Il ragazzo correva,
correva più del vento. Era quasi senza fiato, ma doveva
arrivare il prima possibile. Doveva. Doveva assolutamente. Aveva
scartato un paio di persone sul marciapiede, beccandosi qualche
insulto. Poco male, c’era abituato. Dove diavolo era adesso?
Dove lo trovava ora? Aveva girato l’angolo opposto al vicolo
e Abraham era lì, sempre a scaldarsi, come se si fosse mosso
di pochi metri, ma sempre nella stessa posizione.
“Abraham!” aveva detto senza fiato
“eccomi, Abraham!” si era fermato, poggiando le
mani sulle ginocchia, riprendendo fiato.
“Benedetto ragazzo, ma dov’eri finito? È
un giorno intero che sei sparito, cominciavo a preoccuparmi!”
“Abraham, tu mi hai chiesto una cosa, e io l’ho
fatta. Ma
per bene”
aveva aggiunto, tutto tronfio “mi sono appostato, per essere
sicuro che fosse quello il posto dove Kaleb tiene Fiorellino!”
Abraham aveva sorriso a quel nomignolo; probabilmente Shorty era
convinto si chiamasse veramente così. Aveva scosso la testa,
ridendo: “E dimmi ragazzo, cosa hai scoperto?”
Shorty aveva sgranato gli occhi e aveva bisbigliato, guardandosi
intorno:
“In un vecchio magazzino vicino la stazione di Peckham Rye.
L’ho visto che entrava e usciva e portava sempre da mangiare
per due persone, lei è sicuramente là!”
aveva finito, in attesa di risposte
“se non la tiriamo fuori da là, morirà!
Kaleb è cattivo!”
“Lo so, Shorty, lo so. Per questo dobbiamo avvertire subito
Sherlock “dobbiamo trovare una cabina pubblica, ho delle
monetine che mi ha dato proprio lui”.
“Io so dov’è, Abraham! A due isolati da
qui, ci metteremo pochissimo!”
“Bene, allora. Andiamo, è ora che quella povera
ragazza torni a casa”.
//
John era di turno in ambulatorio quella mattina, ma non c’era
molta affluenza, stranamente. Beveva un caffè tiepido,
dondolandosi sulla sua poltrona davanti la scrivania. Aveva salutato
Rose con tanto trasporto quella mattina, più del solito. La
sua bambina, sua figlia. Aveva chiuso gli occhi, nauseato
dall’idea di non sapere ancora nulla su Lily. Pensava anche
alle conversazioni che aveva avuto con Sherlock in quei
giorni: era sembrato stranamente vulnerabile, ma decisamente restio ad
ammetterlo; aveva sorriso leggermente: si augurava con tutto il cuore
che quello che lui immaginava potesse avverarsi.
All’improvviso la porta si era aperta senza bussare, e John
sapeva che quell’entrata era tipica di Sherlock, che si era
affrettato subito a dire: “Ho detto che avevo un
appuntamento”.
“Non ti crede più nessuno, Sherlock. Soprattutto
se arrivi come una furia, come al tuo solito. Siediti.
Caffè?” aveva indicato il bricco posato sulla
credenza dietro di lui “un po’ freddo, ma sempre
caffè”.
Sherlock aveva alzato la mano: “No, grazie. Ho preso il the
stamattina”. Si dondolava anche lui sulla sedia, non parlando.
“Qualche motivo specifico per la tua venuta?” aveva
chiesto John, posando la tazza sulla scrivania “stai
bene?”
“Sì, sì benissimo” aveva
replicato in un bisbiglio. John sapeva che non aveva dormito, le
occhiaie spiccavano sulla sua pelle bianca e gli zigomi sembravano
più pronunciati.
“Non hai dormito”
“Sì che ho dormito; poco e male, ma ho
dormito”.
John si era massaggiato le tempie, lentamente. Era una giornata vuota,
senza pensieri o pazienti che potessero distrarlo in qualche modo.
L’orologio sembrava non camminare mai, ed era già
esausto. E mancavano ancora due ore alla pausa pranzo. Aveva sospirato,
frustrato: “Dovevo darmi malato oggi, sarei stato un
po’ con Rose e Mary” aveva soffocato uno sbadiglio.
Sherlock continuava a dondolarsi sulla sedia, in maniera assente. John
lo aveva guardato, preoccupato. Poi aveva sgranato gli occhi:
“Sherlock, fammi vedere le braccia”.
Lui si era girato di botto, intimorito: “Perché?
Sulle mie braccia non c’è nulla” una
leggera contrazione del labbro l’aveva sbugiardato e John
aveva ripetuto: “le braccia.
Ora.”.
Sherlock aveva sbuffato, alzando gli occhi al cielo e sollevando la
manica della giacca dove troneggiavano ben tre cerotti alla nicotina,
di quelli enormi e tondi. John aveva sgranato gli occhi.
“Tu sei pazzo” aveva sussurrato incredulo
“togliti subito quei cerotti!”
“Aiutano a concentrarmi!” aveva detto con le mani
che tremavano.
“Ecco perché non dormi razza di idiota!”
John si era allungato verso di lui e gliene aveva strappato uno con
forza.
“Ahia! Così mi fai male, scemo!” aveva
urlato di rimando Sherlock.
“Se non te li togli subito da solo, ti strappo gli altri
ancora più forte!!” aveva minacciato John.
“Va bene.
Va
bene. Me li tolgo” li aveva staccati
delicatamente dalla pelle. Dove John aveva strappato il terzo era
rimasto un grosso cerchio rosso.
“Non sei normale” aveva esclamato John, scuotendo
il capo “se ti concentri un altro po’, ti esplode
la testa!”
Sherlock aveva sbuffato, esasperato.
//
Lily non riceveva Lorazepam da due giorni. E non si sentiva
molto bene; per fortuna la dose era diminuita ultimamente, quindi il
suo corpo doveva espellere meno schifo del solito. Aveva caldo, il
cuore le batteva forte e non riusciva a dormire bene. Per il resto
teneva tutto sotto controllo. A volte le sembrava di sentire dei
rumori, ma non sapeva se era la sua testa o se erano veri. Cercava di
rimanere calma, anche se a volte avrebbe spaccato tutto.
Kaleb era sempre il solito stronzo, figurarsi. Da un po’ di
giorni non la toccava, ma solo perché era particolarmente
affaccendato con i suoi loschi giri, e per fortuna si faceva vedere
poco. Lily soffriva anche la fame, perché mangiava a
discrezione di Kaleb: quando si ricordava, le portava da mangiare,
sennò poteva anche stare un giorno intero digiuna per poi
doversi accontentare di un tramezzino, o chissà quale altra
schifezza. Cominciava ad accusare anche questo, cioè la
mancanza di cibo. Le girava la testa, non riusciva a pensare bene e per
non sentire la fame, dormiva. Ma appena prendeva sonno aveva incubi e
si risvegliava in un bagno di sudore; aveva pensato più di
una volta di scappare mentre Kaleb era via. Ma aveva chiuso con
lucchetti e catene l’uscita. Sapeva che c’era
un’altra entrata, ma probabilmente era chiusa anche quella, e
lei non aveva le forze necessarie per cercarla. Quel magazzino era
bello grosso. Era una prigioniera, e probabilmente dentro quello schifo
di deposito ci sarebbe crepata. L’unica cosa che la consolava
erano i rumori che venivano dalla finestra: le ricordavano che fuori
c’era la vita, c’era un mondo, qualcosa che pulsava
e la faceva sentire un po’ meglio.
Per il resto, era sempre la solita merda.
//
Sherlock si massaggiava la parte del braccio arrossata, guardando in
cagnesco John. Lui non ci faceva neanche caso, e leggeva delle carte
che aveva sul tavolo.
All’improvviso, il telefono di Sherlock aveva suonato. Era un
numero sconosciuto, ed era subito saltato dalla sedia, facendo
sobbalzare John. Numero sconosciuto poteva voler dire qualcosa di
importante. Aveva guardato John, che lo fissava di rimando. Poi si era
scosso, e aveva intimato a Sherlock: “Ma insomma rispondi!
Non guardare me, maledizione!”
Sherlock aveva risposto, tenendo lo sguardo fisso su John; si
guardavano a vicenda come per darsi coraggio.
“Sì, pronto” aveva risposto Sherlock.
“Sherlock, sono io, Abraham. Zona Peckham Rye”
aveva esordito, cercando di parlare il più forte possibile,
per coprire i rumori del traffico.
“Abraham, certo. Dimmi tutto, che succede?”
“Li ho visti Sherlock; ho visto la ragazza insieme a quel
farabutto, Kaleb. Li ho visti ieri, lei faceva il palo”.
Sherlock aveva chiuso gli occhi: “Sei sicuro? Sei sicuro che
fosse lei?” John si era alzato di scatto andando vicino
Sherlock, gli occhi sgranati e increduli.
“Amico mio, era sicuramente lei. Capelli castani, occhi color
ambra con pagliuzze gialle. Ed è stata così
gentile. Sherlock, peserà quarantacinque chili, non sta
bene. Tiratela fuori da lì il prima possibile”.
“Da lì dove?” aveva chiesto Sherlock,
sempre più esasperato “da lì dove,
Abraham??”
“Ho mandato Shorty a seguirli e dice che la tiene chiusa in
un vecchio magazzino vicino alla stazione. Le porte sono tutte chiuse,
ha guardato in giro, ma quel capannone ha anche un secondo piano, con
delle scale antincendio. Forse là, potrebbe esserci
un’entrata o qualcos’altro”.
Sherlock aveva annuito, concentrato “Bene Abraham, fammi
avere l’indirizzo preciso. Da qui in poi ci pensiamo
noi…e..grazie, veramente”.
“Figurarsi, ragazzo mio. Quella ragazza ha dei modi e un
sorriso che ti scaldano il cuore. Non potevo fare altrimenti”.
“A presto” aveva risposto asciutto Sherlock, e
aveva riattaccato.
Aveva guardato John, che lo aveva fissato tutto il tempo della
telefonata: “Ci siamo, forse ci siamo. Al 90%
è lei John. Abbiamo trovato Lily”.
John aveva chiuso gli occhi e si era abbassato sulle ginocchia, in
silenzio. Sherlock non capiva se il movimento delle sue spalle era
dovuto all’iperventilazione o al pianto. Lo aveva lasciato
calmare, poi aveva esordito: “Adesso ci serve un piano, John.
Ed è ora di informare Lestrade di tutto questo”.
John aveva alzato gli occhi verso di lui, socchiudendoli leggermente:
“Sei sicuro?”
“Sì. Anche se vorrei fare da solo, un aiuto
è sempre utile. Ci servirà da copertura. Io e te
andremo lì dentro a salvare Lily” lo aveva
guardato, intensamente “te la senti?”
John lo aveva fissato, per poi sibilare: “Sono pronto da
quando l’hanno portata via, Sherlock”.
“Bene” aveva annuito, un sorriso appena accennato
“il gioco è iniziato”.
//
“Io vorrei sapere perché non sono stato avvertito
prima!” urlava Lestrade, sbattendo un pugno sul tavolo
“un rapimento! Possibile violenza e sequestro di persona,
insomma un disastro! Perlopiù di un individuo di cui non
abbiamo documenti, una straccio di storia da raccontare, che sembra non
esistere!!!!” aveva soffocato un grido, esasperato, alzando
le mani al cielo insieme agli occhi “non posso autorizzare
una’operazione di Polizia su una cosa su cui non si
è indagato prima! È inammissibile!!!”
Sherlock si era schiarito leggermente la gola:
“Gavin..” aveva cominciato.
“Mi chiamo GREGORY!!!!!” aveva urlato di nuovo
l’ispettore, facendo strizzare gli occhi a John che era poco
dietro Sherlock, gli occhi fissi a terra, come un bambino messo in
punizione.
“Scusa, Gregory” aveva continuato Sherlock, con
voce bassa e sicura “non ne abbiamo parlato prima,
perché a quanto pare la persona che tiene sequestrata Lily
è altamente pericolosa e….”
“
Sherlock
Holmes” aveva sibilato Lestrade, avvicinandosi
al suo volto “pensi che siamo degli imbecilli? Che non
abbiamo mai avuto a che fare con persone pericolose in tutta la nostra
carriera???” aveva alzato il tono di voce “come
posso giustificare questa operazione ai piani alti, dimmelo
tu!”
“Potresti venire te e un paio di agenti in borghese e se le
cose si mettessero male, possiamo sempre farla passare per
un’operazione casuale. Voi eravate lì,
è successo…e basta”.
Lestrade lo aveva guardato fisso negli occhi e Sherlock di certo non
abbassava lo sguardo. Alla fine aveva detto: “So
già che me pentirò amaramente. Vi metto a
disposizione DUE agenti, più io. Ma entreremo in azione solo
se necessario, solo in occasione di pericolo
imminente. Il che
vuol dire sparatorie e simili. Per il resto me ne lavo me mani, di
quello che farete voi due”. Aveva indicato John e Sherlock, e
si era dileguato dalla stanza.
“Beh, non è andata proprio male” aveva
alzato le spalle Sherlock, rivolgendosi a John “no?”
“Sì certo, alla grande” aveva risposto
“una vera passeggiata”. E si era avviato anche lui
fuori dalla stanza.
Sherlock aveva avuto l’indirizzo preciso del capannone in
questione, e mentre viaggiavano sulle macchine della polizia in
borghese, pensava a come fare per entrare là dentro. Doveva
essere lì, doveva ispezionare, indagare e fare un piano
della situazione. John era molto concentrato; sotto la sua giacca aveva
la fondina con la pistola, che non usava da molto ormai. Ma era entrato
in piena modalità soldato. Freddo, concentrato e soprattutto
risoluto. Quella sera avrebbe riportato a casa Lily.
Viva.
O morta.
Aveva strizzato addolorato gli occhi al solo pensiero.
Lestrade aveva accostato a poche centinaia di metri dal capannone.
“Bene. Avete i telefoni, appena le cose dovessero mettersi
male, chiamate. Noi arriveremo in meno di due minuti.
Munizioni?”
“Sì” avevano risposto in coro.
“Giubbotti antiproiettile?”
“Sì” di nuovo in coro.
“Bene, allora andate, maledizione. E cercate di non farvi
ammazzare” si era fermato “o di far ammazzare
quella povera ragazza” stavano per uscire dalla macchina
quando li aveva richiamati dentro “anzi! Se entro
un’ora non ho vostre notizie, vi vengo a cercare, sappiatelo!
Non voglio nessuno sulla coscienza, io!” dopo averli fatti
scendere, era ripartito con la macchina, sgommando.
Si erano avviati verso il capannone. Man mano che si avvicinavano, si
stagliava sempre più alto. Era grande e a due piani,
visibilmente abbandonato. Sherlock studiava la situazione: scala
antincendio lato ovest ed est, quindi due entrate. Porta principale:
chiusa. Niente tetto, solo una cupola di telo. Lily doveva essere al
piano terra o al primo. Forse era meglio il piano terra, per scappare
più facilmente, se ne avessero avuto bisogno. Kaleb
sicuramente entrava dalla porta principale, che non era grandissima, ed
era legata da due catene e da un lucchetto. La zona era poco
frequentata e non propriamente sicura. Quindi ci si poteva muovere con
più facilità senza essere notati, soprattutto se
sembravi pericoloso, o comunque sospetto. Ma sembrava che alla gente
del posto non importasse molto, comunque.
In tutto ciò erano arrivati e avevano fatto il giro del
capannone. Il lato Est era quello più esposto alla luce dei
lampioni, quindi avrebbero prima esplorato il lato Ovest. Avevano
salito le scale antincendio lentamente, per non fare troppo rumore;
erano arrivati al primo piano, e la porta era chiusa, ma con un minimo
di forza potevano riuscire a sfondarla.
“Faremo troppo rumore, Sherlock. E se Kaleb fosse
là dentro? Se ne accorgerebbe subito”.
“Proviamo a forzarla con questo” Sherlock aveva
trovato una sbarra di ferro, che si era staccata dal rivestimento delle
scale “non dovrebbe metterci molto a cedere, se proviamo ad
aprirla con questa sbarra”.
“Faccio io” aveva sussurrato John “la
guerra mi ha insegnato a essere più silenzioso di te,
sicuramente”.
Sherlock aveva sbuffato, divertito “Sì certo,
soldato Watson. È tutta sua” e gli aveva passato
la sbarra di ferro, con fare ironico.
John aveva sospirato e poi aveva tirato un respiro, concentrandosi.
Aveva infilato molto lentamente la sbarra di ferra
nell’apertura della porta, incastrandola bene. Poi con molta
calma aveva cominciato a forzare, facendo cigolare i cardini, ormai
arrugginiti. Si era fermato, ascoltando con attenzione reazioni
particolari. Niente. Aveva forzato un po’ di più,
sempre con molta calma e un cardine aveva ceduto. John aveva sorriso.
Bene.
La porta già traballava, ma non riuscivano a passarci;
dovevano scardinarla del tutto.
“Sherlock” aveva sibilato John “ se
riesco a scardinarla completamente, potrebbe cadere. Preparati ad
afferrarla”.
“Va bene” aveva risposto Sherlock, sistemandosi le
maniche del cappotto “vai”.
John aveva forzato ancora di più, e una vite del cardine era
saltata, lasciando il lato superiore mezzo staccato.
“Guarda se riesci al alzarla, e appoggiarla al
muro” aveva suggerito John.
Sherlock aveva sollevato la porta e con un paio di spinte verso
l’alto, finalmente si era staccata, facendo un rumoraccio non
indifferente. John e Sherlock si erano fermati, immobili. Sarebbero
rimasti così un paio di minuti, per essere sicuri di non
aver attirato l’attenzione di nessuno.
Passato il tempo necessario, erano entrati nel capannone. Davanti a
loro c’era un corridoio, che dava su altre scale che
portavano al piano terra. Era enorme, un magazzino di grande
stoccaggio, un’unica stanza con degli scaffali alti fino al
soffitto. Alla loro sinistra c’erano le scale che portavano
al piano terra.
“Deve essere per forza al piano terra” aveva detto
Sherlock a John “là ci sono le scale,
andiamo”.
John l’aveva afferrato per la spalla, guardandolo
intensamente: “Sherlock, niente cazzate. Niente eroismi,
niente di insensato. Non fare stupidaggini. Prima
l’incolumità nostra e di Lily, poi il resto:
chiaro?” continuava a guardarlo, gli occhi ridotti a due
pozze scure, concentrati e affilati.
“Sì, va bene” aveva risposto Sherlock
“attenzione prima di tutto”.
“Giusto” aveva annuito John, e si erano diretti
verso le scale. Arrivati alla metà dell’ultima
rampa, avevano visto, al centro della stanza, scatole di legno e un
sacchetto dei rifiuti.
“Ci siamo” aveva bisbigliato John “deve
essere qui”. Arrivati alla fine delle scale, si erano
accertati non ci fosse nessuno. Un po’ più avanti,
sulla sinistra c’era un materasso; con sopra Lily, di spalle,
con la testa in mezzo alle ginocchia. John aveva sospirato; era viva,
era in piedi. All’improvviso, Lily aveva tirato su la testa,
come un animale che fiuta il pericolo, la schiena una perfetta linea
dritta. Si era girata lentamente, e aveva visto John. E poi Sherlock.
Credeva fosse un sogno drogato, sicuramente stava dormendo, stava
sognando.
“Lily” aveva sussurrato John “Lily, siamo
noi. Siamo venuti a portarti via da qui”.
Gli occhi di Lily si erano riempiti subito di lacrime e aveva
cominciato a piangere. Erano venuti da lei, l’avevano cercata
e trovata. Ma alla sensazione di sollievo, si era subito aggiunta
quella di panico.
Era scattata verso John, camminando sulle ginocchia e si era aggrappata
alla sua giacca, guardando lui e poi Sherlock, in preda al terrore:
“Dovete andare via di qui, lui tornerà a momenti.
Andate via John, vi prego. Vi ucciderà, per favore Sherlock,
andate via” si era rivolta anche a lui, gli occhi spalancati
e pieni di paura, già asciutti dal pianto di poco prima.
Aveva abbassato la testa sul petto di John e aveva inalato il suo
profumo. Faceva quasi male, ma non poteva farli rimanere lì,
dovevano andare via subito. Sherlock si era avvicinato a Lily e
l’aveva presa per le spalle, strappandola dal corpo di John.
L’aveva scossa e con voce ferma aveva detto: “Siamo
qua, Lily. Non ce ne andiamo senza di te, capito?” la
guardava fisso negli occhi, cercando un punto di connessione, qualcosa
che la riportasse a essere un minimo lucida e razionale.
“Ma lui vi ucciderà, e io non voglio”
piangeva di nuovo, a grandi singhiozzi, senza riuscire a smettere. Era
chiaramente sotto l’effetto di qualche droga. Aveva
accarezzato piano il viso di Sherlock, poi aveva guardato John con
occhi appannati e assenti. Aveva sorriso leggermente: “I miei
cavalieri dall’armatura scintillante” una lacrima
le era scesa giù per la guancia. Le labbra le tremavano per
la commozione “grazie, grazie davvero”.
John era annichilito. Dei cavalieri, per lei erano dei cavalieri, come
quelli delle favole che raccontava a Rose.
“Non ce ne andiamo senza di te, Lily. È fuori
questione”. La voce gli tremava per la commozione
“ti abbiamo cercata tanto, non possiamo lasciarti qui,
capisci?” l’ultima frase l’aveva detta
con tono più fermo e deciso.
“Beh bisognerebbe vedere se
io sono
d’accordo” una voce alle loro spalle li aveva fatti
trasalire. Lily si era coperta la bocca con una mano, spaventata
“allontanatevi da lei, subito” Kaleb era
lì davanti e aveva una pistola, puntata verso di loro. John
aveva guardato Sherlock:
niente
eroismi.
Si erano allontanati, lentamente. Forse cinque metri, forse sei. Kaleb
si era avvicinato a Lily e l’aveva presa per i capelli,
facendola alzare e gridare di dolore: “Alla fine ti hanno
trovata” le aveva bisbigliato nell’orecchio.
Chissà come hanno fatto”. Aveva guardato di nuovo
Lily, e le aveva messo un braccio intorno alla gola, stringendo.
Sherlock si era mosso, ma Kaleb aveva sparato un colpo in aria, facendo
rimbombare tutto il capannone.
“
SHERLOCK,
NO!!!!” aveva urlato Lily disperata, buttandosi
in avanti, il viso pieno di lacrime, trattenuta dal braccio di Kaleb
“non muoverti Sherlock!!!
TI PREGO!!”.
John aveva bisbigliato a mezza bocca “Sherlock, maledizione,
stai fermo. Lo so che lo uccideresti, ma stai calmo, per
favore”.
Lily cercava di divincolarsi dalla presa ferrea di Kaleb, ma lui non
mollava “Fiorellino, se ti muovi la stretta
aumenta” aveva detto con calma.
John aveva avuto un rigurgito acido in gola.
Fiorellino. Che
cosa disgustosa.
“Dunque!” aveva cominciato a voce alta Kaleb
“abbiamo due baldi giovani qui, per salvare la povera
principessa Lily in pericolo” aveva riso “ma! chi
è la vera Lily, chi è questo fiorellino delicato,
che viene dalla provincia, una piccola contadinotta di Castle
Combe?” aveva guardato Sherlock, sempre con le mani alzate.
“Sa Keats a memoria, non la definirei
contadinotta”
aveva detto calmo, senza muoversi. John aveva chiusi gli occhi,
esasperato.
“Ah sì certo. La principessina odiata dalla
mammina, che studiava i poeti inglesi a memoria per compiacerla, che
suonava il violoncello per intrattenerla. Povera, piccola
Lily“ aveva guardato Sherlock, poi di nuovo lei
“È lui il tuo preferito? Quello che ti ha letto
dentro l’anima?”
aveva usato un tono drammatico ed enfatico.
Le aveva puntato la pistola sotto lo zigomo.
“Non c’è voluto niente per portarla via
da quella vita di merda. Però Lily, racconta ai signori cosa
hai fatto quando siamo arrivati qui; racconta cosa hai fatto per
permetterti la droga. Non hai rapinato un negozio di liquori, tra
l’altro ferendo il proprietario“ aveva guardato
sconcertato John e Sherlock “che ora deve parlare con
quell’aggeggio che si appoggia alla gola, perché
la piccola bestiolina qui, ha mirato subito al collo” aveva
riso di nuovo “una vera giovane iena, sotto
l’effetto dell’eroina. Pensare che quando
l’ho conosciuta era così innocente,
così
pura”
aveva avvicinato la sua bocca al viso di Lily, che piangeva senza
ritegno.
“Ma soprattutto Lily, non hai MAI fatto un pompino a uno
sconosciuto dietro un vicolo sudicio per 5 sterline, vero? Per comprare
la droga a
me.
E come piangeva dopo, povera piccola, così umiliata.
Mi sento sporca
diceva. Ma in verità, secondo me, ti era pure piaciuto. Ti
è sempre piaciuto, perché sei una sudicia
puttanella”.
Aveva spostato la pistola da sotto lo zigomo dentro la cinta dei
pantaloni di Lily, facendola strillare di terrore.
Sherlock guardava fisso quel farabutto di Kaleb e pensava, che mai in
vita sua, aveva provato più schifo per una persona. Non ci
si poteva approfittare così delle gente, soprattutto se
fragile. Lui aveva usato le persone, lo ammetteva. Per le sue indagini,
per avere indizi. Ma mai aveva soggiogato qualcuno, portandolo ad
annullarsi. Doveva togliere Lily dalle mani di quel maiale, e in
fretta. Aveva guardato John. Tremava dalla rabbia, vedeva la mascella
contrarsi e le narici dilatarsi.
Kaleb continuava: “Mi ha supplicato di non uccidervi, tutti
quanti. Avrebbe preferito morire qui, per salvare voi. Tu”
aveva indicato John ”tu” aveva indicato Sherlock
“e la moglie del dottore insieme alla piccola bambina. Non
è
adorabile?”
aveva aggiunto con tono entusiasta “ma qui in mezzo sei la
più sporca di tutti”. Aveva allentato la presa dal
collo di Lily, che aveva cominciato a tossire convulsamente.
“Quindi ora” Kaleb aveva fatto una giravolta su
sé stesso “avete due possibilità:
morire o andare via da qui e scordarvi di lei
per sempre.
Nessuno dei due si era mosso; lasciarla lì era fuori
questione. Come potevano avvertire Lestrade? Kaleb aveva una pistola, e
loro non potevano raggiungere le loro, figurarsi il telefono.
“Sherlock, John” era la voce di Lily, flebile e
piena di pianto “andate via. Andate” la sua voce
era più ferma ora “ve ne prego”.
“E naturalmente ci sposteremo ancora, finché per
voi non esisteremo più” aveva concluso Kaleb,
soddisfatto.
Lei non ce la faceva a vederli lì, con la loro vita appesa a
un filo. Teneva troppo a loro; voleva che, semmai un giorno avessero
incontrato qualcun altro in difficoltà, potessero avere la
possibilità di aiutare, come avevano fatto con lei.
Lily aveva alzato la testa e aveva sibilato: “Spero di morire
prima, piuttosto che vivere un altro giorno con te, razza di
psicopatico”. Lo aveva guardato negli occhi, piena di rabbia
e risentimento “hai già rovinato la mia, di vita.
Non posso permetterti di rovinare quella di altre persone”.
Kaleb l’aveva guardata, furioso. E un pugno era partito verso
le sua faccia, facendola cadere a terra, semisvenuta. L’aveva
presa per il collo della maglietta, alzandola, e aveva urlato:
“semmai tu dovessi morire, ti ucciderò io,
perché tu sei mia e di nessun’altro”.
L’aveva scaraventata a terra, violentemente.
Lily si era girata verso Kaleb, chino su di lei, e gli aveva sputato in
faccia, un misto di saliva e sangue. A quel punto le era arrivato anche
un calcio sulla testa.
All’improvviso, uno sparo. Ma non era Kaleb. Era Lestrade,
affacciato dalle scale. Aveva colpito Kaleb alla spalla facendogli
cadere la pistola, che però aveva subito ripreso in mano
puntandola verso Lily.
“Ci vediamo all’infermo, piccola infame!”
ma non aveva finito di dire la frase che un altro proiettile era
partito colpendolo allo stomaco. Si era accasciato a terra, rantolante.
Lily era immobile e lo guardava, fissa. Stava guardando
un’altra persona morire, probabilmente. E non sapeva cosa
fare. Aveva alzato gli occhi, e il colpo era partito da Sherlock. Kaleb
si muoveva ancora, cercando di tirarsi in piedi e scappare.
Ma poi era successo.
John, con passo svelto si era incamminato verso di lui, e tirando fuori
la pistola, aveva cominciato a scaricargli il caricatore addosso. Senza
pietà, senza prendere la mira. Uno, due, tre, quattro colpi.
E non smetteva.
Sherlock aveva urlato. Lestrade aveva urlato. Tutti urlavano:
“Basta, John”.
E John si era fermato, il viso schizzato di sangue, l’aria
completamente assente. Kaleb giaceva a terra, morto. John aveva buttato
la pistola per terra e si era girato verso Lily.
Lei lo aveva guardato a sua volta. Non riusciva a piangere, era
spaventata. Ma loro ora erano lì. Sherlock si era avvicinato
a John ma lui aveva alzato una mano dicendo “Sto
bene”.
Si era voltato, aveva sorriso a Lily: “Sei pronta per tornare
a casa?”
Lei aveva annuito, muta. John si era chinato su di lei e
l’aveva presa in braccio, come una bambina.
“Dio mio Lily, non pesi niente. Da
quant’è che non mangi?”
Erano passati vicini a Sherlock, e lei aveva chiesto a John di
fermarsi. Era scesa, e si era fermata davanti a lui, guardandolo.
“Scusa se puzzo” aveva detto prima di abbracciarlo
forte, per quanto le sue forze lo permettessero
“grazie” aveva sussurrato nel suo collo.
“Non devi…” aveva cominciato Sherlock.
“Sta zitto, maledizione. Per una sola volta. Zitto.”
Sherlock era rimasto muto, le sue solite braccia lungo i fianchi, che
però aveva leggermente alzato, senza però toccare
Lily.
Sciolto l’abbraccio, si era rivolta verso John, abbracciando
anche lui. Forte. Solo che lui aveva ricambiato, stringendola e
mettendole una mano dietro la testa, sorridendo. Poi l’aveva
guardata e ripresa in braccio.
“John, non c’è
bisogno…”
“Zitta, per una sola volta, almeno” aveva detto
imitando Lily come quando aveva parlato a Sherlock qualche istante
prima “Fammi fare. Dopodiché, parla. Parla
finché non ci sanguineranno le orecchie”.
Lily aveva riso: “Va bene, come vuoi”.
Già si sentivano le sirene fuori dal capannone. Lestrade li
aveva raggiunti: “Portatela via da qui, prima che la gente la
veda. Per le cure portatela al St. Barth’s, Molly sa
già tutto”.
“Va bene, grazie…” Sherlock aveva
guardato di sottecchi John che aveva mimato con le labbra
GREGORY
“Gregory”.
“Sì sì, ma ora andate via”
aveva agitato la mano verso l’uscita “John, alla
tua pistola ci penserò io. Ci manca solo l’accusa
di omicidio” aveva scosso la testa, grattandosela.
Erano usciti da una porta sul retro, un’uscita di sicurezza
dove li aspettava una macchina nera che li avrebbe portati al St.
Barth’s per le prime cure. Poi finalmente a casa, e a Lily
non sembrava vero.
Aveva appoggiato la testa alla spalla di John, esausta. Prima
però aveva guardato Sherlock, dietro di loro. Lo aveva
osservato e le sembrava si muovesse a rallentatore, i riccioli scuri,
gli occhi chiari, e quell’andatura sempre tranquilla, come se
non fosse successo nulla. Lui aveva alzato lo sguardo su di lei,
spiazzato da quegli occhi che lo scrutavano. Strani, sereni ma allo
stesso tempo inquieti. Gli erano tornati in mente frammenti di quella
serata infernale.
Aveva sentito di nuovo la mano di Lily sul viso,
Il cavaliere
dall’armatura scintillante,
“È
lui il tuo preferito? Quello che ti ha letto dentro
l’anima?”
Si era sentito a disagio.
Lui, Sherlock
Holmes.
“Per colpa tua, non ho ancora mangiato i miei
biscotti!” aveva detto a voce alta verso Lily, per bloccare
il suo imbarazzo.
Lei aveva buttato indietro la testa, e riso forte.
Sherlock era contento di averla fatta ridere, anche perché
non avrebbe saputo
assolutamente
rispondere a quel tipo di sguardo.
Aveva continuato a camminare, leggermente irritato da quella sensazione
che l’aveva fatto sentire fuori dal suo ambiente sicuro.