E’
sempre strano riprendere la
routine al ritorno da un lungo viaggio.
Stavolta
è impossibile.
Finn
ti aspetta in aeroporto con un
mazzo di gerbere.
Odi
le gerbere e Finn dovrebbe
anche sapere il perché.
Evidentemente
non è così.
Eppure,
quando ti abbraccia, ti
bacia, ti dice quanto gli sei mancata, gli credi.
Gli
credi e ti dici che è tutto
come prima e che non avete alcun problema.
Tutto
è perfetto.
A
parte quel quadro in camera da
letto.
Lì
non può più restare.
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Le
cose vanno bene per un po’.
Decentemente,
se devi essere
sincera.
Ricominci
a dipingere, ma non sei
la solita.
Se
ne accorgono tutti.
Solo Finn sembra essere assolutamente ignaro della tua
diversità.
Ti
cominci a domandare se ti
conosce davvero.
Se
in un anno e mezzo è riuscito a
conoscerti come qualcun altro ha fatto in qualche giorno.
Scacci
velocemente il pensiero
dalla tua testa.
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Le
cose tra te e Finn cominciano a
cambiare qualche mese più tardi.
Lui non nota la tua diversità ma tu certamente noti la sua.
E’ distante, sempre impegnato, disinteressato.
Ti
dice che è per lavoro ma non ci
credi.
Fai
finta di niente perché, sotto
sotto, ti fa comodo.
Ti permette di essere altrettanto distante.
E’
la distanza che hai lentamente
posto fra voi che ti impedisce di dare di matto quando le tue migliori
amiche
ti chiamano per dirti d’aver visto Finn (in atteggiamenti
inequivocabili) in
compagnia di un’altra donna.
Lo
affronti a muso duro e ha
persino il coraggio di chiederti di perdonarlo.
Non
puoi.
Non
potresti mai.
Non per il tradimento in sé.
Un tradimento a volte non è tutto.
Non puoi perdonarlo per quello cui hai rinunciato nello scegliere Lui.
Quella
stessa sera svuoti l’armadio
dai suoi vestiti e lasci tutte le sue cose fuori dal
“vostro” appartamento,
pagato con i tuoi soldi.
Quella
stessa sera Finn esce dalla
tua camera da letto e immediatamente rientra il tuo quadro.
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E’
piuttosto facile superare la
storia con Finn.
Questo ti fa capire quanto sia stato davvero importante per te...
Più
d’ogni altra cosa ti fa capire
quanto tu sia stata miope e stupida, stupida, stupida.
Cerchi
di andare avanti a testa
alta, comunque.
Il
problema è che c’è sempre quella
cosa nella tua testa, quel pensiero, che ogni sera ti fa andare a
dormire con
un nodo in gola.
Il
problema è che non riesci a perdonarti
l’aver scelto Finn invece che Lei.
Non
riesci a perdonarti perché non
meriti il perdono.
Meriti l’angoscia e il rimpianto.
Meriti
la malinconia e l’amarezza.
Meriti
di rivivere ogni notte,
impotentemente, infinite parole e immagini.
Sei
infelice e ti convinci di
meritarlo.
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Una
afosa giornata d’agosto ricevi
un pacco.
Lo
scuoti e riscuoti cercando di
capire cosa sia prima ancora di leggere il nome del mittente.
Proviene
dalla redazione di una
rivista apparentemente.
Il
– oh…
“Breathtaking
Landscapes”.
Leggi.
Lo
sai.
Lo
sai che non può essere altri che
Lei.
Rabbrividisci
e scatti in piedi.
Non
apri il pacco.
Lo
poggi sul tavolinetto del salone
e ti alzi.
Passeggi per il tuo appartamento.
Apri
una bottiglia di vino alle 11
del mattino.
Rispondi
a duecento e più email ignorate.
Pulisci
il frigorifero e vai
persino a trovare tua madre.
Non
sei pronta per aprire quel
pacco.
Il
problema è che quando torni, in
piena notte e anche abbastanza alticcia, il pacco è ancora
lì.
“Basta.”
Sospiri.
Prendi
un coltello dalla cucina e
apri il cartone.
Ti
sfugge qualcosa a metà fra una
risata e un singhiozzo quando ne estrai quel libro.
Sempre
più gonfio e rovinato.
Sempre
più vissuto.
Lo
sfogli e tra le pagine trovi una
lettera.
E’
stampata su una carta di
grammatura pesante, color avorio, liscissima e terribilmente elegante.
“Gentilissima
signorina Clarke
Griffin,
la
redazione del “Breathtaking
landscapes” vorrebbe avere l’onore della sua
partecipazione alla mostra
inaugurale del periodico, intitolata “La
felicità”, che si terrà il giorno 21
settembre presso i nostri uffici.
Nel
caso decidesse di partecipare
le sarà riservato il pezzo centrale.
RSVP.
Il
direttore e fondatore
Alexandria
Woods.”
Sorridi.
Per un milione di motivi.
Perché
Lexa ha una sua rivista,
apparentemente.
Perché
sei invitata a partecipare.
Perché
ti ha riservato il pezzo
centrale.
Perché potrai rivederla.
Ti
ritrovi a sfogliare il libro per
la milionesima volta.
Leggi
qua e là, lo annusi,
accarezzi le pagine.
Stai
quasi per addormentarti quando
arrivi all’ultima pagina, al foglio di guardia posteriore, e
scopri che
qualcosa è cambiato.
C’è
una nuova frase.
“Spero
di vederti di nuovo, Clarke
Griffin.
Lo
spererò per sempre.”
Quella
notte dormi con il libro
stretto al tuo cuore.
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Il
giorno seguente rispondi immediatamente
con una mail al “Breathtaking Landscapes” e
confermi la tua partecipazione.
Da
lì parte una minuziosa ricerca
del pezzo da portare.
Dipingi con la gioia nel cuore.
Dipingi
quadri su quadri.
Olio,
acquerello, tempera,
acrilico.
Pennello,
spatola, matita, dita.
Paesaggi,
persone, momenti.
Eppure
niente ti soddisfa.
Ricevi
l’illuminazione in una notte
di inizio settembre (quando i tempi cominciano davvero a stringere),
affacciata
al balcone, guardando la città e le sue mille luci.
L’immagine
ti fa scattare qualcosa
in testa e all’improvviso sai
cos’è la
felicità.
La
felicità è trovarsi tra milioni
di persone nel luogo giusto, nel momento giusto.
La
felicità è un silenzio condiviso
con confortevolezza.
La
felicità è un lungo bacio sotto
un pontile.
La
felicità è ritrovarsi,
insperatamente e contro ogni possibilità.
La
felicità è un’alba condivisa con
l’amore della tua vita, in una minuscola camera da letto a
Bali.
D’un
tratto sai quale sarà il pezzo
centrale.
Prendi il telefono e comunichi immediatamente agli organizzatori le
dimensioni
del quadro.
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Il
giorno dell’apertura della
mostra arriva prima che te ne accorga.
Non
ricordi d’esser mai stata così
agitata.
Passi
l’intero pomeriggio a provare
vestiti.
Alla
fine opti per un semplicissimo
vestito bianco che ritocchi con una cinta di camoscio poco sotto il
seno, cui
abbinare gli stivali.
Lasci
i capelli sciolti, opti per
un filo di trucco e scegli i gioielli più sobri che possiedi.
Ti
guardi e ti riguardi mille volte
e la tua insicurezza ti fa sorridere perché non sei mai
stata così ed ora,
tutto d’un tratto, ti senti una quindicenne alla sua prima
festa.
Passi
il tragitto in taxi a
sfogliare e risfogliare il libro, incapace di stare calma.
Ma
come potresti star calma?
Arrivi
alla redazione (un non
proprio modesto palazzo) e sei subito accolta all’ingresso.
Sanno
benissimo chi sei, Lexa deve
aver dato delle indicazioni precise.
Ti guidano fino alla sala dove si tiene la mostra.
I
pezzi sono ancora tutti coperti e
non riesci a capire dove si trovi il tuo.
Ti
guardi attorno nervosamente e
scruti i volti della gente che passa nella sala.
Quasi
ti sembra di esser tornata a
quella notte a Densapar, a cercarla fra la folla.
Quando
le luci si abbassano e
rimane un unico faro puntato su un podio, ti manca il respiro.
Eccola là.
Sale
sul con il microfono in mano e
un bicchiere nell’altra.
“Signori e signore, grazie per la vostra presenza in questa
serata di nuovi inizi.”
Comincia
col suo discorso e, devi
essere sincera, non riesci a comprendere una parola nello stato in cui
ti
ritrovi.
Lexa indossa un vestito.
Non
l’hai mai vista con un vestito
e qualcosa fa corto circuito nella tua mente.
Cerchi di concentrarti sulle parole ma tutto quel che senti
è la sua voce, la
sua posatissima e controllatissima voce.
Quando
senti partire un applauso
capisci che deve aver finito il discorso e non ti interessa minimamente
dei
pezzi che vengono scoperti, nemmeno del tuo.
Sei così concentrata nel seguire con lo sguardo ogni singolo
movimento di Lexa
che per poco non fai cadere un povero cameriere con tutto il suo
vassoio di
tartine.
Ti
avvicini ed hai la fortuna di
poterla osservare, a sua insaputa, da vicino.
Non
ti ha ancora visto fra le
decine di persone che la circondano e le stringono la mano e continua a
guardarsi attorno, con discrezione, cercando di non apparire
disinteressata
alle chiacchiere dei suoi ospiti.
Ti
fermi ad aspettare alle sue
spalle.
Lasci
che la gente finisca di
assillarla e solo quando comincia nervosamente a giocherellare col
bicchiere di
champagne che ha in mano decidi che è il momento di
palesarti.
“Dovresti saperlo che, delle due, quella brava a trovare
l’altra sono io.”.
Si
volta di scatto, con un sorriso
sulle labbra e replica “Potrei contestare questa
affermazione...”
“No,
non puoi. Sono
stata io a trovarti. Sulla
spiaggia, prima; alla tua mostra, poi.”
Spieghi “E non era la prima volta che ti vedevo quella in
spiaggia.”
“Ah
si?” domanda.
“Già…”
replichi fiera “Ti avevo
visto qualche giorno prima tra la gente di Densapar.
Ti ho cercata per giorni.”
“E
chi è che ti ha trovata a
dipingere al tempio?”
“Mpf!
Una volta contro quante?”
replichi sollevando un sopracciglio a mo’ di sfida.
Lexa
non risponde.
Sorride
e basta.
“Come
stai?” domanda, avvicinandosi
a te.
“Me
la cavo.” Replichi “E tu?”
“In
questo momento benissimo.”
Replica guardandoti negli occhi.
Non
sai che dire perché è tutto
davvero troppo.
“Posso
accompagnarti nel giro della
mostra?” propone.
“Con
molto piacere.” Accetti.
Non
parlate.
O
meglio, parlate dei pezzi,
commentate qualche dettaglio qua e là.
Arrivate
al tuo pezzo, al vostro pezzo
dovresti dire, e Lexa ti
guarda.
Ti
guarda come può guardarti solo
chi conosce tutto quel che c’è dietro quel
brandello di tela.
Ti
guarda e sorride.
“Questa
è la felicità, per te?”
Domanda, lo sguardo rivolto al pezzo.
“Si.”
Replichi con sicurezza.
“Un’alba…”
“E
tutto quel che racchiude.”
Aggiungi sorridendo.
“Ottima
scelta.” Osserva, rispondendo
al tuo sorriso.
“Ti
ringrazio.”
Restate
in silenzio a guardare, o
meglio, a rivivere il quadro.
“E
tu, Lexa?”
“Cosa?”
“Non
hai esposto la tua idea di
felicità?”
“Ovviamente.”
“E
dov’è il tuo pezzo?”
“Qualcosa
mi dice che te ne
accorgerai quando ci passeremo davanti.”
La
guardi confusa e cerchi di
immaginare cosa possa essere.
Ripassi
velocemente tutti i vostri
momenti insieme, inutilmente, perché Lexa aveva sempre con
sé la sua macchina
fotografica.
E,
anche se fosse, potresti non
essertene accorta come nella foto del tempio.
Acceleri
inconsapevolmente il
passo, dedicando sempre meno tempo agli altri lavori.
E
Lexa, nemmeno troppo
sorprendentemente, aveva ragione.
Ti
trovi di fronte ad una
composizione composta da una serie di dodici foto.
Disposte
su quattro file.
Il
soggetto delle foto sei tu.
Tu
che insegui il tuo cappello per
le vie polverose di Densapar.
Tu
che ridi a crepapelle, inseguendo il
tuo cappello per le vie
polverose di Densapar.
Tu
che recuperi il cappello da un
bambino, che sorride con te.
Tu
che ti rificchi il cappello in
testa, ancora con un sorriso sulle labbra.
Resti
a bocca aperta e ti volti
verso Lexa.
“Tu
mi hai trovata per prima...”
Sospiri appena.
Sorride,
e annuisce con un pizzico
d’orgoglio.
“Quella
notte sei scomparsa e
pensavo non ti avrei mai più rivista, e
invece…”
“Apparentemente
è tipico di
noi. Pensare che
non ci rivedremo mai
più per poi ritrovarci ancora e ancora.”
“Questa
è la tua felicità, Lexa?”
Annuisce
e dopo qualche istante specifica
“Tu lo sei.”.
“Tu
sei la mia.” Replichi per poi
aggiungere “Perché non lo abbiamo da capito
subito? Perché abbiamo perso così
tanto tempo? Cosa stiamo aspettando?”
“Io
aspettavo solo te.” Replica con
un sorriso.
Prendi
un lungo respiro e decidi di
calare l’asso nella manica.
“Sto
per farti una proposta e, per
l’amor del cielo, Lexa: non dire di no.”
“Aspetta,
stai per chiedermi di
sposarti!?” ti domanda a metà fra il serio e il
faceto.
“No,
no…” replichi “Non ancora,
comunque…”
Frughi
nella tua borsa ed estrai
velocemente il suo libro.
Glielo
offri e ti guarda confusa.
“Non
credo di capire la proposta…”
“Aprilo.”
Sorridi.
Quando
trova la busta da lettere ti
guarda curiosamente.
“Avanti.
Cosa aspetti?” domandi
ansiosamente.
Lexa
apre la busta con mani
insolitamente tremanti, noti.
Quando
capisce cosa ha in mano ti
guarda meravigliata.
“Sei
seria?”
“Mai
stata così seria.”
“Quando?”
“Quando
vuoi, Lexa.”
“In
qualunque momento?”
“Si.”
Sorridi.
“Stanotte.”
Replica.
“E
stanotte, sia.”
Quella
notte, alle 3 e 25 del mattino,
partite per Bali.
Insieme,
per la prima volta.
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EPILOGO
E
un pomeriggio cupo e piovoso a
Denpasar.
La
gente è chiusa in casa e l’unico
rumore nella vostra stanza è il ritmico gocciolare
dell’acqua dal tetto.
Siete
sdraiate sul vostro letto.
Lexa
è a pancia in giu, poggiata
sui gomiti, a sfogliare distrattamente una rivista.
Le
accarezzi la schiena, mentre
continui a spostare lo sguardo fra il soffitto e la finestra.
“Lexa?”
“Mh…”
replica distrattamente.
“Ci
pensi mai a noi?”
“Clarke…”
chiude la rivista e ti
guarda con un sorriso “Noi
è
praticamente tutto quello cui penso da quasi due
anni…”
“No…”
cominci “Intendevo, ci pensi
mai che… Non so, dopo tutto quello che è
successo… ora siamo qui?”
“Certo,
che ci penso.”
“E
non credi sia assurdo?”
“No…”
ci pensa un po’ su e aggiunge
“Magari un po’, ecco.”
“Un
po’?” domandi sollevando le
sopracciglia.
“Ok,
sì, è abbastanza assurdo.”
“Non
credi che la nostra storia
sia… No, lascia stare.”
“Cosa?”
“No,
niente… è una cosa stupida…”
“Clarke…”
sbuffa poggiandoti il mento
sulla spalla “Sono pronta per qualsiasi cosa sdolcinata tu
stia per dire…”
“Come
fai a sapere sempre cosa sto
per dirti?!”
“E’
un dono…” sorride “Avanti,
dimmi.”
“Mi
piace pensare che in un modo o
nell’altro noi ci ritroveremmo sempre, come ci sia un
qualcosa di voluto dal
destino. Se le cose non fossero andate così, ci saremmo
comunque ritrovate
prima o poi. Se tu domani partissi senza lasciare traccia, sono sicura
che
finiremmo per ritrovarci in qualche modo.”
“Vuoi
testare questa tua teoria?”
sorride divertita “Perché se vuoi domani posso
sparire e-”
“Non
dirlo nemmeno per scherzo!”
sorridi colpendole la spalla “Non voglio mai più
lasciare Bali senza di
te. Non voglio mai
più stare senza di
te.”
Si
avvicina a baciarti poi continua
a guardarti e sai che sta per dire qualcosa.
“Sei
felice, Clarke?”
“Con
te, sempre.” Sorridi “E tu?
Sei felice, Lexa?”
“Con
te, sempre.”
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