IV - Cooperate
Il telefono suona che non sono ancora le quattro del pomeriggio.
C’è qualcosa di curioso in quel suono. Non è lo
squillo brioso ed eccitato che preannuncia belle notizie, non è
quello trillante e fastidioso di un’emergenza in corso. Non
è invadente come un ordine imposto dall’alto con gelida
voce impersonale, non è doloroso ed esitante come una
chiamata di un vecchio amico che soffre per la bandiera bianca che ha
visto sventolare sul tetto della tua abitazione.
E’ insistente, pretenzioso come solo una richiesta di contatto senza confini ed etichette sa essere.
E’ uno squillo che può essere ignorato, che si può
fingere di non aver sentito, con ogni scusa razionale a disposizione.
Il vento troppo forte, un turno un po’ più lungo che ti
impedisce di rincasare per vedere la cornetta agitarsi sul ricevitore,
una mezz’ora in più di riposo sulla branda per non
pensare, per permanere nell’oblio solo un po’ più a
lungo.
Lo sa lei, che ascolta il segnale acustico che annuncia un tentativo di
connessione in corso col cuore in gola e la timidezza sulle guance.
Lo sa lui, accanto al focolare con la divisa fradicia per via della
neve, che ascolta ogni squillo come si ascolta qualcuno parlare una
lingua sconosciuta, ma familiare.
Una chiamata che ti lascia esausto, è sempre meglio evitarla.
Ma la cornetta viene sollevata, la chiamata avviata, e il mondo va sottosopra ancora una volta.
“Al ha fatto una trasmutazione senza cerchio alchemico.”
Una pausa. “Glielo hai visto fare?”
“No, è stata la signora Izumi ad avvertirmi.” Winry
attorciglia il filo del telefono intorno al suo dito indice.
“Dice che lo ha fatto senza pensarci, che non sa spiegare
perché ne sia in grado, e soprattutto che non riesce a rifarlo
perché non ricorda come abbia fatto la prima volta: ne è
rimasto abbastanza scosso*. Semplicemente ha battuto i palmi
l’uno contro l’altro, e … oh, non so come funzioni
l’alchimia esattamente. Ha attivato la trasmutazione senza
tracciare nessun disegno, lo sto dicendo bene? Come faceva Ed,
insomma.”
“Può darsi che sia una conseguenza
dell’addestramento con la loro insegnante?” Riflette
Mustang. “La signora Izumi era in grado di fare lo stesso, se non
ricordo male.”
“Sì, ma mi ha detto che lei non lo ha mai insegnato
né a Ed né a Al. Lei stessa non saprebbe come spiegarlo,
sa solo trasmutare in questo modo.”
Che scienza assurda, si ritrova a pensare, frustrata.
Com’è possibile che più cose capisci, e meno le sai
spiegare? I più capaci dovrebbero avere modo di sistematizzare
le loro conoscenze, non lasciare tutti a brancolare nell’oblio.
“Ora che ci penso … neanche lei utilizza gessetti e cerchi
alchemici per le sue fiamme. Lei come fa, signor Mustang?”
Inciampa un po’ sul suo nome: è sempre a disagio quando
deve chiedergli qualcosa, crede che continuerà ad esserlo sempre.
“Ah, temo di essere un baro. Non hai mai notato i cerchi
alchemici sulla stoffa dei miei guanti?” Nella voce di Mustang
c’è un sorriso, ora – è strano che lei sia
tanto in grado di identificarlo. “Sono sempre stato affascinato
dal modo Elric di fare alchimia, ma come puoi immaginare, non sono mai
riuscito a escogitare un metodo per racimolare energia sufficiente per
lo scambio senza tracciare un solo simbolo.”
“E … non ha mai provato a domandare a Ed come facesse?”
“Gli alchimisti non rivelano quasi mai il segreto delle loro
tecniche, ma anche se fosse, sono praticamente certo che anche lui lo
facesse senza sapere come. E comunque”, aggiunge, “la sua
risposta a qualunque domanda sull’argomento suonava più o
meno come E’ perché sono un genio, chiaro.”
Winry ride, per il puro gusto di farlo: per troppo tempo il nome di Ed
è stato pronunciato solo per rattristarsene. “Quello
stupido.”
“Alphonse ha ricordato qualcosa?”
La domanda improvvisa zittisce Winry, e la costringe a tornare seria.
“Niente di niente.” Risponde con un sospiro. “Anche se ci speravamo tutti. Ci sperava anche Al.”
Il solo pensiero è sufficiente a farla star male. Lo sa qual
è il modo di Al di reagire a delusioni e sofferenze: sorridere,
rimboccarsi le maniche e lavorare ancora più duramente.
Tagliando fuori tutti gli altri, come solo gli Elric sanno fare.
“Però forse, prima o poi, ricorderà anche
altro”, tenta Winry coraggiosamente. “Così come ha
ricordato come fare per trasmutare senza cerchio alchemico. Mesi fa non
aveva nessuna nozione del genere, no?”
“Sì, può essere.” Mustang non sembra
convinto, ma non scarta nemmeno la possibilità.
“Così come può essere che si tratti di due cose che
non hanno alcuna attinenza tra loro. Tieni presente che ora come ora
qualunque ipotesi è azzardata.”
“Lo so. Non l’ho dimenticato.”
Ma non cambia nulla saperlo: Winry ha deciso di sperare, e non
può farci nulla. Tanto, se non ci sono prove a sostegno, non ci
sono neanche prove contro. E lei si è riscoperta molto
più brava a nutrirsi di speranze, piuttosto che a restare coi
piedi per terra per paura di restare delusa.
Chissà se il suo interlocutore, invece, è pragmatico come vuol far credere.
“Non eri tenuta a dirmelo.”
Winry si riscuote. “Eh?”
“Parlo di Alphonse.” Spiega Mustang. Il suo tono è
insolitamente basso, e cauto. “Non eri tenuta a chiamare per
aggiornarmi.”
Non aggiunge altro: attraverso la trasmissione disturbata non passa che un silenzio confuso.
Winry può immaginarne il motivo.
Non ha senso che lei lo chiami, oggi. Che motivo potrebbe avere?
E’ stato Mustang a chiamarla le prime due volte, e senza nemmeno
chiederle il permesso di prendere i suoi recapiti telefonici. Certo,
poi c’è stato il giorno del compleanno di Ed, in cui lei
ha cercato lui … ma in tutta onestà, non lo ha forse
incolpato ingiustamente per tutta la durata della telefonata, per poi
piangere come una bambina?
Tutto sembra affermare a gran voce quanto ogni singola conversazione
con Mustang sia stata un supplizio, un supplizio che non avrebbe dovuto
avere un seguito. E invece eccoli lì, a parlare, di nuovo dopo
mesi.
Magari Mustang pensa che lei sia impazzita.
Winry aspettava quel Perché?
non pronunciato a parole da quando ha preso la decisione di sollevare
la cornetta e comporre quel numero. La aspettava, e crede di avere una
risposta pronta da dargli, per quanto non sia una risposta vera, ma
solo una plausibile. E le risposte plausibili sono strane: assumono
concretezza solo se le comunichi a qualcuno. Quando sei da solo e ci
rifletti su è come cercare di descrivere un profumo mai
percepito.
“E invece sì”, risponde lentamente. “Perché è giusto.”
“Giusto?” Ripete Mustang, e l’ironia si insinua nelle
sue parole. “Un Generale degradato non può aspettarsi
-”
“E’ anche,” lo interrompe Winry, “quello che voglio.”
Mustang non trova replica per una risposta così inaspettata.
Traendo un respiro profondo, lei continua. “Non crede anche lei
che sia sciocco ignorarsi e non collaborare in questa situazione? Io e
lei stiamo combattendo la stessa battaglia”. Il cuore, senza
preavviso, accelera bruscamente per la tensione e l’imbarazzo.
Stringe i denti, perché non si è preparata quel discorso
per nulla, e riprende a parlare. “Io e lei siamo diversi, forse
diversissimi. Ma se c’è una cosa che conosco bene,
è la sofferenza di chi viene lasciato indietro. Certe volte
avrei dato chissà cosa per avere notizie, e pregavo chiunque,
davvero, chiunque di dirmi anche solo quanto erano diventati lunghi i
capelli di Ed. E’ per questo che … ho pensato, chi sono io
per negare quello che io avevo tanto desiderato a qualcuno che ora
soffre come me? Dopotutto c’è qualcosa che ci accomuna,
che lo vogliamo o no.”
Non fa il nome di Ed, ma è a lui che pensa, con la stessa
facilità con la quale si respira. Winry è sicura che lo
stesso nome sia balenato nella mente di Mustang, anche senza bisogno di
domandarglielo, anche senza desiderare di metterlo con le spalle al
muro come l’ultima volta.
Non c’è più bisogno di dirsi certe cose.
“Io credo di essere arrivata a capirla, alla fine.”
Conclude dolcemente. “Contro la mia volontà, forse. Dopo
aver cercato di odiarla, mille volte, e aver fallito, ogni volta. Ma
sono arrivata a capirla, e … ne sono felice.”
Lo è davvero.
Inspira profondamente, chiude gli occhi, espira.
Una serie di volti le passano davanti. I suoi genitori,
l’espressione mesta ma sorridente di chi ha vissuto una vita
piena e ha deciso di morire per ciò in cui crede; la nonna, una
pipa tra le labbra e gli occhi comprensivi di chi ha tanto sofferto, e
tanto perdonato; Ed e Al, i loro sguardi sconcertati e affranti quando
scorgono le lacrime sul suo viso, e i loro goffi tentativi di
consolarla; Mustang, la smorfia di dolore sul suo viso mentre senza
dirglielo a parole le chiede perdono per aver eseguito un ordine. Li
lascia andare, uno per uno, e si sente, finalmente, libera.
E ora che i suoi polmoni sono svuotati, c’è tanto altro che lei è in grado di accogliere al loro posto.
La vita. La speranza. L’accettazione del dolore.
Persino Roy Mustang.
Forse lei non potrà mai smettere di pensare ai suoi genitori,
quando parla con Mustang. Forse lui non potrà mai smettere di
sentirsi un assassino, quando parla con Winry.
Ma forse, dopotutto, riusciranno comunque ad essere qualcosa, l’uno per l’altra.
“Grazie, Winry.”
E’ la prima volta che Mustang la ringrazia direttamente, e Winry non può fare a meno di sorridere.
“Deve fare lo stesso anche lei, però”,
ribatte. “Qualunque notizia le arrivi, qualunque cosa possa
portarci più vicini a trovare Ed, la prego di riferirmela.”
“Sono un alchimista”, risponde Mustang, e sì,
è certa che anche lui stia sorridendo. “Lo Scambio
Equivalente è la mia specialità.”
E lei gli crede.
Potrebbero dirsi tanto altro, potrebbero parlare di mille altre cose.
Se fossero amici, lei ora si informerebbe sul suo stato di salute, sul
suo lavoro al Nord, su quanta neve cade quel giorno davanti a casa sua; e
lui le domanderebbe del suo apprendistato a Rush Valley, quanti
automail riesce a costruire in un giorno, quanti clienti escono
dall’officina soddisfatti.
Se fossero estranei, si scambierebbero qualche frase di circostanza, e rigidamente si augurerebbero ogni bene.
Se fossero intimi, condividerebbero qualche ricordo di Ed, giusto
perché possono, giusto perché ognuno di loro possiede un
tassello di Ed che l’altro non conosce, che l’altro
vorrebbe conoscere.
Ma non sono amici, né estranei, né intimi, e non dicono nulla di tutto questo.
Condividono un silenzio strano, pieno di tutto e inesprimibile a parole, e questo basta.
Si salutano, un po’ a disagio, e riattaccano il telefono.
E sono soli, insieme, ancora una volta.
Gli occhi rivolti verso la finestra, tornano ad aspettare un sogno.
(*) In
Shamballa Al ha dei guanti su cui sono disegnati cerchi alchemici, sui
palmi. Però la questione non riesce a convincermi del tutto...
come mai ha imparato a trasmutare così? In precedenza, anni di
addestramento con Izumi non hanno mai spinto né Ed né Al
a cercare di trasmutare senza cerchi alchemici, per cui la cosa mi fa
pensare... o si tratta di una reminescenza del fratello, o di una del
Portale - in questo caso, sebbene non riesca a rievocarlo alla
perfezione, la sensazione di essere potenzialmente in grado di farlo
può averlo spinto a optare per guanti e il classico
'batti-le-mani-e-trasmuta'. Ho optato per questa via di mezzo, e in
ogni caso, siccome non possiamo saperlo, si tratta di un mio headcanon
e basta.
Il
viaggio è concluso, i nodi sono venuti al pettine, e io vi
ringrazio di cuore per essere arrivati fin qui. Mettere la parola fine
a qualcosa è sempre intenso, anche se si tratta solo di una
breve storia da quattro capitoli.
Padme Undomiel
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