5° CAPITOLO
La sala da pranzo era semplicemente enorme.
Il palazzo sede dell’associazione magica del Kansai aveva molte sale da
pranzo.
Ma in quell’occasione si era scelta quella principale, posta al centro
dell’edificio.
Tale stanza risultava ancora più grande in quanto le uniche persone presenti
erano Eishun, Konoka, Asuna e Hakase, tutti seduti per terra su dei cuscini.
Inoltre l’unico mobile presente era il lungo tavolo col cibo.
Il cibo era tanto e invitante, eppure le tre ragazze mangiavano senza molto
appetito.
Eishun se ne accorse. “Cosa vi succede? Non è buono?”
“No, papà, è ottimo. Però ora come ora non abbiamo molta voglia di mangiare”
spiegò Konoka.
“Comunque non deve credere che non siamo contente di trovarci qui, signor
Konoe” ribadì prontamente Hakase.
“Questo posto è bellissimo e l’accoglienza squisita come sempre” continuò
Asuna “Solo che…”
Eishun sorrise. “Capisco. Siete in apprensione per Negi e le vostre compagne.
E come se non bastasse, ieri siete state aggredite da quei misteriosi robot
giganti. Ma non dovete demoralizzarvi. Intanto l’aggressione di ieri ha un lato
positivo: ci conferma che le altre possono essere vive. Se infatti qualcuno ha
cercato di catturarvi, allora questo qualcuno potrebbe aver preso anche la III
A. E se le vostre compagne sono vive, si possono salvare. Per questo la società
dei maghi ha sguinzagliato tutte le sue risorse per trovarle”.
“Ma se sono vive, perché non andiamo a cercarle anche noi?” domandò Konoka.
“Col rischio di farvi catturare?” Eishun scosse benevolo la testa “Troppo
pericoloso, figliola. La facilità con cui hanno sconfitto Asuna indica che
potrebbero aver sconfitto altrettanto facilmente anche le altre. Finché non
scopriamo con chi abbiamo a che fare, non dovete muovervi da qui. Qui siete più
al sicuro che al Mahora. La barriera protettiva, dopo i fatti della gita
scolastica, è stata potenziata. E abbiamo aggiunti sofisticati sistemi
d’allarme, uniti a metodi più vecchiotti ma sempre efficaci, per non lasciare
spazio ad alcuna intrusione. Inoltre il palazzo è pieno dei migliori guerrieri
del Giappone, esperti nell’uso del Ki. Quindi, se quei robot dovessero avere
qualche mezzo speciale contro la magia, con il Ki la faccenda potrebbe cambiare.
Infine, nessuno sa che siete qui. Siete arrivate con un teletrasporto e al
Mahora ci sono dei famigli con le vostre sembianze che fungono da esche”.
“Un’ottima organizzazione. Ci dispiace però di dovervi recare tutto questo
disturbo” si scusò Asuna.
“Nessun disturbo, per carità. Su, adesso mangiare. E cercate di essere
allegre. Le buone giornate arrivano a chi sa sorridere”.
Le tre ragazze allora ripresero a mangiare cercando di gustare quel cibo come
meritava.
L’investigatore Harnell camminava tranquillamente in mezzo al bosco.
Raggiunse uno spiazzo dove gli alberi si diradavano, rendendo visibile il
grande palazzo dell’associazione magica del Kansai.
Poi si chinò cominciando a cercare per terra.
Infine trovò, abilmente nascosto sotto un lievissimo strato di terra, un
filo.
L’uomo spostò lo sguardo verso destra.
“Uhm, aveva ragione a dire che avrebbero usato vecchie trappole adattate per
noi. Questo filo fa scattare una rete rinforzata che sopporterebbe anche pesi di
dieci tonnellate. Niente male”.
Si rialzò contemplando il palazzo.
“E’ arrivato il momento di agire”.
Asuna, Konoka e Hakase erano nel grande bagno del palazzo.
Sebbene sembrassero sole, sapevano di essere circondate dalle guardie
posizionate da Eishun.
Guardie abilissime, nascoste fuori dal bagno ma pronte ad intervenire in
qualunque momento.
Asuna si versò una secchiata d’acqua sul capo per poi rivolgersi alle sue
compagne. “Sentite ragazze, ma secondo voi perché ieri quei due robot non sono
riusciti a portarci via?”
“Non lo so proprio” rispose Konoka.
Hakase invece cominciò a lavarsi le braccia.
E Asuna le lanciò un’occhiataccia. “Hakase, diccelo!” ordinò decisa.
“Eh? E cosa dovrei saperne io?” rispose quasi scandalizzata la scienziata.
“Non mi incanti” replicò duramente Asuna “E ti assicuro che non hai incantato
nemmeno il preside. Non deve avere insistito perché siamo già sotto pressione,
ma è evidente che ci nascondi qualcosa”.
“Non nascondo nulla!” ribatté Hakase.
Asuna non cedette. “Cosa c’era in quel locale blindato?”
“Niente!”
“Niente!?” Asuna emise una breve risata di scherno “Quei robot volevano noi,
eravamo praticamente in mano loro. Eppure non ci hanno preso. Come mai? E come
mai dentro quel locale blindato che per te era vuoto, si è combattuto cosi
violentemente? Chi ha combattuto chi?”
“Forse i due giganti hanno cominciato a litigare tra loro, si sono fatti
scoprire e sono dovuti scappare”.
“Bugiarda! Prima di partire il preside mi ha fatto chiamare in disparte e mi
ha detto che avevano effettuato dei rilievi dentro il tuo laboratorio segreto.
Sul pavimento c’erano tre tipi diversi di impronte, lasciate da piedi
giganteschi!”
Hakase ammutolì, sospirò e andò verso i suoi vestiti, raccolti sopra uno
sgabello che stava vicino all’ingresso.
Konoka si avvicinò alla sua compagna di camera. “Asuna, quando mio nonno ti
ha fatto chiamare?”
“Mai. Era un trucchetto. E ci ho preso” fu la risposta sussurrata.
“Oh”.
Hakase tornò da loro con in mano il suo orologio.
Aprì il quadrante, tirandone fuori un oggetto cosi piccolo che stava
tranquillamente sulla punta di un dito.
Konoka si avvicinò incuriosita. “Che cos’è?”
“Questo è un proiettore olografico di foto. Le foto le ho scattate con una
semplice macchina fotografica, poi per sicurezza le ho travasate qui” spiegò
Hakase.
Asuna rimase alquanto perplessa. “Quel cosino… sarebbe un proiettore?!”
“E’ frutto della tecnologia ‘particolare’ che io e Chao sviluppavamo in quel
laboratorio. Ora guardate”.
Hakase premette tra due dita il piccolo oggetto, lo posò per terra e dopo
qualche secondo davanti a loro apparve un immagine a grandezza umana racchiusa
in uno spazio rettangolare.
Hakase si sistemò gli occhiali. “Sono otto. Per guardare le altre, basta
toccare quella che vedete”.
“Incredibile” mormorò Konoka.
Asuna osservò quella foto: riconobbe una scogliera, alquanto frastagliata. E
in una insenatura c’era quello che sembrava un enorme corpo antropomorfo.
“Quello… è un robot?” chiese Konoka.
Hakase non rispose, toccò l’immagine facendo arrivare le altre: era sempre lo
stesso corpo, chiaramente un robot, ripreso in maniera ravvicinata. Dalla
posizione sembrava quasi sdraiato tra le rocce, con la schiena rivolta verso il
basso.
“La sera prima della mia partenza da Osaka, passeggiando da sola sulla costa,
avvertii uno strano cambiamento di pressione. Poi ci fu un flash improvviso,
come se un lampo fosse scoppiato proprio davanti a me. Ma senza alcun rumore. E
certo non era un lampo perché il cielo era sgombro. Io rimasi accecata e ci misi
parecchi minuti per tornare a vedere. Una volta recuperata la vista, cercai la
fonte di quel misterioso fenomeno” spiegò Hakase.
“Ma non potevi chiedere aiuto?” le domandò Asuna.
“Spesso il mio interesse scientifico ha la meglio” rispose la scienziata, che
proseguì: “Cercando tra gli scogli, lo vidi: un enorme robot arrivato da chissà
dove e inattivo. Scesi tra gli scogli e lo esaminai, trovando la sua tecnologia
molto più sofisticata della nostra. Da qui ho ipotizzato che fosse un robot
alieno”.
“Alieno?!” esclamarono sbalordite Asuna e Konoka.
“Si. La tecnologia attuale non può creare un robot cosi sofisticato. Persino
i robot costruiti da me e Chao, come Chachamaru, al confronto sembrano quasi
tentativi pionieristici”.
Asuna rimase perplessa. “E… e dopo cosa hai fatto?”
“Be, spesso la scienza è come una caccia al tesoro. Il primo che lo trova, se
lo tiene. Poteva essere la scoperta del secolo. Quindi usai una serie di cappe
mimetiche che avevo portato per sicurezza per ricoprirlo, in modo che nessuno lo
scoprisse quella notte”.
Stavolta fu Konoka a restare perplessa. “Cappe… mimetiche?”
“Un’altra invenzione ‘particolare’ mia e di Chao. Sono abiti che rendono
invisibili. Nascosi il robot e il giorno dopo chiamai Chao per dirle di mandarmi
il nostro autoarticolato, un grosso camion volante con guida automatica. Tuttavia per
sicurezza non dissi neppure a Chao di cosa si trattava. Glielo avrei detto al
nostro rincontro. Attesi la sera, caricai il robot sull’autoarticolato grazie ad una
gru montata su quest’ultimo e tornai al Mahora la sera prima della data
prevista. Collocai la mia scoperta nel laboratorio e rimasi nascosta lì la
notte. Cosi il giorno dopo avrei potuto presentarmi a tutti come appena
arrivata. Ma a causa della sparizione, per tre giorni mi sono quasi dimenticata
del robot. E’ ovvio pensare che nel frattempo si sia attivato e che ci abbia
salvato”.
“Ma perché non l’hai detto a nessuno anche dopo la sparizione? Non dirmi che
anche dopo la scomparsa della nostra classe, ti preoccupavi solo di avere ancora
l’esclusiva!” accusò Asuna.
“No! Assolutamente no!” rispose prontamente Hakase “Però in questi ultimi
giorni ero cosi concentrata nelle ricerche che mi sono pressoché disinteressata
di quel robot. E dopo l’attacco… ho temuto che il preside se la prendesse con
me. Forse l’attacco è collegato in qualche modo con quel robot. Insomma, poteva
essere colpa mia… la sparizione, l’attacco…”
Asuna la schiaffeggiò. “Bastarda! E ti permetti di tacere?! Proprio perché le
due cose potrebbero essere collegate avresti dovuto dire tutto e subito. Sei
solo una sporca egocentrica!”
Hakase non disse nulla e scappò via afferrando al volo i suoi vestiti dallo
sgabello.
Asuna era fuori di se. “Io quella lì la…”
Ma Konoka prontamente la bloccò. “Non farlo! Diamole il tempo di riflettere e
andiamo piuttosto a parlare di questa cosa a mio padre”.
“Come sarebbe a dire? Vuoi fargliela passare liscia?!”
“Se deve essere punita, sarà punita. Ma non possiamo infierire su di lei. Me
l’hai detto anche tu, no? Hakase vive in un mondo tutto suo e ha un modo tutto
suo di reagire. Ma non è cattiva”.
Asuna si calmò. “Si, hai ragione. Ora vestiamoci e andiamo a far vedere
queste immagini a tuo padre”.
Intanto la quantità di vapore nel bagno aumentò discretamente.
Un grosso camion di colore rosso, con sopra disegnate delle fiammate blu e
munito di rimorchio, viaggiava solitario lungo una strada poco illuminata che si
inerpicava tra i boschi.
Improvvisamente i fari dell’automezzo illuminarono due persone con delle tute
bianche che intimarono al conducente di fermarsi.
Cosa che puntualmente fece.
L’autista abbassò il finestrino. “Salve, c’è qualche problema?”
L’uomo in tuta illuminò con una torcia il volto dell’camionista: era
un’occidentale, di mezza età, con i baffi.
Parlava bene giapponese, sebbene con uno spiccato accento americano.
“Questa è zona privata. Cosa sta facendo qui?” domandò l’uomo con la torcia.
“Sono qui per consegnare delle provviste a questo indirizzo” rispose
l’autista porgendo un foglietto.
Una volta illuminato il foglietto con la torcia, l’uomo lo passò al suo
compagno perché verificasse, mentre lui controllava i documenti del camionista e
il contenuto del rimorchio.
Il secondo uomo in tuta tirò fuori un telefono portatile e digitò un numero.
“Qui posto di controllo 47. Abbiamo un camion che è venuto a portare
rifornimenti alimentari. Vi risulta?”
Dal piccolo apparecchio giunsero solo scariche.
“Che diamine gli prende?” sbottò in attesa.
Poi finalmente arrivò la risposta. “Scusa il ritardo. Si, è tutto a posto.
Siccome abbiamo degli ospiti, e non sappiamo quanto durerà tutto questo, abbiamo
preferito far venire altra roba”.
“Va bene. E cosa sapete dirmi sull’autista? Sul documento c’è scritto che il
guidatore si chiama Peter Cullen”.
Ci fu ancora qualche breve scarica. “E’ a posto. Lavora per questa ditta da
trent’anni ormai”.
“Ok” concluse il guardiano chiudendo il contatto e tornando dal suo compagno,
che aveva appena guardato nel rimorchio e ora aveva in mano i documenti del
guidatore del camion.
“Nel rimorchio c’è effettivamente solo del cibo, pure di qualità. Anche i
documenti sono in regola. E’ libero di andare, signor Cullen” terminò l’uomo
restituendo i documenti all’autista.
“Grazie mille” rispose quest’ultimo.
“Un’ultima cosa. Lei è un americano. Che ci fa come camionista in Giappone?”
Cullen fece spallucce. “Che posso dirle? Sono uno che viaggia molto”.
Il camion riprese la sua marcia, e quando fu passato oltre, i due guardiani
fecero un cenno a qualcuno che stava nella foresta: si trattava di una decina di
guerrieri del Kansai, nascosti e pronti a scattare nel caso fosse successo
qualcosa con quel camion.
Passato il possibile pericolo, tornarono a concentrarsi sulla strada e i
dintorni.
Hakase se ne stava in silenzio nella stanza che le avevano assegnato.
Le parole di Asuna e lo schiaffo che aveva ricevuto continuavano a
rimbombarle nella mente.
Si rese conto che forse Asuna aveva torto.
Ma perché probabilmente lei era una vigliacca anziché un egocentrica.
Abituata ad avere tutto sotto controllo in laboratorio, non era in grado di
reagire adeguatamente quando le cose non seguivano più lo schema prestabilito. E
cosi si faceva prendere dal panico.
Ma forse quella era l’occasione giusta per rimediare, per appurare e
assumersi le sue responsabilità, qualunque fossero le conseguenze.
O forse no?
Si coprì il viso con le mani. “Dannazione Chao. Perché in queste cose non
riesco ad essere sicura come te?”
“Forse stasera potremo capirlo”.
“Chi è là?!” esclamò spaventata Hakase volgendosi verso la direzione da cui
erano arrivate quelle parole.
Asuna e Konoka avevano appena finito di vestirsi.
“Forza, andiamo da tuo padre” disse Asuna mentre uscivano dal bagno.
Konoka mise le mani nelle tasche della gonna. “Ehi, non trovo più il mio
cellulare”.
“Forse l’hai dimenticato nel bagno”.
Konoka tornò dentro il bagno. “Accidenti, quanto vapore”.
Con le mani cercò di allontanare il vapore per scrutare nell’ampio locale.
Infine vide il suo cellulare per terra, vicino ad una grossa pietra che
fungeva da ornamento.
“Eccolo lì. Chissà come ci è finito in quel punto”.
Velocemente Konoka raggiunse il cellulare, si chinò per raccoglierlo.
E si bloccò quando un piede sbucò da chissà dove affiancandosi al telefono.
Qualcuno le parlò con voce calma. “Lady Konoka".
Konoka alzò lo sguardo e spalancò gli occhi vedendo a chi apparteneva quel
piede. “Tu?!”
“Accidenti, ma quanto ci mette?” sbuffò Asuna rimasta sulla soglia.
Il vapore era aumentato a tal punto da formare quasi una barriera bianca.
“Ma guarda quanto vapore! Sembra di trovarsi in una sauna che vale per
mille!”
Improvvisamente la ragazza sentì un brivido lungo la schiena.
Tutto quel vapore non era assolutamente normale!
Fece per mettere mano alla sua carta pactio.
E non la trovò!
“Merda!”
“Qualche problema, Asuna?”
Asuna si voltò di scatto.
E rimase a bocca aperta. “Ca… capoclasse?!”
Ayaka Yukihiro, con indosso un abito che sembrava fatto in pelle nera, stava
proprio davanti a lei, sorridente e tranquilla.
Eishun Konoe stava controllando gli ultimi dati provenienti dai vari agenti
del mondo magico impegnati nella ricerca della III A e dei misteriosi robot che
avevano assalito il Mahora.
Alla fine i risultati erano sempre negativi.
Qualcuno bussò alla porta.
“Avanti” ordinò Eishun.
“Signore, è arrivato il camion con i rifornimenti alimentari” riferì una
ragazza del personale.
“Quale camion?”
“Come quale camion? Il camion con le nuove provviste che avete ordinato. Non
sapendo quanto durerà la permanenza delle nostre tre ospiti…”
“Non so proprio di cosa stai parlando”.
“Eppure all’ingresso del palazzo c’è un grosso camion, il cui autista dice di
essere venuto proprio per questo”.
Eishun inarcò un sopracciglio, poi impallidì. “Isolate quel camion! E
chiamate le ragazze, subito!”
Asuna era rimasta imbambolata.
Era davvero la sua amica quella che aveva di fronte?
Ayaka piegò la testa su un lato. “Che ti prende, Asuna? Sembra che tu abbia
visto un fantasma”.
“B-be… un po’ è cosi… ma tu…. Tu… cosa ci fai qui?”
“Ho saputo che eravate tutti in pensiero per noi, e allora sono venuta per
tranquillizzarvi. Su, fatti abbracciare”.
La capoclasse allargò le braccia per stringere Asuna.
Che andata completamente nel pallone, sembrava incapace di reagire.
Poi con la coda dell’occhio scorse qualcosa sul fondo del corridoio alla sua
destra.
Era una mano insanguinata.
E la manica dell’abito indicava che si trattava di una delle guardie.
Asuna si riprese e diede col palmo della mano un colpo al ventre della
capoclasse.
Che sbalzata all’indietro, andò a sbattere contro la parete e cadde in
avanti.
Una specie di minuscola pistola con un ago le cadde dalla mano.
“Ayaka…. Tu…”
“Sei sempre stata la solita stupida! Rendi tutto più difficile!” esclamò
Ayaka.
Che cominciò a rialzarsi e toccò un oggetto contenuto in una sua tasca
anteriore.
Asuna notò quel gesto, ma non vide l’oggetto: una carta pactio.
Era simile a quella di Asuna, ma dietro l’immagine di Ayaka, sullo sfondo,
c’era un inquietante volto inumano di colore viola.
Il grosso camion era fermo in attesa davanti al portone d’ingresso del
palazzo.
E come per magia, da isolato qual’era, si ritrovò circondato da centinaia di
guerrieri magici, alcuni posti tutt’intorno, mentre altri stavano sulle alte
mura.
A guidarli c’era Eishun, che stava proprio sopra l’arco del portone.
L’uomo sfoderò una grossa spada.
“Tu, camionista! Scendi lentamente senza fare mosse strane!” ordinò puntando
la lama contro Cullen, che dal finestrino osservava impassibile quegli
avversari.
Improvvisamente Cullen sembrò puntare qualcosa, nonostante guardasse in
direzione del muro.
“Bisogna agire” disse semplicemente.
E lasciando senza parole Eishun e i suoi, il rimorchio e lo stesso Cullen
scomparvero.
Il camion in pochi secondi si trasformò in un robot alto una decina di metri.
La parte inferiore del viso era coperta da una specie di maschera.
Nessuno di loro aveva mai visto un robot di quell’aspetto, che comunque aveva
mantenuto alcune caratteristiche del camion, come i colori, le ruote sulle
gambe, il parabrezza e il radiatore sul petto.
Ai lati delle spalle c’erano i tubi di scappamento del camion.
Che si girarono verso il basso ed emisero una fiammata assai intensa.
Come risultato, il misterioso robot venne quasi sparato in aria, sotto lo
sguardo allibito di Eishun e dei suoi.
Senza alcun rumore, il gigante metallico compì un salto di diverse decine di
metri, scavalcò le mura e quando raggiunse la barriera, che partiva proprio
dalle mura, l’attraversò come se non esistesse.
Eishun ebbe quasi l’impressione che l’energia della barriera, che avrebbe
potuto persino resistere ad un attacco atomico, venisse non spezzata ma
annullata, ritraendosi a contatto col misterioso invasore.
Che atterrò rumorosamente nel piazzale interno del palazzo e cominciò a
correre diretto chissà dove.
“Inseguiamolo!” ordinò Eishun.
Asuna venne sbalzata dentro il bagno, atterrando in malo modo e strisciando
fino alla parete in fondo.
La stanza era piena di vapore, ma due oggetti lunghi e neri, simili a
serpenti, guizzarono attraverso il vapore e si avvolsero intorno alle gambe
della ragazza.
Erano due fruste in pelle nera.
Le fruste sollevarono Asuna e cominciarono a sbatterla con violenza contro il
pavimento più volte.
Quando si fermarono, qualcuno entrò nel bagno.
E con un gesto della mano, fece sparire il vapore.
Asuna dolorante fissò quella persona. “A…yaka… perché?”
La capoclasse la fissò sprezzante. “Perché cosi vuole il padrone, semplice
no?”
In quel momento arrivarono altre due persone e Asuna sentì quasi mancarle il
respiro.
“Se…Setsuna?! Chao?!”
Le due ragazze indossavano lo stesso abito di Ayaka e in braccio tenevano
Konoka e Hakase, svenute.
“La trappola ha funzionato. Ora andiamo, ci aspettano fuori” disse con
durezza Setsuna.
“Voi andate, io faccio una piccola iniezione a questa idiota e vi raggiunto
subito” rispose la capoclasse.
Le due ragazze se ne andarono, mentre Ayaka richiamò nella mano la piccola
pistola che le era caduta.
Nei cortili interni del palazzo, continuava l’inseguimento del gigante.
I guerrieri del Kansai saltavano di tetto in tetto e avevano scatenato una
vera e propria pioggia di incantesimi e colpi sferrati con l’energia del Ki
contro il gigante di metallo.
Che si dimostrava completamente immune alla magia.
Mentre i colpi del Ki li evitava dopo essersi voltato un solo attimo verso i
suoi inseguitori.
Era incredibile la precisione e l’agilità con cui muoveva quel corpo enorme.
E ogni volta che si imbatteva in una costruzione del palazzo, la saltava con
lo stesso metodo di prima, seppur con minore potenza.
Eishun notò comunque come l’invasore evitasse i colpi dati col Ki.
“Formate una barriera col Ki per sbarrargli il cammino” gridò il padre di
Konoka.
Molti guerrieri obbedirono, giunsero le mani e da quest’ultime scaturirono
come delle saette che si unirono per poi piombare proprio davanti al robot
formando come una muraglia.
E riuscirono a fermarlo.
Il robot si trovò circondato dai guerrieri del Kansai.
Sembrò allora che volesse dire qualcosa, ma si trattenne.
Mosse le braccia verso la schiena, da dove uscirono dei fucili che si
innestarono automaticamente sulle mani.
E cominciò a sparare sul pavimento, sollevando una montagna di polvere e
detriti che costrinse i nemici a ripararsi.
Approfittando della loro distrazione, il gigante riprese la sua marcia
oltrepassando sulla destra la muraglia.
Ma Eishun si fece largo tra i detriti e usando il Ki menò un fendente
micidiale contro l’invasore.
Che da un avambraccio estrasse una lama e parò il colpo.
L’uomo e il robot si trovarono l’uno di fronte all’altro, e il secondo
sembrava che potesse schiacciare il primo come niente.
Però Eishun non era intimorito, dato che aveva già affrontato avversari
parecchio più grossi di lui.
“Maledetto, non so chi sei ma non arriverai mai a mia figlia!” esclamò il
guerriero del Kansai.
“Mi chiamo Optimus Prime” rispose in perfetto giapponese il robot “e sono qui
per salvare tua figlia”.
“Che cosa?!”
Prime spinse via Eishun e compì un altro salto.
Vedendolo andare via, Eishun si rese conto che quel misterioso Prime aveva un
comportamento strano per un invasore: non distruggeva nulla nel palazzo e non
uccideva o feriva nessuno.
Tutto il contrario dei robot che avevano attaccato il Mahora.
Però aveva anche detto che Konoka era in pericolo, quindi Eishun riprese
l’inseguimento.
Ayaka sovrastava Asuna, stesa a terra.
“Ora non capisci, ma dopo mi ringrazierai. Saremo di nuovo insieme, gli
alfieri del nuovo mondo” disse la capoclasse chinandosi sulla ragazza con la
piccola pistola per le iniezioni.
Asuna allora fulminea afferrò un asciugamano lì vicino, lo avvolse intorno ad
una gamba di Ayaka e la strattonò, facendo cadere la sua amica per poi saltarle
addosso bloccandole le mani.
“Ayaka, maledizione! Sono io, Asuna! Asuna! Non mi riconosci?”
“Certo che ti riconosco, stupida! Sei Asuna Kagurazaka, ci siamo conosciute
alle elementari e siamo sempre state come cane e gatto. Sei sempre venuta a
trovarmi nell’anniversario della morte del mio fratellino e le nostre risse in
classe sono roba quotidiana!”
Asuna non riusciva a crederci: quelle parole confermavano la sensazione che
già aveva avuto, ovvero che quella fosse veramente la capoclasse.
Ma perché si comportava cosi?
E cosa era successo a Setsuna e Chao?
E a tutte le altre?
Per non parlare di Negi.
“Se sei davvero tu, perché mi hai attaccato? Siamo amiche!” continuò Asuna.
“Perché cosi vuole il padrone!” fu la risposta.
“E chi sarebbe questo padrone?!”
Asuna notò che da una piccola tasca di Ayaka pendeva una carta pactio, la
sua.
Doveva averla rubata mentre facevano il bagno, dopo aver alzato tutto quel
vapore.
Prontamente Asuna la afferrò, Ayaka ne approfittò e si liberò dandole una
testata.
Le due ragazze fecero un balzo all’indietro pronte a fronteggiarsi.
“Ti farò tornare normale a suon di sberle!” esclamò Asuna attivando la sua
carta ed evocando la sua spada.
“Provaci” rispose Ayaka, la cui ombra cominciò ad espandersi.
I contorni dell’ombra presero a fluttuare fino a trasformarsi in una miriade
di lunghi tentacoli che schioccavano come tante fruste.
Da dietro l’orecchio di Ayaka spuntò senza preavviso una piccola antenna, e
la ragazza sembrò mettersi in ascolto.
L’antenna rientrò e Ayaka lanciò un’occhiata sprezzante ad Asuna. “Il padrone
ha deciso che 29 su 30 possono bastare. Tu ti riterrai fortunata, ma in realtà
sei solo una sciagurata. Addio, Asuna!”
Ayaka corse via e proprio allora dietro Asuna qualcosa sfondò il soffitto del
bagno.
Era Optimus Prime.
“Tutto bene?” domandò ad Asuna.
“S-si..” rispose la ragazza.
Che guardando bene in viso quel robot, ne vide gli occhi blu.
“Tu… ora ricordo! Sei tu che ci hai salvato al Mahora!”
“Esatto. Non preoccuparti, salverò anche le altre tue amiche in qualche
modo”.
Prime fece per andarsene, ma Asuna saltò sulla sua spalla.
“Cosa stai facendo? Scendi!” ordinò Prime.
“Scordatelo! Quelli lì, chiunque siano, hanno rapito le mie amiche e chissà
cosa gli faranno. Non sono inerme e intendo fargliela pagare. Tu stai andando da
loro, giusto? Allora vengo anche io!”
“Non se ne parla! Scendi subito, è troppo pericoloso!”
Asuna guardò Prime con occhi di fuoco. “Stammi a sentire, lattina formato
gigante: più restiamo qui, più vantaggio ottiene il nemico. Se vuoi inseguirli
deve muoverti subito. Quindi o vai, oppure perdi tempo a parlare con me, decidi!
Oppure vuoi farmi scendere con la forza? Perché dovrai usare la violenza per
impedirmi di venire con te”.
Prime ci rimuginò sopra, poi mugugnò un ‘che incosciente!’ e con quella
passeggera imprevista compì un altro mega salto, lasciando il palazzo dei maghi
e raggiungendo il bosco sottostante.
Eishun e i suoi arrivarono giusto in tempo per vedere quei due atterrare nel
bosco.
“Oh no! Konoka, Asuna, Hakase!” mormorò l’uomo.