
dare tempo al tempo, avrebbe fatto meglio se avesse aspettato l’andamento delle
cose, ragionando con calma e non buttarsi a capofitto in quello che si rivelò,
poi, un campo minato. Si ricompose in
fretta.
-Quindi?-
-Senti… non tanto… Mi dispiace.-
Le diede un leggero bacio sulla fronte, per poi
sussurrarle all’orecchio:
-Sempre amici?-
-Ok-
Sorrise e ritornò al suo posto, sentendo un peso
opprimente vicino al cuore che non riusciva a identificare. Non sapeva cosa
fosse, ma mai come in quel momento si sentì degna del suo nome.
* * *
All’uscita da scuola trovò la sua amica Eva ad aspettarla
vicino alle panchine del vialetto. Sembrava preoccupata.
-Che hai fatto?-
Le si leggeva l’ansia in volto.
-Mi sono dichiarata.- Non si stupì poi così tanto del suo
tono di voce calmo. E l’altra capì male.
-State insieme?- Ora era felice.
-No, non gli piaccio.-
-Come?-
-Forse gliel’ho detto troppo presto… Che ne so!-
-Forse sei stata frettolosa e… Come dire, avida averlo?-
Ora quel sentimento nel suo cuore prese finalmente forma.
Mai parole furono più adatte.
-E’ un senso un po’ distorto per dirmi che ho fatto una
cazzata?- le parole le uscirono sprezzanti.
-Non lo so, hai voluto troppo e troppo presto. Come ti
senti?-
-Serena.-
Forse davvero aveva fatto una cazzata, ma forse in cuor
suo era più felice così.
Ok, è un puro delirio, ora
potete anche prendermi a pomodorate. Volevo dedicare questo racconto a Trinity
303. Trin, forza che la vita è bella! Grazie in anticipo per le recensioni.
Baci,
Bibi^^