Il Figlio Della Prof

di Scarcy90
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Attenzione! Avviso del 21/01/2018
Volevo dire a tutti i fan di Massi e Vale che la storia "Il figlio della prof" ha ora una nuova versione, molto diversa dalla prima, disponibile all'acquisto su Amazon e su tutte le piattaforme digitali (in formato cartaceo e eBook). Il titolo è "La filosofia di Zorba" (di Francesca V. Capone), una storia assolutamente più matura rispetto alla versione originale e che vi lascerà senza fiato. Se volete, è anche possibile ordinarla in librerie come Mondadori e Feltrinelli.
In questa nuova versione il personaggio di Massi è più presente e descritto a tutto tondo, perciò non perdetevala! 
Un bacio
 

Prologo
Sapevo che l‟amore è cieco e arriva sempre quando meno te lo aspetti, ma quello che è accaduto a me è stato troppo anche per una ragazza forte, abituata ad affrontare tutto nella vita.
Ero avvezza alla sfortuna, ormai era diventata una degna compagna che riuscivo a gestire. Tuttavia quello che accadde durante l‟ultimo anno delle superiori si discostava da tutti i precedenti sfortunati che mi avevano caratterizzata negli anni.
Innamorarmi del ragazzo che più odiavo al mondo, è stato un miracolo e insieme la maledizione peg-giore che avrei mai potuto ricevere.
Ero consapevole del fatto che quando l‟amore bussa alla propria porta bisognerebbe aprirla senza ri-serve, ma avevo come la sensazione di averne perso la chiave.
Per me non era facile accettare quel sentimento, come non lo era rinunciarci…





I Più Belli Dei Nostri Giorni,
Non Li Abbiamo Ancora Vissuti
Nazim Hikmet
 
 


 Capitolo 1: Tre Ragazze Come Tante

-Basta così Ferrari, torna a posto.-
 Dopo che una ragazza di diciotto anni aveva perso un intero pomeriggio a studiare come una matta per riuscire a fare una figura decente all’interrogazione, si sentiva dire questa frase con il tono soave che solo l’acida voce di una professoressa può avere, l’unica risposta possibile sarebbe dovuta essere: Brutta stronza, te l’ho fatta vedere io questa volta!
 Invece me ne tornai a posto senza fiatare perché anche il solo respirare avrebbe fatto capire a quell’arpia che mi sentivo appagata in maniera impareggiabile, e questo le avrebbe dato soddisfazione: cosa assolutamente inammissibile per me. 
 Per la prima volta in tre anni ero riuscita a sostenere un’interrogazione di scienze senza andare in tilt. Mi ero sempre ritenuta una ragazza abbastanza diligente e avevo spesso avuto dei risultati più che soddisfacenti; certo non ero una Einstein in gonnella, però non mi ero mai lamentata. Eppure da quando questa professoressa era entrata nella mia patetica esistenza, una delle materie che avevo sempre amato era diventata un incubo.
 Professoressa Claudia D’Arcangelo, che da generazioni di studenti era stata soprannominata Lucifero, per il chiaro riferimento biblico: una donna normale nel vederla per strada o mentre fa la spesa, ma c’era un fenomeno che la colpiva ogni tanto, come se fosse stata influenzata dalla luna piena come un licantropo, e stranamente questo avveniva sempre quando il suo registro richiedeva l’immediato riempimento di alcuni spazi vuoti, spazi destinati al giudizio sulle interrogazioni.
 Per più di due anni, giorno dopo giorno, avevo osservato questo rito con uno strano groppone all’altezza dello stomaco: la D’Arcangelo che arrivava in classe, si sedeva con calma, prendeva il suo inseparabile astuccio con le penne- o altri indefiniti attrezzi di tortura formato tascabile-, ne tirava fuori una minacciosa penna nera e apriva il suo registro. In quel momento anche le mosche si bloccavano, nessuno respirava e gli alberi fuori sembravano quasi perdere ogni sentore di vita.
 La professoressa cominciava a scorrere l’elenco con lo sguardo e poi faceva il gesto che ogni suo alunno temeva più di un intervento chirurgico senza anestesia: segnava dei puntini in corrispondenza dei condannati a morte. In genere chiamava in ordine alfabetico, ma non sempre, ed era quel margine di incertezza che faceva sperare ad una come me, quinta nell’elenco, che Lucifero decidesse di non chiamare in ordine. Cosa avvenuta solo un paio di volte, ma nella vita non si può mai sapere.
 Alla fine le mie speranze erano finite al cesso per l’ennesima volta: aveva chiamato alla lavagna i primi quattro, tra cui la sua adorata Sara Giordano, il primo prototipo di robot con sembianze umane, a mio modesto parere. Una ragazza che riusciva a prepararsi in quattro o cinque materie anche se aveva solo poche ore di tempo. La D’Arcangelo tendeva ad amarla incondizionatamente, e qui tutti i suoi discorsi sul fatto che ai suoi occhi eravamo tutti uguali e che non aveva preferenze, andavano a farsi un bagno nel Mar Baltico.
 Quel giorno la Giordano era stata impeccabile come al solito, cosa che mi mise ancora più in ansia, e quando sentii il mio nome pronunciato con quel solito tono di scherno la rabbia cominciò a montarmi fino a raggiungere le vette dell’Everest.
 -Ferrari: alla lavagna.-
 Mi alzai con calma, mi diressi con ancora più calma verso il patibolo che somigliava ad una lavagna e misi la mano nel contenitore del gesso. Vuoto, naturalmente.
 -Ehm… Credo che il gesso sia finito, professoressa-, dissi con voce quasi tremante.
 -Eh, allora? Vuoi che vada a prendertelo io? Chiedi alla bidella di dartene un pezzo!- rispose quella con voce degna di un limone acerbo.
 Stavo per andare verso la porta, quando la voce di Sara Giordano mi bloccò.
 -C’è un gesso intero nel cassetto, professoressa-, disse con mielosa accondiscendenza.
 La professoressa aprì il cassetto e ne tirò fuori un lungo cilindretto bianco.
 -Grazie, Sara.-
 La Giordano era l’unica a godere del privilegio di essere chiamata per nome, praticamente era l’unica ad essere considerata un essere umano.
 -Ero andata a prenderlo prima perché serviva alla professoressa di matematica. Credo che Ferrari se ne fosse dimenticata-, asserì sfoggiando la sua aria angelica.
 -Eh, già. Ferrari è parecchio distratta-, disse con quello che sembrava puro disprezzo nella voce.
 –Bene, Ferrari. Adesso che hai il gesso potresti andare alla lavagna per cortesia.-
 Premettendo che sono sempre stata una ragazza dedita al “peace and love”. Sempre e comunque seguace del motto “Fate l’amore non fate la guerra”, e accanita sostenitrice del “Vivi e lascia vivere” con tanto di “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te”, l’unica cosa a cui riuscivo a pensare in quel momento era il modo più atroce per far morire quella serpe! Mi aveva umiliata e canzonata come se fossi stata un oggetto!
 Per carattere, sono una che odia ingiustizie di quel genere, quindi ero partita dal mio banco con un sentimento di paura tremendo e adesso me ne stavo davanti alla lavagna con la rabbia che mi infuocava dentro, neanche fossi stata il Vesuvio durante la sua eruzione più devastante.
 La D’Arcangelo aprì il suo registro alla pagina degli argomenti che aveva spiegato e cominciò a guardare con attenzione; poi alzò la testa, sempre senza guardarmi, e diede subito il via all’interrogatorio. All’inizio zoppicai un po’ ma dopo mi ripresi alla grande rispondendo con sicurezza. Certo non ero allo stesso livello della Giordano però come interrogazione potevo ritenermi soddisfatta. Ma la cosa che più mi elettrizzò fu non vedere per una volta quell’espressione scocciata che la professoressa faceva ogni volta che qualcuno era impreparato.
 Finalmente suonò la campanella della ricreazione e tutto il Liceo Classico Virgilio si riversò nei corridoi, la maggior parte diretti ai distributori di merendine- o come affettuosamente erano stati definiti “macchinette”-. Chi andava in bagno, principalmente per fumarsi la sigaretta di metà mattinata, e c’erano anche quei soggetti che non avendo studiato a casa, utilizzavano quei dieci minuti nella speranza di riuscire a farsi entrare qualcosa in testa per l’interrogazione dell’ora successiva.
 E poi c’eravamo noi.
 Amelia Tarantino, per le amiche Amy. La ragazza più bella esistente sulla faccia della Terra: capelli marroni di media lunghezza e profondi occhi scuri con un taglio orientale. I ragazzi le andavano dietro quasi formando dei cortei e non esisteva al mondo un individuo di sesso maschile che non le avesse detto quanto fosse bella e attraente. Ma in realtà lei non aveva ancora avuto una storia, stava aspettando il grande amore, o per meglio dire, stava cercando di dimenticare l’unico ragazzo di cui fosse mai stata davvero innamorata.
 Martina Giuliani. La timidezza fatta persona, timidezza che si mostrava solo con gli altri, perché quando era con noi, non faceva altro che parlare e parlare. Dolce e carina, ricordava molto le bambole di porcellana: carnagione chiara, capelli biodi e mielosi occhi nocciola. Anche lei una rara bellezza, e anche lei, come Amy, non aveva ancora avuto occasione di innamorarsi, o più precisamente non ne aveva avuto voglia. Una delle sue caratteristiche fondamentali era senza dubbio la pigrizia: infatti per lei cercare un ragazzo era troppo stancante.
 Infine c’ero io: Valeria Ferrari. La più pazza del gruppo, o comunque quella un po’ più istintiva. A volte tranquilla a volte un uragano, lunatica e soprattutto solare, mi piaceva sorridere e far ridere, caratteristica ereditata da quello scavezzacollo di mio padre. Alta, anche troppo, fisico normale, lunghi capelli castani mossi e occhi marroni; una ragazza ordinaria e senza alcuna pretesa, solamente in attesa del grande amore. Anch’io, come Amy, ci volevo credere e ci credevo che un giorno sarebbe arrivato l’uomo della mia vita, nel frattempo mi divertivo come tutte le ragazze della mia età.  
 Noi tre eravamo inseparabili: Marti ed io sempre insieme fin dalle scuole materne, mentre Amy si era unita a noi durante l’ultimo anno delle medie. Ragazze assolutamente normali, e tranquille. Quelle che in uno dei tanti licei italiani sono considerate insignificanti, facilmente confondibili con il resto della massa. Ma a noi andava benissimo così, nessuna di noi aveva smanie di attenzioni o voglia di mettersi in mostra, ci era sempre bastato stare insieme. Solo questo.
 Non ci era mai piaciuto conformarci agli altri, quindi se il ragazzo più carino della scuola ci passava accanto non ci mettevamo a sbavare come le altre. Era carino, certo, ma in genere carino è sinonimo di bastardo. Meglio conoscerlo bene un ragazzo prima di decidere di morirgli dietro. Era questa la nostra filosofia.
 Naturalmente, come tutte le scuole, anche la nostra godeva della presenza dei così detti ragazzi fighi, quelli che tutte le ragazze vorrebbero avere ma che in realtà solo una “fortunata” Barbie senza cervello sarebbe riuscita ad accalappiare.
 Nella nostra scuola il più bel ragazzo, oggettivamente parlando, era di sicuro Marco Iovine: alto, occhi azzurri, capelli modello Zach Efron, con un carattere solare e simpatico. Un vero schianto insomma. E qual’era allora il suo punto a sfavore agli occhi di noi tre? L’amico che si portava sempre dietro: Massimiliano Draco, il ragazzo più detestabile dell’intero istituto.
 Il motivo di tutto ciò? Massimiliano, o “Massi” come amava farsi chiamare, era l’unico e viziatissimo figlio di Lucifero. Proprio così: la D’Arcangelo aveva trovato un povero innocente che aveva accettato di sposarla e di avere un figlio con lei. Non l’avesse mai fatto.
 Massimiliano era il ragazzo più conosciuto di tutta la scuola, forse anche più di Marco, qualunque cosa si facesse, qualunque progetto si organizzasse lui era sempre lì con la sua piacevolissima presenza. Si intrometteva in discussioni in cui non c’entrava affatto, ma quello che era peggio era il fatto che non si accorgesse di quanto fosse detestato, di quanto tutti li altri sparlassero alle sue spalle. Secondo il suo punto di vista era il ragazzo più simpatico della scuola o persino dell’Universo. Ma il problema era che questo era solo il suo punto di vista…
 Non che non fosse un ragazzo carino: occhi verdi, capelli biondi lasciati un po’ ribelli, alto, fisico abbastanza scolpito. Questi, però, erano i suoi unici punti a favore, superati di gran lunga da quelli a sfavore.
 Dal canto mio, credo di essere stata una di quelle tante persone che abbia tentato di mandargli più maledizioni e anatemi possibili. Massimiliano Draco rappresentava tutto ciò che io non ero, ma soprattutto era l’incarnazione vivente di tutto quello che non volevo in un ragazzo. Praticamente il mio opposto: voglia di mettersi in mostra, umiltà che toccava livelli pari o addirittura inferiori allo zero, nessun senso del pudore e soprattutto un narcisismo mischiato a quella punta di egocentrismo che raggiungevano vette astronomiche.
 In conclusione lo odiavo, molto più di quanto si può odiare la pioggia di sabato sera, o l’interruzione pubblicitaria mentre sei al punto clou di un film.
 Grazie a non so quale intervento divino, in quasi cinque anni di scuola, Massimiliano non mi aveva mai parlato. Ogni giorno mi alzavo la mattina e pregavo che anche quel giorno passasse come gli altri e grazie a Dio, tutto ciò puntualmente avveniva. Certo lo incrociavo nei corridoi e a volte all’entrata o all’uscita da scuola, ma nulla di più. Naturalmente meglio di così non poteva andare, era l’equilibrio naturale delle cose, e per il bene dell’umanità doveva a tutti i costi rimanere così.
 Eppure ricordo perfettamente il giorno in cui questo delicatissimo equilibrio si spezzò per non ricomporsi mai più.
 Finita quella maledetta interrogazione, mi diressi insieme a Amy e Marti nell’atrio della scuola, giusto per prendere un po’ d’aria.
 -Dai Vale, sei stata fantastica all’interrogazione-, mi disse Amy sorridendo.
 -Infatti, non eri mai andata così bene-, aggiunse Marti.
 -Lo sapete che io sono destinata ad andare male con la D’Arcangelo-, risposi sospirando. –Quella di oggi è stata solo l’eccezione che conferma la regola.-
 -Ma dove?- esclamò Amy. –Si vedeva lontano un chilometro che la D’Arcangelo era davvero stupita dalle tue risposte.-
 -E va bene, questa volta me lo sono proprio meritato un voto decente-, risposi compiaciuta. Non sono narcisista, ma quando mi fanno un complimento vado in brodo di giuggiole.
 -Sentite-, continuai. –Io vado alle macchinette a prendermi una bottiglietta d’acqua, ho la gola che sembra un foglio di carta vetrata.-
 -Mi sembra il minimo dopo un’interrogazione di Lucifero!- disse Marti sorridendo.
 -Noi ti aspettiamo in classe, allora- concluse Amy.
 Così loro due cominciarono a salire le scale che portavano al piano di sopra dove c’era la III C (*), la nostra classe.
 Rimasi qualche secondo a guardarle poi mi diressi verso le macchinette con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia: sprizzavo allegria da tutti i pori. Quella giornata era cominciata alla grande ed ero sicura che niente e nessuno avrebbe mai potuto rovinarla. Naturalmente non ero mai stata una cima nella predizione del futuro.
 Appena svoltai l’angolo mi bloccai: davanti alle macchinette c’era il motivo per cui durante le ore successive ero diventata il malumore fatto persona.
 Marco Iovine e Massimiliano Draco erano appoggiati alle macchinette e stavano facendo salotto con quelle che mi sembrarono tre mocciose del secondo anno, ragazze ingenue e senza alcuna voglia di indipendenza dagli ormoni. Alzai un sopracciglio irritata e il dubbio prese possesso delle mie sinapsi: c’erano due soluzioni possibili, andarmene, il che sarebbe stato un gesto saggio e sensato, oppure continuare ad avanzare imperterrita. Oltre a non avere alcuna dote precognitiva ero anche accessoriata di un non indifferente senso di puro menefreghismo quindi, ovviamente, scelsi la seconda opzione. Anche perché stavo davvero morendo di sete.
 Sbuffai e mi diressi con passo sicuro verso le macchinette, ero solo a pochi centimetri da quel gruppetto idiota ma ancora non mi avevano degnata di uno sguardo. Quanto avrei voluto che continuassero a farlo per tutta la vita! Ma la ricreazione stava per finire e io mi stavo decisamente disidratando.
 Diedi un leggero colpo di tosse, ma nessuno di quei cinque soggetti si voltò a guardarmi. La mia irritazione stava raggiungendo davvero dei livelli inumani.
 -Scusate-, dissi alla fine.
 Marco decise di voltarsi, fortunatamente sembrava possedere un neurone.
 -Serve qualcosa?- chiese con un sorriso smagliante.
 “Esibizionista!” pensai. “Perdonami se non sono una quindicenne in calore, le tue armi riservale per loro. Con me non attaccano!”
 -Sì, fino a prova contraria i distributori servono a prelevare cibo e bevande. Non mi sembrava che servissero anche come salotto-, dissi con uno sguardo che li avrebbe potuti disintegrare. Va bene, forse avevo esagerato ma ero incavolata nera, e, a dirla tutta, avevo anche cercato di trattenermi.
 Lui mi fissò per qualche secondo negli occhi anche se non riuscii a capire il perché però.
 -Hai ragione-, disse Marco con uno strano sguardo. –Ci spostiamo subito.-
 Avevo vinto? Ero riuscita a spuntarla con il ragazzo che era in grado di creare soggezione con un solo sguardo ed era stato talmente facile, che per poco non mi misi a saltare dalla felicità.
 -Aspetta, Marco.-
 Mi sembrava che fosse stato troppo facile. Naturalmente, quell’impiccione di Draco si era sentito in dovere di intervenire.
 -Scusa, tesoro. Ma questo è un paese libero, perciò io e il mio amico abbiamo il diritto di stare dove ci pare e piace!- affermò lui con quell’aria di sicurezza che lo contraddistingueva.
 Tesoro? No, dico: mi aveva chiamata Tesoro?!
 La mia rabbia stava per esplodere, la sentivo proprio sotto la pelle come se stesse cercando di uscire e non sapevo quanto ancora avrei potuto resistere.
 -E’ vero, però io ho bisogno di una bottiglietta d’acqua. Basta che uno di voi due tolga il suo regale fondoschiena di lì, così io prendo la mia acqua e sparisco di qui in meno di un secondo. Non mi sembra di chiedervi chissà che cosa. -
 Ero fiera di me stessa, non avevo sbraitato e mi ero trattenuta.
 -No!- fu la secca risposta di lui.
 “Vuole morire!” pensai. “E’ l’unica spiegazione al suo comportamento, ha proprio voglia di morire. Qui e adesso!”
 -Come, scusa?- chiesi cercando di essere gentile.
 -Ho detto di no!– incrociò le braccia per dare più enfasi alle sue parole. -Non ci spostiamo.-
 -Massi, smettila di fare l’idiota-, disse Marco. –Falle prendere l’acqua.-
 -Dai retta al tuo amico Massi.- Forse avevo messo un po’ troppo sarcasmo in quell’ultima parola, ma non avevo saputo resistere.
 Draco per poco non mi tirò uno schiaffo, avevo capito che si era trattenuto a stento.
 -Non ho alcuna intenzione di spostarmi-, continuò lui imperterrito.
 Ma perché i ragazzi devono sempre essere così stupidi e cocciuti? Poi non si possono lamentare se noi ragazze andiamo fuori di testa.
 -Massi, adesso basta fare l’imbecille-, ci riprovò Marco.
 La campanella suonò: quel Draco era sempre fortunato, si era salvato dalla mia ira proprio all’ultimo istante.
 “Ringrazia il cielo che adesso ho quella carabiniera della Bianchi che non ammette ritardi, se no ti facevo nero!” pensai voltandomi.
 -Vai già via?-chiese con tono compiaciuto.
 “Vuole proprio morire!”
 Feci qualche passo avanti, verso le scale e cominciai a salire il primo gradino.
 -Non mi hai sentito per caso? Sei una che molla facilmente.-
 Mi bloccai: figlio o no della D’Arcangelo, meritava una delle mie risposte più perfide.
 -Sai Marco-, dissi con un sorriso, –è inutile che continui a ripetere al tuo amico di non fare l’imbecille, si sa che difficilmente un essere umano riesce ad andare contro la sua natura.-
 Marco mi guardò con un sorriso divertito, mentre quello che prima c’era sul viso di Draco si spense come d’incanto.
 -Rifletti un po’ su questa mia pillola di saggezza, caro Massi.- Detto questo cominciai a salire le scale alla velocità della luce, sperando con tutte le mie forze che la Bianchi non fosse già entrata in classe.
 Mentre mi precipitavo in aula, notai che avevo uno strano sapore in bocca: accidenti! Per colpa di quello stupido battibecco mi ero completamente dimenticata dell’acqua! Avrei dovuto aspettare la fine delle lezioni.
 Entrai in classe, per fortuna la professoressa non era ancora arrivata. Mi sedetti subito al mio posto, accanto a Marti.
 -Perché ci hai messo tanto? Lo sai che se fosse arrivata la Bianchi ti avrebbe fatto una ramanzina infinita-, mi rimproverò Marti.
 -Lo so, lo so-, dissi mentre riprendevo fiato. Mi chinai verso lo zaino per prendere i miei libri di latino e sentii un improvviso silenzio in classe: doveva essere arrivata la professoressa. Strano che nessuno avesse detto il solito “Buongiorno” scoraggiato.
 Riemersi dal lato del banco e mentre poggiavo il libro di versioni sul banco, notai qualcosa di insolito che prima non c’era: una bottiglietta d’acqua.
 Alzai lentamente lo sguardo, e incontrai dei luminosi occhi azzurri che mi sorridevano.
 -Ho pensato che ne avessi bisogno.-
 Marco era davanti a me, per la sorpresa mi ero persino dimenticata di respirare. Ma era stata solo questione di un secondo, non ero una ragazzina che andava fuori giri per un sorrisetto.
 -Pensavo che il tuo amico non fosse favorevole al mio volermi dissetare- dissi prendendo l’astuccio da sotto il banco.
 Ero consapevole del fatto che in classe non stava volando una mosca, i miei compagni, in genere abbastanza loquaci, o per meglio dire, casinisti, evidentemente trovano parecchio interessante il fatto che Marco Iovine fosse venuto nella nostra classe per portare a me una bottiglietta d’acqua e che non dimostrasse alcuna intenzione di andare via.
 -Diciamo che non sono d’accordo con lui. Stranamente non ci tengo che tu muoia di sete-, continuò lui sempre più gentile.
 -Be’, allora grazie-, risposi con evidente intenzione di liquidarlo ma lui proprio non ne voleva sapere di andarsene.
 -Spero che quello che ti ha detto Massi non ti abbia dato troppo fastidio, è solo che lui è un po’…-
 -Egocentrico? Megalomane? Narcisista? Figlio del “Meglio di me nessuno al mondo c’è”?- avrei voluto mordermi la lingua ma quelle parole mi erano sdrucciolate via di bocca prima che potessi fermarle.
 Marco mi fissò sempre più divertito, mentre io continuavo a sentire quel maledetto silenzio in classe: sembrava che i miei compagni avessero persino deciso di non respirare.
 -In effetti credo che sia un mix di tutte queste cose. Però ha anche dei lati buoni.-
 Questa volta riuscì a non dire quello che stavo pensando, la mia beneamata figura l’avevo già fatta, era inutile peggiorare le cose. Mi limitai a sorridere alzando un sopracciglio, chiaro gesto sarcastico.
 Vidi che Marco stava per riaprire bocca, ma fu interrotto dall’entrata della professoressa.
 -Buongiorno-, disse lei entrando sparata come al solito senza guardare nessuno, si sedette e cominciò subito ad aprire il registro di classe.
 Io guardai Marco indicandogli la porta con gli occhi, ma lui continuava a fissarmi divertito: questa storia stava davvero cominciando ad irritarmi, e non solo perché Marco si stava comportando così, ma anche perché se ne stava in piedi davanti a me, con le mani poggiate sul mio banco.
 -Cosa portavamo oggi?-
 Solita domanda della Bianchi.
 -Grammatica Latina-, coro terrorizzato e scoraggiato allo stesso tempo.
 Finalmente la Bianchi alzò lo sguardo. 
 -Scusa, tu chi saresti?- chiese rivolta a Marco.
 Ecco: in quel preciso istante avrei voluto andare a sotterrarmi da qualche parte, il più lontano possibile, come minino in un altro continente.  
 -Marco Iovine, III F, professoressa-, rispose lui con calma.
 -Hai un motivo valido per stare in piedi davanti al banco di Ferrari?- chiese lei irritata.
 Invece in quel momento avrei voluto che un’astronave aliena mi rapisse con un raggio per il teletrasporto.
 -Ho portato da bere a… Ferrari-, disse lui voltandosi a guardarmi con dolcezza.
 Mi colse una strana fitta allo stomaco.
 -Sei il cameriere personale di Ferrari, per caso?- chiese lei socchiudendo gli occhi. Bruttissimo segno. Stava cominciando ad arrabbiarsi sul serio.
 -No…-, disse. –O almeno, non ancora- questa invece la mormorò in modo che lo potessi sentire solo io.
 -Come hai detto che ti chiami? Iovine, giusto?-
 -Sì, professoressa.-
 -Be’, Iovine, sono felice che tu abbia sopperito alla mancanza di liquidi di Ferrari, ma adesso abbiamo un paio di versioni di Cicerone che reclamano con enfasi la nostra attenzione. Quindi, a meno che tu non voglia portare da bere anche alla preside, ti consiglierei caldamente di uscire da questa classe e di tornare nella tua-, disse con calma, segno ancora più brutto, se parlava così lentamente stava cercando di controllarsi per non mettersi a sbraitare.
 -Certo, professoressa.- Mi lanciò un ultimo sorriso e si diresse verso la porta.
 Abbassai lo sguardo sul libro il più velocemente possibile, ma nonostante questo sentivo gli occhi di Marti e Amy puntati su di me come dei riflettori. Sapevo che mi aspettava un interrogatorio in pieno stile americano.
 L’ora di latino passò così velocemente che neanche me ne resi conto e quando suonò la campanella il mio cuore perse un battito. Ultima ora del lunedì: religione. Traduzione: adesso tutta la classe mi avrebbe sommersa di domande.
 Ero certa che in quell’ora di latino tutti avevano cominciato a costruire chissà quanti castelli in aria su quello che poteva essere successo tra me e Marco, ero persino certa che qualcuno stesse pensando che io fossi rimasta incinta con solo un suo sguardo.
 La Bianchi finì di assegnarci i compiti per casa e cominciò a raccogliere tutte le sue cose, ed io mi ritrovai a sperare che non uscisse dalla classe, per la prima volta in quasi tre anni che era la nostra insegnante.
 Non ci pensai due volte, e alzai la mano di scatto.
 -Sì, Ferrari-, chiese lei distratta.
 -Professoressa, potrei andare in bagno?- chiesi speranzosa.
 Cominciai a pregare non so quale Dio, che mi dicesse di sì.
 -Vai pure-, concluse quella chiudendo la borsa.
 Alleluja!
 Mi dovevo sbrigare, non potevo permettermi di restare in classe un secondo di più.
 Scattai verso la porta e mi diressi veloce come un fulmine verso il bagno, sapevo che non sarei riuscita a sfuggire alle domande dei miei compagni, e soprattutto a quelle di Marti ed Amy, ancora per molto, però almeno potevo prendere fiato prima della tortura.
 Entrai in bagno, e cercando di ignorare la puzza di fumo di sigaretta, mi fermai davanti al lavandino. Aprì l’acqua e mi bagnai un po’ il viso.
 Ripensandoci non avevo neanche ripagato la bottiglietta a Marco, dovevo provvedere al più presto, non avevo voglia di avere debiti, soprattutto con uno come lui, anche se si trattava di pochi centesimi.
 Tirai fuori un fazzoletto dalla tasca, e mi asciugai, poi presi un respiro profondo e mi voltai per uscire. Feci un paio di passi, prima di fermarmi sorpresa: Amy e Marti erano davanti a me, e mi stavano guardando in un modo molto strano, tra il curioso e l’imbestialito.
 -Ci siamo forse perse qualcosa?- chiese Amy incrociando le braccia.
 Accidenti al prof di religione che non diceva mai di no a chi chiedeva di andare in bagno!
 Spalancai gli occhi a dir poco spaventata: dovevo rispondere e subito anche. Le esitazioni potevano solo confermare la mia colpevolezza. Colpevolezza che non aveva ragione di esistere perché io non avevo fatto niente di male.
 -Quando prima sono stata alle macchinette è successo un mezzo casino con Marco e quella sottospecie di essere umano di Massimiliano Draco-, risposi continuando a fissare il pavimento.
 -Sì, e Marco Iovine ti ha portato l’acqua perché…?- mi incoraggiò a continuare Marti.
 -Ragazze non sono così presuntuosa da cercare di capire l’unico neurone funzionante che hanno i ragazzi. Non ho idea del perché l’abbia fatto-, dissi mettendo in quelle parole tutta la sincerità possibile.
 -Senti, o ci racconti tutto come si deve, o non rispondo più delle mie azioni!- minacciò Amy.
 Le fissai per qualche secondo, dopotutto non era successo niente di particolare, però mi scocciava un po’ dover raccontare tutto quello che era accaduto.
 Quando ebbi finito la cronaca della mia avventura mattutina, mi sentii molto meglio. Però gli sguardi che mi riservarono le mie amiche, mi lasciarono il dubbio che i loro cervelli stessero cominciando a ricamarci sopra qualche enorme panzana.
 -Che avete voi due?- chiesi. –Perché ostentate quell’aria sospettosa?-
 -E ce lo chiedi anche?- esclamò Amy.
 Continuai a fissarle confusa, non avevo assolutamente idea di cosa stesse succedendo.
 -Ma perché sei così ottusa quando si tratta di queste cose?- si chiese Amy passandosi una mano sulla fronte.
 Forse mi trovavo su una frequenza sbagliata, ma davvero non riuscivo a seguire per niente le frasi sconclusionate di Amy.
 Lei fece un sospiro e cominciò a scialacquarmi le sue spiegazioni.
 -Mia cara- disse con il tono di una madre affettuosa. Il mio sopracciglio sarcastico, si alzò di scatto. –Se c’è una cosa tremendamente palese in tutta questa storia è che Marco Iovine prova un certo interesse nei tuoi confronti.-
 -Prego?- la mia sorpresa doveva essere abbastanza evidente, perché Amy mi guardò ancora più esasperata.
 -Non ci vuole di certo Cupido in persona per capirlo! Abbiamo visto tutti che sguardi ti ha lanciato, il fatto che ti difendeva a costo di andare contro il suo migliore amico, poi, ne è la conferma definitiva, per non parlare della bottiglietta d’acqua.-
 -Voi non state bene-, dissi scuotendo la testa. –La pensi anche tu così?-
 Marti mi guardò annuendo.
 -Avete frainteso tutto-, continuai. –Gli sguardi che mi ha lanciato in classe li propina a ogni mammifero con il cromosoma X che incontra. Mi ha difesa con Draco semplicemente perché avevo palesemente ragione e quell’imbecille si stava comportando in modo maleducato, e mi ha portato l’acqua solo perché ha visto che ne avevo davvero bisogno. Questi non sono elementi sufficienti per dire che è interessato a me, dimostrano solo che è più gentile di quanto pensassi. Punto e basta.-
 Ero diventata tutta rossa, sia per la rabbia e sia perché avevo detto quel discorso senza mai riprendere fiato, ero decisamente andata in riserva d’ossigeno.
 -Secondo me ti sbagli-, disse Amy con semplicità.
 Ma perché dovevano sempre capitare tutte a me? Adesso persino la mia migliore amica cercava di mettermi in difficoltà.
 -Amy, ti ripeto che Marco Iovine non è assolutamente interessato a me ma, anche ammesso che lo fosse, io non ho alcuna intenzione di incoraggiarlo. Anzi, non gli voglio proprio più parlare!- affermai categorica.
 -Posso dire quello che penso io?- chiese Marti con sguardo serio.
 La guardammo curiose.
 -Per me, sotto un certo punto di vista, ha ragione Vale. Non credo che Marco sia interessato a lei, o almeno non romanticamente parlando. C’è da dire però che il suo comportamento è alquanto ambiguo, voglio dire, va bene essere cortese e gentile, ma mi sembrava che stesse oltrepassando di parecchio il limite della gentilezza. Quando la Bianchi è entrata in classe lui non si è mosso, la professoressa ha dovuto insistere per farlo andare via, arrivando a minacciarlo di spedirlo in presidenza. Mi sembra logico che quel ragazzo vuole qualcosa da te, Vale.-
 -Alla faccia che analisi approfondita-, mormorai con la bocca spalancata.
 -Marti, da quando sei diventata un’osservatrice così oculata?- domandò Amy stupita almeno quanto me.
 -Che vi posso dire?- rispose lei sorridendo. –Capisco molto più i ragazzi delle ragazze.-
 -Comunque-, continuò Amy, –se Marti ha ragione, Marco tornerà alla carica.-
 -Mi chiedo cosa possa volere da me- dissi pensierosa.
 -Non lo so-, aggiunse Marti, –ma ho la sensazione che quel ragazzo si rifarà vivo molto presto.- 
 Un’ora dopo scoprii che Marti era dotata di un potere precognitivo molto più preciso del mio.
 Ero davanti al mio scooter aspettando che arrivasse Amy, che come al solito si era fermata a parlare con qualcuno. Io e lei tornavamo a casa insieme visto che abitavamo a pochi metri di distanza, mentre Marti abitava dall’altra parte di Lecce quindi i suoi genitori venivano a prenderla in automobile. Stavo mettendo lo zaino nel bauletto, odiavo tenerlo tra i piedi mentre guidavo, quando qualcuno parlò.
 -Ciao.-
 Una strana, spiacevole scarica elettrica mi attraversò la colonna vertebrale, fino a raggiungere le gambe e le piante dei piedi. Non poteva essere: mi voltai molto lentamente e tutte le mie paure trovarono conferma, Marco Iovine era davanti ai miei occhi con quel suo solito sorriso da coma diabetico.
 -Come va?-
 -Cosa vuoi?- dissi in un modo così freddo che l’Iceberg del Titanic sarebbe sembrato un nonnulla in confronto.
 -Vedo che sei proprio contenta di vedermi-, cominciò lui sarcastico.
 -Guarda, contenta è dire poco-, risposi salendo sullo scooter e mettendo in moto. Amy aveva trenta secondi, se non fosse arrivata l’avrei lasciata a piedi senza tanti complimenti. Non volevo stare a sentire Marco neanche un minuto di più.
 -Spero di non aver sbagliato a portarti l’acqua oggi in classe, Ferrari.-
 Alzai il sopracciglio così tanto che credo di essermi quasi paralizzata la faccia ma dato che c’ero, misi un secondo da parte la rabbia e cominciai a cercare qualcosa nella tasca destra dei miei jeans.
 -Nonostante mi abbia dato veramente fastidio-, risposi tirando fuori la mano dalla tasca, - devo dire che la mia bocca sembrava il deserto del Sahara, quindi…-
 Gli porsi alcune monetine.
 -… grazie.-
 -Non c’è bisogno che mi dai quei soldi. L’acqua te l’ho offerta io-, rispose lui subito.
 -Mi dispiace ma non posso accettare. Sto già abbastanza nei casini senza che il famoso Marco Iovine cominci ad offrirmi da bere-, ribattei io prendendogli la mano con forza e dandogli i miei trentacinque centesimi pieni di quello che doveva essere il mio orgoglio smisurato.
 -Ma era solo dell’acqua-, disse sorpreso. –In che casini ti avrei messo?-
 -Si vede che non hai abbastanza fantasia, mio caro-, dissi io cominciando a fare manovra. –Gli altri in questa scuola ne hanno a dismisura.-
 Mi infilai il casco e stavo per partire, quando lo guardai ancora una volta.
 -Un’ultima cosa prima di terminare qui il nostro unico discorso-, dissi con sguardo severo. –Se c’è una cosa che mi fa imbestialire è essere chiamata per cognome, quindi evita di farlo.-    
 -Credo di poterlo fare solo quando conoscerò il tuo nome-, rispose lui sorridendo e incrociando le braccia fingendosi scocciato.
 -Scordati che te lo dica io, per me va benissimo che tu non mi chiami affatto!-
 Detto questo diedi un po’ di gas e raggiunsi piano il cancello della scuola. Ero consapevole del fatto che Marco mi stava guardando, e che tutti quelli che ci avevano visto parlare adesso stavano già immaginando le partecipazioni per il nostro matrimonio, ma in quel momento non me importava nulla, volevo solo tornarmene a casa.
 -Vale!- esclamò una voce dietro di me.
 Feci un profondo respiro, sperando che Marco non fosse dietro di me e non avesse sentito Amy gridare il nome come una deficiente, poi mi voltai, e naturalmente ebbi la conferma della totale assenza di fortuna nella mia vita.
 Amy stava correndo verso di me indossando il casco, e Marco stava una ventina di metri dietro di lei, mi stava salutando con la mano alzata e un sorriso sgargiante. Aveva sentito di sicuro il mio nome. Socchiusi gli occhi, ero talmente arrabbiata, che se Amy non fosse stata la mia migliore amica, come minimo avrei fatto manovra e l’avrei messa sotto.
 -Avevi intenzione di lasciarmi qui?- chiese lei indignata mentre si sistemava dietro di me.
 -Credimi, quello sarebbe stato il male minore.- Diedi gas e partii.









(*): giusto per evitare fraintendimenti conviene che spieghi a chi magari non sa come funziona la classificazione in un Liceo Classico. I primi due anni vengono chiamati IV e V Ginnasio, mentre dal terzo anno all'ultimo si hanno il I, II e III Liceo, quindi Valeria è all'ultimo anno delle superiori.




***L'Autrice***
E a quanto pare sono tornata... ^^
Scusate per i mesi di attesa, non ho scuse ma ho avuto i miei problemi. Per chi è la prima volta che legge questa storia "BENVENUTI" per chi invece già mi conosce e conosce questa storia "BENTORNATI TESORI MIEI" xD
La verità è che ho pravato a farla pubblicare da qualche casa editrice ma un po' per mancanza di tempo un po' perchè molte l'hanno rifiutata, questa storia è rimasta sepolta nel mio computer. Ho deciso di pubblicarla di nuovo su EFP perchè evidentemente è questo il suo posto. Pubblicherò un capitolo a settimana (tranne oggi che ne pubblicherò due ^^)  più o meno (dipende dai miei impegni universitari e dagli altri problemi che mi si presentano ogni giorno). Comunque spero che la seguirete... ^^ Per chi conosce le vicende di questa fanfiction non ho niente da spiegare, comunque se avete altre domande risponderò volentieri... Ho cominciato anche a scrivere il seguito (un paio di capitoli) ma sinceramente sono mesi che non scrivo, ho perso totalmente qualsiasi voglia ed ispirazione. Ho deciso lo stesso di far rivedere la luce a questa storia che, come molti sanno, mi sta tanto a cuore... Per molto tempo è stata la mia vita ma ormai le cose sono andate come sono andate ed è inutile stare a pensarci ancora.
Che altro dire?
Leggete e divertitevi con Vale e Massi... xD

Un bacio grande a tutti!






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