Deal With The Evil.
Secondo
Capitolo - When The Troubles Haunt You..
Un dolore lancinante alla testa costrinse Alec ad
aprire gli occhi.
Tirandosi su a fatica, pervaso da un insolita sensazione di nausea, il
ragazzo si guardò intorno cercando di capire dove si
trovasse, riconoscendo poi l'ambiente confortevole della sua stanza.
Non che non fosse felice di essere di nuovo a casa, ma come diavolo aveva fatto
ad arrivare fin lì?
L'ultima cosa che riusciva a ricordare era il sapore dell'alcool che
gli scivolava giù per la gola e le luci stroboscopiche di
quell'assurdo locale, in cui, i suoi fratelli lo avevo costretto a
passare la serata.
Per un attimo fu tentato di buttarsi nuovamente sul letto,
assecondando quel senso di malessere che si sentiva addosso e
lasciando così a un secondo momento quei pensieri.
Il sole che filtrava dalla finestra però, lo
riportò alla realtà, facendogli presente che il
giorno era già sorto da un pezzo e che per quanto
desiderasse solo restare lì rannicchiato al riparo dal
resto del mondo, doveva alzarsi immediatamente per non rischiare di
arrivare di nuovo
in ritardo.
Non se lo poteva permettere, non per ben due giorni di fila.
Appena cercò di alzarsi in piedi, fu assalito da una fitta
di dolore ad un fianco.
Confuso, si avviò lentamente di fronte allo specchio nella
sala da bagno, per capire quale fosse il problema.
Non ci mise poi molto: un grosso livido violaceo spiccava sulla sua
pelle candida, contribuendo a rendere il suo aspetto scarmigliato
ancora più pietoso.
Ma questo era nulla di fronte alla certezza che, quel segno, soltanto
la sera prima, non era lì.
Come aveva fatto a ridursi
così?
Sperò che Isabelle o Jace potessero in qualche modo
dissipare la nebbia che sembrava avvolgere i suoi pensieri, anche se
non era del tutto sicuro di voler realmente
sapere.
Tutto perché per l'ennesima
Volta si era lasciato convincere da quei due.
Se fosse rimasto al sicuro in casa, in compagnia del suo amato libro,
niente di tutto ciò sarebbe successo.
Difficilmente un libro può fare del male a qualcuno, a meno
che non si decida di tirarglielo in testa.
Per un attimo gli passò per la mente il desiderio di
prendere l'Ulisse di Joyce e utilizzarlo come clava contro di Jace,
per ringraziarlo di quella stupenda
serata. Ma per quanto la cosa avrebbe potuto farlo sentire meglio, non
gli sarebbe comunque stata di alcun aiuto.
Fece un respiro profondo, cercando di calmarsi.
A quel punto tanto valeva farsi una bella doccia, sperando che
l'acqua lavasse via il suo intorpidimento e l'aiutasse a schiarirsi la
mente.
Poi, sarebbe andato a cercare sua sorella.
Ce la poteva fare.
Doveva solo spingere la porta ed entrare in cucina, dove, a giudicare
dall'odore di caffè e dal chiacchiericcio allegro dei suoi
fratelli, i due ragazzi stavano facendo colazione.
Quanto mai poteva essere difficile
una cosa del genere?
Eppure, per motivi che neanche lui era in grado di spiegarsi, al
momento un così piccolo gesto gli appariva come una
montagna insormontabile.
Visto lo stato in cui si era risvegliato quella mattina, era
più che evidente che la sera precedente doveva in qualche
modo aver tirato fuori il peggio
di sé; e non osava immaginare cosa avrebbero potuto dirgli
quei due.
Ben consapevole del fatto che non avrebbe potuto evitarli in eterno,
alla fine entrò nella stanza, cercando di darsi un tono
allegro e sperando disperatamente che lo lasciassero in pace.
« Buongiorno ragazzi! Ma che bravi mi avete preparato la
colazione! » esclamò, maledicendosi subito dopo.
Come accidenti se ne era uscito? Allegro.
Certo, come no, perfino un idiota non ci avrebbe creduto.
E difatti la risposta di Isabelle non tardò ad arrivare:
« Wow fratellone, allora sei ancora tra noi! Sembri veramente
in forma per uno che fino a poche ore fa vegetava in stato comatoso!
Vero Jace? »
« Per l'angelo Iz, hai ragione! Sembra perfino in grado di
camminare senza ondeggiare come se si trovasse sul ponte di una nave! Sono sinceramente colpito. » rispose l'altro,
facendo diventare Alec, se possibile, ancora più rosso di
quanto già non fosse pochi istanti prima.
« Io cioè.. non ero in nessuno stato comatoso! Almeno credo. Non che io
me lo ricordi poi così bene.. » cercò
di difendersi, balbettando.
« Oh, sì
che lo eri! Mi hai perfino sbavato sulla maglia mentre ti
trasportavo di peso su per le scale. » gli rispose il biondo,
che si stava visibilmente sforzando di trattenere le risate.
« Non ci trovo niente da ridere! Vi dispiacerebbe smetterla
di prendermi in giro e dirmi una buona volta che cosa è
successo? » sbottò Alec, esasperato da quella
situazione.
« Mi dispiace caro Alexander, ma ho tutti i diritti di
infierire su di te! Non solo mi hai costretto a portarti in giro come
un sacco di patate, cosa di cui la mia povera schiena non è
per nulla felice, ma per colpa tua ho anche perso la ragazza dei miei
sogni! »
« Quella biondina insipida
la ragazza dei tuoi sogni? Scherzi vero? E poi che c'entro io? Che
avrei.. » gli rispose l'altro, sempre più
perplesso.
« Non mi riferivo a quella,
ma alla rossa da urlo che era insieme allo sfigato che hai cercato di
picchiare! » fu subito interrotto dal fratello.
« Okay te lo stai inventando, ora ne sono certo. Non ho mai
picchiato nessuno in vita mia! Non posso aver fatto una cosa simile!
» si rifiutò categoricamente.
« Oh, sì
che lo hai fatto. Anche se sei riuscito solo a fare fuori
un tavolo innocente! » detto questo, Jace iniziò a
saltellare in quella che Alec presumeva fosse una posizione di guardia,
ma che in realtà gli ricordava terribilmente lo zampettare
di una papera in agonia.
Isabelle scoppiò a ridere fragorosamente, imitando il tipico
gesto del "fatti avanti".
« Ora ti faccio vedere io! Vieni a.. conoscere il mio pugno..
codardo! » riuscì a malapena a dire, tra una
risata e l'altra.
« Avresti dovuto vedere la tua faccia quando sei crollato a
terra con le gambe all'aria! Non avevo mai visto niente di
più buffo! » oramai anche Jace era in preda ad un
riso incontrollabile tanto da avere le lacrime agli occhi.
« Ora basta maledizione! Hai dieci secondi per raccontare
ogni cosa, o per
l'Angelo giuro che ti metto le anatre nel letto!
» gridò il moro, al limite della sopportazione.
All'udire quella minaccia, l'altro ridiventò improvvisamente
serio, e dopo avergli scoccato un'occhiata truce, gli si rivolse con un
ironia che grondava da ogni singola parola: « Vuoi sapere
cosa è successo? Ti sei ubriacato in un modo che,
francamente, reputo scandaloso. E mentre tua sorella cercava
di portarti fuori da quel luogo che era riuscito a corrompere la tua
pura e casta anima, ti sei avventato contro un disgraziato che ha avuto
l'ardire di
guardare Isabelle. Inutile dire che eri talmente sbronzo che invece di
colpire quel tizio hai finito col distruggere metà del
locale. Siamo dovuti scappare prima che il proprietario mettesse fine
all'idillio con un evento spiacevole come il non so.. chiamare la
polizia. »
A quelle parole Alec arretrò barcollando, mentre una serie
di flash della serata lo investirono brutalmente.
Oddio, suo fratello aveva ragione: aveva davvero fatto quelle cose.
Lui, sempre
rispettoso delle regole e attento a tenere in riga gli altri.
Alexander Gideon Lightwood, sempre ligio al dovere, trasformato in un alcolizzato senza
cervello.
E se lo avessero veramente denunciato? A che sarebbero serviti tutti
quegli anni di studi e di fatica?
Probabilmente si sarebbe ritrovato a fare il gelataio in un remoto
angoletto di Central Park.
Giurò a se stesso che quella sarebbe stata la prima e ultima
volta.
Non avrebbe mai più perso il controllo di sé,
né delle sue azioni per nessun motivo.
Chi lo avrebbe mai detto che qualche bicchierino colorato fosse
sufficiente a fargli perdere la testa in quel modo?
Beh, almeno adesso sapeva perché si era risvegliato
stravolto e dolorante.
Anche se, ancora non riusciva a capacitarsene.
All'improvviso ebbe una fugace visione di una palla da
discoteca terribilmente vicina alla sua faccia.
« Ehm.. Non mi sono aggrappato a quelle cose piene di
brillantini, vero? » chiese a sua sorella, spaventato a morte
dalla risposta.
Jace produsse un suono che assomigliava ad una risatina strozzata, ed
iniziò ad osservare il piatto di fronte a lui con estremo
interesse, nell'ovvio tentativo di trattenersi.
« Ci hai provato, ma stai tranquillo! Sono riuscita ad
impedirtelo. Almeno una piccola parte della tua dignità
è ancora intatta. » gli rispose lei, scoccandogli
un’occhiata che Alec interpretò come un misto di
pietà e divertimento.
Era abbastanza convinto del fatto che quei due avrebbero continuato a
prendersi gioco di lui per i prossimi vent'anni.
Non che li potesse biasimare, perché vista da fuori
certamente la storia doveva essere esilarante, se non al limite del
ridicolo.
Per un secondo quasi valutò la possibilità di
indagare oltre, magari chiedendo che ne era stato del nerd che aveva
"aggredito"; o ancora meglio, come avevano fatto a sfuggire
al proprietario di quella sottospecie di bordello.
Quel barlume di razionalità ancora presente in lui,
però, lo invitò a desistere: non voleva affatto
ulteriori informazioni.
Decise dunque di affrontare quella situazione nell'unico in modo che
conosceva, ovvero calandosi nel ruolo del burbero guastafeste.
« Se voi due avete finito, magari potremmo muoverci. Non ho
intenzione di arrivare in ritardo per colpa vostra. »
esordì, ancora più acido del previsto.
I fratelli si scambiarono uno sguardo ricco di significati e, a quanto
pareva, decisero che l'ultima cosa di cui lui aveva bisogno in quel
momento erano ulteriori commenti da parte loro.
Alec gliene fu grato: stava cercando di rimuovere dalla mente quei
pensieri o sapeva che non ce l'avrebbe mai fatta.
« Siamo pronti a partire, giusto Iz? »
esclamò il biondo, con finto entusiasmo.
« Ma certo, andiamo! Sapete che odio arrivare tardi a
lezione. » rispose lei, avviandosi a grandi passi verso la
porta d'ingresso.
Era una bugia e lo sapevano tutti, tuttavia nessuno fiatò.
Alec prese un respiro profondo e li seguì.
Sarebbe stata una lunga, lunghissima
giornata.
Il suono penetrante della campanella rischiò quasi di fargli
aprire la testa in due.
Era sempre stata così fastidiosa? Anzi, a dir poco insopportabile?
La sensazione che aveva avuto quella mattina era più che
corretta: era in piedi solo da poche ore e sognava già il
momento in cui, finalmente, avrebbe potuto distendersi al riparo da
tutti quei rumori che al momento apparivano amplificati nelle sue
orecchie.
Troppo distratto da quelle riflessioni, non si rese nemmeno conto della
presenza del professore a pochi passi da lui.
« Lightwood, ti senti bene? » gli chiese, un'
espressione preoccupata delineata sul volto.
« Sì certo. Cioè, in realtà
non molto.. ma non si preoccupi, sto bene. » gli rispose
Alec, cercando di ignorare il fastidioso pulsare alle tempie.
« Non mi sembra affatto. Magari è meglio se vai in
infermeria a farti vedere. Non voglio veder gente svenire durante le
mie lezioni. » disse l'altro, in tono perentorio.
« E intendo che devi andarci immediatamente. »
aggiunse poi, vedendo che il ragazzo cercava di obbiettare.
Dato che non sembrava avere altra scelta, si alzò
lentamente, dirigendosi fuori dall'aula.
Ed infermeria sia,
pensò con un sospiro.
Mentre procedeva lungo il corridoio per poi ritrovarsi a salire la
rampa di scale che conduceva al terzo piano, fu felice di constatare
che, a parte qualche bidello di passaggio, in giro non c'era
praticamente nessuno.
Dopotutto era pur sempre un orario di lezione.
"E bravo Alec,"
si disse tra sé e sé "non solo ti ubriachi e fai a
botte, ma salti anche le lezioni. Quale sarà la prossima
mossa? Scippare le vecchiette? Prendere a calci i cuccioli?"
Considerando quello che aveva combinato nelle ultime ventiquattro ore,
quelle ipotesi non gli apparivano poi così assurde.
Se Jace non lo avesse letteralmente portato via mentre si trovava in
quello stato, magari avrebbe finito col fare uno spogliarello per poi
mettersi a ballare nudo sul bancone a forma di gatto.
Quello sì
che avrebbe dato spettacolo.
Reprimendo un brivido al pensiero, ormai arrivato a destinazione si
costrinse ad entrare nella stanza, interamente arredata di bianco.
« Ehm.. c'è nessuno? » chiese,
schiarendosi la voce.
Immediatamente si ritrovò di fronte una ragazza dal volto
noto: era quella con cui solo la sera prima si era scontrato al
Pandemonium.
« Tu!
Che ci fai qui? » le chiese Alec, sbigottito.
La ragazza inarcò le bionde sopracciglia curate, guardandolo
perplessa.
« Io e te ci conosciamo? Hai un aria familiare, anche se non
credo di ricordarmi di te.. »
« Ci siamo visti ieri sera in quel locale.. Tu mi hai..
rovesciato il drink addosso. » le rispose il ragazzo,
imbarazzato.
Il viso di lei si illuminò all'improvviso: « Oh
sì, certo! Scusami ancora! Comunque io sono Catarina,
l'infermiera della scuola. Tranquillo, non sono così sbadata
anche nel mio lavoro. - scherzò - E tu sei? » gli
chiese sorridendo.
« Alec Lightwood. Mi hanno mandato qui per prendere qualcosa
per il mio mal di testa. » disse il moro.
« Bene Lightwood, seguimi. »
Alec si svegliò di soprassalto quando sentì
sbattere forte la porta dell’infermeria.
Si stropicciò gli occhi, mettendo a fuoco la tendina bianca
che separava ogni letto, poi si alzò a sedere, tenendosi la
testa con una mano.
Gli faceva ancora un po’ male, anche se la pasticca che
l’infermiera gli aveva dato stava cominciando a fare i suoi
effetti.
« Ma che modi sono questi! » gridò
quest’ultima, richiudendo la porta.
« Dobbiamo parlare Catarina, è successo un guaio.
» parlò l’ultimo arrivato, con una voce
che Alec avrebbe definito vellutata.
Vellutata? La voce di un
uomo? Altro che drink, era sempre più convinto
di essersi letteralmente drogato,
in quel maledetto locale.
« Immagino si tratti di quello che è successo ieri
sera, vero? Sei riuscito a capire chi fossero quei tizi? »
gli domandò, mettendosi seduta sulla sua sedia e facendo
cenno all'altro di fare altrettanto.
Alec spiò dalla fessura della tenda e, vide un uomo di
spalle accomodarsi vicino a lei, per poi infilarsi una mano tra i capelli.. glitterati?
Sbatté gli occhi perplesso, cercando di realizzare se quello che
vedeva era frutto degli stupefacenti - sì, ormai ne era
convinto - che aveva preso, oppure se fosse la realtà dei
fatti.
Ebbene no, erano seriamente pieni di brillantini.
« Quei disgraziati, ovvio che no! Ho controllato tutte le
persone registrate e quei farabutti non c'erano! Dovevano avere per
forza un documento falso! » gridò
l’altro, in preda all’ira.
Catarina gli fece cenno di abbassare la voce.
Alec sentì la gola stringersi, mentre un dubbio, alquanto
fondato, faceva capolino nella sua mente.
E se stesse parlando di
loro?
« Beh, ma hai detto di averli visti in faccia, no?
» gli chiese allora, accavallando le gambe.
Ecco, ora sì che era letteralmente fottuto.
« E quindi? Che dovrei fare? Andare a suonare ad ogni
campanello di Brooklyn dicendo di star cercando dei buzzurri che
hanno letteralmente distrutto il mio
locale? Va bene che non ho nulla da fare durante il giorno, ma il mio
tempo è assai prezioso. » disse con ironia il glitterato,
muovendo le mani in gesti a dir poco ridicoli.
Catarina sbuffò, dandogli un colpetto sulla spalla:
« Ovvio che non intendevo questo. - cominciò,
trattenendo una risata - anche se l’idea di vederti suonare
campanelli come un venditore ambulante, mi alletta tantissimo.
» continuò, scoppiando letteralmente a ridere.
Cazzo.
Alec era ormai certo che quei ‘buzzurri’ non erano
altro che lui, Jace e Isabelle.
Questo sì, che era un grosso problema.
Sebbene la sua etica morale non gli permettesse di ignorare
l’accaduto, incitandolo quindi a prendersi le proprie
responsabilità, la parte spaventata del suo cervello -
perché ovviamente,
non era lui
ad essere spaventato, no.
-, gli impediva qualsiasi sottospecie di movimento.
« Molto divertente, davvero. » sentì
sbuffare l’uomo in risposta.
Ma ora il problema principale era: rivelarsi
o non rivelarsi?
Dubbi che avrebbero fatto senz’altro concorrenza con quelli
Shakespeariani dell’Amleto.
Ma chi era Shakespeare in quel momento, in confronto a lui?
Si portò una mano all’altezza del cuore,
sentendolo battere così forte che temeva che gli altri due
nella stanza potessero sentirlo.
« Allora, che intendi fare? » gli
domandò la donna, riprendendo un po’ del suo
contegno. Se gli alunni l’avessero vista in quello stato, la
sua reputazione professionale da infermiera, sarebbe crollata
immediatamente.
Alec voleva alzarsi, ma sentiva le gambe molli.
Codardo.
Una vocina fastidiosa si insinuò prepotentemente nella sua
mente, facendolo sentire ancora più vigliacco di quanto
già non si sentisse.
E dire che mai
si era sentito tale, perché mai si era
comportato in un modo così vergognoso.
Infatti il problema non era assumersi le proprie
responsabilità, quanto ammettere di essersi
lasciato andare senza un minimo di ritegno.
Perché era quello che lo infastidiva maggiormente:
l’essere stato un irresponsabile.
« Credo che andrò dal parrucchiere. »
disse il glitterato,
facendo accigliare la donna.
Se la situazione non lo avesse sconvolto così tanto, Alec
sarebbe scoppiato sicuramente a ridere, ne era certo.
« E questo come pensi possa esserci utile..? » gli
domandò lei, temendo la risposta.
L’uomo si alzò, guardandosi intorno con aria
schifata: « Ovviamente
sarà utile ai miei capelli, dato che ora hanno preso l'odore
del disinfettante. » disse serio, come se fosse la cosa
più ovvia del mondo.
Catarina si batté una mano sul viso, come a voler dire
‘cosa ho fatto per meritarmi tutto questo?’
Ed Alec non sapeva darle torto, avere un fidanzato così.. eccentrico, non
doveva essere il massimo.
Ma ora che ci pensava bene, se il Pandemonium era il suo aveva
finalmente capito il perché di quell’arredamento
così strano.
Lui stesso lo era.
Il rumore della campanella lo riportò brutalmente alla
realtà, facendolo trasalire.
Oh merda.
Alec sapeva rendersi invisibile a volte e gli riusciva anche piuttosto
bene, ma in quel momento le sue doti di mago avevano fatto
senz’altro cilecca.
« Oh cavolo, mi ero dimenticata di lui: Lightwood, devi
andare in classe ora. - gli disse, attraverso la tenda - sai, ieri sera
era al nostro locale e io gli ho gettato un drink addosso, per sbaglio.
» continuò rivolgendosi all’uomo che
la guardò scuotendo appena la testa in un gesto di
rassegnazione.
Il moro avrebbe tanto voluto morire in quel preciso momento: non solo
di lì a poco sarebbe stato scoperto, ma avrebbe fatto anche
una pessima figura per non essere intervenuto di propria
volontà.
« Mi domando da chi tu abbia preso questa sbadataggine. - le
disse, sorridendole - Beh, in ogni caso credo che sia
d’obbligo presentarmi. »
La tenda si aprì con uno scatto e ad Alec mancò
improvvisamente la terra sotto i piedi.
I due si studiarono per alcuni secondi e il moro non potè
far a meno di pensare a quanto fosse, sì,
strano, ma molto bello.
Gli occhi dal taglio felino erano di un verde acceso e, il mascara e
l’eyeliner che vi portava sopra li metteva ancora
più in risalto.
La labbra carnose, lucide e brillantinate, permettevano ad Alec di
distinguerne perfettamente il contorno.
La pelle, dal colorito bronzeo, era un chiaro segno distintivo delle
sue origini asiatiche.
L’uomo lo studiò a sua volta, ammirato, ma
durò tutto pochi secondi perché poi
sbarrò gli occhi, puntandogli il dito contro: « Tu! Ti ho trovato!
Sei quello che mi ha sfasciato metà locale! »
Catarina alternò lo sguardo dall’uno
all’altro, visibilmente perplessa.
« Lui? Ma ne sei sicuro? » chiese dunque, rivolta
al glitterato.
Quello annuì, riducendo gli occhi in due fessure alquanto
minacciose: « Sicurissimo. Anche se non ricordavo fosse
così.. » attraente,
avrebbe voluto dire, ma non gli sembrava il caso in un momento del
genere.
« Io ecco.. credo tu abbia ragione ma non ricordo
granché sinceramente, mi dispiace. »
disse, grattandosi la testa imbarazzato.
Sicuramente si sentiva molto più sollevato e in pace con la
sua coscienza.
Altrimenti era sicuro che quella notte non avrebbe dormito, in preda ai
rimorsi.
L’uomo lo guardò sorpreso, aspettandosi una
reazione del tutto diversa: infatti, credeva che non
l’avrebbe mai ammesso e che avrebbe negato fino alla morte.
Cose che accadevano praticamente ogni giorno.
Invece, il ragazzo era stato diretto e sincero e, l’aveva
lasciato piacevolmente sorpreso come non accadeva da anni.
Persone del genere potevano contarsi sulla punta delle dita.
« Il tuo nome? » gli chiese, sorprendendolo a sua
volta.
Lo guardò smarrito, ma poi rispose: « Alexander
Lightwood. »
Catarina guardò la scena incuriosita: tutto ciò
stava prendendo una piega piuttosto inaspettata e curiosa.
« Io sono Magnus Bane, conosciuto anche come il Sommo
Stregone di Brooklyn. » si pavoneggiò, facendo
accigliare la donna.
Questa poi.. Sommo
Stregone dei suoi stivali, semmai.
Alec annuì confuso, come se stesse cercando di capire il
perché di quella presentazione.. Inappropriata?
Bah, sì, si poteva anche definire tale.
« Dato che sei un alunno di mia sorella -
Cominciò, lasciando sbalordito l'altro che pensava fosse il
suo fidanzato - non ti chiederò soldi per i danni,
né sporgerò denuncia. » disse,
guardandolo serio.
Il moro lo osservò, un misto tra gratitudine e sorpresa, poi
però quello continuò: « Ma, c'è
un ma.. »
« Sono disposto a fare qualsiasi cosa. » lo
interruppe Alec, prontamente.
Avrebbe assolutamente accettato qualsiasi cosa gli avrebbe proposto,
per ripagarlo della sua gentilezza.
« Dovrai aiutarmi a rimettere tutto in sesto e, in
più, dovrai lavorare da me per un mese. Il tempo necessario
per ripagarmi i danni. » esordì, molto serio.
Ad Alec sembrò una richiesta piuttosto equa, e poi si
trattava di un mese, dunque non ci sarebbero state grandi ripercussioni
sullo studio.
« Va bene, accetto. Quando comincio? »
Magnus gli sorrise: « Ci vediamo alle cinque. »
Catarina trattenne un ghigno: conosceva troppo bene suo fratello, per
non capire cosa stava
architettando.. La situazione
stava per farsi molto
interessante.
***
Correva ormai da un paio d'ore, cosa affatto insolita per lui.
Jace aveva sempre amato la fatica degli allenamenti, la piacevole
sensazione che lo assaliva nel momento in cui, estraniandosi da tutti i
suoi problemi, riusciva finalmente a sentirsi in pace con se stesso.
Non esisteva niente di meglio al mondo.
Alec avrebbe dovuto essere insieme a lui, come ogni giorno, ma per
qualche motivo, aveva cancellato all'ultimo minuto il loro solito
appuntamento.
Considerando lo stato in cui lo aveva visto quella mattina, non ci
aveva trovato niente di così strano, e aveva dunque evitato
di chiedergli spiegazioni.
Probabilmente, pensò ridacchiando, si stava ancora
riprendendo dalla sua notte
brava.
Dopotutto, restava pur sempre un bravo ragazzo, per nulla abituato a
cose del genere.
Infatti, quando Iz si era precipitata da lui, gridandogli un:
« Alec sta per picchiare un tizio, alza il culo da quella
poltrona e fermalo! », con la sua solita grazia da
scaricatrice di porto, era rimasto a dir poco sconvolto e incredulo.
Per un attimo, aveva persino faticato a credere al fatto che stessero
parlando della stessa persona.
Si era alzato immediatamente, ignorando volutamente la ragazza che gli
era stata appiccicata per tutta la serata come la colla.
Non che gli fosse dispiaciuta
poi così tanto, la sua compagnia, ma
solitamente preferiva le donne con carattere a quelle remissive.
Poi, l’aveva visto assumere buffe posizioni per cercare di
colpire il povero malcapitato di turno, cosa che, solo sotto effetto
dell'alcool avrebbe potuto fare.
Era troppo buono per far
male a qualcuno.
Stava per tornare indietro, diretto all'uscita del parco, quando la
vide: la ragazza del Pandemonium, quella che, nelle ultime ore, non era
riuscito a togliersi dalla testa, malgrado tutti i suoi sforzi.
Se ne stava seduta su una panchina poco distante, fissando con sguardo
assorto, l'album da disegno posato sulle sue gambe.
Osservandola, si ritrovò a sorridere piacevolmente sorpreso,
considerando che, fino a pochi istanti prima, era convinto di non
rivederla più.
O perlomeno non così presto.
In una città grande come quella, era matematicamente
impossibile scontrarsi, in modo accidentale, con una persona per
più di volta.
Nel giro di due giorni poi.. sembrava quasi un segno del destino. E chi
era lui per contraddire il grande
disegno?
Con passo sicuro, accorciò la distanza che li separava e,
nel giro di pochi istanti, si trovò davanti a lei.
« Ehi bellezza, ci rincontriamo. »
esordì il biondo, guardandola con aria ammiccante.
La ragazza lo degnò a malapena di uno sguardo, dopo di che,
raccolti i fogli che aveva di fronte, si alzò dalla
panchina, decisa ad allontanarsi da lui.
Quel gesto lo lasciò a dir poco esterrefatto: non era mai
successo prima che qualcuna lo snobbasse in quel modo.
Insomma, era abbastanza consapevole di non essere per nulla male e,
molte ragazze lo avevano confermato con apprezzamenti tutt'altro che
velati.
Senza neanche rendersi conto di quel che stava facendo,
l'afferrò per un braccio, facendola voltare verso di
sé.
« Andiamo, qual è il problema? » le
chiese, sinceramente interessato.
Lei alternò lo sguardo dal suo braccio al viso di Jace,
mentre un aria scocciata andava a dipingersi sul suo volto.
« Intendi dire, oltre al fatto che uno sconosciuto che
potrebbe tranquillamente essere un maniaco, mi sta praticamente
braccando? Ah giusto.
Tu non sei uno sconosciuto, vero? Sei solo il tipo che stava insieme a
quell'ubriacone che ha cercato di pestare il mio migliore amico!
» rispose, rivolgendogli un occhiata decisamente truce.
Jace la guardò, momentaneamente smarrito, anche se lei non
sembrò accorgersene, dato che, continuava a guardarlo
accigliata.
Che caratterino.
« Lui non è un ubriacone! - protestò
l'altro - e mi dispiace veramente per il tuo amico nerd. Ti assicuro
che, in circostanze normali, Alec non farebbe del male ad una mosca.
Ieri era decisamente fuori di sé, cosa che, nel caso in cui
te lo stessi chiedendo, capita una volta ogni.. mai. »
La ragazza sbuffò, strattonando il braccio in modo che lui
lo lasciasse.
« Ora che abbiamo risolto questo problema, sarà
meglio che io mi presenti, tanto perché tu non possa dire
che sono un estraneo: sono Jace, piacere di conoscerti piccola.
» disse, sorridendole in maniera provocante.
« Bene. Voglio fare finta di credere alla tua
storia, per cui okay, accetto le tue scuse. Ora se vuoi scusarmi..
» iniziò a dire la ragazza, che però fu
subito interrotta.
« Non credo di poterlo fare. Non finché non mi
avrai detto il tuo nome e, avrai accettato di uscire con me. »
Non lo avrebbe mai detto ad alta voce, ma quel suo comportamento
così restio nei suoi confronti, lo stava facendo impazzire.
Lei sembrò studiarlo per qualche istante, poi si decise a
rispondere: « Clarissa, ma tutti mi chiamano Clary. Tuttavia
mi dispiace caro Jace, ma non vedo perché mai dovrei
accettare.»
Calmati Jace,
si disse, cederà.
« Oh andiamo, la maggior parte delle ragazze darebbe il
braccio destro per un occasione simile. Non che io possa biasimarle..
sono maledettamente affascinante. » disse l'altro, in tono
decisamente malizioso.
Per tutta risposta, Clary scoppiò a ridere di gusto.
« E' questo il tuo modo di rimorchiare? Seriamente?
» gli chiese, guardandolo palesemente divertita.
« Potrei fare di meglio, se solo tu me ne dessi la
possibilità. Quindi devo considerarlo un sì?
» le chiese a sua volta.
« Beh in questo caso.. » gli disse, alzando le
spalle.
Tuttavia, il sorriso sul volto di Clarissa, fu una risposta
più che sufficiente per Jace.
HeLLo! :D
E come promesso settimana scorsa, ecco il secondo capitolo! :D
Finalmente è entrato in gioco Magnus, persona stravagante ma
che, Alec, trova bellissima.. ehehe!
E sì, in questa storia abbiamo un altro personaggio
fondamentale: Catarina, sorella di Magnus(lol, tranquilli, si
spiegherà più avanti questa scelta). Non
dimenticatevi di lei eh! hahahaha!
Infine, per non rendere il capitolo pesante ho deciso di inserirci un
pezzettino Clace che spero abbiate gradito!
Ah, volevo informarvi che dal prossimo capitolo in poi, parte la vera
storia e, quindi, si scoprirà di questo famoso "patto"
accennato nel prologo!
Dunque, se ne volete sapere di più, non vi resta che
seguirmi ahahaha! :D
Spero comunque che questo capitolo sia stato di vostro gradimento! E vi
invito, ad esprimermi il vostro parere(ovviamente se volete! :D), per
dubbi, perplessità, domande, critiche.. tutto quello che
volete! :D
Ci si rilegge settimana prossima, ma nel mentre vi lascio un
piccolo
spoiler del prossimo capitolo:
" « Non riesco proprio a capire come possano permettere di
sposarsi a persone del genere
- sputò fuori con disprezzo - il matrimonio
è un istituzione sacra, non un divertimento per certi fenomeni da baraccone.»
continuò, infatti, in tono altezzoso.
Alec non riusciva a respirare: era di lui, seppur
indirettamente, che sua
madre stava parlando. "
Bye! <3
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