Cominciò
tutto in quel giorno di pioggia
『#1. Cominciò tutto in quel giorno di
pioggia 』
Miles era seduto sugli scalini
del portico coi gomiti poggiati sulle ginocchia e gli occhi puntati
sulla strada, in attesa. Isabelle lo vide quasi subito, avvertendo una
stretta all’altezza dello stomaco che cercò di ignorare.
Levandosi i capelli dalla
faccia con una smorfia, corse sotto la pioggia fino a raggiungerlo,
avvampando quando incontrò il suo sguardo divertito.
Lui le percorse il corpo con
gli occhi per un paio di secondi, prima di parlare. «Una doccia così
non l’augurerei a nessuno.»
«Ma non mi dire» brontolò lei,
tirando su col naso. «Stai aspettando Thomas?»
Miles scosse il capo, una
scintilla d’impazienza sul volto sicuro. «Perché mi chiedi la stessa
cosa tutti i giorni?»
«Perché tu vieni qui tutti i
giorni?» lo rimbeccò Isabelle, guardandolo dall’alto in basso.
«Per caso è successo qualcosa?
Mi sembri vagamente nervosa» Miles le fece un sorrisetto. «Ma giusto un
po’.»
«Sono bagnata fradicia e ho
freddo, scusa se sono vagamente
nervosa.» Isabelle lanciò un’occhiata alla porta, poi tornò a
fissarlo. «Vado a cambiarmi e torno. Tanto non hai nessuna intenzione
di entrare, vero?»
Miles annuì.
Isabelle corse dentro e ci
mise un quarto d’ora per cambiarsi e asciugare
un poco i capelli. Quando tornò sul portico, trovò Miles intento a
contemplare una pozzanghera, quasi fosse la cose più interessante del
mondo.
«Bella vista?»
Lui sussultò e si voltò a
guardarla, facendole segno con la mano di sedersi. «Non direi. Allora,
oggi cos’è successo?»
Ogni giorno, da circa sette
giorni, Miles l’aspettava sotto il portico quando tornava dal lavoro.
Le chiedeva come avesse passato la giornata, come fosse andata al
negozio, come se la passasse a scuola – domande innocue, dette con un
sorrisetto malizioso e a volte con espressione meditabonda. Isabelle parlava tanto, più
di quanto facesse di solito, e raccontava qualsiasi cosa le passasse
per la testa. Le brutte persone, i piccoli incidenti, i litigi,
le gioie, le brutture e le delusioni – ogni aspetto delle sue giornate
si trasformava in uno sfogo che Miles accoglieva con qualche battuta o
in perfetto silenzio, senza lasciarsi sfuggire una parola.
Una parte di Isabelle amava
tutto ciò.
«Quindi è per questo che sei
arrivata bagnata fradicia? Ti hanno rubato l’ombrello al bar?» Miles scoppiò a ridere e alzò
una mano per impedire a Isabelle di prenderlo a schiaffi. «Scusa,
scusa! Non riderò più.»
«Bravo!» Isabelle incrociò le
braccia al petto e guardò la pioggia che cadeva di fronte a loro. Un
brivido le percorse la schiena. «Non mi hai ancora spiegato perché
vieni qui.»
Miles sbuffò. «Ci deve essere
un motivo?»
«Non vieni per parlare con mio
fratello e mi aspetti quando torno dal lavoro. Inoltre ti rifiuti di
entrare in casa, quindi… sì, deve esserci un motivo.»
Plic.
Passandosi una mano sul retro
del collo, Miles borbottò: «Mi piace sentirti parlare, va bene?»
Isabelle spalancò gli occhi.
«Tutto qui?»
Con un sospiro, lui le fece un
sorriso teso e annuì. «Più o meno. Ma non ho voglia di parlarne. Sono
qui per sentire te.»
Uno sguardo significativo, poi
nient’altro.
Così Isabelle – guance in
fiamme e brividi che nulla avevano a che vedere col freddo della sera –
riprese a parlare.
Dei propri pensieri, dei
propri sentimenti.
Ancora per un altro giorno.
『 #2. Lei sa che gli
dispiacerebbe 』
«Sai che si gela, piove a
dirotto e rischio di prendermi un raffreddore?»
Quando gli si fermò di fronte,
Isabelle lanciò un’occhiataccia a Miles, seduto ad aspettarla nello
stesso posto come faceva ormai da due settimane – in quale modo
riuscisse a starsene lì al freddo come se nulla fosse era un mistero.
Lui si pizzicò il naso con due
dita, poi scrollò le spalle. «Io non sento niente, ma se hai freddo
puoi vestirti un po’ di più,» la squadrò attentamente, «anche se quella
camicetta è proprio carina.»
Avvampando, Isabelle scosse il
capo e cominciò a salire i gradini. «Farò finta di non aver sentito.
Aspettami qui» aggiunse poi, entrando in casa. Infilò le chiavi in uno
dei ganci sulla parete nell’angolo e corse a mettersi un maglione, poi
decise di andare in cucina.Alcuni minuti dopo raggiunse
Miles con due tazze in mano e la netta sensazione che si sarebbe presto
pentita di quel piccolo gesto cortese.
Meravigliato, Miles prese la
tazza che Isabelle gli porgeva e studiò il suo contenuto. «Wow, grazie.»
«Perché quella faccia
sorpresa?»
«Se ci pensi bene, tu
praticamente mi odi» spiegò lui, sollevando le sopracciglia scure. «La
cioccolata calda è l’ultima cosa che mi sarei aspettato da te. A meno
che non ci sia del veleno dentro. Ma la berrò sulla fiducia» aggiunse
veloce, schivando uno schiaffo – l’ennesimo.
Isabelle strinse la propria
tazza fra le mani con un moto di irritazione, assorbendo il calore che
sprigionava, e osservò il fumo che si levava verso l’alto; il profumo
amaro della cioccolata le colpì le narici, facendole venire l’acquolina in bocca.
«Per caso hai perso la
lingua?» la punzecchiò Miles dopo qualche minuto. «Non che mi
dispiaccia...»
«Cretino» borbottò Isabelle,
bevendo un sorso di cioccolata. «Cavolo, che buona! E comunque so che ti
dispiacerebbe, dato che vieni qui solo per sentire quello che dico. O
sbaglio?»
Lui ridacchiò, assaggiò la
propria cioccolata e alla fine le sussurrò un debole: «Touché.»
『#3. Pessimi gusti in fatto di
donne 』
«Un giorno mi spiegherai
perché non vuoi entrare in casa?»
Miles tese le braccia
all’indietro posando le mani sul pavimento del portico e inspirò
profondamente. «Direi proprio di no.»
«Quando sei con Thomas entri
sempre» gli fece notare Isabelle, soffiando via una ciocca bionda che
le era finita sulle labbra mentre parlava. «Non ti fai di certo
pregare.»
«Con lui è diverso.»
«Non ne vedo il motivo.»
Miles alzò una mano e cominciò
a pungolarle la spalla con un dito. «Tu non lo vedi, ma io sì e
tanto basta.»
Isabelle spalancò la bocca per
ribattere, ma la richiuse quando notò l’antenna che spuntava dalla
borsa del ragazzo, abbandonata su uno degli scalini sotto di loro.
«Cos’hai lì dentro?»
Visibilmente perplesso, Miles
seguì il suo sguardo. «Suppongo sia una radio portatile.»
«“Supponi”?»
«Sai che certe volte sei un
pochino irritante?»
«Solo quando sono obbligata a
parlare con te» sibilò Isabelle sulla difensiva, le guance
improvvisamente calde – lui la fissava con quel suo maledetto
sorrisetto e gli occhi azzurri appena sollevati al cielo, simulando un
fastidio che in realtà non provava affatto. Per sfuggire a quello
sguardo, Isabelle si alzò e andò dritta verso la sua borsa prima che
potesse fermarla; l’aprì e prese la radio fra le mani, notando che era
accesa e col volume totalmente abbassato.
«Belle, rimettila a posto» le
ordinò Miles, nella voce un avvertimento che annunciava ritorsioni.
«Andiamo, è solo una radio. A
meno che qualcuno qui non ascolti roba mortalmente imbarazzante.
Ascolti roba mortalmente imbarazzante?»
«Quando Thomas dice che sei
alquanto ficcanaso…» grugnì Miles, mettendosi in piedi senza alcuna
difficoltà, «forse non ha tutti i torti.»
«Sì, ascolti musica
mortalmente imbarazzante.»
E prima che Isabelle potesse
alzare il volume, Miles le tolse dalle mani la radio e la spense,
borbottando sottovoce di bambine dispettose e pessimi gusti in fatto di
donne.
Tutte cose che Isabelle, per
fortuna, non sentì.
『#4. Quel vestito 』
La macchina di Katrina frenò
di botto e Isabelle desiderò averne una tutta per sé come Thomas,
perché un altro viaggio del genere le avrebbe fatto vomitare persino
l’anima. Salutò la sua migliore amica con un sorriso tirato e scese
dalla vettura, sistemandosi meglio la borsa a tracolla sulla spalla, la
luce di un lampione che gettava ombre terrificanti sul marciapiede.
Si accorse di chi l’aspettava
sotto al portico solo quando fu abbastanza vicina da incrociare quello
sguardo, e un imbarazzo privo di senso le colorò le guance. Sperò che
quel rossore non si vedesse al buio – per una sciocchezza del genere
Miles sarebbe stato capace di prenderla in giro fino alla morte.
«Perché sei qui?» si limitò
invece a domandare, schiarendosi la gola quando salì sull’unico gradino
non invaso dal suo corpo.
Miles non le sorrise come al
solito, ma si limitò a fissarla per un lungo istante, prima di
rispondere. «Io e Thomas abbiamo finito di vedere un film qualcosa come
un’ora fa. Tu però non eri ancora tornata, così sono rimasto qui fuori
ad aspettarti» confessò.
«Oh.» Che risposta
intelligente. «Non ce n’era bisogno.»
«Lo so.»
Isabelle si morse il labbro,
notando la strana espressione dipinta sul volto del ragazzo. «Per caso
è accaduto qualcosa mentre non c’ero? Fra te e Thomas?» azzardò,
parlando lentamente.
«Io e Tom non litighiamo mai»
le ricordò Miles, accennando un sorriso. «Piuttosto, Belle, quel
vestito non è un po’ troppo… scollato?»
Colta di sorpresa, Isabelle si
guardò rapidamente, non trovando niente di male in ciò che indossava.
Forse la gonna era un pochino più corta rispetto a quelle che portava
di solito – arrivava a malapena alle ginocchia – ma la scollatura a V
nella parte superiore del vestito mostrava solo un accenno di curve,
nulla di eccessivamente scandaloso.
«Non ha niente che non vada.»
«È minuscolo» brontolò Miles.
Isabelle non riuscì a
trattenere una smorfia. «Cavolo, sembri Thomas quando fai così, ma
senza l’aria di dover vomitare da un momento all’altro.»
Mormorando un’imprecazione, il
migliore amico di suo fratello balzò in piedi e scese i gradini con le
mani infilate nelle tasche del giubbotto e lo sguardo cautamente
abbassato.
Quando le fu accanto, però, le
scoccò un’occhiata e si fermò. «Sai, Isabelle, dovresti
vederti con i miei occhi per comprendere perché non ho l’aria di voler
vomitare. Capiresti molte cose.»
Poi se ne andò, lasciandola lì
col cuore in subbuglio e la mente piena zeppa di pensieri.
『#5. Non sono cose che mi
riguardano 』
Miles non era da solo. Accanto
a lui, seduto comodamente sui gradini con una lattina birra in una mano
e una sigaretta nell’altra, c’era Thomas.
Isabelle si bloccò sul
marciapiede sperando di non essere vista e rimase a fissarli per un
po’, avvertendo nel petto una fitta di disagio che non aveva nulla a
che vedere con suo fratello.
Il comportamento di Miles, la
notte precedente, l’aveva colpita più di quanto fosse disposta ad
ammettere. Il modo in cui si era
soffermato a guardarla, la sua irritazione per il vestito che
indossava, le parole che aveva pronunciato prima di abbandonarla su
quel maledetto portico col cuore a mille e il fiato corto – era rimasta
talmente turbata che quella notte i suoi sogni erano diventati un
mescolarsi di occhi azzurri e sospiri trattenuti.
Quel ragazzo la faceva sentire
strana.
Si guardò i piedi per alcuni
secondi, raccogliendo timidamente i pensieri, e levò gli occhi verso il
portico solo quando fu sicura di aver messo da parte ogni incertezza,
incontrando lo sguardo azzurro di Miles.
Da quanto tempo se ne stava lì
a fissarla?
Thomas non l’aveva notata,
continuava a parlare con l’amico senza rendersi conto di aver perso
tutta la sua attenzione e agitava la sua lattina con fare concitato,
completamente preso dal proprio racconto.
Isabelle non seppe come
interpretare quella reazione, ma giurò di aver visto un lampo di
pentimento passare sul viso di Miles, prima che questi sollevasse di
scatto una mano per salutarla e far capire a Thomas che non erano più
soli.
Scacciando ogni pensiero su
quello che era successo fra di loro, la ragazza si affrettò a
raggiungerli, stampandosi in faccia un sorriso così finto che Miles
inarcò un sopracciglio, dimostrando di aver colto quella messinscena.
«Ehi, sorellina!» Thomas si
alzò e la stritolò fra le braccia come se non la vedesse da anni.
«Com’è andata al negozio? Qualche gattino ti ha preso di nuovo di mira?»
Nessun gattino, solo il tizio che ti siede
accanto. «No, direi che è stato un pomeriggio
piuttosto noioso. E tu, invece? Non dovresti essere al campus?»
«Non oggi. Ho convenuto con
Miles che una giornata priva di libri e caos universitari fosse un
ottimo modo per ricaricare le batterie. E poi il nostro amico ha l’aria
depressa.»
Per la prima volta da quando
lo conosceva, Isabelle vide Miles in imbarazzo. «Non è vero.»
«Oh, sì invece» esclamò Thomas
ridendo. «Quando sei apparso al campus col musone, stamattina, per poco
non mi è preso un colpo! Secondo me ha un debole per una» aggiunse,
lanciando un’occhiata d’intesa a Isabelle, che cercò di ricambiarla
soffocando un moto di panico.
«Tu dici?»
Miles la fissò. «Non starlo a
sentire.»
«Tanto non sono cose che mi
riguardano» rispose lei, regalandogli un sorriso affettato. «Ora devo
andare a studiare. Ci vediamo dopo.»
Non sono cose che mi riguardano.
Eppure, quando si chiuse la
porta di casa alle spalle e vi si poggiò contro, Isabelle ebbe la
sensazione che in realtà tutta quella faccenda la riguardasse eccome.
『#6. Ti desidero 』
Quel giorno Isabelle era
tornata presto a casa, dato che il negozio di animali in cui lavorava
era chiuso e il suo proprietario, il signor Stevenson, in viaggio verso
la città natale della moglie
Quel cambio di programma aveva
modificato la routine di un normalissimo giovedì, trasformandolo in una
domenica come le altre in cui Miles era costretto a suonare alla porta,
aspettandosi di trovare Thomas con lei.
Naturalmente non sarebbe
andata così.
Dopo aver sistemato gli odiati
compiti di geometria in un angolo della scrivania, Isabelle lanciò
un’occhiata all'orologio appeso alla porta della propria stanza e si
mordicchiò il labbro, conscia dell’imminente arrivo di Miles.
Avrebbe suonato alla porta?
Isabelle lo aveva avvisato la sera precedente, prima che tornasse a
casa – era stato difficile parlargliene, i suoi occhi azzurri non
avevano fatto altro che studiarla per tutto il tempo – e lui non aveva
detto nulla, si era limitato ad annuire e a voltarle le spalle.
«Vorrei sapere cosa gli passa
per la testa» si disse preoccupata, alzandosi per andare al piano di
sotto; ciabattò fino in cucina e scostò una delle tende sopra il
lavandino per esaminare il portico.
Vuoto.
«E se non venisse?» un altro
pensiero detto ad alta voce, una piccola paura interiore.
Si allontanò dalla finestra e
prese del succo d’arancia dal frigorifero; se ne versò un po’ in un
bicchiere e poi lo mandò giù lentamente, le dita della mano libera
aggrappate ai bordi del tavolo e un desiderio folle che le cose non
fossero così complicate.
Amava parlare con lui e
trascorrere qualche ora senza doversi preoccupare di tutto il resto.
Se non si fosse fatto vivo,
come si sarebbe dovuta comportare?
Fino a tre settimane prima,
quando quelle visite erano iniziate, non avrebbe mai pensato di poterle
desiderare o sentirne la mancanza. E non si trattava solo
dell’occasione di sfogarsi e tirare fuori tutto ciò che normalmente non
si sarebbe mai azzardata a confessare, no; si trattava di Miles, del
modo in cui l’ascoltava senza mai darle l’impressione di volerla
giudicare. Si trattava della sua compagnia, del suo esserci, del suo
apprezzarla malgrado i difetti.
Posò il bicchiere vuoto sul
tavolo e lo fissò con sguardo vacuo, prima che qualcuno si mettesse a
suonare il campanello come un forsennato, riportandola bruscamente alla
realtà.
Che diavolo...
Corse alla porta e la spalancò
con uno strattone, giusto in tempo per vedere un mazzolino di fiori
rossi abbandonato sul tappeto e Miles che correva via.
Isabelle urlò il suo nome
senza riflettere e lui si bloccò con un sussulto; si voltò a guardarla
e lei gli lesse negli occhi ciò che i fiori ai suoi piedi esclamavano
in tutti i modi possibili.
“Mi dispiace per come mi sono
comportato.”
Poi corse di nuovo via,
levandole di dosso quegli occhi tristi.
Le aveva lasciato dei
gelsomini rossi.
Isabelle amava i fiori e lui
lo sapeva: una volta si era dilungata a spiegare il significato di
ognuno di essi, elencando persino le differenze fra un colore e
l’altro. Miles aveva assorbito quelle piccole informazioni come
faceva con il resto, deciso a non dimenticarle.
Per questo aveva scelto i
gelsomini rossi. Non voleva solo chiederle scusa, ma dirle “ti
desidero”.
Perché i suoi non erano i
sentimenti di un amico e ne era pienamente consapevole.
『#7. Il significato di quei fiori 』
Una volta tanto sarebbe stata
Isabelle ad aspettare Miles.
E lui non si fece attendere.
«I ruoli si sono invertiti» fu
la prima cosa che disse avvicinandosi al portico, una mano in tasca e
l’altra abbandonata lungo il fianco, inerte. «Quindi il negozio è
chiuso anche oggi?»
Isabelle annuì – un gesto
tipico di Miles – e gli fece cenno con la mano di sedersi accanto a
lei, indicando poi la lattina che teneva in grembo da qualche minuto.
Miles fece come gli era stato
detto e le si sedette accanto, evitando però di guardarla negli occhi.
Ora le loro gambe si
sfioravano.
«Grazie per i fiori» disse
Isabelle, porgendogli la bibita. «Devo dire che è stato molto… romantico da
parte tua.»
Forse era stato più che romantico, ma
Isabelle si trattenne dall’aggiungerlo.
Scrollando le spalle, Miles
afferrò la lattina e se la rigirò tra le mani. «Una lattina di Pepsi?
Se è la tua risposta ai fiori, devo dirti che in quanto a fantasia non
ci siamo proprio.»
«Non mi sto scusando con la
lattina, santo cielo!» Isabelle abbassò il capo per un secondo, poi si
sistemò i capelli dietro le orecchie e lo sollevò di nuovo per tornare
a guardarlo, sperando di non diventare rossa. «Era solo un modo per
rompere il ghiaccio.»
«Oh, beh» fece lui, «direi che
è servita allo scopo. Però la prossima volta offrimi una Coca-Cola, la
Pepsi è un po’ di serie b...» Isabelle gli diede una gomitata. «Ahi! Andiamo,
Belle, scherzavo!»
Certe cose non sarebbero
cambiate mai.
«I fiori» disse Miles aprendo
la lattina, «non li ho presi proprio a caso, spero tu lo abbia capito.»
Allora non se lo era solo immaginato.
«Io credo di… di averlo
capito, sì,» le uscì un balbettio indistinto che la mise a disagio, «ti
sei ricordato della mia ossessione per i fiori.»
«Quella lezione è stata utile.
Mi sono ricordato persino dei significati.»
«Nei sei sicuro?»
«Di cosa?»
Isabelle si agitò. «Di
ricordarli. I significati, intendo.»
Miles posò la Pepsi a terra
dopo aver dato una lunga sorsata e allungò una mano per afferrarle una
ciocca di capelli; se l’attorcigliò attorno a un dito puntandole i suoi
intensi occhi azzurri addosso, infine gliela lasciò ricadere dolcemente
sulla spalla.
Isabelle si rese conto di aver
smesso di respirare, quando lui alla fine rispose.
«Direi proprio di sì,
Belle.»
Note
dell’autrice:
Dato che non aveva senso
lasciare questa storia come una raccolta, ho deciso di radunare tutte
le flashfic dell'iniziativa da cui sono nate e ripubblicarle in un
unico capitolo. Si conclude tutto così? Per il momento sì. Ho un
seguito in mente (una long vera e propria) e probabilmente racconterò
tutto nei minimi dettagli lì, accennando anche agli episodi di questa
raccolta. Fino a quel momento, queste resteranno così, l'inizio di un
qualcosa, di qualunque cosa si tratti. Grazie per aver letto, anche se
non è nulla di così originale o ben scritto. Un bacione,
Mokochan
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