Team Blondies
Team Blondies
Alistair
Leliana lo
aveva
guardato non nascondendo di nutrire poca fiducia nei suoi confronti, mentre
Morrigan sghignazzò della grossa andando a
riscaldarsi a un fuoco più lontano dall'accampamento. Wynne
invece gli sorrise incoraggiante e non credette affatto a Zevran che si offrì di dargli
una mano: probabilmente era una scusa per prenderlo per i fondelli.
«Pensano che sia un idiota? Gliela farò vedere
io» borbottò Alistair, iniziando a preparare lo
stufato.
Quella sera avrebbero mangiato dell'agnello, un pranzo regale rispetto
alla carne secca che sbocconcellavano quando non riuscivano ad andare
in una locanda o rispetto alla scarsa selvaggina – gli
ricordavano i pasti troppo snob a corte dell'arle – cacciata
da Leliana e da quell'elfo.
La carne era magra, notò Alistair con approvazione, e
facendo
cadere i pomodori nel paiolo gli sovvenne Duncan: lui aveva preparato spesso
quel pasto, durante le mangiate tra Custodi Grigi, raccontandosi
aneddoti che il guerriero trovava spassosi.
Adesso quelle scene gli apparivano così lontane,
evanescenti, ricordi che parevano quelli di una vita di secoli
addietro. Gli unici Custodi erano lui e Sheridan, che in quel momento
era a fare la guardia e che lui trovava così distante.
Immaginò che anche per lei fosse difficile andare avanti dopo
la morte di una persona cara e divenne ancora più triste.
«Alistair? Stai badando allo stufato o è lo
stufato che bada a te?» quella domanda lo destò
dai suoi pensieri e alla sua sinistra vide una chioma ricciuta che lo
scrutava.
Sobbalzò e avvicinò d'istinto una mano vicino la
pentola, scottandosi.
«Accidenti!» urlò.
«Fammi vedere» fece Sheridan «dai, non
è nulla, ci penso io» e rapidamente il mana
curativo lenì il dolore e curò l'ustione.
La ragazza prese poi il cucchiaio e assaggiò la cena:
«Buono, è come quello che faceva
Duncan!»
«Ne sono contento» e Alistair si sentì
meglio.
“Quando vuole
sa essere gentile.”
[300
parole;
prompt: scottarsi mentre si cucina]
***
Anders
Passandosi
una mano
sul volto si massaggiò le tempie: la stanchezza si faceva
sentire, ma sapeva che i bisognosi di Kirkwall potevano necessitare
delle sue cure in qualsiasi momento e pensava di far loro un torto
chiudendo la clinica – anzi, la catapecchia – anche
solo per alcune ore.
“Un po' di
riposo mi farebbe bene”, si disse
soffocando uno
sbadiglio, ma un timido “miao” lo
riportò alla realtà e non poté fare a
meno di sorridere.
«Ciao, piccolo» disse al gatto, certo che
lo
capisse, porgendogli una scodella di latte.
Era già venuto altre volte, quel micio, ma quella fu la
prima volta che permise ad Anders di accarezzarlo e il giovane ne fu
contento.
Anders passò le mani tra quel pelo folto e fulvo, il gatto
gradiva quelle attenzioni: facendosi vezzeggiare aveva perso il suo
atteggiamento fiero, mostrando un'inaspettata dolcezza, e il suo
pensiero andò alla gentilezza di una maga orgogliosa, ma che
lo guardava con tanta – immeritata
– bontà.
«Vieni,
mio
bel gatto, sul mio cuore innamorato»
recitò distrattamente.
“Le farei del
male, non lo merita; la respingerò”
pensò, ma non ne era molto convinto; teneva a
Muirne, ma
Giustizia scalpitava, rabbioso, come a impedirglielo.
«Ti chiamerò Hawke» fece soffermandosi
sugli occhi verdi della creatura, che tanto gli ricordavano quelli
ammalianti della ragazza: lei era una gatta che si muoveva lenta e
sensuale.
Continuando a coccolare la palla di pelo, immaginò di
sfiorare la pelle nivea di lei, baciandola, vederla muoversi contro di
lui, amarla con passione, carezzarla e sentirla apprezzare i tocchi
come un gatto che fa le fusa.
Prese il felino – una
gatta, notò – in braccio e
lo
portò sulla sua branda, giocando ancora con lei; pian piano
il sonno lo avvinse nel suo dolce oblio e si addormentò,
sognandola ancora: quello era ormai il suo unico placebo.
[300
parole;
prompt: accarezzare un gatto]
***
Cullen
“Sii
carino.”
Tornando ai suoi alloggi, Cullen ripeté tra
sé le
parole che Josephine e Leliana gli avevano detto, ragguagliandolo su
quelle faccende di Halamshiral che a lui non interessavano affatto.
Aveva avuto il sentore che andare a corte lo avrebbe fatto sentire
fuori posto e non si era affatto sbagliato.
«Come se io cercassi moglie tra le nobildonne orlesiane,
inaudito! Cosa vuoi che me ne importi?» esclamò
con rabbia, ma poi si guardò attorno, sperando che nessuno
fosse nei paraggi e che avesse udito quello scatto.
“Non
è appropriato che urli come un adolescente”,
si rimproverò, “ma
non sono nemmeno un pezzo di carne in vendita, per il
Creatore!”
Per quanto avesse avuto, parecchi anni addietro, un interesse
– purtroppo fallito e per colpa delle circostanze –
amoroso, che gli aveva recato una seppur breve felicità,
dopo gli avvenimenti del Circolo prima e di Kirkwall poi, Cullen non
riusciva a immaginare come potesse essere l'avere una donna al suo
fianco, starle vicina, perché in cuor suo sentiva che non
era quella la sua strada.
“Chi mai
vorrebbe un vecchio brontolone come me?”,
commentò sconsolato, e alzò gli occhi al cielo,
esasperato, per poi gettare uno sguardo all'ampio patio, da dove
provenivano delle urla feroci, di un allenamento un po' troppo vivace.
“Le Furie; chi
altri se non loro?” e con quel
pensiero allegro
Cullen allontanò quelli precedenti.
«Dalish, prova a scagliare una palla di
fuoco!»
fece il secondo del Toro.
«Col mio arco?»
chiese l'elfa chiamata Dalish.
«Sì!» ruggì Krem
«Col tuo arco!»
“Arco?
È un bastone magico, quello!”
Incuriosito da lei, andò verso di loro e li
osservò allenarsi in silenzio, senza disturbarli.
«Furie! Basta così, andiamo a farci un bicchiere!
Anche tu, Cullen, sei invitato.»
«Comandante, unitevi anche voi!»
ripeté Dalish sorridendo.
«Certo, volentieri» e ricambiò il sorriso, sereno.
[300
parole;
prompt: alzare gli occhi al cielo esasperato]
***
Varric
Passeggiando per le
strade della Città Inferiore, era solito curiosare tra le
bancarelle: di tanto in tanto, tra quelle chincaglierie, riusciva a
trovare dei veri e propri piccoli tesori, sia per il loro valore
materiale, sia per il loro valore immateriale.
Si soffermò nel vedere una statuetta, dipinta
minuziosamente; la sovrana spesa – a suo dire – era
nulla rispetto al sorriso che avrebbe fatto la persona a cui l'avrebbe
regalata. Sogghignò, immaginando la faccia di lei e si
diresse all'Impiccato:
si erano dati appuntamento lì e Hawke non perdeva mai
l'occasione di bere col suo nano preferito.
«Questa è per te, Hawke» disse
porgendole il regalo.
«Cos'è, un'aquila?» chiese.
«Un'aquila che si libra in volo, fiera e sprezzante, pronta a
spaccare i culi, proprio come te. Mi ha ricordato te e ho voluto
regalartela.»
«Oh, Varric… è bellissima! E tu sei
stato gentilissimo, oserei dire romantico: vuoi dichiararti a
me?» fece Muirne con un sorriso sghembo, e Varric si
sentì come se la stanza non avesse più aria a
sufficienza per farlo respirare.
Gli occhi della maga ardevano, ma non sapeva se fosse per l'effetto
dell'ironia – non aveva bevuto – o del… desiderio? Che
fosse desiderio?
Diavolo, Hawke era bella, eccome se lo era, ma tutto ciò lo
metteva a disagio: si sentiva strano al pensiero di sentirsi attratto
da lei, eppure quella fantasia lo stuzzicava sempre più.
L'immagine di quella statuetta parlava per Hawke: la sua bellezza era
selvaggia, volitiva, indomabile, dannatamente sarcastica – e
Varric amava il sarcasmo, che
il flagello mi colga se lo negassi! – e per
questo affascinante come poche.
Mandò giù il nodo venutogli alla gola e
replicò: «Io credo che sia tu a essere attratta da
me, i peli sul petto sono affascinanti.»
«Direi più la tua lingua,
cantastorie.»
«Ruffiana, offrimi da bere.»
“Devo
assolutamente bere qualcosa.”
[300 parole;
prompt: A vede un oggetto che gli ricorda B e glielo regala]
***
Zevran
Calore.
Era questa la prima parola che le veniva in mente se avesse voluto
definire quello che stava vivendo, alla mercé di lui, al
centro di quel letto matrimoniale che tante volte l'aveva ospitata
sola, priva del piacere che lei era costretta a dare, ma che non
riceveva mai.
Sentì il suo volto avvampare, e lo stesso accadeva per il
resto del suo corpo: Isabela fremeva, le membra che bruciavano, mentre
quell'elfo – Zevran, la sua mente le ricordò che
si chiamava Zevran – saggiava ogni centimetro della sua
pelle, con parsimonia, come a non voler farle perdere nessuna
sensazione.
Occhi, mani, bocca: tutto era permesso e tutto andava verso l'illecito.
Il Corvo la assaporava, la lingua nelle sue carni, Isabela che
rispondeva avvicinando ancora di più i lombi al volto di
lui.
Lei si mordeva le labbra, cercando di trattenere i gemiti, un godimento
che non provava da tanto, tantissimo tempo, mentre Zevran la spingeva
sempre più verso il limite.
S'interruppe, osservando lo sguardo liquido di lei: «Voglio
sentirti ancora, Isabela, lasciati andare.»
«È mattino, mio marito potrebbe tornare da un
momento all'altro» fu la risposta di lei. Per quanto fosse
decisa a voler farsi odiare da lui, qualcosa la frenava.
«Non preoccupiamocene prima del dovuto, non è
ancora arrivato,
no? Però potresti venire
tu» fece maliardo «una donna bella come te non
dovrebbe negarsi nulla.»
Isabela chiuse gli occhi, gli ultimi scrupoli andarono via, perdendosi
in lui.
«Zevran...»
Improvvisamente sentirono una porta che si apriva: Luis.
«È lui!»
Zevran sorrise, comprensivo: «Ci rivedremo, Isabela,
è una promessa.»
E dandole un ultimo bacio, provando a resistere alla tentazione di
attirarla nuovamente a sé, scappò dalla finestra,
cercando di non cadere dal tetto mentre si infilava i pantaloni.
“Se riesco a
non rompermi l'osso del collo, potrò davvero dire di essere
fortunato.”
[300
parole;
prompt: sul letto, cercando di trattenere i gemiti]
Angolino
autrice: lo so, questa è pura follia! Il fatto che
me lo dica da sola non vuol dire che sia meno folle, ecco.
Tutte e cinque le triple drabble partecipano per l'iniziativa di Torre
di Carta: Sette
giorni e tanti Prompt - drabble & flashfic special edition.
Mi sono divertita tantissimo e fino a stasera chissà
cos'altro mi verrà in mente!
Allora, iniziamo col dire il perché di questa raccolta: io
vengo sempre maggiormente colpita dai biondini se si parla di uomini, e
quelli di Dragon Age non fanno eccezione (a parte Alistair, che non
apprezzo), quindi mi son detta "perché non provare a
scrivere di tutti i biondini che compaiono nei giochi?". Ecco qui
quindi la raccolta. Notate il nome del personaggio scritto con colori
diversi: ho provato ad avvicinarmi al colore dei loro capelli, che cosa
chic, vero? XD
Trecento parole: perché? Perché volevo sfidare me
stessa nel definire delle situazioni in un limite massimo di parole al
di sotto delle cinquecento, dato che tendo spesso a utilizzarle fino
alla fine.
Ho provato anche a tratteggiare Alistair, per quanto lo abbia sullo
stomaco ed essendo che è la prima volta che scrivo di lui
(come di tutti i biondini, a parte Zevran) spero di non aver fatto
pastrocchi.
Che dire più? Quando Alistair dice che anche la Custode ha perso qualcuno lo dice perché Sheridan è vedova; nel mio background che esula al di là delle origini del gioco, la mia custode è una maga fereldiana trapiantata nel Tevinter, sposata a un magister particolare. Ne saprete di più appena posterò la mia long su di lei.
La citazione di Anders in corsivo è il primo verso de "Il
gatto", sonetto di Baudelaire che amo particolarmente e che ho trovato
adatto per lui che prova qualcosa per Hawke, mentre Giustizia gli dice
di farsi gli affari suoi.
Io shippo Cullen con Dalish; per me questa coppia ha del potenziale e
mi piacerebbe con delle storie mostrarvi come e perché mi
piacciono, sperando di esserne all'altezza.
Varric e Hawke... cielo, sì, loro due sono una delle mie due
BROTP del cuore per cui secondo me la loro amicizia è un
ottimo presupposto per qualcosa di più (l'altra è
Jiraiya/Tsunade); penso che Varric sia colpito da Hawke e che forse un
pensierino (ma anche due) se lo sia fatto.
Zevran e Isabela, eh eh, loro si conoscevano ad Antiva e stando alla
Wiki di Dragon Age il marito di Isabela non era molto presente e lei ha
iniziato a frequentare lo stronzetto per far arrabbiare il marito. Ho
voluto parlare della famosa scena di Zev che scappa nudo, l'ho sempre
immaginata esilarante!
Spero che le storie vi siano piaciute, fatemi sapere cosa ne pensate.
Grazie di tutto,
Barbara
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