Ami la mamma, vero?

di Caterina_98
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Mi guardò, i riccioli biondi che gli ricadevano sugli occhi grigi e curiosi come quelli della madre, occhi che mi avevano osservato e amato, in cui mille volte avevo trovato la sicurezza e la forza che cercavo.

«Tu ami la mamma, vero?»

Rimasi per un attimo sorpreso dalla domanda di mio figlio, certo che l’amavo. Più di ogni altra cosa al mondo.
Pensai alla nostra storia iniziata anni prima: i settantaquattresimi hunger games, la paura di non tornare a casa, il suono tetro del cannone che annunciava nuovi morti.
Involontariamente toccai la gamba ultra moderna che i medici di Capitol City mi avevano sostituito dopo l’infortunio.
Con la mente tornai alla grotta dove Katniss mi aveva salvato la vita e dove per la prima volta avevo potuto tenerla tra le braccia. E quando aveva escogitato un modo per salvarci entrambi, mettendo in pericolo la dignità del presidente e dei suoi giochi.
 
Pensai alle feste fatte in nostro onore, in cui eravamo costretti a fingerci felici innamorati.
L’amavo anche allora, anche se sapevo che era solo una messa in scena.
Amavo i suoi capelli scuri e gli occhi grigi, amavo l’agilità con cui sapeva arrampicarsi sugli alberi, i vestiti vaporosi di Cinna che la rendevano splendida.  Amavo vederla concentrata su una preda mentre tendeva l’arco per ucciderla. Premurosa amante e cacciatrice letale.  
Aveva lasciato vivere me, che ero stato estratto come suo nemico.   
 
Ricordai la seconda arena: la promessa fatta di mantenerla in vita sacrificandomi per lei, i pericoli, i baci caldi sulla riva di quel mare dannato.
Separarci è stato l’errore più grande della mia vita, so bene solo accanto a lei.
Per un attimo ho rivissuto la paura che provai allora all’idea di averla persa per sempre.
 
I ricordi si fecero via via più dolorosi, mi riecheggiarono nella testa le mie stesse urla, gridate contro una parete bianca in una cella anonima di Capitol City. Odio e dolore: tutto ciò che mi era permesso provare in quel periodo.  La tortura che aveva lasciato su di me ferite invisibili ma eterne.
 
E infine la rinascita, lunga e difficile. Del primo periodo ricordo poco, la guerra e la ribellione sono state un periodo tormentato da dubbi e azioni incontrollate, ma è stato solo con l’aiuto di Katniss che ho potuto riavere la mia vita. Anni di sofferenze, di tentativi, di urla e lacrime di rabbia.
Averla accanto era stato essenziale, il mio punto di forza, la roccia a cui appendersi mentre stai cadendo.
La ragazza di fuoco non mi aveva mai abbandonato e io, figlio di un fornaio sapevo bene che le fiamme portano vita.
 
Guardai il bambino che avevo davanti, segno inconfutabile di amore e rinascita, mi osservava con occhi impazienti.
Avrei voluto raccontagli di tutto questo, ma era ancora troppo piccolo e troppo innocente.
E allora pensai a tutte le notti tormentate da incubi miei o di Katniss e a quanto spesso avevamo fatto delle nostre braccia un riparo.
Cosi, risposi semplicemente: «Vero».  




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