Attenzione! Avviso del 21/01/2018
Volevo dire a tutti i fan di Massi e Vale che la storia "Il figlio della prof" ha ora una nuova versione, molto diversa dalla prima, disponibile all'acquisto su Amazon e su tutte le piattaforme digitali (in formato cartaceo e eBook). Il titolo è "La filosofia di Zorba" (di Francesca V. Capone), una storia assolutamente più matura rispetto alla versione originale e che vi lascerà senza fiato. Se volete, è anche possibile ordinarla in librerie come Mondadori e Feltrinelli.
In questa nuova versione il personaggio di Massi è più presente e descritto a tutto tondo, perciò non perdetevala!
Un bacio
Prologo
Sapevo
che l‟amore è cieco e arriva sempre quando meno te lo
aspetti, ma quello che è accaduto a me è stato
troppo anche per una ragazza forte, abituata ad affrontare tutto nella
vita.
Ero
avvezza alla sfortuna, ormai era diventata una degna compagna che
riuscivo a gestire. Tuttavia quello che accadde durante l‟ultimo anno
delle superiori si discostava da tutti i precedenti sfortunati che mi
avevano caratterizzata negli anni.
Innamorarmi
del ragazzo che più odiavo al mondo, è stato un
miracolo e insieme la maledizione peg-giore che avrei mai potuto
ricevere.
Ero
consapevole del fatto che quando l‟amore bussa alla propria porta
bisognerebbe aprirla senza ri-serve, ma avevo come la sensazione di
averne perso la chiave.
Per
me non era facile accettare quel sentimento, come non lo era
rinunciarci…
I Più Belli Dei Nostri
Giorni,
Non Li Abbiamo Ancora
Vissuti
Nazim Hikmet
Capitolo
1: Tre Ragazze Come Tante
-Basta
così Ferrari, torna a posto.-
Dopo che una ragazza di
diciotto anni aveva
perso un intero pomeriggio a studiare come una matta per riuscire a
fare una
figura decente all’interrogazione, si sentiva dire questa
frase con il tono
soave che solo l’acida voce di una professoressa
può avere, l’unica risposta
possibile sarebbe dovuta essere: Brutta stronza, te l’ho
fatta vedere io questa
volta!
Invece me ne tornai a posto
senza fiatare
perché anche il solo respirare avrebbe fatto capire a
quell’arpia che mi
sentivo appagata in maniera impareggiabile, e questo le avrebbe dato
soddisfazione:
cosa assolutamente inammissibile per me.
Per la prima volta in tre
anni ero riuscita a
sostenere un’interrogazione di scienze senza andare in tilt.
Mi ero sempre
ritenuta una ragazza abbastanza diligente e avevo spesso avuto dei
risultati più
che soddisfacenti; certo non ero una Einstein in gonnella,
però non mi ero mai
lamentata. Eppure da quando questa professoressa era entrata nella mia
patetica
esistenza, una delle materie che avevo sempre amato era diventata un incubo.
Professoressa Claudia
D’Arcangelo, che da
generazioni di studenti era stata soprannominata Lucifero, per il
chiaro riferimento
biblico: una donna normale nel vederla per strada o mentre fa la spesa,
ma
c’era un fenomeno che la colpiva ogni tanto, come se fosse
stata influenzata
dalla luna piena come un licantropo, e stranamente questo avveniva
sempre
quando il suo registro richiedeva l’immediato riempimento di
alcuni spazi
vuoti, spazi destinati al giudizio sulle interrogazioni.
Per più di due
anni, giorno dopo giorno, avevo
osservato questo rito con uno strano groppone all’altezza
dello stomaco: la
D’Arcangelo che arrivava in
classe, si sedeva con calma, prendeva il suo inseparabile astuccio con
le
penne- o altri indefiniti attrezzi di tortura formato tascabile-, ne
tirava
fuori una minacciosa penna nera e apriva il suo registro. In quel
momento anche
le mosche si bloccavano, nessuno respirava e gli alberi fuori
sembravano quasi
perdere ogni sentore di vita.
La professoressa cominciava
a scorrere
l’elenco con lo sguardo e poi faceva il gesto che ogni suo
alunno temeva più di
un intervento chirurgico senza anestesia: segnava dei puntini in
corrispondenza
dei condannati a morte. In genere chiamava in ordine alfabetico, ma non
sempre,
ed era quel margine di incertezza che faceva sperare ad una come me,
quinta nell’elenco,
che Lucifero decidesse di non chiamare in ordine. Cosa avvenuta solo un
paio di
volte, ma nella vita non si può mai sapere.
Alla fine le mie speranze
erano finite al
cesso per l’ennesima volta: aveva chiamato alla lavagna i
primi quattro, tra
cui la sua adorata Sara Giordano, il primo prototipo di robot con
sembianze
umane, a mio modesto parere. Una ragazza che riusciva a prepararsi in
quattro o
cinque materie anche se aveva solo poche ore di tempo. La D’Arcangelo
tendeva ad amarla
incondizionatamente, e qui tutti i suoi discorsi sul fatto che ai suoi
occhi eravamo
tutti uguali e che non aveva preferenze, andavano a farsi un bagno nel
Mar
Baltico.
Quel giorno la Giordano
era stata
impeccabile come al solito, cosa che mi mise ancora più in
ansia, e quando sentii
il mio nome pronunciato con quel solito tono di scherno la rabbia
cominciò a
montarmi fino a raggiungere le vette dell’Everest.
-Ferrari: alla lavagna.-
Mi alzai con calma, mi
diressi con ancora più
calma verso il patibolo che somigliava ad una lavagna e misi la mano
nel
contenitore del gesso. Vuoto, naturalmente.
-Ehm… Credo che
il gesso sia finito, professoressa-,
dissi con voce quasi tremante.
-Eh, allora? Vuoi che vada a
prendertelo io?
Chiedi alla bidella di dartene un pezzo!- rispose quella con voce degna
di un
limone acerbo.
Stavo per andare verso la
porta, quando la
voce di Sara Giordano mi bloccò.
-C’è un
gesso intero nel cassetto, professoressa-,
disse con mielosa accondiscendenza.
La professoressa
aprì il cassetto e ne tirò
fuori un lungo cilindretto bianco.
-Grazie, Sara.-
La Giordano
era l’unica a godere del privilegio di essere
chiamata per nome, praticamente era l’unica ad essere
considerata un essere
umano.
-Ero andata a prenderlo
prima perché serviva
alla professoressa di matematica. Credo che Ferrari se ne fosse
dimenticata-, asserì
sfoggiando la sua aria angelica.
-Eh, già. Ferrari
è parecchio distratta-,
disse con quello che sembrava puro disprezzo nella voce.
–Bene, Ferrari.
Adesso che hai il gesso
potresti andare alla lavagna per cortesia.-
Premettendo che sono sempre
stata una ragazza
dedita al “peace and love”. Sempre e comunque
seguace del motto “Fate l’amore
non fate la guerra”, e accanita sostenitrice del
“Vivi e lascia vivere” con
tanto di “Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a
te”, l’unica cosa
a cui riuscivo a pensare in quel momento era il modo più
atroce per far morire
quella serpe! Mi aveva umiliata e canzonata come se fossi stata un
oggetto!
Per carattere, sono una che
odia ingiustizie
di quel genere, quindi ero partita dal mio banco con un sentimento di
paura
tremendo e adesso me ne stavo davanti alla lavagna con la rabbia che mi
infuocava dentro, neanche fossi stata il Vesuvio durante la sua
eruzione più
devastante.
La D’Arcangelo
aprì il suo registro alla pagina degli argomenti
che aveva spiegato e cominciò a guardare con attenzione; poi
alzò la testa,
sempre senza guardarmi, e diede subito il via
all’interrogatorio. All’inizio
zoppicai un po’ ma dopo mi ripresi alla grande rispondendo
con sicurezza. Certo
non ero allo stesso livello della Giordano però come
interrogazione potevo ritenermi
soddisfatta. Ma la cosa che più mi elettrizzò fu
non vedere per una volta
quell’espressione scocciata che la professoressa faceva ogni
volta che qualcuno
era impreparato.
Finalmente suonò
la campanella della ricreazione
e tutto il Liceo Classico Virgilio si riversò nei corridoi,
la maggior parte
diretti ai distributori di merendine- o come affettuosamente erano
stati
definiti “macchinette”-. Chi andava in bagno,
principalmente per fumarsi la
sigaretta di metà mattinata, e c’erano anche quei
soggetti che non avendo
studiato a casa, utilizzavano quei dieci minuti nella speranza di
riuscire a
farsi entrare qualcosa in testa per l’interrogazione
dell’ora successiva.
E poi c’eravamo
noi.
Amelia Tarantino, per le
amiche Amy. La
ragazza più bella esistente sulla faccia della Terra:
capelli marroni di media
lunghezza e profondi occhi scuri con un taglio orientale. I ragazzi le
andavano
dietro quasi formando dei cortei e non esisteva al mondo un individuo
di sesso
maschile che non le avesse detto quanto fosse bella e attraente. Ma in
realtà
lei non aveva ancora avuto una storia, stava aspettando il grande
amore, o per
meglio dire, stava cercando di dimenticare l’unico ragazzo di
cui fosse mai
stata davvero innamorata.
Martina Giuliani. La
timidezza fatta persona, timidezza
che si mostrava solo con gli altri, perché quando era con
noi, non faceva altro
che parlare e parlare. Dolce e carina, ricordava molto le bambole di
porcellana:
carnagione chiara, capelli biodi e mielosi occhi nocciola. Anche lei
una rara
bellezza, e anche lei, come Amy, non aveva ancora avuto occasione di
innamorarsi, o più precisamente non ne aveva avuto voglia.
Una delle sue
caratteristiche fondamentali era senza dubbio la pigrizia: infatti per
lei
cercare un ragazzo era troppo stancante.
Infine c’ero io:
Valeria Ferrari. La più pazza
del gruppo, o comunque quella un po’ più
istintiva. A volte tranquilla a volte
un uragano, lunatica e soprattutto solare, mi piaceva sorridere e far
ridere,
caratteristica ereditata da quello scavezzacollo di mio padre. Alta,
anche
troppo, fisico normale, lunghi capelli castani mossi e occhi marroni;
una
ragazza ordinaria e senza alcuna pretesa, solamente in attesa del
grande amore.
Anch’io, come Amy, ci volevo credere e ci credevo che un
giorno sarebbe arrivato
l’uomo della mia vita, nel frattempo mi divertivo come tutte
le ragazze della
mia età.
Noi tre eravamo
inseparabili: Marti ed io
sempre insieme fin dalle scuole materne, mentre Amy si era unita a noi
durante l’ultimo
anno delle medie. Ragazze assolutamente normali, e tranquille. Quelle
che in uno
dei tanti licei italiani sono considerate insignificanti, facilmente
confondibili con il resto della massa. Ma a noi andava benissimo
così, nessuna
di noi aveva smanie di attenzioni o voglia di mettersi in mostra, ci
era sempre
bastato stare insieme. Solo questo.
Non ci era mai piaciuto
conformarci agli
altri, quindi se il ragazzo più carino della scuola ci
passava accanto non ci
mettevamo a sbavare come le altre. Era carino, certo, ma in genere
carino è
sinonimo di bastardo. Meglio
conoscerlo bene un ragazzo prima di decidere di morirgli dietro. Era
questa la
nostra filosofia.
Naturalmente, come tutte le
scuole, anche la
nostra godeva della presenza dei così detti ragazzi
fighi, quelli che tutte le ragazze
vorrebbero avere ma che in realtà solo una
“fortunata” Barbie senza cervello sarebbe
riuscita ad accalappiare.
Nella nostra scuola il
più bel ragazzo,
oggettivamente parlando, era di sicuro Marco Iovine: alto, occhi
azzurri,
capelli modello Zach Efron, con un carattere solare e simpatico. Un
vero
schianto insomma. E qual’era allora il suo punto a sfavore
agli occhi di noi
tre? L’amico che si portava sempre dietro: Massimiliano
Draco, il ragazzo più detestabile
dell’intero istituto.
Il motivo di tutto
ciò? Massimiliano, o
“Massi” come amava farsi chiamare, era
l’unico e viziatissimo figlio di Lucifero.
Proprio così: la D’Arcangelo
aveva trovato un
povero innocente che aveva accettato di sposarla e di avere un figlio
con lei.
Non l’avesse mai fatto.
Massimiliano era il ragazzo
più conosciuto di
tutta la scuola, forse anche più di Marco, qualunque cosa si
facesse, qualunque
progetto si organizzasse lui era sempre lì con la sua piacevolissima presenza. Si intrometteva
in discussioni in cui non
c’entrava affatto, ma quello che era peggio era il fatto che
non si accorgesse
di quanto fosse detestato, di quanto tutti li altri sparlassero alle
sue
spalle. Secondo il suo punto di vista era il ragazzo più
simpatico della scuola
o persino dell’Universo. Ma il problema era che questo era
solo il suo punto di
vista…
Non che non fosse un ragazzo
carino: occhi verdi,
capelli biondi lasciati un po’ ribelli, alto, fisico
abbastanza scolpito.
Questi, però, erano i suoi unici
punti a favore, superati di gran lunga da quelli a sfavore.
Dal canto mio, credo di
essere stata una di
quelle tante persone che abbia tentato di mandargli più
maledizioni e anatemi
possibili. Massimiliano Draco rappresentava tutto ciò che io
non ero, ma
soprattutto era l’incarnazione vivente di tutto quello che
non volevo in un
ragazzo. Praticamente il mio opposto: voglia di mettersi in mostra,
umiltà che
toccava livelli pari o addirittura inferiori allo zero, nessun senso
del pudore
e soprattutto un narcisismo mischiato a quella punta di egocentrismo
che
raggiungevano vette astronomiche.
In conclusione lo odiavo,
molto più di quanto
si può odiare la pioggia di sabato sera, o
l’interruzione pubblicitaria mentre
sei al punto clou di un film.
Grazie a non so quale
intervento divino, in
quasi cinque anni di scuola, Massimiliano non mi aveva mai parlato.
Ogni giorno
mi alzavo la mattina e pregavo che anche quel giorno passasse come gli
altri e
grazie a Dio, tutto ciò puntualmente avveniva. Certo lo
incrociavo nei corridoi
e a volte all’entrata o all’uscita da scuola, ma
nulla di più. Naturalmente
meglio di così non poteva andare, era l’equilibrio
naturale delle cose, e per
il bene dell’umanità doveva a tutti i costi
rimanere così.
Eppure ricordo perfettamente
il giorno in cui
questo delicatissimo equilibrio si spezzò per non ricomporsi
mai più.
Finita quella maledetta
interrogazione, mi
diressi insieme a Amy e Marti nell’atrio della scuola, giusto
per prendere un
po’ d’aria.
-Dai Vale, sei stata
fantastica
all’interrogazione-, mi disse Amy sorridendo.
-Infatti, non eri mai andata
così bene-, aggiunse
Marti.
-Lo sapete che io sono
destinata ad andare
male con la
D’Arcangelo-,
risposi sospirando. –Quella di oggi è stata solo
l’eccezione che conferma la
regola.-
-Ma dove?-
esclamò Amy. –Si vedeva lontano un
chilometro che la
D’Arcangelo
era davvero stupita dalle tue risposte.-
-E va bene, questa volta me
lo sono proprio meritato
un voto decente-, risposi compiaciuta. Non sono narcisista, ma quando
mi fanno
un complimento vado in brodo di giuggiole.
-Sentite-, continuai.
–Io vado alle
macchinette a prendermi una bottiglietta d’acqua, ho la gola
che sembra un
foglio di carta vetrata.-
-Mi sembra il minimo dopo
un’interrogazione di
Lucifero!- disse Marti sorridendo.
-Noi ti aspettiamo in
classe, allora- concluse
Amy.
Così loro due
cominciarono a salire le scale
che portavano al piano di sopra dove c’era la III
C (*), la nostra classe.
Rimasi qualche secondo a
guardarle poi mi
diressi verso le macchinette con un sorriso a trentadue denti stampato
in
faccia: sprizzavo allegria da tutti i pori. Quella giornata era
cominciata alla
grande ed ero sicura che niente e nessuno avrebbe mai potuto rovinarla.
Naturalmente non ero mai stata una cima nella predizione del futuro.
Appena svoltai
l’angolo mi bloccai: davanti
alle macchinette c’era il motivo per cui durante le ore
successive ero
diventata il malumore fatto persona.
Marco Iovine e Massimiliano
Draco erano
appoggiati alle macchinette e stavano facendo salotto con quelle che mi
sembrarono tre mocciose del secondo anno, ragazze ingenue e senza
alcuna voglia
di indipendenza dagli ormoni. Alzai un sopracciglio irritata e il
dubbio prese
possesso delle mie sinapsi: c’erano due soluzioni possibili,
andarmene, il che
sarebbe stato un gesto saggio e sensato, oppure continuare ad avanzare
imperterrita. Oltre a non avere alcuna dote precognitiva ero anche
accessoriata
di un non indifferente senso di puro menefreghismo quindi, ovviamente,
scelsi
la seconda opzione. Anche perché stavo davvero morendo di
sete.
Sbuffai e mi diressi con
passo sicuro verso le
macchinette, ero solo a pochi centimetri da quel gruppetto idiota ma
ancora non
mi avevano degnata di uno sguardo. Quanto avrei voluto che
continuassero a
farlo per tutta la vita! Ma la ricreazione stava per finire e io mi
stavo
decisamente disidratando.
Diedi un leggero colpo di
tosse, ma nessuno di
quei cinque soggetti si voltò a guardarmi. La mia
irritazione stava
raggiungendo davvero dei livelli inumani.
-Scusate-, dissi alla fine.
Marco decise di voltarsi,
fortunatamente
sembrava possedere un neurone.
-Serve qualcosa?- chiese con
un sorriso smagliante.
“Esibizionista!”
pensai. “Perdonami se non
sono una quindicenne in calore, le tue armi riservale per loro. Con me
non
attaccano!”
-Sì, fino a prova
contraria i distributori
servono a prelevare cibo e bevande. Non mi sembrava che servissero
anche come
salotto-, dissi con uno sguardo che li avrebbe potuti disintegrare. Va
bene,
forse avevo esagerato ma ero incavolata nera, e, a dirla tutta, avevo
anche
cercato di trattenermi.
Lui mi fissò per
qualche secondo negli occhi
anche se non riuscii a capire il perché però.
-Hai ragione-, disse Marco
con uno strano
sguardo. –Ci spostiamo subito.-
Avevo vinto? Ero riuscita a
spuntarla con il ragazzo
che era in grado di creare soggezione con un solo sguardo ed era stato
talmente
facile, che per poco non mi misi a saltare dalla felicità.
-Aspetta, Marco.-
Mi sembrava che fosse stato
troppo facile.
Naturalmente, quell’impiccione di Draco si era sentito in
dovere di intervenire.
-Scusa, tesoro. Ma questo
è un paese libero,
perciò io e il mio amico abbiamo il diritto di stare dove ci
pare e piace!-
affermò lui con quell’aria di sicurezza che lo
contraddistingueva.
Tesoro? No, dico: mi aveva
chiamata Tesoro?!
La mia rabbia stava per
esplodere, la sentivo
proprio sotto la pelle come se stesse cercando di uscire e non sapevo
quanto
ancora avrei potuto resistere.
-E’ vero,
però io ho bisogno di una bottiglietta
d’acqua. Basta che uno di voi due tolga il suo regale
fondoschiena di lì, così
io prendo la mia acqua e sparisco di qui in meno di un secondo. Non mi
sembra
di chiedervi chissà che cosa. -
Ero fiera di me stessa, non
avevo sbraitato e
mi ero trattenuta.
-No!- fu la secca risposta
di lui.
“Vuole
morire!” pensai. “E’ l’unica
spiegazione al suo comportamento, ha proprio voglia di morire. Qui e
adesso!”
-Come, scusa?- chiesi
cercando di essere gentile.
-Ho detto di no!–
incrociò le braccia per dare
più enfasi alle sue parole. -Non ci spostiamo.-
-Massi, smettila di fare
l’idiota-, disse
Marco. –Falle prendere l’acqua.-
-Dai retta al tuo amico Massi.- Forse avevo messo un
po’ troppo sarcasmo in quell’ultima
parola, ma non avevo saputo resistere.
Draco per poco non mi
tirò uno schiaffo, avevo
capito che si era trattenuto a stento.
-Non ho alcuna intenzione di
spostarmi-,
continuò lui imperterrito.
Ma perché i
ragazzi devono sempre essere così
stupidi e cocciuti? Poi non si possono lamentare se noi ragazze andiamo
fuori
di testa.
-Massi, adesso basta fare
l’imbecille-, ci
riprovò Marco.
La campanella
suonò: quel Draco era sempre
fortunato, si era salvato dalla mia ira proprio all’ultimo
istante.
“Ringrazia il
cielo che adesso ho quella
carabiniera della Bianchi che non ammette ritardi, se no ti facevo
nero!” pensai
voltandomi.
-Vai già
via?-chiese con tono compiaciuto.
“Vuole proprio
morire!”
Feci qualche passo avanti,
verso le scale e cominciai
a salire il primo gradino.
-Non mi hai sentito per
caso? Sei una che
molla facilmente.-
Mi bloccai: figlio o no
della D’Arcangelo, meritava
una delle mie risposte più perfide.
-Sai Marco-, dissi con un
sorriso, –è inutile
che continui a ripetere al tuo amico di non fare l’imbecille,
si sa che
difficilmente un essere umano riesce ad andare contro la sua natura.-
Marco mi guardò
con un sorriso divertito,
mentre quello che prima c’era sul viso di Draco si spense
come d’incanto.
-Rifletti un po’
su questa mia pillola di
saggezza, caro Massi.- Detto questo
cominciai a salire le scale alla velocità della luce,
sperando con tutte le mie
forze che la
Bianchi
non fosse già entrata in classe.
Mentre mi precipitavo in
aula, notai che avevo
uno strano sapore in bocca: accidenti! Per colpa di quello stupido
battibecco
mi ero completamente dimenticata dell’acqua! Avrei dovuto
aspettare la fine
delle lezioni.
Entrai in classe, per
fortuna la professoressa
non era ancora arrivata. Mi sedetti subito al mio posto, accanto a
Marti.
-Perché ci hai
messo tanto? Lo sai che se
fosse arrivata la Bianchi
ti avrebbe fatto una ramanzina infinita-, mi rimproverò
Marti.
-Lo so, lo so-, dissi mentre
riprendevo fiato.
Mi chinai verso lo zaino per prendere i miei libri di latino e sentii
un
improvviso silenzio in classe: doveva essere arrivata la professoressa.
Strano
che nessuno avesse detto il solito “Buongiorno”
scoraggiato.
Riemersi dal lato del banco
e mentre poggiavo
il libro di versioni sul banco, notai qualcosa di insolito che prima
non c’era:
una bottiglietta d’acqua.
Alzai lentamente lo sguardo,
e incontrai dei luminosi
occhi azzurri che mi sorridevano.
-Ho pensato che ne avessi
bisogno.-
Marco era davanti a me, per
la sorpresa mi ero
persino dimenticata di respirare. Ma era stata solo questione di un
secondo,
non ero una ragazzina che andava fuori giri per un sorrisetto.
-Pensavo che il tuo amico
non fosse favorevole
al mio volermi dissetare- dissi
prendendo
l’astuccio da sotto il banco.
Ero consapevole del fatto
che in classe non stava
volando una mosca, i miei compagni, in genere abbastanza loquaci, o per
meglio
dire, casinisti, evidentemente trovano parecchio interessante il fatto
che Marco
Iovine fosse venuto nella nostra classe per portare a me
una bottiglietta d’acqua e che non dimostrasse alcuna
intenzione
di andare via.
-Diciamo che non sono
d’accordo con lui.
Stranamente non ci tengo che tu muoia di sete-, continuò lui
sempre più
gentile.
-Be’, allora
grazie-, risposi con evidente
intenzione di liquidarlo ma lui proprio non ne voleva sapere di
andarsene.
-Spero che quello che ti ha
detto Massi non ti
abbia dato troppo fastidio, è solo che lui è un
po’…-
-Egocentrico? Megalomane?
Narcisista? Figlio
del “Meglio di me nessuno al mondo
c’è”?- avrei voluto mordermi la lingua
ma quelle
parole mi erano sdrucciolate via di bocca prima che potessi fermarle.
Marco mi fissò
sempre più divertito, mentre io
continuavo a sentire quel maledetto silenzio in classe: sembrava che i
miei
compagni avessero persino deciso di non respirare.
-In effetti credo che sia un
mix di tutte
queste cose. Però ha anche dei lati buoni.-
Questa volta
riuscì a non dire quello che
stavo pensando, la mia beneamata figura l’avevo
già fatta, era inutile
peggiorare le cose. Mi limitai a sorridere alzando un sopracciglio,
chiaro
gesto sarcastico.
Vidi che Marco stava per
riaprire bocca, ma fu
interrotto dall’entrata della professoressa.
-Buongiorno-, disse lei
entrando sparata come
al solito senza guardare nessuno, si sedette e cominciò
subito ad aprire il
registro di classe.
Io guardai Marco
indicandogli la porta con gli
occhi, ma lui continuava a fissarmi divertito: questa storia stava
davvero
cominciando ad irritarmi, e non solo perché Marco si stava
comportando così, ma
anche perché se ne stava in piedi davanti a me, con le mani
poggiate sul mio banco.
-Cosa portavamo oggi?-
Solita domanda della
Bianchi.
-Grammatica Latina-, coro
terrorizzato e scoraggiato
allo stesso tempo.
Finalmente la Bianchi
alzò lo
sguardo.
-Scusa, tu chi saresti?-
chiese rivolta a
Marco.
Ecco: in quel preciso
istante avrei voluto
andare a sotterrarmi da qualche parte, il più lontano
possibile, come minino in
un altro continente.
-Marco Iovine, III F,
professoressa-, rispose
lui con calma.
-Hai un motivo valido per
stare in piedi davanti
al banco di Ferrari?- chiese lei irritata.
Invece in quel momento avrei
voluto che
un’astronave aliena mi rapisse con un raggio per il
teletrasporto.
-Ho portato da bere
a… Ferrari-, disse lui
voltandosi a guardarmi con dolcezza.
Mi colse una strana fitta
allo stomaco.
-Sei il cameriere personale
di Ferrari, per
caso?- chiese lei socchiudendo gli occhi. Bruttissimo segno. Stava
cominciando
ad arrabbiarsi sul serio.
-No…-, disse.
–O almeno, non ancora- questa
invece la mormorò in modo che lo potessi sentire solo io.
-Come hai detto che ti
chiami? Iovine, giusto?-
-Sì,
professoressa.-
-Be’, Iovine, sono
felice che tu abbia
sopperito alla mancanza di liquidi di Ferrari, ma adesso abbiamo un
paio di
versioni di Cicerone che reclamano con enfasi la nostra attenzione.
Quindi, a meno
che tu non voglia portare da bere anche alla preside, ti consiglierei
caldamente
di uscire da questa classe e di tornare nella tua-, disse con calma,
segno
ancora più brutto, se parlava così lentamente
stava cercando di controllarsi
per non mettersi a sbraitare.
-Certo, professoressa.- Mi
lanciò un ultimo
sorriso e si diresse verso la porta.
Abbassai lo sguardo sul
libro il più
velocemente possibile, ma nonostante questo sentivo gli occhi di Marti
e Amy
puntati su di me come dei riflettori. Sapevo che mi aspettava un
interrogatorio
in pieno stile americano.
L’ora di latino
passò così velocemente che
neanche me ne resi conto e quando suonò la campanella il mio
cuore perse un
battito. Ultima ora del lunedì: religione. Traduzione:
adesso tutta la classe
mi avrebbe sommersa di domande.
Ero certa che in
quell’ora di latino tutti
avevano cominciato a costruire chissà quanti castelli in
aria su quello che
poteva essere successo tra me e Marco, ero persino certa che qualcuno
stesse
pensando che io fossi rimasta incinta con solo un suo sguardo.
La Bianchi
finì di assegnarci i compiti per casa e cominciò
a
raccogliere tutte le sue cose, ed io mi ritrovai a sperare che non
uscisse
dalla classe, per la prima volta in quasi tre anni che era la nostra
insegnante.
Non ci pensai due volte, e
alzai la mano di
scatto.
-Sì, Ferrari-,
chiese lei distratta.
-Professoressa, potrei
andare in bagno?-
chiesi speranzosa.
Cominciai a pregare non so
quale Dio, che mi
dicesse di sì.
-Vai pure-, concluse quella
chiudendo la
borsa.
Alleluja!
Mi dovevo sbrigare, non
potevo permettermi di
restare in classe un secondo di più.
Scattai verso la porta e mi
diressi veloce
come un fulmine verso il bagno, sapevo che non sarei riuscita a
sfuggire alle
domande dei miei compagni, e soprattutto a quelle di Marti ed Amy,
ancora per
molto, però almeno potevo prendere fiato prima della
tortura.
Entrai in bagno, e cercando
di ignorare la
puzza di fumo di sigaretta, mi fermai davanti al lavandino.
Aprì l’acqua e mi
bagnai un po’ il viso.
Ripensandoci non avevo
neanche ripagato la
bottiglietta a Marco, dovevo provvedere al più presto, non
avevo voglia di avere
debiti, soprattutto con uno come lui, anche se si trattava di pochi
centesimi.
Tirai fuori un fazzoletto
dalla tasca, e mi
asciugai, poi presi un respiro profondo e mi voltai per uscire. Feci un
paio di
passi, prima di fermarmi sorpresa: Amy e Marti erano davanti a me, e mi
stavano
guardando in un modo molto strano, tra il curioso e
l’imbestialito.
-Ci siamo forse perse
qualcosa?- chiese Amy
incrociando le braccia.
Accidenti al prof di
religione che non diceva
mai di no a chi chiedeva di andare in bagno!
Spalancai gli occhi a dir
poco spaventata: dovevo
rispondere e subito anche. Le esitazioni potevano solo confermare la
mia
colpevolezza. Colpevolezza che non aveva ragione di esistere
perché io non
avevo fatto niente di male.
-Quando prima sono stata
alle macchinette è
successo un mezzo casino con Marco e quella sottospecie di essere umano
di
Massimiliano Draco-, risposi continuando a fissare il pavimento.
-Sì, e Marco
Iovine ti ha portato l’acqua
perché…?- mi incoraggiò a continuare
Marti.
-Ragazze non sono
così presuntuosa da cercare
di capire l’unico neurone funzionante che hanno i ragazzi.
Non ho idea del
perché l’abbia fatto-, dissi mettendo in quelle
parole tutta la sincerità
possibile.
-Senti, o ci racconti tutto
come si deve, o
non rispondo più delle mie azioni!- minacciò Amy.
Le fissai per qualche
secondo, dopotutto non
era successo niente di particolare, però mi scocciava un
po’ dover raccontare
tutto quello che era accaduto.
Quando ebbi finito la
cronaca della mia avventura
mattutina, mi sentii molto meglio. Però gli sguardi che mi
riservarono le mie
amiche, mi lasciarono il dubbio che i loro cervelli stessero
cominciando a
ricamarci sopra qualche enorme panzana.
-Che avete voi due?- chiesi.
–Perché ostentate
quell’aria sospettosa?-
-E ce lo chiedi anche?-
esclamò Amy.
Continuai a fissarle
confusa, non avevo assolutamente
idea di cosa stesse succedendo.
-Ma perché sei
così ottusa quando si tratta di
queste cose?- si chiese Amy passandosi una mano sulla fronte.
Forse mi trovavo su una
frequenza sbagliata,
ma davvero non riuscivo a seguire per niente le frasi sconclusionate di
Amy.
Lei fece un sospiro e
cominciò a scialacquarmi
le sue spiegazioni.
-Mia cara- disse con il tono
di una madre
affettuosa. Il mio sopracciglio sarcastico, si alzò di
scatto. –Se c’è una cosa
tremendamente palese in tutta questa storia è che Marco
Iovine prova un certo
interesse nei tuoi confronti.-
-Prego?- la mia sorpresa
doveva essere
abbastanza evidente, perché Amy mi guardò ancora
più esasperata.
-Non ci vuole di certo
Cupido in persona per
capirlo! Abbiamo visto tutti che sguardi ti ha lanciato, il fatto che
ti
difendeva a costo di andare contro il suo migliore amico, poi, ne
è la conferma
definitiva, per non parlare della bottiglietta d’acqua.-
-Voi non state bene-, dissi
scuotendo la
testa. –La pensi anche tu così?-
Marti mi guardò
annuendo.
-Avete frainteso tutto-,
continuai. –Gli
sguardi che mi ha lanciato in classe li propina a ogni mammifero con il
cromosoma X che incontra. Mi ha difesa con Draco semplicemente
perché avevo
palesemente ragione e quell’imbecille si stava comportando in
modo maleducato,
e mi ha portato l’acqua solo perché ha visto che
ne avevo davvero bisogno.
Questi non sono elementi sufficienti per dire che è
interessato a me, dimostrano
solo che è più gentile di quanto pensassi. Punto
e basta.-
Ero diventata tutta rossa,
sia per la rabbia e
sia perché avevo detto quel discorso senza mai riprendere
fiato, ero
decisamente andata in riserva d’ossigeno.
-Secondo me ti sbagli-,
disse Amy con semplicità.
Ma perché
dovevano sempre capitare tutte a me?
Adesso persino la mia migliore amica cercava di mettermi in
difficoltà.
-Amy, ti ripeto che Marco
Iovine non è assolutamente
interessato a me ma, anche ammesso che lo fosse, io non ho alcuna
intenzione di
incoraggiarlo. Anzi, non gli voglio proprio più parlare!-
affermai categorica.
-Posso dire quello che penso
io?- chiese Marti
con sguardo serio.
La guardammo curiose.
-Per me, sotto un certo
punto di vista, ha
ragione Vale. Non credo che Marco sia interessato a lei, o almeno non
romanticamente parlando. C’è da dire
però che il suo comportamento è alquanto
ambiguo, voglio dire, va bene essere cortese e gentile, ma mi sembrava
che
stesse oltrepassando di parecchio il limite della gentilezza. Quando la Bianchi
è entrata in classe
lui non si è mosso, la professoressa ha dovuto insistere per
farlo andare via,
arrivando a minacciarlo di spedirlo in presidenza. Mi sembra logico che
quel
ragazzo vuole qualcosa da te, Vale.-
-Alla faccia che analisi
approfondita-, mormorai
con la bocca spalancata.
-Marti, da quando sei
diventata
un’osservatrice così oculata?- domandò
Amy stupita almeno quanto me.
-Che vi posso dire?- rispose
lei sorridendo.
–Capisco molto più i ragazzi delle ragazze.-
-Comunque-,
continuò Amy, –se Marti ha ragione,
Marco tornerà alla carica.-
-Mi chiedo cosa possa volere
da me- dissi pensierosa.
-Non lo so-, aggiunse Marti,
–ma ho la sensazione
che quel ragazzo si rifarà vivo molto presto.-
Un’ora dopo
scoprii che Marti era dotata di un
potere precognitivo molto più preciso del mio.
Ero davanti al mio scooter
aspettando che
arrivasse Amy, che come al solito si era fermata a parlare con
qualcuno. Io e
lei tornavamo a casa insieme visto che abitavamo a pochi metri di
distanza,
mentre Marti abitava dall’altra parte di Lecce quindi i suoi
genitori venivano
a prenderla in automobile. Stavo mettendo lo zaino nel bauletto, odiavo
tenerlo
tra i piedi mentre guidavo, quando qualcuno parlò.
-Ciao.-
Una strana, spiacevole
scarica elettrica mi
attraversò la colonna vertebrale, fino a raggiungere le
gambe e le piante dei
piedi. Non poteva essere: mi voltai molto lentamente e tutte le mie
paure trovarono
conferma, Marco Iovine era davanti ai miei occhi con quel suo solito
sorriso da
coma diabetico.
-Come va?-
-Cosa vuoi?- dissi in un
modo così freddo che
l’Iceberg del Titanic sarebbe sembrato un nonnulla in
confronto.
-Vedo che sei proprio
contenta di vedermi-, cominciò
lui sarcastico.
-Guarda, contenta
è dire poco-, risposi
salendo sullo scooter e mettendo in moto. Amy aveva trenta secondi, se
non
fosse arrivata l’avrei lasciata a piedi senza tanti
complimenti. Non volevo
stare a sentire Marco neanche un minuto di più.
-Spero di non aver sbagliato
a portarti
l’acqua oggi in classe, Ferrari.-
Alzai il sopracciglio
così tanto che credo di
essermi quasi paralizzata la faccia ma dato che c’ero, misi
un secondo da parte
la rabbia e cominciai a cercare qualcosa nella tasca destra dei miei
jeans.
-Nonostante mi abbia dato
veramente fastidio-,
risposi tirando fuori la mano dalla tasca, - devo dire che la mia bocca
sembrava il deserto del Sahara, quindi…-
Gli porsi alcune monetine.
-… grazie.-
-Non
c’è bisogno che mi dai quei soldi.
L’acqua te l’ho offerta io-, rispose lui subito.
-Mi dispiace ma non posso
accettare. Sto già
abbastanza nei casini senza che il famoso Marco Iovine cominci ad
offrirmi da
bere-, ribattei io prendendogli la mano con forza e dandogli i miei
trentacinque centesimi pieni di quello che doveva essere il mio
orgoglio
smisurato.
-Ma era solo
dell’acqua-, disse sorpreso. –In
che casini ti avrei messo?-
-Si vede che non hai
abbastanza fantasia, mio
caro-, dissi io cominciando a fare manovra. –Gli altri in
questa scuola ne
hanno a dismisura.-
Mi infilai il casco e stavo
per partire,
quando lo guardai ancora una volta.
-Un’ultima cosa
prima di terminare qui il
nostro unico discorso-, dissi con sguardo severo. –Se
c’è una cosa che mi fa
imbestialire è essere chiamata per cognome, quindi evita di
farlo.-
-Credo di poterlo fare solo
quando conoscerò
il tuo nome-, rispose lui sorridendo e incrociando le braccia
fingendosi
scocciato.
-Scordati che te lo dica io,
per me va
benissimo che tu non mi chiami affatto!-
Detto questo diedi un
po’ di gas e raggiunsi
piano il cancello della scuola. Ero consapevole del fatto che Marco mi
stava
guardando, e che tutti quelli che ci avevano visto parlare adesso
stavano già
immaginando le partecipazioni per il nostro matrimonio, ma in quel
momento non
me importava nulla, volevo solo tornarmene a casa.
-Vale!- esclamò
una voce dietro di me.
Feci un profondo respiro,
sperando che Marco
non fosse dietro di me e non avesse sentito Amy gridare il nome come
una
deficiente, poi mi voltai, e naturalmente ebbi la conferma della totale
assenza
di fortuna nella mia vita.
Amy stava correndo verso di
me indossando il
casco, e Marco stava una ventina di metri dietro di lei, mi stava
salutando con
la mano alzata e un sorriso sgargiante. Aveva sentito di sicuro il mio
nome. Socchiusi
gli occhi, ero talmente arrabbiata, che se Amy non fosse stata la mia
migliore amica,
come minimo avrei fatto manovra e l’avrei messa sotto.
-Avevi intenzione di
lasciarmi qui?- chiese
lei indignata mentre si sistemava dietro di me.
-Credimi, quello sarebbe
stato il male
minore.- Diedi gas e partii.
(*):
giusto per evitare fraintendimenti conviene che spieghi a chi
magari non sa come funziona la classificazione in un Liceo Classico. I
primi due anni vengono chiamati IV e V Ginnasio, mentre dal terzo anno
all'ultimo si hanno il I, II e III Liceo, quindi Valeria è
all'ultimo anno delle superiori.
***L'Autrice***
E
a quanto pare sono tornata... ^^
Scusate
per i mesi di attesa, non ho scuse ma ho avuto i miei problemi. Per chi
è la prima volta che legge questa storia "BENVENUTI" per chi
invece già mi conosce e conosce questa storia "BENTORNATI
TESORI MIEI" xD
La
verità è che ho pravato a farla pubblicare da
qualche casa editrice ma un po' per mancanza di tempo un po'
perchè molte l'hanno rifiutata, questa storia è
rimasta sepolta nel mio computer. Ho deciso di pubblicarla di nuovo su
EFP perchè evidentemente è questo il suo posto.
Pubblicherò un capitolo a settimana (tranne oggi che ne
pubblicherò due ^^) più o meno (dipende
dai miei impegni universitari e dagli altri problemi che mi si
presentano ogni giorno). Comunque spero che la seguirete... ^^ Per chi
conosce le vicende di questa fanfiction non ho niente da spiegare,
comunque se avete altre domande risponderò volentieri... Ho
cominciato anche a scrivere il seguito (un paio di capitoli) ma
sinceramente sono mesi che non scrivo, ho perso totalmente qualsiasi
voglia ed ispirazione. Ho deciso lo stesso di far rivedere la luce a
questa storia che, come molti sanno, mi sta tanto a cuore... Per molto
tempo è stata la mia vita ma ormai le cose sono andate come
sono andate ed è inutile stare a pensarci ancora.
Che
altro dire?
Leggete
e divertitevi con Vale e Massi... xD
Un
bacio grande a tutti!
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