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S M I L E ~
Hinata
aveva sempre pensato che Kageyama fosse figo.
Certo,
spesso si rivelava un completo idiota, ma Hinata era abbastanza maturo
da
riconoscere che lui stesso a volte era idiota tanto quanto lui. Ma sul
campo da
pallavolo, oh sì, Kageyama era davvero figo.
Capitava
spesso che Hinata si sorprendesse a soffermarsi sul modo tranquillo in
cui i
suoi occhi si chiudevano in un sospiro, per poi riaprirsi mantenendo
una forma
sottile e affilata. Quando Kageyama aveva quell’espressione
seria e convinta,
quando puntava quegli occhi di un blu incredibile davanti a
sé, illuminati da
una scintilla di concentrazione e controllo, Hinata sapeva che andava
tutto bene.
Sogghignava tra sé e pensava: “Non posso restare
indietro, anch’io devo
diventare come lui!”.
Era
in qualche modo rassicurante e un giorno Hinata ne divenne
più consapevole del
solito, chiedendosi poi se assumesse quell’atteggiamento solo
in campo. Oltre a
quello sguardo sicuro, Hinata ricordava bene solo quelli minacciosi di
quando
Kageyama gli sbraitava incontro insulti e minacce, a parte le smorfie
che faceva
prima o dopo una partita mentre parlavano del più e del meno.
“Non
l’ho mai visto sorridere”, pensò un
attimo prima che Ukai fischiasse ed
annunciasse la fine degli allenamenti, ricordando ai ragazzi di non
saltare lo
stretching.
Ok,
c’erano quei ghigni compiaciuti di quando azzeccavano una
veloce, quello
sgorbio che l’aveva spaventato quando aveva provato ad
imitare il sorriso
rassicurante di Sugawara, c’era anche quel ghigno di
soddisfazione che ogni
tanto Kageyama gli lanciava quando erano entrambi emozionati per
un’amichevole
o un obiettivo da raggiungere … ma in qualche modo non
valevano come dei veri
sorrisi.
Hinata
sapeva di sorridere spesso, per i motivi più disparati, ma
mentre alla fine di
quell’allenamento raccoglieva più palloni
possibile per metterli a posto prima
del suo rivale, si chiese se esistesse un motivo serio, oltre alla
pallavolo,
che potesse spingere Kageyama a sorridere in quel modo semplice,
genuino e
sereno, che forse non gli apparteneva ma che Hinata avrebbe tanto
voluto vedere
sul suo viso.
Si
era appena sconvolto silenziosamente per aver partorito tutti questi
pensieri
insieme, quando si sentì tirare per la maglietta sudata.
“Sbrighiamoci,
dobbiamo chiudere la palestra!” esclamò Tanaka,
senza che il piccoletto si
aspettasse di sentire la sua voce. Per un attimo aveva pensato che
sarebbe
stato Kageyama a parlargli.
“Okay!”
trillò Hinata, guardandosi poi intorno d’istinto.
Dov’era Kageyama? Oddio,
aveva davvero percepito la sua assenza con una tale
intensità?
“Kageyama
è andato a cambiarsi prima”, spiegò
Daichi entrando nello spogliatoio per
ultimo. “Ha detto di essersi ricordato di un
impegno.”
Il
piccolo centrale lo fissò per un lungo momento, poi
annuì energicamente.
Ciononostante, non poté impedire a se stesso di guardarsi
intorno in silenzio,
come se stesse ancora cercando Kageyama.
“Oh,
è inaspettatamente tranquillo qui!”
osservò Suga con un mezzo sorriso, trovando
Asahi che annuiva.
Nishinoya
balzò fuori dalla stanza del club e ciondolò
sulla balaustra prima di scendere
le scale: “Se ti manca il baccano che fanno sempre i due
scemotti del primo
anno, ci pensiamo io e Ryuu!”
“Non
ci pensate nemmeno.” rispose Daichi dal fondo della scala,
mentre Sugawara ed
Ennoshita ridacchiavano.
In
tutto questo, Hinata si sbrigò prima del solito a uscire
dallo spogliatoio, non
impegnato a discutere con Kageyama di quanti centimetri potevano ancora
crescere prima della fine del liceo. Tsukishima fece una battuta su
come Hinata
fosse straordinariamente muto in assenza del Re, ma il piccoletto non
lo sentì
neppure e salendo sulla bicicletta per tornare a casa si morse un
labbro
nervoso, senza capacitarsi di come Kageyama fosse sparito senza che lui
neanche
se ne accorgesse.
*
Anche
Kageyama pensava che Hinata fosse figo.
Non
ne era altrettanto conscio, ma in lui questa opinione esisteva ed era
forte.
Era implicitamente visibile negli sforzi che ci metteva ogni volta nel
fornirgli le alzate perfette e nel bagliore raro che si irradiava dal
suo
sguardo quando vedeva Hinata avere successo in campo, anche senza il
suo aiuto.
Ciò
di cui invece Kageyama era consapevole era lo strano calore che lo
coglieva
all’improvviso sulle guance quando Hinata gli sorrideva con
grinta, per non
parlare del nodo al petto che a malapena sopportava quando tra i due
c’era un
contatto fisico più prolungato del normale.
Stava
pensando sul serio di essere diventato matto, mentre scuoteva la testa
e
procedeva spedito sul marciapiede buio dietro casa. Quei sintomi erano
una cosa
da ragazzine e, a meno che non si fosse preso una cotta per il suo
compagno di
squadra, poteva solo significare che doveva darsi una regolata.
“Possibile
che mi sia allenato troppo?” si domandò,
imbronciando il muso in avanti e
spaventando un bambino.
La
sua ingenuità lo rendeva un adolescente tanto puro quanto
stupido, ma finché i
suoi allenamenti con Hinata sarebbero andati avanti senza intoppi,
Kageyama era
tranquillo e credeva, fiducioso, che queste strane reazioni alla
presenza del
nanetto sarebbero cessate dopo un giorno di pausa, dopo il quale
sarebbe
tornato in palestra a mente fresca.
Storse
il naso all’idea di saltare un intero pomeriggio di
allenamenti, quando accanto
a sé sentì piangere un neonato.
Sobbalzò e rialzò il capo confuso: una madre
che cullava il figlio per farlo smettere di piangere, un vecchietto e
una
ragazza sui vent’anni lo circondavano.
Sollevò di più il viso e fu attirato dalla luce
rossa di un semaforo.
“Ma
dove sono finito?”
Un
attimo dopo esserselo chiesto, realizzò di aver sbagliato
strada. Sbuffò e
maledisse Hinata per averlo distratto attraverso i suoi pensieri,
ricevendo l’occhiata
interrogativa e disapprovante dell’anziano signore che si
apprestava ad
attraversare la strada.
“Dunque,
ora da che parte vado? Non vorrei essermi allontanato tanto
… Dannazione,
Hinata me la pagherà! O forse non dovrei dirgli che lo stavo
pensando? Ma
certo, mi prenderebbe in giro. Meglio di no. Magari gli faccio solo
qualche
alzata in meno. Ah, ma quel negozio lo conosco! Allora se attraverso la
strada
e faccio il giro …”
Era
già in mezzo alle strisce pedonali, quando un potente
bagliore bianco lo sorprese
alla sua sinistra. Fece per voltarsi accigliato, ma prima che riuscisse
a farlo
incrociò la luce del semaforo che era tornata rossa, seguita
da un assordante
rumore di pneumatici stridenti sull’asfalto.
A
malapena ebbe il tempo di spalancare gli occhi e maledire di nuovo
Hinata per
averlo distratto … poi la luce lo accecò.
*
Kageyama
fu il primo pensiero con cui Hinata si svegliò la mattina
dopo.
Un
istante prima di aprire gli occhi e saltare giù dal letto,
gli vennero in mente
le alzate che avrebbe ricevuto da lui agli allenamenti e il tono
semiserio con
il quale l’alzatore gli avrebbe detto
“un’altra!”. Non c’era un
motivo preciso
per cui Hinata si fosse svegliato proprio con quelle immagini nella
testa – o
almeno così credeva – ma nulla poté
comunque impedirgli di sorridere sommessamente durante tutto
il
tragitto che lo portò a scuola.
Quel
sorriso si spense solo quando giunse in palestra e si rese conto che
Kageyama
non c’era.
“Più
tardi provo a vedere se è in classe. Magari non sta
bene.”
Il
professor Takeda l’aveva detto con il tono più
rassicurante del mondo e nessuno
avrebbe potuto dubitare del fatto che Kageyama sarebbe tornato presto.
Ma lui
non si sarebbe perso un allenamento neanche con il morbillo e se
c’era qualcuno
che lo sapeva, quello era Hinata.
Non
riuscì più a sorridere come si deve per tutto il
giorno, neanche gli
allenamenti pomeridiani lo tirarono su.
“Molto
bene, Hinata!” esclamò Sugawara soddisfatto dopo
aver provato un attacco con
lui, ma mentre il centrale tornava in posizione si accorse
dell’espressione
cupa sul suo volto, un’espressione che su di lui era ancora
più inquietante.
Stava
per chiamarlo e dirgli qualcosa per tirargli su il morale, quando
Takeda entrò
in palestra a perdifiato e nessuno sul momento lo notò
– lo aveva fatto tanto
di quelle volte che ormai era normale – se non fosse che il
professore aveva
uno sguardo agitato rivolto proprio a Hinata e allora tutti si
fermarono a
guardarlo.
“È
per te!”
Il
rosso alzò la testa e vide che Takeda gli porgeva un
cellulare con chiamata in
corso. Lo portò all’orecchio senza una particolare
reazione: “Pronto?”
“Sei
tu Hinata Shouyou?”
Una
voce di donna poco tranquilla lo fece scattare sull’attenti e
solo la curiosità
lo trattenne dal fare mille ipotesi catastrofiche tutte insieme. Tutte
su una
sola persona, naturalmente.
“Sono
la mamma di Tobio … Tobio Kageyama.”
Troppo
tardi, il panico gli era esploso nel petto una frazione di secondo
prima di
sentire quel nome.
Hinata
strinse il cellulare con le mani tremanti e gli occhi sbarrati,
deglutì e
rispose con voce troppo bassa per essere veramente la sua.
“S-Sono
Hinata … come sta Kageyama?”
“Grazie
al cielo ti ho trovato! Devo chiederti un favore molto importante.
Potresti
venire subito a casa nostra?”
“Ehm
… sì, credo di sì.”
“Davvero?
Grazie, grazie di cuore Hinata-kun! Tobio non fa che chiedere di te
…”
“…
C-Come, di me?”
“Ha
quasi avuto un incidente ieri, per poco non lo hanno investito
… Sta bene, ma
ne è rimasto traumatizzato. È tutto il giorno che
se ne sta a letto senza
volersi muovere, mormora cose strane e ripete il tuo nome in
continuazione.”
Ci
volle un po’ perché Hinata si rendesse conto della
situazione. Perché proprio
lui? Di solito quando si sta male per colpa di uno spavento del genere,
si
chiama la famiglia, i propri cari … non un semplice compagno
di pallavolo con
cui si condividono i pomeriggi, si passa la maggior parte del tempo e
ci si
diverte perché col passare dei mesi si è
diventati molto uniti.
Oh.
“Io
… Io arrivo. Sì, sto arrivando!”
Hinata
corse fuori dalla palestra per prendere la bicicletta senza nemmeno
cambiarsi,
rincorso dal professore che voleva almeno riavere indietro il
telefonino.
Quando il ragazzo chiuse la chiamata e restituì
l’apparecchio, era già in sella
e si sarebbe già messo a piangere dalla paura, se non fosse
stato per la fatica
della pedalata che teneva impegnata la sua vista e ogni sua reazione
corporea.
*
La
porta si spalancò all’improvviso e Kageyama
sobbalzò. Sollevando gli occhi
gonfi, incontrò quelli lucidi di Hinata, spaventati tanto
quanto i propri. Solo
il respiro accelerato del più basso impediva al silenzio di
incupire la stanza.
Alcuni
secondi furono abbastanza perché Hinata riuscisse a vedere
la disperazione di
quei tanto cari occhi blu tramutarsi in leggero sollievo. Stavolta ne
era
certo: non aveva mai visto in essi una sfumatura simile e un fastidioso
nodo in
gola gli fece pensare che non avrebbe voluto vederla mai più.
In
un attimo si fiondò sul letto di Kageyama, che era
tristemente raggomitolato su
se stesso in un angolino, e si mise in ginocchio abbracciandolo
stretto. Il
moro fece lo stesso ansimando, come se avesse ripreso a respirare dopo
ore di
apnea, e schiacciò il viso contro il suo collo. Hinata gli
cinse le spalle con
le braccia magre e troppo deboli per poter tenere insieme i pezzi del
cuore
spezzato di Kageyama, ma ciò non gli impedì di
provarci con tutte le sue forze,
stringendolo a sé e facendo vagare le mani tra i suoi
capelli in modo confuso e
frettoloso.
“Kageyama!
Kageyama, sono qui … sono qui.”
Quelle
parole pronunciate ad alta voce fecero bene a entrambi, come prova che
loro
erano davvero lì, erano davvero insieme.
Hinata
avvertì la schiena di Kageyama rilassarsi e la propria
maglietta del club
venire tirata piano verso il basso, poi un singhiozzo e un calore umido
all’altezza del cuore. A quel punto sospirò e
chiuse gli occhi, abbassando la
fronte e tenendo stretto il compagno di squadra per paura che
scivolasse via e
sparisse.
“Sono
qui … sono qui, va tutto bene.”ripeté
più volte pianissimo, mentre l’altro
piangeva tutte le lacrime che ancora gli avanzavano dalla giornata e
dal
tremendo spavento che aveva preso la sera prima.
Kageyama
non avrebbe mai pensato che Hinata arrivasse davvero a consolarlo, ma
ora che
lo poteva stringere forte non si vergognò neanche
più di averlo sperato, così
come non si sarebbe più vergognato delle strane reazioni del
suo corpo ad ogni
volta che Hinata faceva capolino nella sua mente. Vergogna e timidezza
non
c’erano più, non erano più niente
rispetto a quello strano sentimento che ora
gli faceva martellare il cuore, e Kageyama capì che
quell’abbraccio era tutto
ciò di cui aveva bisogno.
Hinata
non si mosse finché Kageyama non smise di piangere. Solo
quando lo udì calmarsi
e tirare su col naso, gli accarezzò la schiena titubante e
domandò: “Va
meglio?”
L’alzatore
annuì più volte e restò con il volto
appoggiato alla sua spalla. “Possiamo …
restare così per un po’?”
sussurrò, stringendo appena la presa delle braccia
intorno ai suoi fianchi.
Il
cuore di Hinata saltò un battito e in un altro momento lui
avrebbe avuto paura
che Kageyama lo notasse, ma dirgli di no sarebbe stata una follia e
dunque
sorrise appena. “Certo.” rispose, facendo aderire
la guancia ad un lato della
sua testa e chiudendo gli occhi di nuovo.
Kageyama
lo fece a sua volta e sospirò, rimanendo immobile in
quell’abbraccio per un
lungo silenzio che stavolta non aveva nulla di terribile.
Entrambi
sapevano di avere tante domande a cui dar voce e per alcuni lunghi
minuti
riuscirono a dimenticarle, adagiati dolcemente nel calore che univa i
loro
corpi un poco tremanti, ma alla fine percepirono che in qualche modo
era
arrivato il momento delle spiegazioni.
“È
da ieri sera che stai così?”
Forse
non era la domanda migliore con cui iniziare, siccome Kageyama
esitò prima di
dargli una risposta, ma Hinata non attese molto per riceverne una.
“Sì
… Dovevo fare una commissione per mia madre e mi sono perso.
Per poco non mi
investivano e mi hanno tirato via appena in tempo, ma sono rimasto
seduto sul
marciapiede in preda al panico finché non è
arrivata lei a portarmi a casa.”
“…
Come diavolo hai fatto?”
Kageyama
spalancò gli occhi e si staccò subito
dall’abbraccio per fissarlo con sguardo accigliato.
“Come
hai fatto a perderti, scemo?” sogghignò Hinata con
una mano davanti alla bocca.
“Stai
zitto, boge!”
esclamò Kageyama
contrariato. “Se proprio vuoi saperlo, è colpa
tua!”
“Cosa,
e perché mai sarebbe colpa mia?!”
“Perché
… perché stavo pensando a te.”
L’aveva
appena mormorato, ma al tono timido che aveva usato e al rossore che
tinse le
guance di Kageyama in modo imbarazzante Hinata riuscì a
stupirsi e imbarazzarsi
a sua volta.
“Oh.”
Entrambi
tennero gli occhi bassi, ma si resero conto di avere ancora le braccia
intorno
all’altro e non poterono evitare di arrossire. Non avendo il
coraggio di dire
altro, Kageyama premette ancora la fronte contro la spalla di Hinata.
Quest’ultimo sorrise e gli accarezzò la schiena
come prima.
“Sono
contento che tu stia bene.” disse, prima di dargli un leggero
bacio sulla
tempia.
A
quel gesto Kageyama si irrigidì:
“P-Perché l’hai fatto?”
“Fatto
cosa?”
“Il
… il bacio.”
Incuriosito,
Hinata si tirò indietro per guardarlo e si sorprese un poco
a vedere quanto si
stava vergognando.
“Beh,
quando mia sorella è triste o ha paura, viene sempre da me e
allora per farla
stare meglio di sol-”
Una
mano sulla guancia lo interruppe. Era una di quelle mani dalle dita
sottili e tanto
allenate a furia di servire alzate, le sue alzate, ed averne una sul
viso era
una sensazione tanto nuova quanto piacevole. Per non parlare di quegli
occhi
blu: non l’avevano mai guardato così timidamente e
Hinata si accorse di esserne
innamorato perso.
Non
ebbe il tempo di decidere cosa fare al riguardo, perché la
sua testa si mosse
da sola verso quella di Kageyama e le loro labbra si toccarono prima
che i due
potessero formulare un altro pensiero. A dire la verità,
ogni pensiero in quel
momento era fuori luogo.
Fu
un bacio dolce, per quanto semplice e banale. In un angolo remoto della
loro
mente echeggiava la domanda “Che caspita sta
succedendo?”, ma era troppo flebile
da sentire rispetto al battito del loro cuore impazzito. Quando si
separarono
con uno schiocco, restarono a guardarsi per lunghi istanti …
e finalmente
avvenne il miracolo.
Kageyama
sorrise.
Era
un sorriso molto lieve e la curva delle labbra era appena visibile, ma
era
accompagnato da una scintilla di gratitudine negli occhi e Hinata seppe
subito che
era il sorriso più bello del mondo. Un sorriso simile poteva
dunque appartenere
eccome a Kageyama! Poteva renderlo ancora più bello di
quanto già non fosse.
Quel
sorriso superò le aspettative di Hinata, che per un istante
fissò il moretto meravigliato,
prima di ricambiare e abbracciarlo talmente forte che entrambi finirono
con un
tonfo stesi sul letto.
Non
si sarebbero rialzati tanto presto e Kageyama pensò che era
perfetto così.
*
Fine
Sono
uscita dal tunnel!
In questo turbine di
esami e di impegni, mi avvicino alla laurea e quindi non riesco a
scrivere con l'anima in pace e non ci riuscirò
finché non mi toglierò alcuni pesi della vita
dalle spalle.
Però
ogni tanto riesco a uscirmene con qualcosina di caruccio come questa...
balenatami da una visione che ho avuto quasi a random, non ho fatto
altro che metterci un pizzico di trama in più ed ecco qua.
Avevo in effetti il bisogno di sottolineare in qualche modo quanto
questi due facciano bene l'uno all'altro, aw. Sapete che amo la
KageHina più di moltissime altre cose!
Detto
ciò, mi congedo. Spero di tornare presto con le mie fic in
corso, anche perché non posso continuare a ideare nuovi
prompt e cederli ad altri solo perché prima voglio finire le
mie storie. u.u
Bye bye dunque!
Eliot ;D
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