Guarda chi sono 1
Eccomi di nuovo qua con un'altro racconto Originale sempre sul tema
della Magia! Spero siano di vostro gradimento!
Ovviamente, ogni
riferimento a cose o persone è puramente casuale
poichè questo racconto è frutto della mia
immaginazione.
Vi auguro una buona lettura :-)
Kajsa
Guarda
chi sono
Capitolo Primo:
Presentimento
Non
cancellerò mai l’immagine di quel bosco dalla mia
memoria.
Gli alberi scuri e minacciosi si trovavano tutti intorno a me. Sentivo
uno scroscio in lontananza. Pioveva. Avanzavo silenziosamente, facendo
attenzione a non inciampare. Alcune gocce mi colarono sul viso.
All’improvviso un lampo illuminò l’aria
tutta intorno a me, fino quasi ad accecarmi.
Sentii lo sbattere d’ali degli uccelli spaventati che
volavano via.
Quando riaprii gli occhi, davanti a me trovai uno degli animali
più belli ed eleganti che esistono al mondo. Una lince, dal
manto candido come la neve, si avvicinava, annusandomi. Non provavo
paura, bensì curiosità. Mi avvicinai a lei,
cauta, e le porsi una mano perché l’annusasse.
Al contatto col suo naso umido ebbi un sussulto, la lince si
allontanò istintivamente. Aveva fiutato il mio improvviso
timore.
-Cosa ci fai tu qui?- le chiesi. Era strano che un animale che vive al
nord si trovassi di fronte a me. Provai nuovamente ad avvicinarmi a
lei. Questa volta riuscii ad accarezzarle il muso e lei emise un mugolo
di piacere.
Iniziò poi a scrutarmi con i suoi profondi occhi neri e,
improvvisamente, iniziò a correre per il bosco.
Istintivamente la inseguii. Corsi non so per quanto tempo dietro a
quell’animale così perfetto. I suoi muscoli si
muovevano ritmicamente. Era molto veloce e dopo un po’
iniziai a perdere terreno rallentata da un forte dolore alla milza.
Quando oramai stavo per fermarmi, rinunciando al mio folle
inseguimento, la magnifica e candida creatura si fermò,
iniziando ad annusare l’aria.
La pioggia iniziò a cadere con maggiore insistenza e i
capelli mi frustavano sul viso agitati dal vento.
Il sottobosco era diventato un pericoloso manto viscido.
Un altro lampo. La lince si voltò verso di me e
ruggì, mostrandomi la mortale dentatura.
-Cosa succede?- chiesi intimorita.
Non ebbi quasi il tempo di finire la frase che un insieme di immagini
si affollarono nella mia mente lasciandomi spiazzata.
Un orso comparve dal profondo della vegetazione al mio fianco seguito
da un serpente, un enorme serpente dorato.
La lince si avvicinò prima diffidente verso il possente
animale di fronte a lei, mostrando i denti. Quando capì che
l’orso non le avrebbe fatto del male, lasciò che
questo le leccasse il muso, probabilmente in segno di amicizia.
L’enorme biscia, invece, iniziò a girare intorno
agli altri due animali, molto più grandi di lei e, tutto
d’un tratto, attaccò alle spalle la lince,
mordendole la schiena che iniziò a sanguinare.
L’orso si scaglio così contro il serpente dorato
ed iniziò a lottare contro quest’ultimo.
Io guardavo impietrita la lotta cruenta, senza sapere che fare. La
lince mi fissava con sguardo sofferente, ma non sapevo che fare. Oramai
il veleno doveva essersi diffuso per tutto il corpo e non avevo dietro
nulla con cui poterla salvare.
L’orso invece continuava a lottare, ma si trovava in netto
svantaggio. Il serpente lo aveva avvolto in una stretta mortale e i
ruggiti di dolore facevano tremare l’aria.
Sapevo che dovevo fare qualcosa. Posai nuovamente lo sguardo
sull’agonizzante lince. Sembrava volesse dirmi qualcosa.
Voleva che intervenissi. Mi lanciai così contro il serpente
ma quest’ultimo mi respinse gettandomi lontano, contro un
albero, colpendomi con la coda come se fosse una possente frusta.
Rimasi stordita qualche istante e, quando riaprii gli occhi, il crudele
animale dorato, stava cercando di inghiottire l’imponente
orso, steso esanime sull’erba bagnata, a partire dal muso.
Un grido di dolore e di disgusto mi si formò in gola, ma non
riuscii ad emettere nessun suono. Gli occhi mi si riempirono di
lacrime. Mi sentivo inutile. Desideravo che tutto quello che stavo
vedendo sparisse dalla mia vista immediatamente. Non potevo sopportare
un secondo di più la crudeltà a cui stavo
assistendo.
-Nooo!- gridai infine. Ma a quel punto non mi trovavo più
nel bosco. L’orso e il serpente erano spariti,
così come la candida lince.
Era stato solo un sogno. Realizzai che ero in camera mia dopo qualche
istante. L’orologio digitale sul comodino indicava
che erano le sei e mezza, troppo presto per i miei standard.
Mi girai dall’altro lato, mettendo la testa sotto il cuscino,
ma quelle immagini continuavano a tornare vivide nella mia mente.
Invano tentai di ignorarle.
Trascorsi un altro quarto d’ora nel buio della mia camera,
poi decisi di alzarmi. Ci saranno stati una decina di gradi fuori dalle
coperte, ma non ci feci caso. Ero abituata a stare al freddo. Con la
mamma avevamo abitato in montagna quando ero piccola, insieme alla
nonna. Da quando lei se n’è andata,
però, siamo venute a vivere qua in campagna, ad Ovada.
Mi alzai ancora mezza intontita e presi dalla sedia della scrivania un
paio di jeans che avevo messo il giorno prima e mi diressi verso
l’armadio da cui sfilai la prima maglietta che mi
capitò tra le mani.
La sera prima mi ero fatta la doccia per cui mi diedi una risciacquata
e mi cambiai abbastanza velocemente, come ero solita fare.
Presi poi lo zaino e scesi in cucina, strisciando i piedi. Non credevo
di essere così in anticipo. Di solito ci mettevo un sacco di
tempo prima di realizzare che dovevo alzarmi per andare a scuola, ma
quella mattina era un caso eccezionale.
Presi una confezione di biscotti dalla credenza e una tazza e le posai
sul grande tavolo della sala da pranzo, troppo grande per due sole
persone, a mio parere. Quando tornai indietro per prendere il latte dal
frigo, accesi la radio che si trovava sopra quest’ultimo e
alzai il volume al massimo.
Come immaginai, pochi minuti dopo scese mia madre ancora in pigiama
mugolando qualcosa.
-Tanto prima o poi ti saresti dovuta alzare...- risposi alla sua
incomprensibile lamentela.
Lei mi guardò accigliata, con le mani tra i capelli biondi
tinti tutti arruffati.
-Ma non ti vergogni ad essere già in piedi a
quest’ora? Sono solo le sette e dieci...-
Devo ammettere che se fosse stata una qualsiasi altra normale madre,
avrebbe fatto i salti di gioia nel vedermi in giro per casa
così presto, ma mia mamma non era affotti normale.
Feci colazione in silenzio e, quando ebbi finito, rimisi tutto a posto
e misi l’acqua a bollire per preparare il tè a
Freia.
-Oh... Grazie piccoletta.- disse, tornando dopo alcuni minuti che aveva
passato in bagno a vestirsi.
-Sei agitata per qualcosa?- mi chiese poi di punto in bianco
mentre preparavo l’infuso.
-No, perché?-
-E’ strano vederti in piedi già a
quest’ora... pensavo che qualcosa ti avesse tenuta
sveglia tutta la notte. Hai il viso stanco...-
-In effetti sono stata svegliata...- ammisi.
Mamma si sedette di fronte a me. Aspettava che continuassi.
Riassunsi in breve l’incubo che avevo fatto. Le immagini
della lotta tra il serpente e il gigantesco orso erano ancora vividi di
fronte a me.
-E poi c’era una lince col pelo bianco.-
-Una lince?-
-Si, è strano?-
Freia inclinò il capo pensierosa, «E’
strano vedere una lince da queste parti…»
Sinceramente non mi sarei aspettata una risposta così
stupida uscire dalla sua bocca, ma preferii non controbattere.
-Era solo un sogno, mà.-
-Si, ma che ti ha svegliata in piena notte...-. A volte diventava
apprensiva per poco e così cercai di tranquillizzarla.
Senza che me ne accorgessi si fece ora di uscire. Presi le chiavi della
moto e mi diressi verso il garage.
-Ricordati di andare a prendere tua cugina stamattina! Sua mamma non la
può accompagnare a scuola!-
-Ok, passerò da lei!- risposi mentre mi stavo mettendo le
scarpe nell’ingresso. In realtà non abitavamo
proprio in paese, ma in una frazione che distava una decina di
chilometri.
Quando ci siamo trasferite, la mamma cercava un posto isolato che
potesse ricordarle la casa in cui viveva da bambina e aveva
trovato su un giornale l’annuncio di vendita del posto dove
abitavamo adesso. Era una piccola villetta che cadeva a pezzi e fu
probabilmente per questo che la pagammo poco e niente. Inoltre era
abbastanza isolata dalle altre case della zona e, alle sue spalle, si
trovava un bosco che era interamente di nostra proprietà.
Freia non avrebbe potuto desiderare di meglio, e nemmeno io. Adoravamo
rifugiarci nel bosco per fare due passi o per meditare, era un
po’ il nostro nascondiglio segreto.
Quando uscii di casa, un vento gelido mi scompigliò i
capelli biondo rossicci e mi dovetti chiudere la giacca che non avevo
ancora abbottonato.
La mia Aprilia RS nera era posteggiata nel garage di fronte a quel
catorcio di macchina che aveva mia mamma. Le ripetevo sempre che non
avrei mai voluto guidarla per paura che mi abbandonasse per strada. E
poi adoravo la mia moto da corsa. Era un 125, ma andava veloce come una
vera moto da corsa, tipo quelle che si vedono al Gran Premio, e questo
mi bastava. La trattavo come una bambina. La pulivo praticamente due
volte al mese e non le avevo mai trovato sopra un graffio.
Mi infilai il casco ed accesi il motore. In pochi minuti mi trovavo
davanti a casa di Clara. Non feci nemmeno tempo a scendere dalla moto
che la mia cuginetta uscì subito non appena vide la mia moto
entrare nel cortile.
Era di un anno più piccola e molto, e sottolineo molto,
diversa da me. Vederci insieme poteva sembrare un po’ strano.
Io sempre imbronciata, trucco pesante e vestiti molto alla
buona, mentre lei era sorridente, ben truccata e vestita sempre alla
moda. Per l’appunto, oggi indossava un paio di jeans rosa
della D&G e un piumino di una non so quale altra marca, ma
sarei stata pronta a scommettere che sarebbe costato più di
tutto quello che indossavo io in quello stesso momento.
-Ehilà Stella! Spero di non aver fatto tardi!- si
scusò raggiungendomi di corsa.
Mi alzai e presi da sotto il sellino un casco di riserva e glielo porsi.
-No tranquilla. Sono io che oggi sono in anticipo.-
Nel sentire quella frase inconsueta emise un risolino mentre
s’infilava il casco che le avevo passato.
-Oggi hai da fare?- mi chiese mentre accendevo il motore. Ci pensai un
qualche istante prima di risponderle che non avevo nessun programma,
eccetto quello di finire i compiti.
-Allora ti va di andare a vedere che è venuto ad abitare
vicino a noi? La mamma dice che sarebbe buona educazione...-
Avevo notato che da qualche mese degli operai stavano lavorando in una
villetta vicino a quella di Clara, ma non avevo ancora visto nessuno
girare da quelle parti che non fosse un operaio.
-Ma da quando ci vivono?- chiesi incuriosita.
-Boh! Qualche giorno...- gridò lei cercando di sovrastare
con la sua vocina acuta il rombo del motore.
-Non saprei... magari ci andiamo domani ok? Così chiedo a
mamma...-
-Non c’è problema. Ah! Lo sai che mi pare di aver
capito che sono una coppia molto giovane con un figlio della nostra
età?-
Sorrisi.
-No, non lo sapevo. Comunque ora ho capito perché vuoi
andare a trovarli!- le risposi cercando di stuzzicarla un po’.
Qualche minuto dopo eravamo nel cortile della scuola. Ero arrivata
così presto da riuscire a trovare un posteggio davanti al
cancello dell’istituto.
-Allora io vado dai miei compagni! Ci vediamo all’uscita!- mi
disse mia cugina mentre si dirigeva già verso un gruppo di
ragazzi che ridacchiavano vicino all’ingresso.
A volte la invidiavo per la popolarità che riscuoteva. Era
molto bella ed aggraziata e sapeva farsi voler bene da tutti, a mio
contrario.
Non ho mai capito perché a volte la gente mi guardi come se
avessi la lebbra. Freia mi dice che spesso, quando sono pensierosa,
assumo uno sguardo cattivo. Probabilmente anche in quel momento era
così.
Mi misi lo zaino in spalla e mi diressi verso una panchina nel
giardinetto della scuola.
Mancavano pochi minuti prima che suonasse la campanella, ma ne
approfittai per pensare un po’ da sola. Da quel punto potevo
vedere ancora Clara che chiacchierava animatamente con i suoi compagni
e potevo notare anche molto bene lo sguardo ammiccante di un ragazzo
che le si trovava di fronte, provando una vena di fastidio.
Ero sempre stata molto protettiva nei confronti di mia cugina,
nonostante fosse più piccola di pochi mesi. Da quando aveva,
però, deciso di non voler essere come me e Freia, e sua
mamma, mi ero messa in testa di proteggerla io, convinta che da sola
non ce l’avrebbe fatta.
“Che stupida…”, pensai, “Non
è che se non vuole sfruttare le sue capacità,
debba essere per forza vittima di una non so quale
catastrofe.”
La gente mi considererebbe una pazza, una strega. Lei aveva paura di
essere esclusa dal resto del mondo a causa di quelle parole.
A dire il vero, però, lei non ha mai provato cosa vuol dire
essere consapevoli della magia che ci circonda. È stata sua
madre, la sorella di Freia, un pomeriggio, a rivelarle il segreto.
Clara subito l’aveva preso per uno scherzo poi, quando
capì che sua madre era seria, fu colta da un momento di
panico e scappò perfino da casa, venendomi a cercare.
Ricordo ancora tutto come se fosse appena accaduto.
Era quasi ora di cena e Clara si presentò davanti a casa mia
sfinita a causa della corsa, con le lacrime agli occhi.
Non appena la feci entrare, lei scoppiò in un pianto dirotto
dicendo che sua madre era impazzita, che le aveva spiegato delle cose
senza senso e non voleva più vederla.
Mi sentii ferita nel sentirle pronunciare quelle parole.
Io avevo scoperto da sola quello di cui lei dubitava circa un anno
prima, leggendo un paio di libri che avevo trovati nascosti in casa, e
glielo avevo tenuto nascosto su richiesta di Freia e sua sorella Rosy.
-Clara,- le avevo detto quando si era un po’ calmata, -Non
credi che magari è una cosa naturale quella che ti ha detto
la zia?-.
Lei guardò male pure me. Cercai di spiegarle che stava
commettendo un grosso errore in molte maniere. Le feci perfino vedere i
miei strumenti che tenevo custoditi in camera, ma lei continuava a non
volermi credere.
-Se esistesse ancora l’inquisizione, metà della
mia famiglia sarebbe già stata bruciata sul rogo...-
sospirò rassegnata ad un certo punto.
Quella sera dormì da me e quasi non ci parlammo. La cosa
durò per alcune settimane finché, un
giorno non si convinse che era giusto che ognuno credesse in
ciò che desiderava e, così, tornò ad
essere la mia cuginetta e la mia migliore amica.
E ora stava là, a chiacchierare con i suoi amici normali,
come li definiva in mia presenza, un po’ per prendermi in
giro, un po’ per sottolineare con un minimo di amarezza la
mia scelta.
Sospirai.
Quel mattino il cielo era coperto di nuvole nere che non promettevano
nulla di buono.
Mentre lasciavo che i pensieri vagassero liberi nella mia mente, un
vento gelido si alzò improvvisamente. Un brivido corse lungo
la mia spina dorsale e si propagò per tutto il mio corpo
facendomi tremare. D’un tratto ciò che mi
circondava sparì nel nulla e, di fronte a me, vidi
nuovamente la lince dal pelo bianco che mi fissava, magnifica nel suo
portamento.
L’immagine sparì dopo pochi secondi, portandosi
dietro tutta la mia vitalità. Restai immobile sulla
panchina, colta dal panico per alcuni minuti, finché non
vidi la mia compagna di banco venire verso di me con aria preoccupata.
-Ehi Stella!! Stella stai bene?!- gridava Cecilia avvicinandosi e
scuotendo una mano a mezz’aria per attirare la mia attenzione.
Quando mi fu davanti le sorrisi e le dissi di non preoccuparsi.
-Vuoi che ti porti in infermeria? Stai sudando freddo e sei pallida...
sicura di stare bene?- mi chiese con la preoccupazione che le si
leggeva negli occhi.
Lei era una delle poche persone della mia classe che non mi considerava
una strana o un’associale. -No tranquilla Lily. Ho avuto solo
uno dei miei soliti capogiri.- cercai di abbozzare un sorriso per non
farla preoccupare di più.
Cecilia si offrì comunque di accompagnarmi in classe
tenendomi a braccetto perché continuava a non fidarsi della
mia cera.
Mi capitava, a volte, di vedere delle immagini così
nitidamente mentre pensavo intensamente a qualcosa, ma non mi era mai
capitato così improvvisamente come quella mattina. Trascorsi
tutta la prima ora a pensare a cosa potesse avermi provocato una tale
reazione. Infondo non era altro che una lince, non aveva senso che il
ricordo di quell’animale così stupendo mi
provocasse quell’assurda sensazione di panico.
Cecilia mi chiese più volte come stavo durante
l’ora di filosofia e, piano piano, si convinse che il
malessere stava passando poiché avevo recuperato un
po’ del mio colorito dopo che mi aveva costretta, durante la
lezione, a mangiare quasi un intero pacchetto di caramelle zuccherose
che portava sempre a dietro per paura di avere un calo di pressione.
Anche la seconda ora passò, senza che accadesse nulla di
speciale mentre, come al solito, il prof spiegò
ininterrottamente costringendo la mia mano a superare la
velocità della luce per prendere appunti su tutto
ciò che usciva dalla sua bocca.
Il cambio d’ora, però, la prof di arte Cattani
entrò in classe accompagnata da un ragazzo che non avevamo
mai visto.
Era molto alto e aveva i capelli scuri e un “fisico niente
male”, come lo aveva definito prontamente Cecilia. La cosa
che però mi colpì più di tutto furono
i suoi occhi di un blu così intenso da sembrare quasi finti,
come se indossasse le lenti a contato e, sinceramente, per un istante
presi la cosa seriamente in considerazione.
Dopo aver ottenuto la nostra attenzione richiamandoci più
volte, la Cattani presentò il nuovo ragazzo.
-Si chiama Fruner Jamie e si è trasferito
dall’Austria.-
“Fico”, pensai, “più o meno da
dove vengo io...”.
Dopo aver aiutato un bidello che portava un banco in più, il
nuovo studente si sedette da solo di fronte a Cecilia, la quale
sospirò di sollievo per il fato di non essere più
al primo banco.
Quando tutti ebbero finito di chiacchierare, la prof riprese la
spiegazione da dove l’aveva interrotta ma io non ascoltai una
parola di quello che diceva. Il panico di poco prima s’
impossessò nuovamente della mia mente. Iniziai a sudare
freddo come poco prima nel cortile e la testa si mise a girare.
-Stella! Stella stai di nuovo male?- bisbigliò la mia
compagna di banco preoccupata perché ero di nuovo
impallidita.
Feci cenno di no con la testa e la appoggiai sul banco. Avevo il
respiro affannato e nella mia mente tornarono a farsi vive le immagini
dell’incubo di quella notte. Era come se stessi sognando ad
occhi aperti.
Cecilia iniziò a massaggiarmi le spalle e a dirmi frasi
rassicuranti, ma non potevo e non sapevo come spiegarle quello che mi
stava succedendo per poterla tranquillizzare.
-Sta male?- sentì bisbigliare da una voce un po’
roca che non avevo mai sentita. Alzai lo sguardo e vidi i profondi
occhi blu del mio nuovo compagno fissarmi incuriositi.
Cecilia gli disse che stavo così da stamattina e che
probabilmente avevo un po’ di influenza. Lui annuì
e puntando i suoi occhi nuovamente su di me. Ricambiai lo sguardo ma
preferii non dire nulla e, così, tornai ad appoggiare la
testa sul banco nella speranza che quell’assurda sensazione
di panico svanisse.
Una ventina di minuti dopo suonò finalmente la campanella
che segnava l’inizio della ricreazione e ne approfittai per
andare in bagno a sciacquarmi la faccia.
-Ah ci voleva proprio...- sospirai tornando in classe e andandomi a
sedere.
Tutti gli altri stavano accerchiando il nuovo compagno, di cui non
ricordavo manco più il nome e sentivo le ragazze
starnazzare domande idiote solo per farsi notare.
Io mi misi nuovamente con la testa sul banco e chiusi gli occhi
sospirando.
-Ehi stai meglio?-
La sua voce mi colse alla sprovvista. Era roca ma allo stesso tempo
incredibilmente armonica.
Alzai lo sguardo, -Si grazie... ehm...-
-Jamie!-, mi aiutò lui porgendomi la mano.
-Stella Damonte.- feci eco io, fissandolo per un istante negli occhi
prima stringergliela provocando una reazione inaspettata.
Quando la mia pelle entrò in contatto con quella calda di
Jamie sentii la sua energia fremere al contatto con la mia e venni
percorsa da una forte scossa. L’immagine della lince
riaffiorò dalla mia mente per una frazione di secondo per
poi sparire immediatamente portandosi dietro ogni traccia del panico
che mi aveva attanagliava da quella mattina. L’energia che si
era sprigionata al contatto con la sua pelle era quasi tangibile per
una persona sensibile a queste cose come me.
-Mi hai dato la scossa, Damonte.- disse lui ridacchiando sicuramente
della mia espressione a metà tra lo stupore e lo spavento.
-Chiamami pure Stella se vuoi.- biascicai abbozzando un sorriso e
ritraendo la mano dalla sua stretta. Non mi era capitato molto spesso
di avvertire una forza così potente nel toccare qualcun
altro per la prima volta.
Continuando a sorridere dei miei modi impacciati, Jamie mi diede anche
lui il permesso di chiamarlo per nome e, coperto dal suono della
campanella, mi augurò di guarire presto. Mancavano ancora
due ore di matematica prima di uscire, ma trovai il modo per farle
passare velocemente.
Cecilia aveva detto che non mi sentivo molto bene alla prof, la quale,
spinta da un non so quale spirito bonario, mi aveva dato il permesso di
stare con la testa sul banco a riposare.
La mia mente, intanto, era tormentata da ciò che era
successo pochi minuti prima.
“Possibile che lui se ne sia accorto?”, continuavo
a domandarmi.
Non poteva essere possibile. Probabilmente il fatto che lui avesse
preso la scossa era solo un segno che l’energia che si era
liberata era così forte che anche una persona normale
potesse sentirla.
“Non posso nemmeno andare li a chiedergli se ha sentito una
qualche strana forma di energia... chiamerebbe il manicomio in meno di
un secondo!”, continuai a pensare. Sicuramente mi considerava
già la classica sfigata della classe, vestita alla buona e
colpita un giorno si e uno no da un insulso malanno.
Nonostante ciò, continuai a ragionare a lungo su quel
problema e non diedi il minimo ascolto alla prof che stava interrogando
due miei compagni.
“A quanto pare nemmeno lui è molto interessato
alla lezione...” dedussi, vedendo che si stava facendo i
benemeriti affari suoi leggendo un libro nascosto sotto il banco.
-Ste, va meglio?-, bisbigliò Cecilia al mio orecchio.
Spostai lo sguardo su di lei che mi guardava apprensiva e non potei far
altro che sorridere.
«Si stai tranquilla, domani starò
meglio.» la rassicurai io, al che Cecilia mi sorrise e
tornò a seguire la lezione promettendomi di passarmi i suoi
appunti alla fine della lezione.
Adoravo stare vicino a quella ragazza così spontanea e
sincera. Era l’unica compagnia che era venuta a casa mia e la
consideravo la mia migliore amica, eccetto ovviamente e mia cugina. Mi
dispiaceva non poterle però raccontare tutti i miei segreti,
ma lei lasciava mai trasparire la sua curiosità quando
capiva che c’era qualcosa di cui non potevo parlare.
Inoltre, a volte, mi piaceva guardare il colore verde della sua aura,
che rispecchiava perfettamente il suo modo di essere.
“L’aura!”. Ero curiosa di scoprire
qualcosa di più sul nuovo compagno e non c’era
niente di meglio che controllare la sua aura.
Mi sarebbero bastati pochi minuti per poter raggiungere la
concentrazione necessaria da poter vedere l’energia che
rilasciava il suo corpo e, così, mi misi subito
all’opera.
Respirai a fondo per una decina di volte, al massimo Cecilia poteva
pensare che mi era venuto un attacco d’asma.
Quando riaprii gli occhi, posai il mio sguardo sulla figura di Jamie. I
contorni intorno al suo corpo iniziarono a farsi sempre più
luminosi ogni istante che passava.
“Eccola!” esultai quando finalmente intravidi una
sottile strisciolina blu comparire intorno a lui.
Tornai a concentrarmi più profondamente e il blu
iniziò a farsi più intenso, quasi elettrico.
Infine notai che, attaccato al corpo, compariva un minima sfumatura
violetta e, dopo un istante in cui l’aura raggiunse la sua
massima estensione, i colori sparirono improvvisamente.
Trattenni a stento un gridolino che non sfuggì alle orecchie
di Cecilia e del nuovo compagno.
-Hai fatto un incubo?-, chiese lui voltandosi verso di me con un ghigno
stampato in viso. Gli lanciai un’occhiataccia e non gli
risposi.
“Cavolo!”, pensai, “Ma chi diavolo
è sto qua?!”
Non mi erano mai capitate tante cose strane in presenza di qualcuno e
arrivai a pensare di essere veramente malata, ma nella testa.
Non era possibile che non riuscissi più a leggere
l’aura di una persona. Era una delle prime cose che avevo
imparato e oramai avevo una certa dimestichezza.
Girai il viso verso Cecilia e mi concentrai nuovamente. Tirai un
sospiro di sollievo quando iniziai a scorgere il solito luminoso verde
smeraldo comparire intorno al suo corpo.
Mantenendo la concentrazione, voltai lo sguardo verso Jamie. Ci misi il
doppio del tempo per iniziare a scorgere una parvenza di luminescenza
intorno al suo corpo. Era come se non volesse farmi guardare. Mi sentii
frustrata a tal punto che trascorsi il resto dell’ora a
concentrarmi per poter vedere qualcosa di più, ma
ciò non accadde e alla fine persi la concentrazione
distratta dal suono della campanella.
-Sei in moto?- chiese preoccupata Cecilia quando mi alzai rassegnata
dalla sedia.
-Si ma tanto vado da mamma dalla fioraia, magari ha qualcosa per il mal
di testa in borsa.-
Nel sentire quelle parole la mia amica sorrise e mi augurò
di guarire in fretta porgendomi il suo quaderno come aveva promesso. La
ringraziai e uscii in tutta fretta dalla classe.
Mentre ero per le scale mi sentii picchiettare su una spalla, una delle
tante cose che detestavo.
Mi voltai con aria rabbiosa e mi ritrovai accanto Jamie e notai che gli
arrivavo a malapena al petto tanto era alto.
-Ti sei già innamorata di me?- ridacchiò lui.
-Cosa stai farneticando?!-. Iniziavo a non sentirmi affatto a mio agio
in sua presenza, e pensare che lo conoscevo da poche ore.
-Beh, il dubbio sorge, dato che è da un’ora che
non mi stacchi gli occhi di dosso!-
Improvvisamente mi sentì avvampare. Mi aveva beccata!
-Beh... io... cioè tu...-, non avevo assolutamente idea di
che scusa raccontare, mi sentivo una perfetta idiota presa in giro da
uno sconosciuto.
-Dai tranquilla! È difficile resistere al mio fascino
dopotutto-
Dopo un’affermazione del genere lo guardai malissimo e
accelerai il passo decisa a raggiungere al più presto la mia
moto.
-No dai aspetta Stella!- continuava a ripetermi inseguendomi, ma io
proseguii dritta per la mia strada senza degnarlo di uno sguardo.
“Ma che sbruffone! Chi si crede di essere!?”, mi
sentivo umiliata. Non mi era mai capitato di essere sorpresa a fissare
qualcuno in maniera così palese, ma ciò che mi
irritava maggiormente era il fatto che ‘sto qua aveva
frainteso alla grande le mie intenzioni.
Arrivata alla moto mi misi il casco e accesi il motore pronta a
sfrecciare via, ma Jamie mi comparve davanti impedendomi di partire.
Aveva un’espressione supplichevole e mi continuava a chiedere
scusa per avermi presa in giro.
Sollevai la visiera del casco perché mi potesse vedere in
faccia.
-Senti, non era mia intenzione fissarti per tutta l’ora, ma
avevo male alla testa. Non voglio mettermi in cattiva luce anche con te
fin da subito, ma forse te lo diranno già gli altri che
è meglio evitarmi, per cui il mio è
già una specie di avviso. Ora se non ti dispiace devo andare
via.-
Non mi resi conto che verso la fine la mia voce si era fatta
più acuta probabilmente a causa dell’irritazione
che mi provocava quel ragazzo che ora mi guardava sorridendo, mettendo
in mostra la sua dentatura perfetta.
-Ok Damonte! Comunque ricordati che adoro le sfide, per cui mi
sforzerò di non evitarti come fanno gli altri!-
Sembrava molto sicuro di se, forse troppo.
-Come preferisci. E ficcati bene in testa che non sono innamorata di
te!- arrossii di vergogna e rabbia nel pronunciare quelle parole, delle
quali lui sembrò compiacersi perché
tornò a ridere.
«Mi stai già simpatica, lo sai? E hai proprio una
bella moto.»
La mia pazienza aveva raggiunto il limite e, ritirando giù
la visiera, diedi una girata all’acceleratore e partii
cercando di non investire Jamie che vidi salutarmi da lontano con la
mano attraverso lo specchietto retrovisore.
Freia era impegnata con un cliente quando entrai in negozio,
così mi sedetti dietro al bancone ed aspettai che finisse di
servire.
Non riuscivo a togliermi dalla testa la vergogna che avevo provato poco
prima. Ero una persona molto orgogliosa e testarda e sentirmi presa in
giro in quella maniera era un’umiliazione.
-Ti hanno picchiata piccoletta? Hai una faccia...-
Sbuffai. -No mamma... non è successo niente del genere. Oggi
è stata una giornata impegnativa.-
Freia mi guardò intensamente negli occhi e, non so come,
intuì cosa mi tormentava.
-È sempre a causa del sogno di questa mattina?-
Annuii e confessai che c’era dell’altro.
Riassunsi brevemente l’incontro con il nuovo compagno,
omettendo ovviamente la parte che mi umiliava, spiegando cosa era
successo quando avevo cercato di vedere la sua aura.
-Strano-, commentò lei immersa nei suoi ragionamenti.
-Inoltre ha avuto uno strano effetto il suo contatto con te. Se vuoi ne
riparliamo stasera che questo non è il luogo adatto.-
Mi alzai e mi diressi verso la porta mentre un cliente stava entrando.
-Allora ci vediamo quando chiudi.-
Mamma annuì sorridente così, saltata in sella
alla mia fedele Aprilia, sfrecciai verso casa dove mi feci una tisana
che andai a bere nel bosco in attesa della mamma.
Mentre mi dirigevo verso uno spiazzo a un centinaio di metri da casa
che avevamo adibito a santuario, sentii le prime fredde gocce di
pioggia punzecchiarmi il viso.
In men che non si dica iniziò a diluviare e fui costretta a
correre al riparo del gazebo che avevamo posto della piccola radura.
Non pativo il freddo, ma la tisana mi ci voleva proprio. Non dovetti
aspettare a lungo prima che la mamma si facesse viva correndo a
perdifiato per bagnarsi il meno possibile.
-Ho in mente una bella meditazione per noi oggi, e il tempo sembra
favorirci!- annunciò tutta entusiasta lanciandomi un
sacchetto della spesa che teneva sotto il giaccone.
Ne tirai fuori una tunica fucsia decorata con ghirigori dorati e
osservai mia mamma mentre si spogliava per infilarsene una simile.
Senza aspettare un suo ordine la imitai, ripiegando per bene poi i suoi
e i miei vestiti infilandoli nel sacchetto affinché non si
bagnassero.
-Dai Stella, andiamo.-
Freia si lanciò correndo verso l’interno del bosco
e io fui costretta a seguirla.
Mia madre si fermò in riva al torrente che scorreva vicino a
casa e accese un piccolo incenso che mise sotto ad una strana pietra
fatta a grotta in modo che non si spegnesse.
Io mi sedetti di fronte e lei e mi feci pervadere dallo speziato
profumo di cannella che si stava diffondendo nell’aria.
Oramai ero già tutta bagnata e i capelli mi si erano
incollati al viso e, nello scostarli ebbi un deja-vù
collegato al sogno della sera precedente.
-Ora cerca di rilassarti e non pensare più a niente. Questa
cosa mi è venuta in mente mentre tornavo a casa!-
annunciò fiera di se mia madre che spesso e volentieri
sembrava una ragazzina, tanto si compiaceva di ciò che
faceva.
Seguii il suo consiglio e cancellai dalla mia mente ogni pensiero,
anche il più insignificante.
Riuscivo a sentire ogni singola goccia che scivolava lungo il mio corpo
e il fruscio di ogni singola foglia mossa dal vento.
-Il mio intento è quello di far allontanare ogni pensiero
negativo dalla tua mente, per cui iniziamo col concentrarci sulla
pioggia.- bisbiglio Freia che già aveva raggiunto un livello
di concentrazione altissimo.
Non fu comunque difficile concentrarsi sulla pioggia tanto cadeva forte.
I minuti passavano, ma noi non avevamo alcuna fretta. È
piacevole la sensazione di non aver nessuno che ti corre dietro.
Infine la mamma mi spiegò in cosa consisteva
l’esercizio. Avrei dovuto visualizzare ogni goccia che
scivolava lungo il mio corpo come uno dei tanti pensieri negativi che
mi affollavano la mente per farli scorrere via come l’acqua.
All’inizio fu difficile fare ordine in testa. Troppe cose mi
tormentavano e si accalcavano senza un’ ordine logico nella
mia mente.
Poi, però, iniziai col ragionare sulla cosa che aveva dato
il via a tutto: il bosco.
Mi immaginai l’immagine del bosco come se fosse racchiusa in
una goccia di cristallo che scorreva lungo il mio petto per poi finire
tra l’erba sotto di me. L’immagine successiva fu
quella del lampo e, dopo ancora, quella della lince. Mi dispiaceva
allontanare dalla mia mente l’immagine di
quell’animale stupendo, ma era stato causa di una tensione
per me inspiegabile. Anche lei, però, scivolò,
questa volta lungo la mia schiena, portandosi dietro un brivido.
Mi sentivo già molto meglio e non fu difficile far scorrere
via anche gli altri ricordi negativi: la sensazione di panico che mi
aveva colto nel cortile, l’incontro con il nuovo compagno e
l’umiliazione provata nel corso della giornata.
Alla fine mi sentivo leggera, quasi libera. Non mi preoccupava
più il fatto di essere stata presa in giro e il ricordo
dell’incubo non mi pesava più.
Freia si trovava ancora accanto a me, lo sguardo attento e incuriosito.
-Finito?- chiese quando si accorse che avevo aperto gli occhi ed io
annuii. Mi complimentai poi con lei per l’idea che aveva
avuto e ci dirigemmo in silenzio verso il giardinetto.
Prendemmo i vestiti e, appena entrate in casa ci infilammo in bagno
sotto la doccia per scaldarci un po’.
-Vuoi raccontarmi le tue impressioni?- mi chiese la mamma quando ci
fummo cambiate e lei scaldava qualcosa nel microonde.
Pensai un istante e poi le spiegai le mie sensazioni mentre facevo
scorrere tutte quelle immagini lungo il mio corpo.
Lei ascoltava silenziosa, ma non era in grado di nascondere la sua
emozione dato che sfoderava un sorriso a trentadue denti e gli occhi le
brillavano.
-Ah! Hai visto che la mammina a volte ha delle idee grandiose?-
Mi misi a ridere portando alla bocca l’ultimo boccone di
lasagne.
Spero che questo primo capitolo sia stato di vostro gradimento e che
aspetterete con ansia i prossimi! :-)
Inutile dire che aspetto delle recensioni perchè mi aiutano
a capire quanto ancora devo crescere prima di imparare a
scrivere decentemente! :-) Ve ne sarei grata!
Nel frattempo potreste leggere qualche altro mio lavoro:
http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=70620
Grazie!
Kajsa
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