Spartani 2
LA
MANDRIA DEL DIAVOLO
Spinto
dal vento, un cespuglio di salsola attraversò rotolando la
strada
deserta. Lo sceriffo Hayes lo seguì distrattamente con lo
sguardo,
quindi alzò gli occhi al cielo, che era un unico ribollire
di nubi
turgide e scure. “Si prepara una tempesta,”
constatò.
“Strano,
di questa stagione,” disse l'uomo che camminava al suo fianco.
Il
primo si strinse nelle spalle senza rispondere. Era strano, in
effetti. Ed era strana anche come tempesta. Da quel che ricordava non
s'erano mai viste nubi di quella tonalità rossastra da
quelle parti,
e anche quelle folate calde e umide come fiato di animali erano
decisamente fuori dell'ordinario.
“Sembra
di sentire delle vacche spaventate che muggiscono,” soggiunse
l'altro, che camminava tenendosi il cappello per evitare che le
raffiche glielo strappassero via.
“È
la mandria che è arrivata ieri, dottore,” rispose
Hayes con poca
convinzione. In effetti sembravano lamenti, più che altro, e
non
davano l'idea di venire dai recinti. L'impressione era che
provenissero dal cielo. “O forse è il
vento,” brontolò,
piegandosi in avanti.
Le
raffiche sollevavano mulinelli di polvere color ruggine.
I
due
proseguirono in silenzio per un po'. Era dal giorno prima che la
tempesta cresceva d'intensità, ma ancora non sfogava. Il
vento
fischiava gemendo negli interstizi e nel cielo livido rotolavano i
tuoni, però non cadeva una sola goccia di pioggia.
Illuminate dai
lampi, anzi, le nubi color cinabro sembravano fatte di fuoco,
più
che d'acqua.
“E
di
quella faccenda, dottor Bateson, che mi dite?” chiese dopo un
po'
lo sceriffo.
L'altro
allargò le braccia in un gesto di impotenza.
“Nulla, purtroppo.”
“Nulla?”
“È
inspiegabile.”
“Come
sarebbe a dire?”
“Che
non ha alcuna spiegazione logica. Va contro ogni legge della
Scienza.”
“Per
caso mi state dicendo che per dare un senso a questa faccenda dovrei
scomodare il Reverendo Summers?”
Il
medico, un uomo corpulento dall'aspetto autorevole, sospirò
e
laconico rispose: “Forse.”
Lo
sceriffo non replicò e i due continuarono fianco a fianco,
ognuno
immerso nei propri pensieri. Il vento aveva sollevato una caligine
polverosa che faceva dolere la gola e bruciare gli occhi, tanto che
Hayes si coprì bocca e naso con il fazzoletto che portava al
collo.
Il dottor Bateson si limitò a togliersi gli occhiali a pince-nez
e a riporli in una tasca del panciotto. “Venite a
vedere,” disse
poi, “venite. Vi renderete conto voi stesso che è
una cosa
inspiegabile.”
La
casa
di Bateson era un po' discosta dall'unica strada della cittadina. Si
ergeva anzi solitaria su un piccolo crinale ed era circondata da un
ampio portico sotto il quale normalmente sostavano i pazienti in
attesa di essere ammessi al gabinetto di consultazione.
In
quel
momento non c'era nessuno sotto il portico, e anche le finestre erano
buie. Sulla sommità del tetto una banderuola di metallo
cigolava
sospinta dalle raffiche.
“Venite,”
ripeté il dottore rompendo finalmente il silenzio,
“vi farò
vedere quello che intendo.”
Entrarono
nell'ambulatorio. Hayes non c'era mai stato, e si guardò
intorno
perplesso. Alla luce incerta della lanterna che il medico aveva
acceso, le stampe anatomiche e lo scheletro appeso in un angolo
prendevano un aspetto decisamente sinistro. “Che mi prenda un
colpo...” mormorò fra i denti indietreggiando
quando il suo
sguardo si posò su un boccale di vetro che conteneva un feto
deforme.
“Il
figlio della povera signora Jones,” disse Bateson con un
sospiro.
“Un caso sfortunato ma molto interessante di situs
viscerum
inversus. E ora, se
volete seguirmi...”
Aprì
una porta che dava su un breve corridoio. Da lì entrarono in
una
stanza buia nella quale stagnava un forte sentore di liscivia e
medicinali. “Eccolo qui,” disse il medico posando
la lampada a
petrolio su un supporto, “venite a vedere.”
La
luce
rivelò una camera piccola, dalle pareti rivestite di
scaffali. Su
ogni mensola c'erano libri, strumenti medici e altri oggetti che
Hayes non aveva mai visto. Da una parte c'era un tavolo di metallo
sul quale erano allineati ferri chirurgici di ogni genere e al centro
del locale troneggiava un lettino coperto da un lenzuolo bianco.
Sotto il lenzuolo si indovinava chiaramente la sagoma di un corpo.
Lo
sceriffo si avvicinò. Bisturi e preparati anatomici gli
suscitavano
una certa inquietudine, ma di cadaveri ne aveva visti non pochi nella
sua carriera, e da parecchio tempo avevano smesso di fargli
impressione. “È lui?” chiese.
Per
tutta risposta il medico sollevò un lembo di stoffa,
rivelando il
volto pallido di un giovane di circa vent'anni.
Il
ragazzo aveva i capelli rossi e una spruzzata di efelidi sul naso. Le
sopracciglia e le labbra erano fini e ben disegnate e in generale il
viso era piuttosto bello, di una bellezza raffinata che in quelle
zone di frontiera era difficile incontrare. Aveva un'espressione
serena, tranquilla. Se non fosse stato per il leggero alone bluastro
intorno agli occhi si sarebbe detto pacificamente addormentato e
immerso in qualche bel sogno.
Lo
sceriffo lo osservò attentamente. Gli afferrò il
mento e vincendo
il rigor
mortis gli
girò la testa da una parte e dall'altra,
ma il collo gli apparve perfettamente integro, bianco e liscio come
porcellana. “Non ha segni,” constatò.
“Nè
lì né in nessun'altra parte del corpo,”
puntualizzò il medico
alle sue spalle. “Nemmeno il più piccolo
graffio.”
“Potrebbe
essere stato un serpente?”
“Lo
escluderei, si vedrebbero i fori lasciati dai denti. Inoltre il
veleno del serpente genera terribili sofferenze.”
“Forse
aveva qualche malattia?”
“È
il giovanotto più sano che mi sia capitato di esaminare in
tutta la
mia carriera. Tutti gli organi perfetti, non ha alcuna
anomalia.”
Hayes
si chinò di nuovo sul corpo e abbassò il lenzuolo
fino a mettere a
nudo il torace. Rivelò spalle non eccessivamente larghe ma
ben
impostate e solide, e un corpo snello ma robusto. Decisamente un bel
ragazzo forte, che scoppiava di salute.
Eppure
a Pemberville era arrivato cadavere. Erano stati i cowboy che
accompagnavano la mandria proveniente dall'ovest a segnalare la sua
presenza. Il ragazzo era con loro in qualità di aiuto cuoco,
avevano
detto, ed era inspiegabilmente morto a poche miglia dalla
città.
Ora
chiedevano un prete che officiasse un rito funebre.
Lo
sceriffo ricoprì il cadavere col lenzuolo. “Non
c'è il rischio
che abbia qualche malattia contagiosa?” domandò
all'improvviso,
già immaginando le conseguenze di un'epidemia nel piccolo
centro
abitato.
Scuotendo
la testa, Bateson rispose: “Ve l'ho detto: è
– o meglio, era –
sano come un pesce, povero ragazzo.”
Tutti
e
due fissarono la sagoma coperta dal telo bianco. Le finestre erano
chiuse e i rumori della tempesta giungevano come gemiti lontani. La
luce della lampada a petrolio tremolava appena gettando ombre
sinistre sugli scaffali ingombri di strani oggetti. Hayes
notò che
sul lenzuolo erano rimaste ditate color ruggine dove lui l'aveva
afferrato. “Dannato vento,” brontolò fra
i denti.
Tornando
al suo ufficio, lo sceriffo passò davanti al Lazy Dog, il
saloon di
Pemberville. Assisté in quel modo a una scena abbastanza
usuale,
ovvero Harry Due Pinte, l’ubriacone del posto, che veniva
buttato
fuori dal locale. L’uomo rotolò nella polvere, si
rialzò
malfermo, raccolse il cappello e se lo calcò in testa con
fare
indignato, ma invece di andarsene sacramentando come succedeva di
solito, tornò sui suoi passi e barcollando
rientrò nel saloon.
Hayes
lo seguì perplesso con lo sguardo: avrebbe giurato di
avergli visto
in faccia un’espressione di paura. La cosa era piuttosto
strana,
perché Due Pinte era un ubriacone e un piantagrane, ma non
si
spaventava nemmeno di fronte a una banda di indiani inferociti.
Decise
di vederci chiaro ed entrò nel locale.
Apparentemente
il Lazy Dog non aveva nulla di diverso dal solito: il pianista
suonava una delle sue melodie, c’erano le due ragazze
appoggiate al
bancone e un gruppetto che giocava a carte intorno a un tavolo.
Scorse Due Pinte letteralmente rintanato nell’angolo
più nascosto
del saloon.
“Salve
a tutti!” disse a voce alta.
Gli
rispose solo qualche grugnito. “Queste dannate carte non
vogliono
uscire,” protestò qualcuno dal tavolo dei
giocatori.
Sempre
più perplesso Hayes si avvicinò al bancone.
“Che c’è di
nuovo?” domandò.
“Che
volete che ci sia, sceriffo,” gli rispose il padrone del
locale
mettendogli davanti un bicchiere, “sempre le solite
cose.”
L’altro
non replicò. Di solito quando arrivava in città
una mandria il
padrone del Lazy Dog era felice, perché significava cowboy
assetati
e pieni di soldi a cui dare da bere. Stavolta invece era più
serio
del Reverendo quando faceva la predica. Hayes afferrò il
bicchiere,
ma una delle ragazze lo fermò: “Lasciate stare
quella roba,
sceriffo!”
“Roba?
Come sarebbe a dire?” s’intromise il padrone,
“il mio whiskey è
il migliore della zona!”
“Sa
di vacca,” fu la lapidaria risposta.
L’uomo
fece tanto d’occhi. “Cosa?”
“Di
vacca. Puzza come una mandria. Tutto qui puzza di mandria,
l’aria ,
i tavoli, i vestiti! Non ve ne accorgete?”
A
quella frase, la cui ultima parte era stata quasi gridata, fece
seguito un silenzio attonito, rotto solo dal suono vagamente
metallico della pianola e dal sibilo del vento all’esterno.
Qualche
persiana sbatacchiava in lontananza.
La
seconda ragazza parve stupita dal comportamento della collega La
prese sottobraccio e con voce sommessa le suggerì:
“Vieni, Maud,
andiamo fuori a prendere un po’ d’aria.”
“Non
sono ubriaca,” protestò l’altra,
“e poi fuori non ci vado. È
da lì che viene la puzza, è
dappertutto.”
“Giusto,
resta qui, bella,” intervenne un tizio appoggiato al bancone,
“bevi
con me.”
“Dovrei
bere questa roba che puzza di vacca?”
“Sai
che me ne importa? Ci sono stato così tanto in mezzo alle
vacche che
la puzza nemmeno la sento più. Brindo alla salute di un mio
amico!”
Con
gesto plateale appoggiò sul tavolo alcune monete.
“Davvero?”
chiese Maud avvicinandosi con interesse. “E
dov’è questo tuo
amico?”
“Morto
stecchito.”
La
donna s’irrigidì. “Oh, beh. Allora non
c’è rimasto tanto a
cui brindare, no?”
“Al
contrario, bellezza,” rise l’uomo,
“brindo al fatto che a
differenza di lui io sono ancora vivo e ho voglia di bere e
divertirmi!”
Hayes
fissò il nuovo arrivato, che con strafottenza gli
restituì lo
sguardo. Era un cowboy alto, con le spalle larghe. Aveva i capelli
biondicci lunghi sul collo e occhi chiari dall’espressione a
metà
fra lo spavaldo e l’astuto. Una barba di due giorni gli
ombreggiava
il viso magro. Un tipo poco raccomandabile, nell’insieme.
“Siete
nuovo di queste parti?” domandò lo sceriffo.
L’altro
fece per mandarlo al diavolo, ma si accorse della stella che portava
sul petto. “Sono arrivato ieri con la mandria,”
rispose con un
ghigno, “e ora ho voglia di bere e divertirmi. È
un delitto,
forse?”
“Non
lo è,” convenne Hayes, “se la cosa
rimane nei limiti della
legge. Con chi ho l’onore?...”
“Zachariah
Brown. Zack, per gli amici.” Sorrise di nuovo e
trangugiò il suo
bicchiere di whiskey con ostentazione, quasi sfidandolo a imitarlo.
“Quindi voi potete pure continuare a chiamarmi signor
Brown,”
soggiunse.
“E
voi mi chiamerete sceriffo, che ne dite?” replicò
Hayes sullo
stesso tono. “Rispettate la legge, fate il bravo bambino e
nessuno
si farà male.”
“Oh,
certo. La legge. Chi mangia la salsiccia e rispetta la legge non
dovrebbe mai guardare come l’una e l’altra vengono
fatte, dico
bene?” Spinse il bicchiere verso il padrone del saloon per
farselo
riempire di nuovo, cosa che egli, avendo visto le monete, fece senza
indugio.
Hayes
fermò il braccio del forestiero prima che questi potesse
portare
alle labbra il liquore. “Stavate parlando di un vostro
amico,”
gli disse.
“Già.
Un bravo giovanotto irlandese. Ha pensato bene di crepare prima che
il capo ci pagasse, più soldi per noi.” Poi, a
voce più alta:
“Quindi brindo alla salute di un buon amico!”
Svincolò
il polso dalla presa dello sceriffo e di nuovo trangugiò il
whiskey.
Hayes
stava per replicare quando vide il suo vice entrare nel saloon.
“Avvicinatevi, Wilcox,” gli disse chiamandolo con
un gesto.
L’atmosfera era così greve che anche la vista del
suo vice, un
uomo magro e torvo non a torto soprannominato ‘il
becchino’, gli
dava una vaga sensazione di sollievo.
Wilcox
lo raggiunse diligente. “Signore, ci sono gli uomini che
avete
mandato a chiamare,” lo informò.
“Dove?”
“In
ufficio. Il capo ha cercato di fare casino, ma gli ho detto che
doveva aspettarvi. Per le indagini.”
“Molto
ben detto, Wilcox. Andiamo.”
Di
solito non era così felice all’idea di andare nel
suo ufficio ad
interrogare dei testimoni riottosi, però quel giorno
piuttosto che
rimanere al Lazy Dog sarebbe andato anche a stanare dei fuorilegge in
mezzo al deserto.
I
cowboy che avevano accompagnato la mandria giunta dall'ovest lo
attendevano sotto il portico davanti al suo ufficio. Alcuni erano
seduti, altri gironzolavano in strada fumando, altri ancora
imprecavano contro il vento sollevandosi il bavero della giacca. Il
capo, un uomo dall’aria autorevole con una vistosa cintura
dalla
fibbia d’argento e stivali in pelle di serpente, appariva
decisamente poco soddisfatto.
“Dobbiamo
stare qui ancora per molto?” chiese non appena vide
avvicinarsi lo
sceriffo. “C’è un sacco di lavoro da
fare!”
“Faremo
presto,” gli promise Hayes conciliante, “devo solo
farvi alcune
domande sul ragazzo morto.”
“Ancora
quel dannato ragazzo?” protestò l’altro
ergendosi in tutta la
sua considerevole statura, “Se avessi saputo che ci avrebbe
creato
tanti problemi l’avrei fatto seppellire nella prateria, altro
che
funerali religiosi!”
“Devo
solo farvi alcune domande,” ripeté lo sceriffo,
cortesemente
inamovibile, “seguitemi in ufficio. Prima cominciamo e prima
finiremo.”
Dall’uomo,
un allevatore che rispondeva al nome di William Carney, Hayes apprese
che il ragazzo si chiamava Aidan O’Connor ed era originario
dell’Irlanda. Sapeva a malapena stare a cavallo,
l’allevatore
l’aveva definito con disprezzo ‘uno di
città’, ma era stato
assunto come aiutante del cuoco e le sue mansioni erano
essenzialmente cucinare, rassettare e fare il bucato.
“Non
ha mai creato problemi,” concluse Carney, “se ne
stava per conto
suo e non parlava con nessuno. Non so di che sia morto e non mi
interessa. Seppellitelo e facciamola finita.”
Gli
uomini di Carney confermarono essenzialmente quello che lui aveva
detto. Qualcuno lo chiamava l’irlandese, qualcun altro si
ricordava
il cognome, ma non sentì nessuno chiamarlo col nome proprio.
Tutti
convennero comunque che non aveva mai creato problemi.
Hayes
sospirò. Se per caso il ragazzo era stato ammazzato durante
il
tragitto, quelli si erano messi d’accordo davvero bene per
insabbiare tutta la questione. Sarebbe stata una rogna trovare le
prove di quello che era successo. Sempre che fosse stato ammazzato,
ovviamente.
Ma
se
non era stato ucciso, di cosa era morto? A dispetto di quanto gli
aveva assicurato il dottore ripensò alla
possibilità di una
malattia. Chi gli garantiva che non ci fossero malattie che la
medicina ancora non aveva studiato?
Malattie
contagiose, magari, che uccidevano senza lasciare segni. Lo sceriffo
rabbrividì al pensiero e si ripromise di ordinare a Bateson
di far
cremare il corpo, tanto per non correre rischi.
A
fatica si riscosse dai suoi pensieri e chiese a Wilcox: “Chi
manca?”
“Il
cuoco e un tale che si chiama Brown, sceriffo. Il rimesta-pentole
è
qui fuori, ma l’altro non riusciamo a trovarlo.”
“Lascia
perdere, ci ho parlato prima al saloon.”
“Non
sa niente?”
“Anche
se sapesse, non è il tipo che me lo verrebbe a dire. Fa
passare il
cuoco, piuttosto.”
L’uomo
che entrò aveva la fisionomia che chiunque immaginerebbe
pensando a
un cuoco: rubizzo, corpulento e con l’aria vagamente porcina.
Aveva
con sé un involto che continuò a stringere in
mano anche quando lo
sceriffo lo invitò a sedersi e mettersi comodo.
“Allora,
signor Forbes, voi che mi dite di Aidan O’Connor?”
domandò Hayes, già pronto a sentire per
l’ennesima volta le
solite tre frasi.
“Un
bravo ragazzo,” rispose prontamente il cuoco,
“gentile, educato,
non creava mai problemi. Doveva essere uno istruito, quando non
lavorava scriveva sempre.”
“Cosa
scriveva?”
“Non
lo so, aveva un libro che non faceva mai vedere a nessuno.
Però una
volta scrisse una lettera per uno degli uomini e vi garantisco che
aveva la grafia più bella che si potesse immaginare. Secondo
me
doveva essere un contabile o qualcosa del genere.”
Lo
sceriffo lo fissò stupito.
“Com’è possibile che un contabile
finisca a fare l’aiuto cuoco per un gruppo di
cowboy?”
L’altro
si strinse nelle spalle. “Non saprei. Però era
educato, non diceva
mai parolacce, era sempre ordinato. Aveva i modi di uno di
città.”
“Per
caso l’avete visto stare male o comportarsi in modo strano
negli
ultimi giorni?”
Il
cuoco ci pensò un po’ su e poi scosse la testa.
“Non
avete avuto l’impressione che soffrisse per
qualcosa?”
“L’unica
cosa che posso dirvi è che la tempesta sembrava
preoccuparlo. Ogni
tanto guardava in su e faceva una faccia strana, come se avesse
paura.”
“Non
vi ha mai detto di cosa aveva paura?” chiese lo sceriffo,
sperando
che il cuoco si sbottonasse su eventuali maltrattamenti nei confronti
del ragazzo.
Forbes
scosse la testa. “Ve l’ho detto, non parlava
molto.”
Hayes
si chiese se stesse coprendo qualcuno. Magari qualcuno che aveva
preso di mira quel giovanotto e si divertiva a fargli delle angherie,
non sarebbe stata la prima volta che si imbatteva in una cosa del
genere.
Fissando
negli occhi il suo interlocutore, lentamente disse: “Se
sapete
qualcosa dovete parlare. È molto importante.”
“Desolato,
vi ho detto tutto quello che sapevo,” fu la risposta. Fece
una
pausa durante la quale parve immerso in una tormentosa riflessione.
“Era un bravo ragazzo,” ripeté poi,
“molto educato. Come se ne
incontrano pochi. Riuscirete a scoprire perché è
morto?”
“Ci
sto provando,” rispose lo sceriffo, “certo un
po’ di aiuto non
sarebbe sgradito.”
Il
cuoco si guardò intorno. “Beh, tenete
questo.” Gli porse
l’involto. “Forse qui dentro ci sarà
qualcosa di utile.”
Hayes
percepì la forma di un libro.
“È
quello che scriveva sempre,” spiegò Forbes
rispondendo alla sua
domanda inespressa, “forse c’è scritto
anche cosa gli è
successo.”
“Grazie,
io…”
“Ora
devo andare,” disse l’altro alzandosi rapidamente,
“non dite a
nessuno che ve l’ho dato.”
Lo
sceriffo e il suo vice rimasero a guardarsi in silenzio.
“Secondo
me era matto, sceriffo,” disse con sicurezza Wilcox.
“Guardava in
su e faceva la faccia strana, non parlava con nessuno, veniva dalla
città. Se non era matto questo, io non mi chiamo Jonathan
Wilcox.”
“Magari
uno di città non ha mai visto una tempesta come quelle che
ci sono
dalle nostre parti,” osservò pacato Hayes, poi
guardò fuori e
pensò che in effetti sarebbe stato difficile non
spaventarsi. Il
vento mugghiava, e non era solo un modo di dire. Sembrava che mille
manzi terrorizzati stessero urlando con tutta la loro forza. I tuoni
facevano pensare a un galoppo forsennato e i lampi crepitavano da una
nube all’altra generando sinistri bagliori da fucina.
Nonostante
il vento, dappertutto gravava un’inquietante caligine
rossastra.
Lo
sceriffo si alzò e raggiunse la finestra. Era pomeriggio, ma
per le
strade di Pemberville non si vedeva anima viva. Persino i cani
randagi si erano dileguati. “Piuttosto brutta, eh?”
buttò lì.
Alle
sue spalle, Wilcox rise nervosamente e rispose: “Non sarete
mica
uno di città anche voi, vero?”
“No,
e non sono neanche svitato se è per questo, però
non ho mai visto
una cosa del genere in vita mia.”
“È
solo una tempesta,” rispose rapido l’altro,
“una dannatissima
tempesta e niente di più. Sarà meglio che vada a
controllare i
recinti, quelle bestie stanno facendo un chiasso infernale.”
Uscì
prima che lo sceriffo potesse dire una parola.
Rimasto
solo, questi diede un’altra occhiata fuori, quindi
spostò lo
sguardo sull’involto che era rimasto abbandonato sulla
scrivania.
Si avvicinò e lo aprì rivelando un grosso
quaderno verde con la
copertina rigida e un po’ consunta sugli angoli. La costa si
era
staccata ed era stata riparata con il nastro gommato. Qua e
là si
intravedevano i resti di una sottile decorazione dorata. Le pagine
erano ingiallite, in alcuni punti un po’ sfrangiate. Dava
l’idea
di un oggetto molto usato ma tenuto con grande cura.
Lo
prese in mano e cominciò a sfogliarlo.
La
prima annotazione risaliva a circa tre anni prima. Era scritta in
caratteri fini e regolari, cosa che creava un certo contrasto con il
contenuto, che invece era piuttosto tragico.
“Il
signor Smithers ha bruciato il mio vecchio diario,” diceva
infatti, “ha detto
che conteneva cose immorali. L’ha buttato
nel fuoco nonostante le mie proteste, e poi ha buttato fuori me da
casa sua. Naturalmente non mi vuole più nemmeno come
contabile,
quindi dovrò trovarmi un altro lavoro, anche se temo che non
sarà
facile, perché ha detto che farà del suo meglio
per rivelare a
tutti il mio segreto, in modo da metterli in guardia contro di
me.”
Di
colpo interessato, Hayes si sedette alla scrivania.
L’annotazione
successiva era di qualche giorno dopo e parlava della decisione del
ragazzo di lasciare la città.
“Andrò
all’ovest, là nessuno mi conosce e
potrò ricominciare da capo.”
Lo
sceriffo calcolò che all’epoca Aidan
O’Connor doveva avere circa
diciassette anni. Un po’ presto per scrivere cose del genere.
Negli
anni successivi il ragazzo si era spostato in città sempre
più
piccole e sempre più ad ovest. Un mese da una parte, sei
dall’altra,
quattro in un altro posto e così via. Di pari passo i lavori
che
svolgeva diventavano sempre più umili: l’aveva
conosciuto come
contabile, poi era diventato copista, ragazzo di fatica in un
giornaletto locale, addetto alle pulizie in una banca, sguattero e
infine mozzo di stalla.
Nei
suoi scritti c’era costantemente l’allusione a un
non meglio
specificato segreto.
O’Connor ne parlava come di una cosa
molto brutta, che faceva di tutto per tenere nascosta, anche se non
sempre ci riusciva. Quando il suo segreto veniva scoperto, egli
invariabilmente cambiava città, non si capiva bene se di sua
iniziativa o costretto da qualcuno.
Perplesso,
lo sceriffo posò il diario. Che genere di segreto poteva
essere?
O’Connor stava sfuggendo alla Giustizia? Era per caso un
ladro? Un
baro? Un assassino?
Gli
sembrava dannatamente giovane per essere un delinquente incallito.
Forse era malato? Magari pazzo?
Non
riusciva a darsi una spiegazione logica. Fra l’altro
ripensava al
corpo che aveva visto nell’ambulatorio del dottore e gli
sembrava
impossibile che uno con quell’aspetto, per di più
descritto da
tutti come gentile e taciturno, potesse essere un criminale o un
folle.
Riprese
la lettura, la faccenda l’aveva incuriosito un bel
po’. Aveva la
sensazione che le circostanze di quella morte misteriosa fossero in
qualche modo legate al segreto di cui il ragazzo parlava con tanta
angoscia e sperava di trovare nel diario una conferma alle sue
supposizioni.
Lesse
varie vicissitudini, raramente fortunate, e finalmente
arrivò alla
parte che parlava di quando O'Connor aveva accettato il lavoro di
aiuto cuoco.
“Credo
che lo prenderò,” scriveva,
“ho quasi
finito i soldi e da
queste parti non c'è tanto da fare gli schizzinosi. Non so
andare a
cavallo, ma il signor Carney mi ha detto che non ce ne sarà
bisogno,
perché durante gli spostamenti starò su un carro.
Mi ha chiesto se
sono capace di cucinare e lavare i panni e io ho detto di
sì,
ovviamente, perché non volevo fare brutta impressione. Nei
giorni
che mi restano prima della partenza chiederò alla signora
Sandham se
mi insegna qualcosa, magari le cose più semplici.
C'è
già un vero cuoco, comunque, il signor Forbes. Io
sarò solo il suo
aiutante.”
C'era
una riga vuota, poi il testo riprendeva in una grafia più
rapida e
spigolosa, come se si trattasse di una nota vergata frettolosamente e
con un certo grado di agitazione.
“Questa
volta non devo farmi scoprire. Nessuno deve venire a conoscenza del
mio segreto. Per prima cosa, non posso permettermi di perdere anche
questo lavoro, non ho i soldi per cambiare ancora città e
non so
davvero cosa potrei andare a fare. E poi ho paura. I cowboy non sono
teneri con certa gente e non ho idea di cosa mi farebbero se lo
scoprissero. Potrebbero anche ammazzarmi e lasciarmi in mezzo alla
prateria, chi se ne accorgerebbe?”
Hayes
rifletté parecchio su quell'ultima frase. Il ragazzo aveva
paura di
essere ucciso. Era stato davvero assassinato? In che modo, se non
c'era nemmeno il più piccolo segno di violenza sul corpo? E
perché
proprio a cinque miglia da Pemberville, con giorni e giorni di
pianura disabitata alle spalle?
Oppure
si era ucciso? E anche in quel caso, come?
Un
mistero che sembrava non avere soluzione. Continuò la
lettura:
“Siamo
in viaggio da circa una settimana. Avrei voluto scrivere prima, ma
all’inizio i miei nuovi compiti erano così pesanti
che appena
avevo un momento libero mi mettevo a dormire. Adesso mi sto pian
piano abituando e tutto quello che il signor Forbes mi chiede di fare
sta diventando un po’ meno faticoso.
Di
solito precediamo la mandria con il carro, per trovare il posto
adatto all’accampamento. Appena ci fermiamo devo andare a
cercare
legna, o se non ce n’è devo preparare un focolare
adatto al
carbone. Quando ho finito, il signor Forbes mi fa sbucciare le
patate, o tagliare il lardo e dopo cena devo andare al ruscello a
lavare le stoviglie.
Questo
per quanto riguarda la cucina, poi c’è tutto il
resto, come lavare
e rammendare i vestiti e preparare i giacigli e il fuoco per la
notte. Sto imparando anche ad occuparmi dei cavalli dei cowboy.
All’inizio mi facevano un po’ paura, non sono
tranquilli come
quelli che accudivo a Edgefield, ma ormai sto prendendo confidenza
anche con loro.
Qui
nessuno mi rivolge la parola, al massimo mi chiamano
‘ragazzo’ o
‘rosso’, per via dei capelli. Dubito che ci sia
qualcuno a parte
il signor Carney che sappia come mi chiamo, ma in fin dei conti forse
è meglio così, almeno non correrò il
rischio di tradirmi mentre
faccio conversazione…”
Lo
scritto continuava su quel tono per un po’. Lo sceriffo a
questo
punto era decisamente curioso e si chiedeva che diavolo avesse quel
poveretto. Che cosa poteva essere che lo costringeva a starsene per
conto suo come una specie di appestato, a non parlare con nessuno e a
fare solo i lavori che nessun altro voleva?
“…dopo
l’episodio del signor Smithers mi ero ripromesso di non
mettere mai
più per iscritto certe cose, ma questa volta proprio non ce
la
faccio. Ce l’ho sempre davanti agli occhi, ormai me lo sogno
anche
di notte e se non mi sfogo in qualche modo ho paura che
finirò per
dire o fare qualcosa di compromettente. Se scrivo qui forse
riuscirò
a stare un po’ meglio, inoltre la maggior parte dei ragazzi
è
analfabeta, quindi non dovrei correre particolari rischi.
Zachariah
Brown, è lui il mio problema.
Il
mio problema e contemporaneamente anche il mio sogno, perché
è
l’uomo più affascinante che abbia mai visto in
vita mia.
In
mezzo agli altri sembra un lupo in un branco di cani, è
forte e
selvaggio, e non riconosce altre regole se non quelle che lui stesso
si impone. Quando lo vedo arrivare in sella al suo cavallo, con
quell’aria spavalda e un po’ strafottente che fa
così arrabbiare
il signor Carney, ho sempre un tuffo al cuore.”
“Diavolo,”
disse Hayes a voce alta, sollevando sconcertato lo sguardo dalla
pagina che stava leggendo. Spinto dal vento, un cespuglio secco
finì
contro la finestra facendolo sobbalzare. Si alzò e
andò a tirare la
tenda.
“Diavolo,”
ripeté dopo un po' scuotendo la testa. Era quello il
segreto? Aidan
O'Connor era un invertito? Fu attraversato da una vaga sensazione di
imbarazzo. Normalmente non gli andavano per niente a genio certe cose
e valutò che se gli avessero detto subito dei gusti di
O'Connor
probabilmente si sarebbe schifato un bel po'. Dopo aver letto il suo
diario, però, gli sembrava di conoscere quel ragazzo da
anni, e la
scoperta non lo indignava come si sarebbe aspettato.
“Poveraccio,”
disse soltanto con un sospiro.
Poveraccio
davvero, pensò con un'alzata di spalle. Una vita passata a
nascondersi nella vergogna, e a scappare ogni volta che la faccenda
veniva scoperta. Chissà perché non era andato da
un dottore, poi,
per farsi curare quella malattia? Ormai nessuno l'avrebbe
più
saputo.
Scuotendo
la testa tornò alla scrivania e raccolse il diario.
“Zack
non accetta ordini da nessuno,'
proseguiva lo scritto, 'il
signor Carney in persona fa fatica a farsi obbedire da lui, tuttavia
non lo licenzia, perché è il cowboy migliore che
si possa trovare.
Di solito uno bravo riesce ad isolare dalla mandria un vitello, lui
ha isolato un coniglio selvatico che si era rifugiato in mezzo alle
vacche, e poi l'ha preso col lazo. L'ho visto coi miei occhi.
Il
coniglio poi l'ha portato al signor Forbes per farselo cucinare. Gli
altri ne volevano un pezzo, tutti sono stanchi di manzo e patate, ma
lui se l'è mangiato tutto da solo. Ne potete catturare uno
anche voi
se lo volete, ha detto, la prateria ne è piena.
Tutti
si sono arrabbiati, ovviamente, ma Zack è fatto
così. È un
predatore, prende ciò che vuole, non dà aiuto a
nessuno e non si
aspetta di riceverne. Lavora con qualcuno unicamente se l'altro
è
alla sua altezza, altrimenti fa da solo, e siccome non ritiene quasi
nessuno alla sua altezza, va a finire che è praticamente
sempre da
solo.
A
differenza di me, lui da solo ci sta bene. È come se non
volesse
avere niente a che fare con gli altri. Lo si vede stagliarsi a
cavallo contro l'orizzonte e scrutare la mandria, e un attimo dopo
partire al galoppo per recuperare un gruppetto di manzi che stava
rimanendo indietro. Poi torna come se niente fosse, e guarda gli
altri con aria di sufficienza, come sfidandoli a fare altrettanto.
Quando
è lontano, tutti parlano di lui. Male, perlopiù.
Pete dice che è
un tipaccio, che ha ucciso più di un uomo nella sua vita,
che ha
fatto il ladro di cavalli e che a Laredo c'è addirittura una
taglia
su di lui. Gli altri non ci credono, oppure nonostante i soldi che
potrebbero guadagnare non hanno il coraggio di sincerarsene
direttamente, quindi Zack è libero di comportarsi come vuole
e
spadroneggia su tutti. A parte il signor Carney, naturalmente. Con
lui sta zitto, ma solo perché se venisse licenziato non
riceverebbe
la paga.
Io
dovrei detestare un individuo del genere, è prepotente,
sfrontato e
violento, ma non riesco a pensare ad altro che ai suoi occhi, oppure
a quel suo modo al tempo stesso insolente e spavaldo di calcarsi il
cappello in testa e di andarsene non appena qualcuno o qualcosa l'ha
annoiato.”
Hayes
sollevò il capo e proferì un insulto.
Rievocò l'immagine del tizio
che aveva incrociato al Lazy Dog e a mezza voce disse: “Se
crede di
potersi comportare così anche qui a Pemberville, gli faccio
passare
la voglia.”
“Oggi
lui e Jed Perkins hanno litigato,”
proseguiva O'Connor, “o
per meglio dire è Zack che è andato ad attaccare
briga con Jed.
Ogni tanto lo fa, è uno dei suoi divertimenti preferiti: va
da
qualcuno e lo provoca fino a che l'altro esasperato non gli
dà un
pugno, allora lui reagisce e cominciano a darsele di santa ragione.
Poiché Zack è il più robusto e il
più aggressivo del gruppo,
l'esito di questi scontri è abbastanza prevedibile.
Questa
volta però la cosa è andata un po' troppo oltre,
nel senso che Zack
ha continuato a prendere a calci Jed anche quando era a terra e aveva
smesso di difendersi, col risultato che adesso Jed non riesce nemmeno
a stare a cavallo ed è sul carro con noi. Il signor Forbes
è sicuro
che abbia almeno due costole rotte.
Il
signor Carney si è arrabbiato molto, naturalmente, ma Zack
si è
limitato ad alzare le spalle e a fare il suo solito sorrisetto di
superiorità. “L'avete visto anche voi,”
ha detto, “è stato
lui a colpire per primo. Io non ho fatto altro che
difendermi.” E
poi se n'è andato a controllare la mandria come se niente
fosse.
Penso
che il signor Carney lo caccerebbe via, se potesse, ma in effetti
trovare un altro cowboy come lui non è facile.”
Seguivano
alcune pagine di considerazioni del ragazzo. Nonostante tutto, egli
sembrava convinto che Zachariah Brown in fondo fosse una brava
persona, e che bastasse solo trovare il modo di prenderlo nel verso
giusto per rivelare le sue doti nascoste.
L'unico
commento che gli venne in mente fu che chiunque, uomo, donna o
invertito, quando si innamora rincretinisce.
Quel
tizio era un depravato, un tanghero e un bastardo, e il solo favore
che poteva fare al genere umano era quello di incappare in qualcuno
più grosso e più cattivo di lui che finalmente lo
spedisse
all'altro mondo.
Il
povero O'Connor, che disperato languiva dietro un individuo del
genere, gli fece quasi pena.
A
questo punto il diario si interrompeva per circa una settimana. Hayes
si chiese se il ragazzo fosse stato malato, o se qualcosa gli avesse
impedito di scrivere. Magari quel tizio se l'era presa con lui,
tipico di quel genere di prepotenti farsela coi più deboli.
A
quel
pensiero provò la stessa rabbia di quando da ragazzino
scopriva che
qualcuno aveva fatto del male al suo fratellino più piccolo.
Continuò
a leggere:
“Domenica
ho avuto davvero paura. Stavo rigovernando i piatti nel ruscello
quando ho sentito dei passi. Ho alzato gli occhi e ho visto che stava
arrivando Zack. Il mio primo impulso è stato quello di
scappare, ma
subito mi sono reso conto che non era possibile: con i piatti lavati
a metà e nient'altro da fare, come avrei potuto non far
capire a
Zack che me ne stavo andando a causa sua? Come tutti i predatori
è
attratto dal movimento, se mi avesse visto scappare in quel modo mi
avrebbe certamente inseguito, inventandosi qualche motivo per
prendersela con me.
E
poi c'era un altro problema, naturalmente: l'attrazione che provo per
lui. Sarebbe capace di uccidermi se scoprisse una cosa del genere, e
in questo di sicuro gli altri gli darebbero man forte anche se lo
detestano. Cosa sarebbe successo se mi avesse sorpreso a fissarlo in
un certo modo?
Subito
ho incollato lo sguardo a terra e ho continuato la rigovernatura.
Lui
ha cominciato a spogliarsi. Lo vedevo con la coda dell'occhio, si
toglieva i vestiti uno dopo l'altro con calma, sembrava anzi che lo
facesse con studiata lentezza, come se volesse mettersi in mostra.
“Che
hai da arrossire?” mi ha chiesto improvvisamente,
“non hai mai
visto un uomo nudo?”
Ero
stato molto attento a non mostrare nessuna reazione, ma purtroppo
certe cose non si riescono a comandare e l'idea di avere vicino Zack
che si stava spogliando mi aveva fatto diventare rosso fino alla
radice dei capelli.
Ho
balbettato qualche scusa.
“Sarà
meglio che ci fai l'abitudine” ha risposto
“perché adesso voglio
lavarmi.”
Poi
ha preso un pezzo di sapone ed è entrato nel ruscello,
fermandosi
proprio davanti a me.
L'acqua
gli arrivava appena alle cosce, e lasciava visibile tutto
ciò che la
decenza avrebbe voluto coperto.
Il
Signore mi è testimone, credo che nessun martire cristiano
abbia mai
dovuto sopportare un supplizio come quello che ho subito io in quel
frangente. Volevo scomparire sottoterra, morire, scappare, ma non
essere costretto a lavare i piatti con gli occhi incollati a terra
sapendo di avere a cinque passi di distanza Zachariah Brown
completamente nudo che si lavava.
So
che è sbagliato, ma l'unica cosa che in quel momento
desideravo era
che... Dio mi perdoni, non riesco nemmeno a scriverlo qui.
Poi
ad un certo punto Zack ha detto: “Smettila di
fissarmi.”
Non
lo stavo guardando, ero stato ben attento a non alzare gli occhi una
sola volta dal mio lavoro, quindi ho risposto: “Non ti sto
guardando, Zack.”
“Non
è vero. Mi stai fissando come se non avessi mai visto un
uomo nudo.
Cosa sei, uno di quelli?”
“Cosa?”
“Uno
di quelli a cui piacciono i maschi.” Ha sputato da una parte
con
disprezzo. “Un invertito.”
Mi
è
corso un brivido gelato giù per la schiena e subito mi sono
affrettato a negare. Intanto mi chiedevo con angoscia se le parole di
Zack erano solo una provocazione gratuita o se davvero nonostante
tutto mi ero lasciato sfuggire qualcosa e gli altri si erano accorti
di me.
“No,
no!”
Garantito
che se lo scoprivano ero morto.
“Invece
sì,” ha risposto lui con decisione, “sei
uno di quelli. Magari
in questo momento hai una gran voglia che io ti faccia il
servizietto, è per quello che mi stai guardando in mezzo
alle
gambe.”
Non
sapevo più cosa rispondere, e non ho trovato nulla di meglio
da fare
che piantare lì tutto e scappare via più veloce
che potevo.
Alle
mie spalle Zack rideva come un matto, e anche gli altri si stavano
divertendo un mondo. Forse ha solo voluto farmi uno scherzo dei suoi,
ma mi manca il coraggio di accertarmene.
Credo
sia meglio se d’ora in avanti gli sto ancora più
lontano. Io sono
sicuro di non aver mai lasciato trapelare nulla, ma nonostante la sua
apparenza ruvida ha una sensibilità fuori dal comune e non
è
escluso che abbia comunque percepito qualcosa di me.”
Lo
sceriffo ponderò attentamente quell’episodio. Uno
scherzo stupido.
Zachariah Brown aveva voluto divertirsi alle spalle del ragazzo e
casualmente era andato a pescare proprio l’argomento proibito.
Si
chiese se la cosa fosse stata davvero casuale. Non dubitava che in
effetti quel Brown fosse parecchio sensibile. Per essere davvero dei
bastardi fatti e finiti com’era lui bisognava essere in grado
di
colpire nel punto più debole, e questo era possibile solo
sapendolo
individuare con precisione.
Come
sarebbe riuscito altrimenti a provocare la gente fino a farsi
prendere a pugni? Gente che lo conosceva, peraltro, e che di partenza
sapeva dove lui andava a parare. Ci voleva finezza, in un certo
senso.
Il
diario proseguiva con annotazioni brevi e di scarsa rilevanza.
Sembrava che l’episodio del ruscello avesse talmente
spaventato il
ragazzo che ormai non si fidava a mettere su carta neanche il
più
innocente dei suoi pensieri.
“Aidan,
Aidan,” sospirò fra sé e sé
lo sceriffo col tono del padre
deluso, “ma che diavolo ti è venuto in mente? Non
potevi
rivolgerti a un buon dottore che ti aiutasse a guarire invece di
continuare ad andare dietro alle persone sbagliate?”
Perché
O’Connor gli sembrava un bravo giovane, in fin dei conti,
anche se
aveva quei gusti, e gli dispiaceva che avesse fatto una fine
così
misera.
Nel
diario trovò di nuovo uno scritto piuttosto lungo e con
interesse
riprese la lettura:
“Oggi
ero a cavallo. Non ci so andare, ma il carro era pieno di legna da
ardere che avevamo raccolto in giro e c’era anche uno degli
uomini
che non stava bene, quindi per me non c’era posto.
Mi
hanno dato il cavallo di ricambio di quello malato. La mandria si
sposta lentamente, quindi io non avrei dovuto fare altro che seguire
il carro al passo, ma probabilmente la bestia aveva capito che aveva
a che fare con un principiante e col passare del tempo diventava
sempre più nervosa. Gli altri scherzavano sul fatto che in
sella
sembravo un sacco di patate, e questo naturalmente non migliorava le
cose.
Ad
un certo punto da un cespuglio poco lontano si è alzato in
volo
schiamazzando un uccello, e il mio cavallo è letteralmente
impazzito. Di colpo ha buttato giù la testa e si
è messo a correre
come un matto. Io non sapevo come fermarlo. Le redini mi erano
sfuggite di mano, quindi mi ero aggrappato alla criniera e al pomo
della sella e cercavo disperatamente di non cadere. Avevo una paura
terribile, non tanto di farmi male io, quanto di perdere o azzoppare
il cavallo, perché di sicuro il signor Carney me
l’avrebbe fatto
ripagare, e io non avrei mai trovato i soldi per ripagare un cavallo
da cowboy addestrato.
Poi
qualcuno mi ha raggiunto al galoppo, ha afferrato le redini
dell’animale imbizzarrito e l’ha fermato.
Sono
rimasto di sasso: era Zack. “Calma, bello,” ha
detto
tranquillamente. Io pensavo che stesse parlando al cavallo e sono
rimasto in silenzio, aspettandomi che mi insultasse per quello che
avevo fatto, ma lui ha proseguito: “Più ti
innervosisci, più fai
innervosire anche lui.” Mi ha strizzato l’occhio.
“E poi sta
più dritto sulla sella, se ti metti così piegato
in avanti lui
crede che gli stai chiedendo di correre. È normale che parte
pancia
a terra.”
Io
ero ancora scosso, e tremavo da capo a piedi. “Grazie,
Zack,” ho
balbettato.
“Ringrazia
piuttosto di non esserti spaccato il muso, razza di idiota.”
Prima
che potessi replicare se n’era già andato.
Sono
tornato indietro piano piano, dritto come se avessi avuto una pila di
piatti in equilibrio sulla testa, ancora incredulo di essere vivo e
tutto d’un pezzo.
La
cosa che mi ha lasciato più sconvolto, però,
è stata che Zack è
venuto ad aiutarmi. Da quando lo conosco non l’ho mai visto
fare
una cosa del genere per nessuno.
Può
darsi che gliel’abbia detto il signor Carney, magari non
voleva
rischiare di perdere il cavallo, ma io so che Zack esegue i suoi
ordini solo quando li condivide.
Questo
conferma la mia teoria: in realtà è buono,
basterebbe solo
prenderlo per il verso giusto e sarebbe la persona più leale
e
coraggiosa del mondo.
Ma
qual è il verso giusto?”
Di
nuovo Hayes scosse la testa desolato. Quando qualcuno è
convinto di
una cosa a dispetto di qualsiasi evidenza del contrario, come diavolo
si fa a fargli capire che ha preso una cantonata? Se O’Connor
fosse
stato ancora vivo gli avrebbe volentieri sbattuto la testa contro il
muro, per vedere se uscivano fuori certe idee balzane. Zachariah
Brown era solo un figlio di buona donna, possibile che un ragazzo
così intelligente non se ne rendesse conto?
Magari
gli invertiti ragionano – o non
ragionano, in questo caso –
in modo diverso, concluse con un’alzata di spalle.
Notò
a
questo punto un fatto curioso: il diario cambiava grafia. La mano era
sempre quella di O’Connor, ma il testo appariva spigoloso,
sgraziato, a tratti malfermo. C'erano cancellature e macchie
d'inchiostro. Sembrava che il ragazzo scrivesse in preda ad una forte
emozione, non necessariamente positiva.
Anche
la sintassi, che di solito era estremamente curata, diventava
sconnessa e affrettata, con frasi brevi e a tratti confuse.
“Io
l’ho visto,” diceva,
“l'ho visto
ieri per la prima
volta, so che sta arrivando per lui. Viene per portarlo via. Tutto il
male che ha fatto non poteva restare impunito, questo lo so
anch’io,
ma vorrei che gli fosse concessa un’ultima
possibilità, io sono
sicuro che può ancora ravvedersi.”
Lo
sceriffo era sempre più perplesso. Di chi stava parlando?
Chi stava
arrivando? Un ranger forse? O magari un cacciatore di taglie, se era
vero che Brown ne aveva una sulla testa.
Il
prosieguo del testo lo lasciò stupefatto e con forti dubbi
sulla
salute mentale del ragazzo:
“È
la mandria del diavolo. Una volta un vecchio che era mezzo indiano mi
raccontò che i cowboy che fanno cose brutte finiscono
lì, a cercare
di radunare per l’eternità i manzi del diavolo nel
cielo. Lo disse
a me perché aveva capito che io ho il dono. Ce
l’aveva mia nonna
prima di me, è stata lei ad insegnarmi tutto, e poi sul
letto di
morte ha recitato la formula e me l’ha passato.
Il
vecchio mi ha spiegato che a volte quella che sembra una tempesta
è
in realtà la mandria del diavolo che arriva per portare via
qualcuno.
Ora
sta arrivando. Le nuvole sono rosse, ci sono i tuoni e i fulmini, ma
non cade una goccia di pioggia.
Viene
per Zack, io lo so. Lo chiamano.
Gli
altri non la vedono, ma percepiscono che c’è
qualcosa di
soprannaturale all’opera. Anche le bestie sono inquiete, gli
uomini
hanno dovuto lavorare tutta la notte per evitare che scappassero in
tutte le direzioni.
Io
la vedo.
In
cielo tra le nuvole ci sono manzi dagli occhi rossi, con le corna
nere e lucide e gli zoccoli d’acciaio. Sul fianco hanno un
marchio
infuocato e il loro fiato bollente scalda l'aria. Ad inseguirli ci
sono i cowboy dannati, in sella a cavalli che emettono fuoco dalle
froge. Hanno volti smagriti, sguardi allucinati e le camicie fradice
di sudore. Corrono senza riposo, esausti, ma non riescono mai a
radunare la mandria. È il loro castigo per
l’eternità.
Sento
le loro grida spettrali, e sento anche i muggiti delle bestie del
diavolo. Ormai sono così forti che mi impediscono di
dormire.”
“Gesù,
alla fine è impazzito,” commentò ad
alta voce Hayes. “A forza
di andare dietro a quello là ha perso il senno. Lo dicevo io
che
doveva farsi vedere da un dottore.”
Conosceva
anche lui la leggenda della mandria del diavolo, l'aveva sentita
qualche volta, ma non aveva mai pensato neppure per un momento che
potesse essere una cosa reale.
Era
solo una vecchia storia che si raccontavano i cowboy intorno al fuoco
la notte.
Tuttavia
provava uno strano disagio.
Si
avvicinò di nuovo alla finestra, scostò la tenda
e guardò fuori.
Ormai stava calando la sera e la strada era immersa in un crepuscolo
caliginoso che sembrava decisamente innaturale. C’erano tuoni
e
fulmini, in effetti, ma non cadeva una sola goccia di pioggia. Si
sentivano dei lamenti che mettevano i brividi.
Soffocò
un’imprecazione e accese una lampada a petrolio. La luce
dorata
sembrò attenuare un po’ la cappa di inquietudine
che l’aveva
pervaso e decise di riprendere la lettura. Quel ragazzo era
sicuramente impazzito, del resto visti i suoi gusti e quello che
diceva a proposito del suo fantomatico dono non
doveva essere
tanto sano neanche prima, ma era sicuro che nelle poche pagine che
rimanevano avrebbe trovato una spiegazione al mistero che avvolgeva
tutta la vicenda.
“Ormai
è certo,” lesse,
“sono loro,
e sono venuti per lui. Li
sento mentre lo chiamano. Gli galoppano intorno tutto il tempo, lo
vogliono portare via. Vorrei avvertirlo, ma cosa gli dico? Una
mandria spettrale vuole rapirti a causa delle brutte azioni che hai
commesso? Mi riderebbe in faccia.
Tuttavia
non voglio lasciarlo al suo destino, credo che nonostante tutto
meriti una possibilità. Ha fatto del male, è
vero, ma può ancora
ravvedersi ed è anche capace di buone azioni, me l'ha
dimostrato
quando mi ha salvato dal cavallo imbizzarrito.
Non
c'è più molto da dire, in realtà. So
quel che si deve fare e lo
farò, costi quel che costi.”
Lo
scritto finiva. Da lì in poi c'erano solo disegni. Il primo
era una
stella a cinque punte rivolta verso il basso e inscritta in un
cerchio, con degli strani simboli tutt'intorno.
Nelle
pagine successive ce n'erano altri. Alcuni molto semplici, per
esempio un triangolo col vertice in basso, con delle lettere
all'interno, oppure molto più complessi, come figure
geometriche con
molti lati inscritte l'una nell'altra e circondate di caratteri
sconosciuti.
L'ultimo
era il più spaventoso. C'era di nuovo la stella a cinque
punte, poi
il muso di un caprone visto di fronte e ancora simboli misteriosi.
Al
centro c'erano il nome di Zachariah Brown cancellato da un tratto di
penna e quello di Aidan O'Connor, con accanto tre gocce scure che
riconobbe senza ombra di dubbio come sangue secco.
Le
pagine successive erano vuote.
“Signore
Iddio,” mormorò lo sceriffo facendosi il segno
della croce. Quello
era un patto col diavolo in piena regola.
In
quel
momento dei colpi concitati alla porta lo fecero letteralmente
sobbalzare. Abbandonò il diario e andò ad aprire.
Sulla
soglia c'era il medico, pallido come se avesse visto un fantasma.
Aveva una lanterna in mano e appariva molto agitato.
“Che
è successo, dottor Bateson?” chiese lo sceriffo.
“Qualcuno
ha rubato il corpo,” fu la risposta.
“Rubato?
Come sarebbe a dire?”
“Non
c'è più, è sparito.”
Hayes
lo fissò scettico. “Sparito? Volete dire che il
corpo di Aidan
O'Connor non è più dove lo avevate
lasciato?”
“Proprio
così.”
Seguirono
alcuni secondi di silenzio, poi lo sceriffo lentamente disse:
“Evidentemente non era così morto come pensavamo.
È l'unica
spiegazione logica. Probabilmente era solo un caso... come lo
chiamate voi? Di morte apparente?”
“Gli
ho fatto l'autopsia, e il sangue non circolava,” rispose
caparbio
il medico, “inoltre gli ho tolto il cuore dal petto e poi
l'ho
rimesso al suo posto. Secondo voi un uomo può rimanere vivo
dopo un
trattamento del genere?”
“In
effetti no” convenne lo sceriffo.
“Dunque
che mi dite?”
Hayes
rimase in silenzio, obiettivamente non sapeva che dire.
Pensò di far
vedere al dottor Bateson il quaderno di O'Connor, in particolare la
parte finale con i disegni, ma mentre si apprestava a prenderlo
udì
un frastuono assordante in strada. Migliaia di zoccoli facevano
tremare il terreno, si udivano muggiti e lugubri richiami.
Afferrò
il lume a petrolio del medico e si affacciò sulla porta:
tutta la
via era occupata da una mandria di manzi che passava al galoppo. Le
bestie avevano gli occhi rossi e le corna nere e lucide. Alla luce
della lampada gli zoccoli mandavano bagliori metallici.
Tutt'intorno
si affannavano dei cowboy in groppa a cavalli spettrali che
emettevano fuoco dalle froge. Hayes riconobbe in uno di essi Aidan
O'Connor. Smagrito, livido, con lo sguardo spiritato, ma chiaramente
lui.
Tentò
di chiamarlo, ma in quel momento qualcosa colpì la lampada
mandandola in frantumi e precipitando la strada nelle tenebre
più
impenetrabili.
Subito
Hayes corse nel suo ufficio a prendere la lanterna che aveva lasciato
sulla scrivania, ma quando si affacciò nuovamente sulla
soglia la
strada era deserta.
Vuota,
come se nessuno fosse mai passato per di lì. La terra
battuta del
fondo era perfettamente liscia e non vi era alcun segno della mandria
che l'aveva invasa solo pochi secondi prima.
Notò
che il vento si era calmato e dappertutto stava scendendo un silenzio
di morte.
“L'avete
vista anche voi?” chiese al dottor Bateson.
Il
medico annuì in silenzio. “Che cos'era?”
chiese poi.
“La
mandria del diavolo. Ha portato via la persona sbagliata.”
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