14
La
macchina si parcheggiò accanto al marciapiede, e Davide
spense il motore. Era
una mattina di luglio tardo, e loro due stavano sfidando il caldo, il
sudore,
l’afa e l’umidità, vestiti lui con un
jeans tutto appiccicato alle gambe e una
maglietta, e lei di un pantalone corto, nero e una maglietta aderente,
anch’essa appiccicata al suo petto.
-Non
ce la posso fare. Cosa gli dico?- domandò mordendosi il
labbro la ragazza.
-Ma
sì che ce la fai-
-Che
devo dirgli?-
Il
ragazzo sbuffò, lasciando andare il braccio fuori dal
finestrino a bruciarsi sul
metallo rovente.
-Mi
hai fatto questa domanda una ventina di volte e la mia risposta
sarà sempre la
stessa. E ora andiamo-
Scesero
giù, e per fortuna il portone del palazzo era già
aperto, così non dovettero
suonare al citofono.
-Sicura
che è in casa?- domandò lui salendo le scale.
-Sì
che è a casa. C’è la macchina-
Francesca gli faceva strada, quasi
arrampicandosi sui gradini, stanca.
Il
cuore le batteva molto forte ed era tutto un tremito. Era agitata,
agitatissima. E oltretutto si vergognava da morire. Aveva paura di
quello che
avrebbe potuto dire Damiano, dopo due mesi che non si faceva vedere;
poteva
trattarla male e non ci era abituata, da parte sua.
Salirono
le scale finché non arrivarono al secondo pianerottolo;
lì c’era un solo
appartamento, e il corridoio era buio, con una sola finestra rotta che
chiusa
impediva alla luce di entrare.
Il
palazzo era vecchio e in rovina; da fuori, le mura presentavano crepe e
all’interno l’umidità avanzava tanto da
coprire più di mezza parete. In più,
l’elettricità sembrava non esistere
nell’atrio.
Davide
si guardò intorno critico.
-Caspita
che bel palazzo- commentò ironico.
-Non
fare lo snob, questo c’è e di questo ci si
accontenta- ribatté nervosa la
ragazzina.
Lei
temporeggiava davanti alla porta, senza il coraggio di suonare al
citofono.
-Non
ce la faccio- disse sbuffando.
-Sì
che ce la fai- ripeté paziente lui.
Sembrò
che per un attimo lei si fosse decisa ad andare, ma si fermò
nell’atto di
premere il campanello, lasciando cadere a terra il braccio.
-Perché
non vieni anche tu con me?- domandò rivolta al ragazzo che
stava seduto sul
davanzale della finestra, al buio, e la osservava.
Francesca
gli si avvicinò.
-Perché
no. è una cosa che devi fare da sola- rispose serio e
irremovibile lui.
La
bionda sbuffò e fece una serie di buffe facce che volevano
convincerlo; ma
nemmeno la più strana di esse lo commosse e infatti Davide
restò seduto sul
davanzale, nel buio del pianerottolo. Allora lei sospirò e
rassegnata si voltò
a guardare la porta. Stette indecisa per almeno dieci minuti,
finché il ragazzo
non perse la pazienza.
-Ancora
a zero stai? Eh no, eh!- scivolò giù e la
afferrò di peso.
-No,
no fermo!- si oppose, ma invano.
L’indice
di lui era già saettato verso il campanello e un attimo dopo
un trillo suonò
all’interno dell’appartamento.
I
due ragazzi rimasero in silenzio religioso, in attesa di una risposta
dall’altra parte, Francesca imprigionata e spinta in avanti
da lui.
-Chi
è?- una voce adulta chiese da dietro la porta.
I
due si guardarono, l’una terrorizzata e incapace di dire
nulla.
Davide
le scoccò uno sguardo irritato, ma visto che non accennava
ad una reazione, le
pizzicò un braccio.
-Ahio!-
gridò lei ad alta voce, fissandolo furente. Poi capendo che
ormai si era
tradita, prese fiato e disse tutto ad un tratto
-Damiano
apri!-
Sentirono
la serratura che scattava e la porta aprirsi, così lui
lasciò andare la
ragazzina e si ritirò nell’ombra, lasciandola sola
con suo padre.
Un
uomo alto, dalla barba fatta e gli occhi azzurri che spiccavano,
guardò la
ragazza dalla soglia.
Lei
fece altrettanto, fissandolo senza spiccicare parola.
Al
ragazzo venne voglia di batterle un colpetto per farla scuotere; ma per
fortuna
non ce ne fu bisogno, dato che lei balbettò, con lo sguardo
a terra
-Ciao-
Damiano
la osservava chiaramente sbalordito, ma la prima cosa che
notò,
inevitabilmente, fu il pancione ormai prominente che le sbucava da
sotto la
maglia.
-Che
hai fatto?- chiese indicandolo.
-Te
l’avevo detto- rispose la bionda, nervosa perché
lui non sembrava proprio
accogliente.
L’uomo
la guardò negli occhi, e cercò di parlare. Non ci
riuscì e indicò la porta.
-Entra
dai-
Francesca
lo seguì impacciata e non del tutto sicura di ciò
che stava facendo.
Prima
di farlo volse uno sguardo al ragazzo che stava seduto sul davanzale, e
questo
le rivolse uno sguardo di incoraggiamento, come a dirle ‘dai,
puoi farcela’.
Poi
chiusero la porta e Davide si ritrovò solo. Caspita,
pensò, se lei non aveva la
minima idea di cosa dire, e quelle tre parole erano le uniche cosa che
era
riuscito a dirle suo padre, si prospettava un dialogo misero.
Chissà se
avrebbero concluso qualcosa.
Nel
frattempo, all’interno del’appartamento, una volta
che Francesca fu entrata e
la porta si fu chiusa, calò il silenzio totale.
Lei
capì che doveva fare la prima mossa, ma temeva di dire la
cosa sbagliata e
farlo arrabbiare.
Si
decise a fissarlo negli occhi.
-Ti
devo domandare scusa- cominciò con voce sottomessa.
-Per
cosa?- domandò lui.
-Mi
dispiace di essermene andata di casa senza dire nulla-
continuò, sempre tenendo
gli occhi bassi.
Damiano
la osservava e le labbra gli tremavano, come se avesse tutto da dire ma
in quel
momento niente che riuscisse a mettere insieme in una frase di senso
compiuto.
Le
si avvicinò, ma nei suoi occhi non c’era
rimprovero, cattiveria, ma al
contrario una gioia celata ben bene.
Allungò
una mano e a metà la fece cadere come aveva fatto prima lei.
Francesca
notò il suo gesto, e si sentì sollevata: non
voleva né picchiarla, né dirle
male parole.
-Damiano,
mi dispiace, sul serio- disse con voce pentita, alzando per la prima
volta gli
occhi.
Ma
lui non diceva nulla, perciò triste fece per girarsi.
Damiano
le prese gentilmente un braccio, facendola voltare verso di lui.
-...come
stai?- domandò con una voce leggera e preoccupata che non
gli aveva mai
sentito.
La
ragazza alzò le spalle.
-Bene-
disse, più interessata alla sua reazione.
-Ma...
questo?- indicò il pancione.
-Aspetta,
sediamoci, che ti racconto-
Così
fecero, si sedettero su un divano e lei cominciò a
raccontare per l’ennesima
volta quella storia così impossibile, così strana
e inverosimile da essere
vera. Damiano la ascoltava, la ascoltava attento e mentre lei parlava
incominciava a capire molte cose. Francesca con lui era sempre stata
scontrosa,
cattiva a volte, ma lui credeva fosse comprensibile visto che infondo
lui era
solo un surrogato mal riuscito dei genitori che non aveva mai potuto
avere.
Verso
aprile però questa reticenza iniziò a
trasformarsi in qualcosa di più. A volte,
parlandoci, la sentiva così distante che pensava che avesse
incominciato ad
odiarlo.
Invece
capì tante cose, cose a cui non avrebbe mai potuto arrivarci
con la sola
immaginazione. Poverina, pensò triste. Lei era
così, aveva questo problema e
lui non se n’era né accorto, né
l’aveva aiutata. Non aveva provato a capirla, a
domandarle cosa c’era che non andava per paura delle sue
risposte cattive.
Si
sentì talmente colpevole, talmente spregevole, che gli venne
voglia di
interromperla per chiederle scusa, scusa di tutto, scusa per non essere
riuscito a fare il genitore.
Ma
visto che per la primissima volta era lei, lei a parlare e a
raccontargli cosa
veramente provava in quella testolina bionda che tante volte aveva
baciato e
accarezzato, ciò lo rese incapace di prendere
l’iniziativa, restando come
imbambolato ad ascoltarla.
Quando
ebbe finito, lei alzò lo sguardo triste su di lui. Damiano
in un primo momento
si controllò, poi la strinse forte, forte in un abbraccio. E
mentre
l’abbracciava lei poteva sentire mormorate al suo orecchio
tante parole, tante
scuse.
Francesca
sentì per la prima volta come un soffio nel centro del petto
mentre lui la
abbracciava, e si rese conto di cos’era.
Ricambiò
l’abbraccio, grata.
-Ti
voglio bene, papà- disse piano.
Anche
se aveva fatto forza per non piangere, sentì distintamente
una lacrima colarle
sulla guancia, proveniente dalla testa. Ma non era sua.
Francesca
lo prese per mano, conducendolo verso il portone.
-Voglio
farti conoscere Davide-
Aprì
il portone.
Davide
era ancora seduto sul davanzale, a guardare tutto perso il poco cielo
che si
vedeva dalla finestra quasi chiusa. Se quei due ci mettevano
così tanto,
significava che stavano parlando, in un modo o nell’altro. A
lui non restava
che aspettare, aspettare e aspettare. Quando sentì la
serratura scattare,
scoprì che non vedeva l’ora che quella biondina
tornasse con lui. Non seppe mai
se era gelosia o cosa, perché non ebbe il tempo di pensarci.
Comunque,
dalla porta uscì lei che tirava per mano Damiano.
Il
ragazzo saltò giù dal davanzale, aggiustandosi i
jeans e osservando i due.
-Lui
è Davide- sorrise Francesca, complice al ragazzo.
Damiano
lo guardò bene per un attimo. Lui era il ragazzo che
l’aveva messa incinta; ma
come gli aveva spiegato la ragazza, non era solo questo: lui era quello
che
l’aveva aiutata, che l’aveva capita e
l’aveva convinta a non abortire. L’aveva
ascoltata e non le aveva voltato le spalle, ma al contrario si era
fatto carico
delle sue paure. In sostanza Damiano aveva capito che era stato quel
ragazzo la
causa del cambiamento di lei.
Francesca
domandò ad un tratto
-Senti
mi fai scendere un attimo in macchina? Devo prendere una cosa-
Davide,
preoccupato dallo sguardo del padre, non comprese subito il senso, ma
poi
impacciato le diede le chiavi.
-E
attenta di non rompere nulla- le raccomandò.
Lei
scese scoccandogli un’occhiata furba, e lui comprese troppo
tardi cosa
significava.
Deglutì
perciò e osservò nuovamente l’uomo
davanti a sé.
-Salve-
disse, e pensò che sarebbe stato educato tendere la mano.
Damiano
la strinse, ma non sorrise.
-Piacere.
Io sono Damiano. Sono il padre di Francesca. Ma penso che tu lo sappia
già-
Lui
era preoccupato: infondo era stato lui a togliere, in una notte di
ubriachezza,
la verginità alla figlia. E come se non bastasse,
l’aveva pure messa incinta.
Se non altro, non avrebbe potuto, nemmeno a farlo apposta, dargli
un’immagine
peggiore.
Quindi
non disse nulla, pronto alle parole e forse alle botte.
-Io
devo ringraziarti-
Questa
frase fu così inattesa che lui stupito e incredulo
domandò
-Ah
sì?- con tono scettico. Poi però si corresse in
tempo aggiungendo –perché?-
-Francesca
ha un carattere difficile. Non parla mica delle sue cose con tutti.
Prima di
oggi, non ne parlava nemmeno a me-
-Sì,
lo so- commentò il ragazzo.
Damiano
sorrise e lui si sentì sollevato.
-Ti
devo ringraziare perché lei è cambiata.
è cambiata ed è tutto merito tuo-
-Mio?-
Forse
lui pensava che le avesse fatto chissà quali discorsi e
prediche morali. Ma
Francesca non era affatto cambiata. Si incavolava ancora, eccome.
Soltanto, si
fidava di lui e perciò si sentiva di potergli confidare
tutto.
-Francesca
non è cambiata. E io non ho fatto nulla. Io l’ho
solo ascoltata- disse,
chiarendo bene.
-E
ti pare poco?- domandò l’uomo.
Ci
fu una pausa e i due, il ragazzo e l’uomo si guardarono.
-Devi
essere una persona speciale, tu. Se Francesca si fida di te, devi
essere
speciale. Non un ragazzo qualunque-
A
questi insoliti e inaspettati complimenti lui arrossì
parecchio, non disse
niente ma sorrise timido a Damiano.
Per
fortuna arrivò la ragazza bionda a spezzare la tensione
creatasi.
Francesca
salì le scale che la separavano dai due e si rivolse al
ragazzo.
-Dai
andiamo!-
Lui
la guardò, enormemente sollevato che fosse tornata a
portarlo via da quella
situazione. Lo prese per mano e lo tirò verso le scale.
-Ci
vediamo qualcuno di questi giorni- disse a Damiano.
-Salve-
salutò imbarazzato lui, avviandosi sotto.
-Se
vuoi io sto sempre qua-
Quando
tornarono in macchina, la bionda sorrise a Davide.
-Grazie.
Grazie. Grazie-
-Oh
pure te? Mi basta tuo padre che mi ringrazia- commentò
scherzoso.
-Se
non fosse stato per te non ci sarei mai venuta qui. E non sai quanto mi
sento
meglio- disse, avvicinandosi e facendogli una faccia invitante.
-E
cos’è ora quella faccia?-
-Niente.
Volevo vedere se diventavi rosso-
-Ma
smettila- borbottò lui, che rosso ci era diventato comunque.
Da
quella prima ecografia, quella piccola foto nera che testimoniava il
loro
bambino, se n’era aggiunta un’altra. Agosto, il
caldo torrido e soprattutto la
città che si svuotava erano giunti prima che i due se ne
rendessero conto.
Francesca
ascoltava i suoi compagni raccontare di vacanze, mare, sole,
abbronzature e
divertimenti. Lei, col suo pancione di quasi otto mesi, era costretta a
stare
in casa. Ora non usciva più, perché si vergognava
troppo del bambino. Davide
non aveva ribattuto su questo punto, ma per lei era un grande
sacrificio: ora
non poteva nemmeno andare a giocare a carte la sera, con gli amici di
Davide, e
rimanere su quella panchina a dormire fino a mezzanotte. Le mancava, ma
soprattutto ora lui usciva molto spesso. Quel suo corso per ragionieri
lo
impegnava parecchio.
Spendeva
buona parte della mattinata lì, per poi tornare a casa e
studiare sui libri
formule e cifre di matematica aziendale.
Francesca
di tanto in tanto si sedeva in cucina, dove lui studiava, e stava in
silenzio,
semplicemente guardandolo studiare. Di tanto in tanto poi, seduto a
torso nudo
per il troppo caldo, lo vedeva scrollare la testa e abbandonarsi
all’indietro;
ciò era quando non capiva qualcosa. E lei era contenta,
perché si poteva
permettere di disturbarlo, provando lei stessa a risolvere quel
concetto. Al
30% ci riusciva, mentre al 70% ci ridevano sopra e bevevano una coca
cola, un
tè, una birra o qualunque cosa uscisse dal frigo, ghiacciata.
La
sera, alle otto, puntuale come un orologio svizzero, lui si vestiva e
usciva
per andare a giocare a carte, lasciandola sola almeno fino a
mezzanotte. E la
stragrande maggioranza delle volte, quando lui tornava lei
già dormiva.
Stavano
insieme solo il pomeriggio, e le sembrava troppo poco. Prima non poteva
vederlo
e odiava la sua presenza, ora non riusciva a farne a meno.
Il
caldo la deprimeva particolarmente, e per tutta la mattina non aveva la
minima
idea di cosa fare. Di uscire non se ne parlava, con quel pancione.
I
suoi amici ad agosto andavano in vacanza, così addio
compagnia. Perciò era
contenta e stava bene quando c’era lui.
Sentiva
sempre più vicino, come una scadenza da rispettare,
l’avvicinarsi del temuto
nono mese. E lei, per quella scadenza, non aveva preparato alcun
progetto.
Non
voleva ammetterlo né a se stessa, né tantomeno a
Davide, ma aveva una paura
matta; una paura così grande che a volte si sorprendeva a
sperare che il
bambino morisse così, di punto in bianco. Era solo per
Davide, solo per lui che
aveva deciso di tenerlo. Perché altrimenti la sua posizione
non mutava.
A
volte la mattina, quando non sapeva proprio cosa fare, osservava il suo
ventre
rotondo e gonfio. Guardava le fotografie del bambino, un fagotto
raggomitolato,
come diceva il ragazzo. Ma non era contenta, o fiera; lei voleva che
quel
momento del parto non arrivasse mai. Avrebbe desiderato che quei nove
mesi non
finissero mai.
Davide
tornò presto, una di quelle calde mattine, e la prima cosa
che fece fu togliersi
la maglietta sudata, così da rimanere solo con i pantaloni.
Andò
in camera da letto per cambiarsi, quando trovò una sorpresa.
Francesca stava
seduta sul letto, respirando ansante come quando si arrabbiava, e
osservava il
comodino della sua parte. Lui fece lo stesso, e si accorse con stupore
che là
dove avrebbe dovuto trovarsi un vaso di terracotta, non c’era
nulla.
Preoccupato, guardò a fianco del letto, e vide infranti sul
pavimento tanti
pezzi marroncini. Il vaso si era rotto.
Perplesso,
spostò lo sguardo sulla bionda.
-Ma
che...?- non finì manco di pronunciare la domanda, che
subito lei scattò.
-Non
lo so! Non lo so, va bene?- sbottò, infiammata
–Non lo so che è successo! Stavo
lì, e ho tirato la tenda e quello stupido vaso si
è rotto!-
Si
alzò in piedi e avanzò minacciosa verso il
ragazzo che la osservò preoccupato e
incredulo.
-Ma
sai che ti dico? Sai non me ne frega niente! Non me ne fo**e un ca**o
se si è
rotto!-
E
mentre lo diceva gli tirava del piccoli colpi contro il braccio.
Davide
capì che era una giornata storta, e non disse nulla;
cercò di attutire i suoi
colpi con le mani. Me lei, a maggior ragione e spinta da
chissà quale forza,
continuava a dargliene. Si calmò solo quando lui le
afferrò piano le mani,
togliendole.
La
guardò negli occhi, e lei sbuffando sfuggì lo
sguardo e tornò a sedersi sul
letto.
Cauto
e sospettoso, Davide si infilò una maglietta a caso fra
quelle che erano nel
tiretto, e le si avvicinò piano.
Si
chinò a raccogliere un coccio spezzato, esaminandolo, e poi
tornò a sedersi
accanto a lei.
-Non
importa se si è rotto. A me manco piaceva- disse
sorridendole.
-Se
se- commentò ironica e rabbiosa. Non si capiva se era
arrabbiata con lui, o con
se stessa perché l’aveva rotto.
Lui
pensò che forse non erano questi i motivi per cui era
arrabbiata.
-Guarda
che davvero, non mi importa. Non valeva nulla- cercò di
calmarla.
Ma
la ragazzina gli mollò un altro colpo, seguito da un altro,
e da un altro pugno
ancora. Il ragazzo si riparò con le mani, ma lentamente,
come un allenatore di
pugili contrasta i guantoni che gli piovono addosso.
-Che
hai?- domandò con la voce bassa e calda che aveva quando
dovevano parlare di
cose importanti.
-Non
ho niente! E non sono fuori di testa!- gli tirò un pugno
più forte che gli fece
male, stavolta.
Riuscì
a prenderle gentilmente i polsi e a poggiarli giù.
Francesca
sbuffò seccata, respirando forte come se avesse corso.
-Cos’hai?-
ripeté.
Lei
chiuse gli occhi, abbandonando le mani strette a pugno nelle sue. Poi
lo guardò
triste.
-Non
lo so. Non sapevo che fare, mi annoiavo-
-Scusa-
sciolse le loro mani e si chinò per raccogliere i pezzi del
vaso, ma il ragazzo
la tenne su.
-T’ho
detto che non importa. Dimmi che hai-
-Mi
annoiavo e non sapevo che fare- ripeté lei –okay,
pensa che sono pazza-
aggiunse.
Lui
sorrise gentile, e con una mano le spostò i capelli che le
cadevano davanti
agli occhi.
La
sua destra sfiorò la fronte della ragazza, permettendogli
così di guardarla
bene.
-Tu
devi essere una specie di santo- disse con un sorriso malinconico la
bionda,
ricambiando il suo sguardo –o forse un angelo-
Davide
di nuovo le spostò i capelli dalla fronte, in un gesto
affettuoso, poi la fissò
serio.
-Eh
no- disse –troppo facile a dire così. Io non sono
un santo. Io ti conosco. Lo
so come sei-
-Una
che si inca**a un secondo sì e l’altro pure-
Davide
sorrise divertito e continuò a tenere gli occhi verdi nei
suoi azzurri.
-Sei
tu- disse, soppesandola scherzoso –e anche se volessi non
credo che riuscirei a
cambiarti-
Francesca
lo osservò intensa per un attimo, poi sciolse le labbra in
una smorfia
divertita che lo contagiò.
-E
poi sai, a me avevano detto che gli angeli avevano i capelli biondi e
gli occhi
azzurri-
-E
chi te l’ha detto?- chiese ormai calmata lei, sorridendogli.
-Beh
tu hai mai visto un angelo coi capelli scuri?-
-E
poi- aggiunse la bionda –gli angeli non fanno pensieri sconci
sulle cameriere-
Davide
rise di gusto, poi si fece finto offeso.
-Perché
io faccio pensieri sconci sulle cameriere?-
-Certo
e anche sulle infermiere-
E
anche su di te, pensò improvvisamente eccitato lui. Aveva
negli occhi
quell’espressione seria, intensa, liquida.
-E
comunque quando sei qua non c’è pericolo. Io sono
bruttissima. E pensa te, pure
grassa come una balena- disse alzandosi.
Davide
la guardò camminare in silenzio, troppo preso dai suoi
pensieri, poi senza
riflettere mormorò, stavolta con voce calda per
l’eccitazione
-Non
sai quanto ti sbagli-
Per
fortuna lei non lo udì, perché
continuò ad andare di là senza fermarsi.
Il
ragazzo si riprese dal momento di deviazione e iniziò a
raccogliere i cocci del
vaso. Si era annoiata. Caspita.
La
prima settimana del mese era passata così, senza eventi
particolarmente
emozionanti, ma da quella mattina Davide si era messo in pensiero. Si
annoiava.
Poverina, pensò, in effetti stare da soli, senza nessuno a
casa, e senza poter
uscire non doveva essere il massimo. Poi lei era una ragazzina, quasi
diciassette anni. Insomma, era come se stesse in prigione. Qualche
volta la
accompagnava dal padre, ma sapeva che anche lì non si
divertiva tantissimo.
Dopotutto, le sarebbe piaciuto avere i suoi amici con cui passare il
tempo, ma
purtroppo erano tutti in posti troppo lontani da raggiungere, e per
giunta con
le famiglie. Il problema principale
era
però che lei non voleva uscire con quel pancione. Siccome
quello non sarebbe
sparito prima di ottobre, non c’erano molte altre soluzioni.
Impegnato
fra i bilanci delle aziende, il cibo da preparare, e la ragazza a cui
stare
attento, gli venne un’idea.
Sotto
casa sua c’erano dei box; lui non ne era il proprietario,
però aveva ottenuto
uno spazio chiuso, una specie di garage, dove teneva alcune cose che
non
servivano. Per lo più erano mobili, e di tanto in tanto roba
che a sua madre
non serviva più.
Un
giorno, senza farsi vedere, scese giù per cercare
ciò che gli serviva. Passò
più di un’ora a rovistare fra la polvere e il
sudore, i ragni e l’odore di
chiuso, ma alla fine, proprio quando aveva incominciato a pensare che
sua madre
l’avesse buttato, un lungo palo, e il suo corrispondente
pezzo di sopra saltarono
fuori.
Lo
tirò fuori, e poi lo caricò nel bagagliaio,
nascondendolo bene e stando attento
che il portellone si chiudesse.
Tornò
sopra, eludendo le sue domande con un abile dribbling e facendosi
perdonare
cucinando un bel pranzo.
Trovò
il resto in casa, senza faticare troppo, ma ora arrivava la parte
difficile.
Si
era risparmiato un po’ di soldi e ora aveva intenzione di
usarli.
Pregò
intensamente che quel negozio non avesse deciso di andare in ferie,
perché
altrimenti sarebbe stata la tragedia.
Per
sua immensa fortuna era aperto. Imbarazzatissimo come poche volte gli
era
capitato, entrò nel negozio. Domandò,
esaminò e scelse, alla fine. Non era
proprio sicurissimo di ciò che aveva fatto, ma ormai... era
fatto.
Tornò
in macchina sentendo ancora lo sguardo divertito della commessa.
Arrivò
sotto casa.
Ora
era la parte più difficile. Stette per dieci minuti in
macchina a decidere il
suo discorso, ma quando arrivò alla porta se l’era
già scordato.
Entrò
in casa, e trovò la bionda sdraiata sul divano scuro, la
testa arrovesciata
all’indietro e una mano che annoiata le tormentava la pancia.
-Ciao-
lo salutò.
Davide
le si avvicinò, tenendo una mano in tasca del bermuda.
Mandando
il buonsenso e la timidezza a quel maledetto paese, le
lanciò un sacchetto.
Francesca
se lo vide arrivare accanto al viso, si tirò su e lo
esaminò.
Lui
si avvicinò al divano, osservando la sua reazione. Lei
cercò dentro,
guardandolo nel frattempo stupita.
Quando
poi ne estrasse un reggiseno nero e il suo corrispondente pezzo di
sotto, anch’esso
nero, prima arrossì e poi spostò lo sguardo su di
lui.
-è
per te- spiegò, anche il ragazzo rosso in faccia.
-Per
me?-
Lei
arrossì, facendo una buffa espressione e schiudendo la
bocca. All’improvviso
sentì il cuore sbatterle sul petto, come se avesse deciso,
in pieno agosto, di
farsi una corsa.
-Ti
servirà- aggiunse il ragazzo, desideroso di chiarire
l’equivoca situazione.
-Perché?-
domandò la biondina, facendosi scorrere il tessuto morbido
fra le dita.
-Oggi
andiamo a mare-
Quando,
dopo qualche secondo, capì la sua affermazione, il suo volto
si illuminò ad un
tratto.
-Davvero?-
esclamò, alzandosi di colpo.
-Sì-
-Ma
quando?-
-Adesso.
Dai vedi come ti va e poi scendiamo- le sorrise, compiaciuto della sua
allegria.
Lei
non se lo fece ripetere due volte, e si fiondò in camera da
letto a provarlo.
Lui
la aspettò dietro la porta, caricandosi la borsa col
mangiare e quella con gli
asciugamani in
spalla.
-Fatto-
La
ragazza uscì dalla stanza e improvvisamente gli si
seccò la gola. Francesca
uscì senza nulla addosso, se non il costume; il quale non
poteva evitare di
mostrare la pancia rigonfia, ma nemmeno le belle gambe lisce e dritte
che
aveva, o le spalle piccole. O i capelli biondi che le cadevano sul
corpo e
sulla schiena. O il pezzo di sopra che non riusciva a celare del tutto
le due
rotondità che da sotto facevano capolino.
Non
seppe dire quanto tempo rimase a fissarla estasiato, ma senza dire
nulla,
finché purtroppo una gonna corta e bianca, e una maglietta
chiara le coprirono
il corpo.
-Aspettami,
ho quasi fatto!- gli disse, temendo che se ne stesse andando. Ma lui
era
imbambolato lì, ancora troppo stordito e sorpreso dalla
visione precedente.
Quando
poi si riprese, lei era ormai pronta, e soprattutto vestita.
Insieme
scesero le scale, e anche se la ragazzina tutta contenta voleva
aiutarlo a
portare le borse, lui non glielo permise.
-Mi
piace il costume. L’hai scelto tu?- chiese riparandosi gli
occhi con una mano
dal sole, mentre lui infilava le cose dietro.
-Sì-
-E
perché proprio nero? Non c’erano altri colori?-
Davide
arrossì a questa domanda e preferì rispondere con
la verità.
-Mi
piace come ti sta il nero- alzò le spalle.
Si
fece molto rosso, ma per fortuna il sole cocente delle undici e mezza
diede
l’impressione che fosse solo colpa del caldo.
Poi
si sedettero in macchina e partirono.
Davide
era già un po’ colorito, in quanto passava le sue
giornate al 50% fuori, e
spesso con canottiere o addirittura senza maglietta, per il troppo
caldo
opprimente. Anche in viso era leggermente abbronzato, grazie alla sua
abitudine
di sedersi sempre accanto alla finestra durante le lezioni del suo
professore.
Francesca
invece, stando sempre in casa, all’ombra a causa del caldo,
aveva la pelle
bianca, chiara. Non certo aiutata dal fatto che, essendo bionda con gli
occhi
azzurri, la sua pelle più che abbronzarsi si scottava, non
poteva permettersi
di passare tanto tempo al sole.
I
due finestrini anteriori, aperti, lasciavano scorrere sui loro volti
sudati
l’aria violenta, che se non era proprio fresca, almeno dava
loro un minimo di
respiro.
Davide
teneva lo sguardo sulla strada, e un braccio fuori dal finestrino,
annoiato.
Che seccatura, organizzare tutto quello; cercare tutto il necessario,
scegliere
il giorno adatto, non farle capire nulla per cosa poi? Per una giornata
a mare,
estremamente spossante per lui che avrebbe voluto volentieri stare a
dormire
tutta la mattina nel letto, senza fare nulla.
Francesca,
contenta di non dover passare la mattina a casa, ad annoiarsi fino al
suicidio,
lo guardò, poi disse
-Ma
tu non odiavi viaggiare?-
Lui
sorrise, sarcastico, senza smettere di fissare la strada.
-Io
non odiavo. Io odio viaggiare- precisò.
-E
allora come mai hai deciso che oggi dobbiamo andare a mare?-
domandò con una
punta di malizia nella voce, conoscendo già la risposta ma
desiderando
umiliarlo.
Lui
infatti arrossì e arricciò il naso, facendo una
smorfia altezzosa.
-Oh
quante cose che vuoi sapere...-
Lei
rinunciò ad ottenere quella confessione, ma dentro di
sé gli fu enormemente
grata. Distrattamente, come un tic a cui non ci si può
opporre, con la mano
sinistra si accarezzò la pancia.
Grazie a tutti quelli che
leggono, recensiscono, e hanno messo la storia nei preferiti.
Ergo, vediamo un po'...
vero15star: Caspita, che
bel commento,
grazie davvero. "è come se ci credessi sul serio in quello
che
scrivi" come se tutto questo fosse realtà... ecco, devo dire
che
questa frase mi ha veramente fatto piacere, mi hai fatto dei
complimenti che farò fatica a scordare. Grazie per averla
condivisa con voi? Oh no, sono io che vi devo ringraziare.
FeFeRoNZa:
eh bé, che
vuoi farci, è la vita... se la scena di prima è
stata
romantica? ah boh, non saprei, tu puoi vederci quello che ti pare... Io
credo che tu abbia un'idea parecchio "positiva" di Davide, parecchio
parecchissimo... bè giudica tu come s'è
comportata
Francesca.
Devilgirl89: ciao Domizia. Mi vorresti abbracciare forte-forte?
Stà attenta di non stritolarmi... "il rapporto tra Fra e
Davi?"
Davi? Come sarebbe a dire Davi?
Come puoi leggere Damiano
ha perdonato
largamente Francesca... e sì, lei era pentita di averci
litigato. Grazie dei tuoi complimenti, e no, gli amici delle carte non
sono i miei veri amici. Come ti ho detto solo i due protagonisti sono
ispirati...
marghepepe: quando aggiorno tu fai "tarzan sulle tende"? ahahaha che
forza, ma tua madre sarà d'accordo? io quand'ero piccolino
ci
provavo ma lei non era un granchè contenta...
Inizi ad adorare
Francesca? Oh che
bello, e pensare che lei vi aveva tutte contro all'inizio. Non so se i
capitoli sono l'uno più bello dell'altro. Anzi, sicuramente
non
lo sono, ma mi piace credere a quello che hai detto.
Marty McGonagall: sua massima bontà mi concederà
anche di
conoscere il suo parere per questo capitolo? Lo spero tanto e spero che
non ecceda nell'essere smielosa...
"Il caro e innocente
Davidino"? Come
sarebbe a dire Davidino? Andiamo, non lo trovi......
orribile? Credo che Davide non sarebbe un uomo se non
iniziasse a
fare questi pensieri...no? Wow, tu accendi il pc due volte al giorno
per controllare? Mi sento onorato. Ah certo, tieni pronte le trombette,
gli striscioni e i fumogeni...
wanda nessie: da cani e gatti ad angeli? Beh... non saprei se sono
proprio angeli... eh già, c'è voluta una bella
fatica per
convincere quella testa bionda, ma ce l'ha fatta ed è un bel
traguardo non credi? Ehm... io? Bambini? La prossima volta che
metterò queste due parole vicino sarà tra molto
molto
molto molto molto molto tempo...
Miss Queen: Buongiorno fanciulla. Visto che alla fine Francesca non
è così cattiva? Beh magari solo un poco... Grazie
d'aver
recensito.
Jiuliet: che bello che tu abbia apprezzato quella frase, ed
è
molto profondo quello che dici. "Ora deve perdonare se stesso per un
peccato che non ha commesso e essere un padre per suo figlio ed un
compagno per la sua Francesca." Wow, neanche io che l'ho scritto sarei
stato capace di trovare questa sintesi. Brava, e grazie. Sono felice
che ti piaccia come loro si 'trovano'.
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