Shadow-seeker
Shadow-seeker
Edward Elric ha uno strano modo di guardare.
E’
principalmente per questo che Alfons ha voluto conoscerlo,
all’inizio. Certo, Edward ha dalla sua una mente brillante, ed
è un narratore divertente quando racconta le sue buffe storie su
un altro mondo dal quale dice di provenire. Ha carisma, un modo rude di
preoccuparsi per gli altri, e una risata contagiosa.
Ma
sono quegli insoliti occhi dorati ad averlo incuriosito più di
tutto: sembrano sempre vedere cose che nessun altro può. E
Alfons non sa svelare il mistero.
“Non ti ha convinto, eh?”
Edward
è scettico, mentre lo segue fuori dal cinema. “Che modo
distorto e grottesco di raccontare una storia!” Replica, e Alfons
ride, per nulla sorpreso.
“E’
proprio questo il punto, mio caro: è un modo come un altro per
mostrare la sofferenza. Se focalizzi l’attenzione su elementi
disturbanti, tenebrosi e spaventosi, comunichi un’emozione forte
allo spettatore, no? Il cinema moderno è così.”
Edward lo guarda male. “Perché non me lo hai detto prima?”
“Non
sarebbe stato divertente.” Il suo coinquilino alza gli occhi al
cielo, e Alfons sorride. “Davvero non eri mai stato al
cinema?”
“Nel
mio mondo non esiste niente del genere, te l’ho detto.”
Edward sbuffa, mettendo le mani in tasca. “E poi non lo capisco,
il cinema. A che pro deformare la realtà?”
“Sei tu che hai detto che vuoi cercare ovunque indizi per tornare indietro.”
“Intendevo in modo scientifico.”
Alfons
alza le mani, arrendendosi. “Essere uno scienziato non ti
impedisce di apprezzare l’arte, comunque. Secondo me dovresti
darle un’opportunità: a lungo andare potrebbe piacerti."
“Ora parli come il vero Al!”
Alfons si ferma, e il gelo lo investe.
“Cosa?”
Si volta, fissa il viso improvvisamente sconcertato di Edward.
“Intendevo mio fratello Al.” Si corregge rapido. “Non volevo-”
“Ho capito.”
Alfons
gli dà le spalle, e riprende a camminare, lentamente. Il
lampione dietro di lui proietta la sua ombra sul terreno: una forma
indistinta di spalle ampie e capelli corti. Ne è quasi
ipnotizzato.
Per questo non sente Edward avvicinarsi.
“Alfons!”
Gli tocca una spalla, lo fa voltare.
“Fammi rimediare. Per favore.”
Alfons incontra quegli occhi seri e dolenti, e finalmente capisce.
Edward guarda il mondo come se fosse un film grottesco che non comprende, che distorce la realtà -la sua
realtà: una strana realtà fatta di ombre. Ombre di quello
che ha perso, di quello che vuole ritrovare; di persone che nessuno ha
mai visto, nessuno, solo Edward.
Ombre che sono più vive dei vivi.
E all’improvviso, Alfons Heiderich non esiste.
Sorride, un gesto vuoto. La gola gli si è serrata.
“Si può sapere a cosa vorresti rimediare?” Risponde, leggero. “Dai, andiamo. Ho una fame da lupi.”
Ricomincia a camminare, lasciando Edward impietrito e desolato a guardarlo.
Alfons
vorrebbe tossire. Più forte che può, fino a perdere
respiro e sangue. Fino a far piegare quell’ombra – fino a
renderla inequivocabilmente sua. Ma i suoi polmoni sono liberi.
Il vero Al rimane attaccato alle suole delle sue scarpe, silenzioso e inesorabile, e non lo lascia andare.
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I riferimenti nel testo sono al cinema espressionista tedesco: qui
alcune informazioni. Mi sono mantenuta su descrizioni generiche,
perché non ho nessuna pellicola in particolare in mente: mi
serviva giusto qualche riferimento ai fini della storia.
Padme Undomiel
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