Souls

di Namielly
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“Amici”



Mi risveglio, col cuore in subbuglio, il respiro affannoso. Gli occhi sbarrati. E’ mattina presto, ancora il sole non è sorto. Una forte morsa dolorosa allo stomaco mi attanaglia, e non riesco a muovermi. Mi raggomitolo su me stesso, mi accartoccio lentamente, affondando la testa tra le braccia.

Mi hai abbandonato. Non sento più la tua presenza per casa. Mi ero così tanto abituato alla tua silenziosa e invisibile presenza; non mi sentivo più solo. E adesso… Non ci sei. Mi alzo di scatto, e ti chiamo invano “Sasuke?...” Non sento nulla. Solo un vuoto assurdo, probabilmente simile al panico. Forse, un giorno, avrei trovato un modo per diminuire la nostra distanza… Un modo per comunicare… O magari, di farti tornare visibile… Eppure tu non sei rimasto… Sono passati 3 anni, sono conscio che sia troppo tempo, ma la speranza non m’abbandona. Non voglio abbandonarla.

Mi siedo su una sedia, e mi cingo le gambe con le braccia. Sconsolato, rimango ad ascoltare il ticchettare gelido e perentorio dell’orologio. E’ quasi assordante nel silenzio assoluto che regna in casa mia. Resto lì, a tremare, e non solo per il freddo.

La giornata è passata vuotamente, e l’unica cosa che sono riuscito a fare è stato guardare la tv, anche se ero troppo preso dai miei pensieri per seguire qualcosa. Una sferzata di vento improvvisa spalanca la finestra, e un foglio vola dritto sopra le mie ginocchia. Il trillare del campanello mi fa sussultare. Controvoglia, e con le spalle curve, apro la porta.

“Naruto-kun” mi saluta sorridendo lievemente Sai. Aggrotto la fronte, vedendolo. Sai sembra consapevole del mio stato, ma non riesce a capire la mia espressione. Mi guarda, come sforzandosi di intrepretare. Sbuffo, facendogli cenno di seguirmi. Gli indico una sedia, mentre apro un’anta del mobile che sorregge la tv e prendo un taccuino e una penna. Raccolgo da terra anche il foglio che era svolazzato sin dentro casa, e mi siedo anch’io, di fianco a Sai.

Sembra nervoso, si tormenta le nocche imbarazzato. “Non ci vediamo da molto…” sembra apparentemente voler rompere il ghiaccio, ma non sembra riuscirci molto bene. Lo fisso vuotamente, e gli porgo il suo foglio. Avevo scorto il suo nome e anche “Chunin” leggendo qua e là. Sai lo afferra piano, e bisbiglia un leggero “Grazie.”

Probabilmente in Alaska si sentirebbe meno freddo che qui, ma Sai non può pretendere un caloroso benvenuto: io mi sento una pezza, e oltretutto sono tremendamente deluso da lui. Anche se so che non tutte le colpe sono sue, ma sono ugualmente deluso: non una volta che sia venuto a farmi visita, in questi anni. E adesso si presenta qui, solo perché quello stupido foglio è capitato in casa mia.

“Mi sento imbarazzato, è come se l’aria qui fosse pesante.” Sta nervosamente guardandosi intorno “Qualcosa non va… Naruto-kun?”

Silenzio. I miei occhi si riempiono di lacrime. Non riesco a trattenermi. Con rabbia, mi asciugo le lacrime col dorso della mano, pensando che tutti mi avevano abbandonato proprio quando ne avevo avuto più bisogno. Quado ero forte, tutti mi stavano felicemente affianco… Adesso che sono così debole, così stremato, sono tutti scomparsi. E adesso… anche tu hai fatto lo stesso. Sono così tediante? Immagino di si, ma vorrei solo qualcuno che mi stesse vicino… senza che pretenda nulla da me…

“Na…Naruto?” chiede Sai, rigido come uno stoccafisso. Non lo guardo. Lo vedo con la coda dell’occhio prendere il suo foglio, e alzarsi frettolosamente.

“Forse è meglio che me ne vada, Naruto-kun. Non sono la persona adatta a confortare, non capisco nemmeno che cosa provi…” Lo abbraccio. Forte. Affondo la testa nel suo collo, nonostante una parte di me vorrebbe colpire quel traditore, e scatenare la mia furia. Invece resto lì, a stringerlo, a stritolarlo, col desiderio di fargli un po’ male, ma anche che mi consoli. Che resti. Sento una mano che, esitante, si poggia sulla mia schiena.

“Naruto… Stai ancora male per Sasuke?” Mi chiede piano e io, stizzito, lo scosto da me. Mi sta giudicando, come Sakura-chan. Giudicano tutti il fatto che io non sia riuscito ad andare avanti. A dimenticarti. O a metterti in un angolino della mia mente. Ci ho provato, e ci ho riprovato. Ma era come se mi dimenticassi un po’ anch’io, era come perdersi, e alla fine tornavo in quel sogno folle che era il tuo ritorno. Ho sempre agognato, e sperato solo questo nella mia vita, e questo continuo a fare dopo la tua morte. Era l’unica cosa che mi spingeva a vivere… E’ l’unica cosa che mi spinge a vivere ancora adesso.

Do le spalle a Sai, e so che è come un muto assenso. Sono stizzito, sono stanco.

“Sono quasi le 8.” Esordisce Sai, e io mi giro imbronciato a guardarlo. Sono arrabbiato, e non so nemmeno per cosa di preciso. Faccio per prendere il taccuino, e scrivergli di andarsene, quando lui mi fa: “Ti va di andare dall’Ichiraku?” sono confuso. Sai si gratta nervosamente la nuca, mentre lo fisso cauto.

“In nome dei vecchi tempi.” Mi sorride piano, e io accetto con più entusiasmo di quanto mi aspettassi. Vado in camera. Sai non sembra volermi tormentare con domande o altro, ma che voglia solo passare del tempo con me; mi accorgo che è esattamente ciò che desidero. Mi vesto velocemente, buttando all’aria il pigiama, mentre Sai mi osserva sbigottito sull’uscio. Nemmeno lui si aspettava tutto quell’entusiasmo, evidentemente.

Mi vesto solo con una maglietta a maniche corte grigia e un paio di pantaloni di tuta, prendo il taccuino e la penna ficcandomeli in tasca. Sai, sempre con tono incolore, mi chiede:

“Ma non ti lavi nemmeno i denti, dobe?” mi accenna un sorrisetto, e a sentirlo chiamarmi così il mio entusiasmo svanisce. Hai presente quando scoppi un palloncino con uno spillo? Sai sembrava aver fatto lo stesso con la mia esaltazione.

Mugugnando qualche verso iroso, vado di malumore in bagno, e mi lavo i denti. Ne esco ancora di pessimo umore.

“A me non piace molto il ramen, infatti non lo mangio molto spesso.” Chiacchiera Sai, mentre camminiamo diretti al ristorante. Sono grato del fatto che si sforzi di riempire il silenzio, e che riesca tranquillamente a parlarmi del più e del meno. Sembra quasi come se questi 3 anni non siano affatto passati.

Siamo arrivati, mentre Sai continua a parlare. Mi sento straordinariamente tranquillo.

“Non mi piace il ramen, ma so che tu lo ami. Perciò, mangiare ciò che ti piace potrebbe risollevarti il morale. L’ho letto su un libro. Cerco di imparare come poter esprimere e riconoscere le emozioni, e quindi cerco tanti libri che li trattino. A volte leggo libri sentimentali, per capire come riconoscere l’amore, l’affetto, e altra roba del genere. Così quando arriveranno, io lo saprò.” Mi sorride, e io arrossisco un po’. Il suo discorso è davvero carino, e molto più profondo dei soliti. Ricordavo fosse solo pervertito, (quasi al mio livello) ma non ricordavo accennasse nemmeno minimamente a un sentimento. In questi anni, dev’essersi messo di impegno. Apro la bocca per ribattere, ma non una parola esce dalle mie labbra. Prendo il taccuino, e scrivo. Glielo giro.

“Questi sentimenti non si possono imparare su un libro, è la vita a insegnarteli… Ma quanto sei profondo, Naruto-kun… Naruto-kun?” L’ho sentito. Il cuore martella impazzito. Lo sento, è nelle vicinanze. Scorro freneticamente lo sguardo tra la gente, sperando in un fottuto miracolo. Ma la mia vita si sa, può solo andare in discesa e impantanarsi… Le salite non esistono.

“Il tuo ramen, piccoletto.” Mi fa tenero il cuoco, porgendomi una coppa. Guardo, e vedo due uova tagliuzzate, anziché una, galleggiare nel brodo. Quando stavo bene, non lo aveva fatto. Quando stavo bene, mi picchiava con la scopa perché non avevo i soldi per pagarlo. Riesco a malapena a mangiare qualche noodles, mentre Sai mi osserva di sottecchi, come a voler leggere anche me. Ma io sono un libro difficile da leggere.

Sono sempre apparso come un ragazzo gioviale, ma io e te, dentro, siamo sempre stati uguali. Con la stessa sorte, e la stessa rabbia. Solo che io reagivo al tutto diversamente: tu avevi una sensibilità davvero spiccata rispetto alla mia. Mi fulmineresti con gli occhi, se potessi, ma so che cosa sto dicendo: sei una persona emotiva, terribilmente. Cerchi di controllarti, fai l’indifferente, fai finta che niente ti interessi, ma menti a tutti, anche a te stesso. E tu lo sai bene. Alla fine sei scoppiato, hai represso tutto troppo a lungo.

Anche io sono arrabbiato. Anche io odio tutta questa dannata ipocrisia. Prima la prendevo come fosse tutto un gioco, una gara, una sfida… Un qualcosa che dovevo superare, un modo per migliorarmi, e migliorarmi anche ai loro occhi. Se solo potessi sentirmi… che diresti? Che sto dicendo stronzate? O mi ascolteresti in silenzio? Non lo so, sei imprevedibile nelle tue reazioni. E questa cosa l’adoro e la temo al contempo.

“Smettila.” Mi rimprovera Sai. Sussulto, mentre Sai mi passa una mano sulla spalla. “Smetti di tormentarti così.” Non è realmente un rimprovero. E’ un riprendermi senza rabbia. Abbasso lo sguardo, e sorrido. Prendo il taccuino, e scrivo. Glielo faccio leggere.

“Verrai a trovarmi? Ma certo.” Esclama, e io riprendo a mangiare, anche se freddo il ramen è sempre buono! Mi scombina i capelli, arruffandomeli, e io sbuffo. “E comunque, non me ne sto mica andando!”

Mi prende sotto braccio, con fare amichevole, e ci incamminiamo per le strade. Come al solito, non so mai come diavolo vestirmi: stamattina faceva caldo, sul serio. Mentre adesso sento un freddo indecente! Tremo, e Sai lo sente. Si guarda intorno, mi fa “Aspetta qui”. Corre dentro un negozio, e ritorna fuori poco dopo, con una sciarpa immensa, arancione. Me la mette attorno al collo, avvolgendomi. Il calore è quasi immediato. Sorrido debolmente, e Sai ricambia. Muovo le labbra in un “Grazie” silenzioso, sperando riesca a leggere il labiale. Mi scompiglia di nuovo i capelli e io sbuffo, gonfiando le guance. Riprendiamo a camminare.

“Non sono venuto da te prima perché…” si ferma. Sospira. “Non sapevo come fare per aiutarti. Spesso so essere fuori luogo, sono troppo schietto e potevo farti del male, con le parole sbagliate. Anche Sakura mi ha suggerito di non avvicinarmi, non eri dell’umore e nelle condizioni adatte. Mi parla molto di te e… Ogni volta piange.” Abbassa gli occhi, poi li rialza a guardarmi.

“Quel foglio era della mia missione… Faccio da insegnante ai piccoli ninja, eheh… Mi hanno messo a controllare tre piccoletti, indovina? Team 7. Mi fanno credo… tenerezza, ecco. Credo sia quello che provo. Forse voglio loro bene, chissà… Non riesco ancora a comprendere queste cose perfettamente. E, insomma, devono andare alla loro prima missioncina fuori dalla Foglia, nulla di serio… Ma comunque dovevo almeno sapere cosa devono affrontare, no? E quando mi è volato via, avevo appena iniziato a leggerlo.”

Silenzio… Sento che il mio risentimento è scemato. Non importa il passato.

“Naruto… Tu ci credi, nel destino?” mi domanda serio. Gli accenno un si con la testa.

“Dovevo aspettarmelo da un romanticone come te.” Incrocio le braccia teatralmente, ma lui continua.

“Penso che quello di oggi fosse destino. Il destino ha voluto che mi riavvicinassi. Non potrei chiamarlo altrimenti quel foglio che svolazza proprio dritto dritto nella tua finestra…” effettivamente, nemmeno io so spiegarmelo. Sembra quasi come se davvero qualcosa abbia spinto Sai a suonare a quel campanello. Non sembra casualità. Prendo il taccuino e scrivo: “Il destino mi ha fatto davvero un brutto tiro, allora!”

Dopo aver letto mi da un pugno amichevole sulla spalla, ridacchiando.

“Avresti preferito che a suonare il campanello fosse un figo nudo e arrapato, vero?” ecco il pervertito che ricordavo! Arrossisco come un pomodoro, e lo riempio di pugni, sia in testa che sul petto, spalla, dove mi capita insomma. Lui ride, cercando malamente di ripararsi, mentre la gente passa, e vedendoci sorride.








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