Valsgärde 1
Capitolo
2
“Eccolo
che torna, signore!”
Il
maggiore Graf si voltò verso il limitare del campo: l'aereo
dal muso
dipinto di rosso si stava avvicinando.
“Quanti
ne ha abbattuti stavolta?” chiese l'ufficiale.
“Due,
signor maggiore. E siamo solo alla prima missione,” rispose
il
meccanico, orgoglioso come se le due vittorie fossero state sue.
“Andiamo
ad accoglierlo come si conviene, allora,” disse Graf, e si
diresse
verso la pista.
Il
comandante e l'uomo nero – ovvero il meccanico, nel gergo
della
Luftwaffe – non erano gli unici ad avvicinarsi all'aereo che
stava
rullando verso gli hangar. Tutti quelli che non avevano mansioni
importanti da svolgere gli stavano correndo incontro. Altri
meccanici, piloti liberi dalle missioni di guerra, infermieri. C'era
addirittura un cuciniere con un barilotto di birra sotto il braccio e
un paio di boccali nella mano libera.
Il
caccia si fermò, il motore si spense. Ci fu un attimo di
immobilità
carica di aspettativa, poi il tettuccio si sollevò e ricadde
da una
parte spinto da una mano guantata.
La
figura che emerse dall'abitacolo era quanto di meno algido e
aristocratico si potesse immaginare: era un ragazzone dall'aria
florida e gioviale, con gli occhi celesti e le guance rosse.
“Ne
ha abbattuti altri due!” lo accolse il maggiore.
“Ne lasci
qualcuno anche per noi, capitano Müller, non sia
egoista.”
“Io
ci provo, signore,” rispose l'altro salutando militarmente,
“ma
quelli si ostinano a passare sempre davanti alle mie
mitragliatrici!”
Tutti
scoppiarono a ridere, qualcuno mise in mano a Müller un
boccale di
birra mentre gli uomini neri portavano via il suo aereo per
controllarlo e rifornirlo.
“Ci
sono i fotografi di Signal,” disse il maggiore Graf mentre
procedevano verso le baracche del comando.
“Davvero?”
chiese il capitano abbassando il boccale vuoto. Il cuciniere fece per
riempirglielo di nuovo, ma l'altro rifiutò: “No,
no. Devo
decollare tra poco.” Poi, nuovamente rivolto al maggiore:
“Cosa
vogliono quelli di Signal?”
L'altro
fece una breve risata, come se non si capacitasse del candore del suo
subalterno. “Ma sono qui per lei, ovviamente. In Germania
è
famoso. È diventato un Asso, non lo sapeva?”
“Oh,
bella! E da quando in qua?”
“Da
quando ha preso l'abitudine di abbattere almeno cinque aerei nemici
al giorno, direi.”
In
quel
momento spuntò dall'ufficio del maggiore una bella ragazza
con un
tailleur all'ultima moda e un cappellino di traverso sui riccioli
biondi. “Sorrida, prego!” esclamò, e al
suo fianco un soldato
della PK armato di Leica scattava una foto dopo l'altra.
“Lei
è il capitano Heinz Müller?” chiese poi.
Un
po'
frastornato da quel fuoco di fila di fotografie, l'altro si
limitò
ad annuire.
“Molto
bene, mi chiamo Elsa Schmidt, sono una giornalista di Signal. Sono
qui per intervistarla.” Poi, rivolta al fotografo:
“Dal basso,
Walther, dal basso.”
“Sì,
signorina Schmidt,” rispose l'uomo, e si
accovacciò per fare le
foto in stile Trionfo della Volontà che piacevano tanto in
Patria.
“Torniamo
a noi, capitano Müller,” disse la ragazza con un
sorriso, “c'è
un posto dove possiamo parlare un po'?”
“Veramente
io dovrei tornare in volo, signorina,” rispose il capitano.
“Sono
sicura che il maggiore Graf le consentirà di restare per una
beve
intervista. Non è così, maggiore?”
L'altro
annuì galante. “Può usare il mio
ufficio, signorina Schmidt. Le
concedo mezz'ora di tempo, poi il capitano deve tornare ai suoi
doveri.”
La
ragazza era una giornalista di guerra, quindi era abituata a non
sprecare minuti preziosi. Ringraziò l'ufficiale,
richiamò il
fotografo, sfoderò un taccuino e si chiuse nell'ufficio
assieme a
Müller.
Graf
tornò all'aperto. Guardò il cielo ancora
perfettamente limpido e si
rivolse al suo aiutante: “Henschel, occorre trovare qualcuno
che
sostituisca il capitano fino a che non avrà finito con
quelli di
Signal.”
“Sì,
signore.”
A
quelle parole si fece avanti un tenente. Era un ragazzo che non
poteva avere più di vent'anni. Non tanto alto di statura,
con occhi
color ghiaccio e capelli di oro pallido. Portava il distintivo della
Hitlerjugend appuntato sul petto.
Salutò
militarmente e disse: “Mandi me, signore.”
“La
smetta, von Rohr,” rispose asciutto il maggiore,
“le ho già
detto che è ancora troppo inesperto per le missioni di
caccia.”
“Rohr
e basta, signore, prego. E poi sono pronto per compiere qualsiasi
tipo di missione. Sono uscito dalla scuola di volo col massimo dei
voti.”
“Deciderò
io quando sarà pronto, tenente.”
I
Messerschmitt ripartirono seguiti dallo sguardo di nostalgia di Hans
Hartwig von Rohr.
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