Cielo grigio, rumore di tamburi
nell’aria. Fischiando, il vento molesta le foglie e sbatte la
pioggia violentemente sui muri, sulle finestre, di Villa Wayne.
“Alfred?” echeggia una voce nei corridoi.
I passi attenuati dai tappeti, occultano la sua corsa frenetica. Si
ferma davanti una porta, che poi apre dolcemente. Nella stanza, sbucano
prima i capelli neri E poi gli occhi azzurri, che la osservano
attentamente. Le dita minute accendono la luce.
“Alfred?”
Si aggira furtivo in essa. Si abbassa sotto il tavolo in mogano,
controlla tutti i divanetti di velluto rosso: cerca sulle librerie,
sotto le scale, dietro le pesanti tende. Controlla addirittura tra i
cuscini davanti il caminetto, il suo posto preferito.
Niente.
“Alfred, dove sei?!”
Esce e ricomincia a perlustrare la casa. La stessa scena si ripete
stanza per stanza: controlla sopra e sotto ogni mobilio e letto, dietro
ogni tenda, vicino ogni pianta e camino. La villa è
gigantesca, possibile che si sia perso?
“ALFRED!”
“Mi dica, signorino.”
Una figura slanciata appare dal corridoio. Dignitosa, vestita nella sua
immancabile divisa nera; i baffi e capelli erano pettinati perfettamente.
Tuttavia, un leggero rivolo di sudore gli scende dalla tempia, tradendo
la sua corsa verso la stanza da cui provenivano i richiami.
Il ragazzo si volta sorpreso e sospira.
“Non tu, Alfred… il gatto.” brontola il
bambino. “A proposito, l’hai visto in
giro?”
“No, signorino. Forse è in giardino.”
“Nah… Alfred non va mai in giardino se
c’è brutto tempo. Deve essersi nascosto qui, da
qualche parte…”
L’uomo guarda il ragazzino dargli le spalle con la sua solita
nonchalance. Non presta minimamente attenzione al maggiordomo, che
alzando gli occhi al cielo, fa per ritirarsi.
“La lascio alla sua ricerca, signorino.”
Il bimbo annuisce, mentre sta controllando dietro un divano. Guarda la
finestra davanti a sé e vede il riflesso di Alfred che se
ne va. Sente i passi allontanarsi, quando gli viene in mente una cosa.
“Alfred?” lo chiama, ma nessuno torna indietro.
Aggrotta le sopracciglia, la disapprovazione dipinta sul volto. Si alza
dal divano e a passo svelto, esce dalla stanza.
“ALFREEED!!” sbraita dittatorialmente.
Il maggiordomo si volta, un punto di domanda stampato in faccia.
Ritorna tranquillamente verso il padroncino, che ha le mani incrociate
al petto.
“Diceva a me?”
“Sì, non è ovvio?! Volevo dirti: se
vedi Alfred in giro, avvertimi.”
Sospira, il povero maggiordomo, facendo cenno di sì. È la
prima volta che si sente come se qualcuno gli avesse messo i piedi in
testa; o meglio, le zampe.
“Certo, signorino Damian.”
***
Cielo grigio, odore di zucchero di canna e una fetta di limone
nell’aria. Il tutto incorniciato in una tazza di porcellana
cinese, piena di tè fumante.
“Pennyworth?” chiama la giovane voce.
È tempo di esaminare il primo piano. Si torna a girare ogni
singola stanza, controllare ogni singolo angolo, perlustrare ogni
singolo mobile.
“Sei qui, Pennyworth?”
Niente nel bagno, nessuno nella sala cinema, anche le varie camere
degli ospiti sono vuote. La cucina è linda e splendente, nel
soggiorno nessuna traccia del suo passaggio.
“Pennyworth?!”
Niente pelo a tradire il suo passaggio, un graffio a segnalarne la
presenza. Ci prova Damian, con un passo felpato e felino a ricostruire
la sua strada, ma fallisce miseramente.
“Pennyworth, dove sei?!”
Perfino il fedele Titus, che fino ad allora se n’era rimasto
a dormire nella camera del padroncino, si unisce alla sua ricerca; ma
neppure il suo fiuto lo rintraccia. Sembra svanito nell’aria.
“PENNYWORTH!!” sbotta infine il moro, infastidito.
“Mi dica, signorino.”
Ricompare il maggiordomo con il suo atteggiamento ossequioso, un
vassoio con delle tazzine tra le mani. Niente sudore sulla fronte: si
è concesso di fare il tragitto con tutta la calma.
Il bambino si volta di nuovo, il viso annoiato e sbuffa.
“Non tu, Pennyworth! Cerco ancora il gatto!”
esclama col suo classico tono viziato.
Il petto nero si alza e il maggiordomo espira lentamente. Deve
reprimere il fastidio che gli sta montando dentro, non farlo trapelare
attraverso i muscoli facciali. Essere impassibile.
Cerca di trovare le parole migliori per esprimersi, come sempre.
“Mi scusi la domanda, signorino, ma non poteva scegliergli un
altro nome?”
Il bambino interrompe la sua ricerca. Pare ipnotizzato dal cane che
zampetta in giro per la stanza in cerca di indizi.
Quelle parole lo avevano lasciato di sasso. Era il suo prezioso
gattino bianco e nero, quello che il maggiordomo - suo grande amico,
che ormai considerava quasi come un nonno - gli aveva regalato pensando
a lui. Come osava
chiedergli di cambiare il nome ad Alfred Pennyworth?!
Lo fissa con più cipiglio del solito.
“Dovresti essermi grato… L’ho chiamato
così in tuo onore! E poi ti assomiglia pure, quindi ci sta
divinamente! Alfred Pennyworth fa parte della famiglia. Dovresti
preoccupartene anche tu!”
Sospira, Pennyworth, al pensiero del suo omonimo trattato come un
affare di Stato. Cosa ci poteva fare? Damian era ancora un bambino:
nemmeno l’uccisione di un milione di ninja avrebbe potuto
cambiare il suo affetto per gli animali. Aveva persino adottato una
mucca!
Pensa a come sembrare
preoccupato alla faccenda del gatto. C’era un qualche indizio
che poteva dargli? Qualcosa che migliorasse l’umore del
signorino e che, allo stesso tempo, mettesse in pace la sua anima da
maggiordomo col nome da gatto più usurpato di casa Wayne?
Oh, certo che c’era.
“Ha già controllato nella Batcaverna,
signorino?”
“Sì, e papà mi ha confermato che non
è lì.”
Qualcosa scattò in Alfred. Un movimento impercettibile, una
presa più salda del vassoio: un atto che Damian avrebbe
normalmente notato, se non fosse stato troppo occupato a cercare il
gatto.
“Allora la lascio alla sua ricerca.”
“Sì, sì…
Pennyworth?”
Il maggiordomo si volta un secondo, solo per accertarsi di non
commettere l’errore di prima; ma Damian non stava chiamando
lui, non stavolta.
***
Scende le scale di umida pietra. Ha imparato con gli anni a fare
attenzione a non scivolarci sopra. In quella cava, il clima diventa
quasi raggelante durante le giornate uggiose, ma non è
niente che il maggiordomo non possa sopportare. Il vassoio finemente
preparato non corre alcun rischio nelle mani di Alfred.
Lo appoggia al suo solito posto, vicino alla tastiera della console.
Versa automaticamente il tè in due tazze, lasciando vuota quella
con la fetta di limone. Scruta con sguardo assente lo schermo
davanti a sé. L’ennesimo video
dell’ennesimo criminale catturato.
“Non c’è niente di più
interessante sulla TV via cavo?”
Una voce bassa ridacchia, gustando la sua bevanda calda. Si
accomoda meglio sulla sedia e ferma quel video violento.
“Grazie del tè, Alfred.”
“Di nulla.” — il tempo di un sorso
— “Signore, mi concede una domanda?”
“Dimmi.”
“Le sembro un gatto, per caso?”
Poco manca che l’eroe di Gotham si strozzi con
l’Earl Grey. Si schiarisce la gola, troppo preso tra il
deglutire e il ridere fragorosamente per la domanda improvvisa.
Il maggiordomo non ride invece: lo fissa serioso.
“È successo qualcosa?”
“Credo che potrei impazzire per questa storia del gatto,
signore. Apprezzo il gesto del signorino Damian, ma sto sinceramente
pensando di cambiare nome. Credo che neanche il Joker potrebbe
escogitare un trucco migliore per farmi dare di matto.”
“Amico mio, se può consolarti… Tu sei
troppo attivo per essere un gatto.” gli dice caldamente
Bruce, posandogli una mano sulla spalla.
“Lo prenderò per un complimento,
signore.”
Appoggia la tazza sul vassoio e, con la sua rinomata finezza, lo prende
e fa per andarsene. Si ferma un attimo prima di iniziare la sua solita
scalinata.
“Signore?”
“Sì?”
“Intende tenerlo ancora per molto?”
Bruce gira la sedia verso il maggiordomo, rivelando una morbida
massa di pelo nero raggomitolato sulle sue gambe. Alfred la guarda
mentre quella si stiracchia e trova una posizione più
comoda, rivelando pancia, zampe e muso bianco. Sospira e lancia uno
sguardo tagliente al padrone.
“È caldo e fa le fusa…” si
scusa quest’ultimo, cercando di muovere a pietà
l’amico.
Ad Alfred non resta che sospirare rassegnato, facendo di nuovo roteare
i suoi occhi. Batman, il cavaliere oscuro, eroe di Gotham, stava
esaminando video violenti con un gatto in braccio che gli fa le fusa.
Alcuni lo definirebbero uno scenario esilarante, ma lui prova solo
pietà per il bambino che - al piano di sopra - si sta dannando
l’anima nel cercare il felino ‘rapito’ e
nascosto dal suo stesso padre.
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N.
A.: Ho semplicemente ripreso la passione per Batman che avevo da
bambina. E sono passati taaaanti anni e sono successe taaaante cose che
devo ancora recuperare. Quindi scusate se non è tutto
perfetto IC (anche se Batman un po'... giocherellone?, l'ho fatto
apposta). Tuttavia, sono abbastanza sicura che il povero
Alfred Pennyworth perderà quei pochi capelli che gli sono
rimasti per
colpa del gatto! *ride*
Spero che questa oneshot vi sia piaciuta e grazie per aver letto!^^
Bye, bye^^
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