Benedetto il Signore
Dedico
questa fanfiction:
a tuttE
quelle persone a cui devo la mia esistenza (sentitevi pure chiamati in causa!)
alle sorelle
che mi fanno macchiare le camicie di vino
ai discemoli
pazienti e disponibili
al mio
troppo giovane padawan
Benedetto il Signore, mia roccia,
che addestra le mie mani alla guerra e le mie dita alla battaglia
Parte 1
“Allora?...Altro da dire?...”
Nonostante il
volto dello skull fosse incapace di esprimere emozioni, la sua disperazione e il
dolore erano più che evidenti. Il capo reclinato in avanti, quasi non riusciva a
fissare in volto l’uomo che aveva di fronte.
Trovava
insopportabile il suo profumo di acqua di colonia, e non riusciva a smettere di
fissare il vuoto dietro la maschera che gli celava metà del viso.
Sebbene
fossero passati anni dall’ultima volta che aveva provato terrore, il custode
dell’arca provava ora in modo talmente vivido quella sensazione da credere che
non l’avesse abbandonato per un singolo istante della sua esistenza.
“Uff…uff…uff…”
Grondò un
fiotto di sangue dalla bocca come per tossire, e la testa gli cadde pesante sul
petto.
Lui si staccò
dalla spalliera dell’elegante poltrona di velluto. Poggiando lentamente il
gomito sinistro sul ginocchio e sporgendosi in avanti allungò la mano destra
fino al tavolinetto di vetro. Presa delicatamente una sigaretta dal posacenere,
con un colpetto del pollice ne fece cadere la metà ormai consumata dal tempo e
se la portò alla bocca, facendo un lunghissimo tiro. La luce che ardeva dalla
sigaretta illuminò per un attimo il suo volto, impassibile e freddo come
catturato da uno spettacolo irresistibile ma al contempo vacuo. L'uomo rimise la
sigaretta nel posacenere, e con i polpastrelli sollevò il mento dello skull come
per guardarlo in faccia.
Ruotando il
volto leggermente verso sinistra lasciò andare il fumo. Poi avvicinò la mano
alla fronte del servo del Conte e, disegnando con il pollice una croce, recitò
con voce ferma:
“In nomine Patris... et Filii...
et Spiritus Sancti...”
Un leggero colpetto alla fronte dello skull
con il dito medio ed indice accoppiati e la testa della creatura si spostò
pesantemente all’indietro, il sangue che usciva dalla bocca disegnando un arco.
Il corpo, sbilanciato, cadde pesantemente all’indietro trascinando con sé la
sedia di legno al quale lo skull era stato legato, finendo con un sordo tonfo
sul tappeto veneziano bordeaux già macchiato dal sangue macabro e scuro.
L'uomo si
riappoggiò alla spalliera della poltrona.
“…Direi che
possiamo procedere… ”
disse,
riprendendo la sigaretta e facendo un altro tiro.
“…Direi anche
io… i tempi sono maturi, ormai…” rispose una voce dell’angolo della stanza di
fianco al camino. Lentamente la figura che aveva appena parlato uscì dalla
penombra e si incamminò verso il centro della stanza, le braccia lungo i
fianchi. Sul suo volto indefinito spiccava un lungo sorriso a spicchio di luna,
che però non emanava gioia né pace, e i suoi occhi grandi ed ovali non tradivano
nessuna emozione.
“I margini
sono stretti, credo ti convenga rispettare gli accordi…”
“Uhm, mio caro
Cross... non starai mica tentennando, vero?”
“Naah! Ci
tengo solo a ricordarti che nel nostro contratto non è prevista nessuna penale
per la rescissione se non la dannazione... prospettiva non certo più piacevole
per te che per me…”
Un silenzio
pesante scese nella stanza, lo scorrere del tempo dettato solamente dal fumo che
usciva dalla sigaretta, ormai quasi del tutto consumata, che l’esorcista teneva
nella mano poggiata sull’ampio bracciolo della poltrona. L’aria era impregnata
dell’odore del fumo e del sangue. Entrambe le figure erano ferme, immobili, gli
unici movimenti erano quelli del fuoco che scoppiettava sottotono, inquieto, e
il tremolio delle candele.
Improvvisamente la voce della figura, che rapidamente e silenziosamente si era
portata alle spalle di Cross, squarciò il silenzio:
“…tra 48 ore,
come stabilito, nel luogo stabilito. 'Alea iacta est'!!!”
Una folata di
vento entrò inspiegabilmente nella stanza, circondando la figura. Così com'era
apparso il turbine si dissolse portandola con sè.
Con un pesante
sospiro Cross spense la sigaretta nel posacenere e si alzò dalla poltrona,
facendo leva sui principeschi poggia-mani, per poi dirigersi verso la grande
porta di ciliegio di fronte al camino. Subito accanto alla porta c'era un
mobile, e su quel mobile dei guanti di seta bianchi che prese e indossò. Con
indice e pollice prese una piccola bacchetta che sorreggeva una campana
d’argento finemente decorata con disegni floreali, e con questa fece il giro
della stanza per spegnere le candele ancora accese. Una volta risistemato
l'oggetto aprì il pesante portone, ma prima di uscire si volto verso il camino.
Sopra di esso, illuminato dalla luce del fuoco che aveva ripreso a scoppiettare
più vivacemente, faceva bella mostra di sé un trittico. Un sorrisino apparve sul
volto del generale, che fissando l'immagine di Nostro Signore ripeté:
“Alea iacta
est…”
Il portone si
richiuse e salvò la stanza dal gelo dell’esterno.
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