Questi
personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà
di sir A.C.Doyle, Moffatt, Gatiss BBC ecc.; questa storia è
stata
scritta senza alcuno scopo di lucro per il mio puro divertimento
Prologo
Sherlock
stava provando, inutilmente e faticosamente, a trovare un modo per
distrarsi, in quanto non c’era nessun caso interessante da
settimane. Cercava disperatamente di non accendere la sigaretta che
aveva nascosto dentro il fedele teschio, in modo che John non
la trovasse.
Il dottore aveva fatto sparire ogni riserva
segreta del detective, solo quell’unica sigaretta era
sopravvissuta ai controlli di John.
Sherlock continuava a rigirarsela tra le dita,
da un lato non vedeva l’ora di assaporare il tabacco e la
nicotina che gli avrebbero inebriato il cervello, dall’altro
lato non voleva innervosire John, che era ancora arrabbiato per la
vicenda delle tende che avevano misteriosamente preso fuoco.
Non faceva altro che alzarsi dalla poltrona,
andare al teschio, prendere la sigaretta, annusarla e rimetterla a
posto. Stava quasi diventando una ginnastica, anche se c’era
da dire, che arrivato alla soglia dei 56 anni, non ne aveva bisogno,
era ancora scattante e pieno di vita come un tempo.
Solo qualche capello bianco aveva timidamente
iniziato a ingrigirgli la chioma, cosa che lo aveva alquanto
indispettivo, suscitando l’ilarità del marito, che
aveva detto addio alla chioma bionda-castana da molti anni.
Sherlock si era più volte lamentato di non essere affatto
l’uomo più vanesio che il dottore avesse mai
incontrato, ma ogni tentativo veniva distrutto dalle risposte
sarcastiche di John, che lo invitavano a guardare quando erano sexy le
sue camicie, quanto erano costosi i suoi abiti e il fatto che la volta
che per dispetto gli aveva nascosto il cappotto, costringendolo ad
andare sulla scena del crimine con un banale piumino, non gli aveva
parlato per tre giorni interi.
Molti tentativi dopo di trovare
un’attività che lo distraesse, decise di cedere
all’impulso di tirare qualche boccata e si diresse
al teschio, per accedere quella dannata sigaretta, quando una voce
proveniente dalla porta d’ingresso, gli fece capire che i
suoi sensi non erano più attenti come una volta.
« Papà non vuole che fumi,
Sherlock! » esclamò Grace, con lo stesso piglio
autoritario di sua madre e del capitano Watson. A volte era inquietante
come la figlia di John avesse ereditato lo stesso modo di sgridarlo di
entrambi i genitori.
« John non c'è e io mi
annoio » rispose il detective. Sorrise beffardo,
finché non notò in Grace diversi segnali
allarmanti. Era in ansia, continuava a torturarsi le mani, in
apprensione, sembrava dovesse dire qualcosa di importante.
Osservò meglio
l’espressione della piccola Watson: aveva già
visto quello sguardo, a dirla tutta l’aveva anche odiato la
prima volta che lo aveva visto, una sera, in un ristorante, quando era
appena tornato e John stava per chiedere a Mary di sposarlo. Grace
aveva gli stessi occhi del padre, un blu intenso e profondo.
Poi, aveva rivisto quello stesso sguardo tre
anni dopo e lo aveva terribilmente amato, perché quella
volta, John aveva chiesto a lui di sposarlo. Ovviamente non aveva
capito le intenzioni romantiche del futuro marito, non credeva che il
buon dottore potesse amarlo tanto da fargli la proposta; invece era
successo ed ora aveva un cerchietto d’oro al dito, a
testimonianza dell’evento. A volte, anche a distanza di tanti
anni, gli dava ancora fastidio la sensazione del gioiello, ma non se lo
sarebbe tolto per niente al mondo.
Sherlock sollevò gli occhi verso
Grace, che attendeva paziente che Sherlock finisse di fissarla e
dedurla. Lo sguardo cupo che sfoggiò il detective, non
piacque per niente alla bionda «Hai solo 18 anni, Grace. Il
matrimonio può attendere » commentò
soltanto, attendendo la sfuriata della ragazza.
« Ecco, lo sapevo, al solito, non
posso dirti niente. Mamma me lo aveva detto che non sarei riuscita a
sorprendenti »
« Quindi Mary lo sa già e a
lei va bene? » rispose il detective, stupito che la madre
avesse acconsentito così facilmente.
« Non mi occorre
l’approvazione di nessuno »
ribatté piccata « E comunque non ha avuto niente
da eccepire » rispose, con tono di sfida.
« D’accordo, quando
conosceremo il futuro sposo? » fece soltanto Sherlock,
ignorando completamente lo sguardo omicida della piccola Watson, che da
emozionata per l’annuncio del matrimonio, sembrava stesse
maledicendo il momento che si era ritrovata in famiglia un dottore ex
soldato, drogato di adrenalina, una ex sicaria e un detective che si
dichiarava sociopatico.
« È per questo che sono
qui, per organizzare l’incontro » rispose, cercando
di calmarsi « La sua famiglia vuole conoscervi e ti assicuro
che Christopher vi piacerà, è perfetto
» fece lei, caparbia, senza dare cenno di essere preoccupata
dal terzo grado che avrebbe subito il fidanzato.
« Vedremo » rispose
Sherlock, scettico.
«Tu sei incontentabile, la tua
opinione è relativa! Fosse anche l’uomo migliore
del mondo, troveresti un difetto » fece la bionda, prevenendo
ogni possibile commento acido.
Sherlock sorrise gentile «Io sono
l’unico, in famiglia, che ha sposato l’uomo ideale,
per cui la mia opinione è l’unica che conta
» rispose e senza rendersi conto si ritrovò a
fissare la fede nuziale, che mai nella vita avrebbe pensato di
indossare. Grace si intenerì, adorava essere presente quando
le difese di Sherlock crollavano. Anche lui si accorse di essere stato
troppo romantico e ad alta voce, per cui provò subito ad
aggiustare il tiro, cercando di cancellare la frase che aveva
precedentemente pronunciato « Insomma, Mary ha sposato quel
David e ancora non so perché, John ha sposato me ed
è evidente che non sceglie bene le sue compagnie »
Grace rise, come sempre quando Sherlock tentava
di mascherare un momento di debolezza in cui esprimeva dei sentimenti,
con una battuta sarcastica.
« Comunque, il Granduca di
Cassel-Felstein non vede l’ora di incontrarvi »
continuò lei, ritornando sull’argomento principale
della visita.
Sherlock fissò Grace immobile,
registrando l’informazione, sbatté più
volte le palpebre e per un attimo sperò di aver sentito male.
« Problemi? » Chiese la
ragazza «Ti prego, dimmi che non era coinvolto in qualche tuo
vecchio caso » fece preoccupata.
« La madre del tuo Christopher, si
chiama Irene? » chiese, sperando si trattasse di un caso
molto raro di omonimia o che comunque ci fossero diversi Granduchi di
Cassel-Festein, non solo quello che venti anni prima aveva sposato
Irene Adler, che all’epoca usava
l’identità di Irene Pulver, dato che per tutti, la
Donna era morta giustiziata anni prima.
« Sì, la conosci?
» chiese Grace, notando il lento sbiancare del detective
davanti a quella rivelazione.
Sherlock aprì la bocca un paio di
volte, poi scosse il capo e si arrese all’evidenza di dover
spiegare a suo marito, perché Irene Adler non era morta come
credeva e che aveva avuto un ruolo nel suo salvataggio. « Tuo
padre sarà raggiante, è meglio che io prepari un
tè, sarà a casa tra poco »
commentò soltanto, dirigendosi in cucina.
Grace rimase interdetta, ma era abituata ad
avere conversazioni surreali con Sherlock, per cui non disse niente e
si mise comoda sulla poltrona rossa, in attesa dell’arrivo
del padre.
John varcò la soglia del 221B mezz’ora
dopo, trascinando con sé due sacchi della spesa. Entrando,
prima sorrise allegro, vedendo la figlia seduta in poltrona intenta a
leggere una rivista, poi percepì l’odore di
tè e temette le peggiori disgrazie.
« Sherlock, perché stai
preparando il tè? » Chiese, facendo irruzione in
cucina, guardandosi attorno e cercando di capire cosa avesse combinato
Sherlock, per fare un simile, premuroso, gesto.
« Non posso fare qualcosa di carino
per il ritorno a casa di mio marito? » rispose innocentemente
il detective.
« L’ultima volta che mi hai
preparato il tè, poi mi hai annunciato che avevi donato il
mio guardaroba alla tua rete dì senzatetto
» sbottò John.
« Continui a tirare in ballo quella
storia » rispose Sherlock annoiato, iniziando a versare il
tè nelle tazzine.
« Chissà perché
» ribatté John, guardandosi attorno e continuando
a spostare le cose in giro per l’appartamento, cercando
indizi del disastro. Spostò il teschio e finse di ignorare
la sigaretta, che avrebbe sequestrato appena fosse rimasto da solo,
guardò in direzione di Grace, che rideva delle sventure
paterne, sillabandole una richiesta di aiuto, a cui lei rispose con una
scrollata di spalle.
« Hai finito? »
Chiese il detective, portando un vassoio con tre tazzine.
John gli lanciò uno sguardo omicida,
temendo il peggio « Grace, ascoltami bene, non
sposarti o finirai a girare per casa cercando principi di incendio,
come me » fece, credendo di dire qualcosa di spiritoso, ma la
ragazza sbiancò, fissando il padre, mentre Sherlock
scoppiò in una risatina « Ottimo tempismo,
John»
« Cosa? » Fece lui, passando
lo sguardo dal marito alla figlia « Grace? »
La bionda gettò la rivista a terra,
nervosa « Sì, ero qui per annunciare le
mie nozze, ma con voi non si può fare mai niente di normale
»
Sherlock reggeva ancora il vassoio in mano,
annuendo distrattamente, come a confermare che con loro non potevano
esserci cose ordinarie « Parli con l’uomo che ha
interrotto la proposta tra tuo padre e tua madre, resuscitando dal
mondo dei morti, normale non è contemplato »
commentò Sherlock, passando la tazzina di tè a
John, che era rimasto immobile con sguardo ebete. Fissò il
tè sotto il suo naso e poi scostò il braccio del
marito
« Grace hai 18 anni, non sapevo
nemmeno che uscivi con qualcuno, perché vuoi farlo?
»
« Ci esco da sei mesi, quanto tempo
hai aspettato, tu, per sposare la mamma? »
« Visto com’è
finita, non mi prenderei come esempio » Rispose accigliato
« Bambina, tu sei intelligente, brillante, perché
tanta fretta? » Chiese perplesso, e per un attimo
pensò che la figlia fosse incinta; lo sguardo scese verso la
pancia, mentre Sherlock cercava di mimargli un "no" con la testa, senza
farsi vedere.
« Non sono incinta, papà
» rispose arrabbiata «Perché non va
bene, mi spieghi? »
« Ok, calmati, questo ragazzo come si
chiama, cosa fa nella vita? Non so niente di lui »
« Avevo preparato un discorso, ma non
fate altro che interrompermi » fece lei, alzando gli occhi al
cielo « Christopher, il mio fidanzato è il figlio
del Granduca di Cassel-Felstein. È una storia curiosa, ci
siamo incontrati in vacanza studio l’altro anno e poi ci
siamo rivisti qui a Londra. Sua madre, Irene, già mi adora e
non vedo l’ora di presentarvi i vostri futuri suoceri
» fece lei, entusiasta.
Sherlock simulò un colpo di tosse,
che attirò lo sguardo di entrambi «
Sì, John, volevo giusto parlarti delle coincidenze della
vita »
Il marito lo guardò perplesso,
sentendo che presto avrebbe scoperto il motivo del tè.
« Non sono l’unico che ha
finto la morte anni fa, ricordi Irene Adler? » fece il
detective, reggendo ancora saldamente il vassoio con le tazzine,
sperando che la possibile distruzione delle porcellane, avrebbe evitato
che John gli saltasse addosso per strangolarlo.
« Come potrei dimenticarla?
» Rispose di getto il marito, poi iniziò a unire
le informazioni che gli erano state fornite: Irene era il nome della
madre del fidanzato di Grace, Sherlock aveva appena insinuato che la
Donna avesse finto la sua morte e ora lo fissava preoccupato che gli
venisse un infarto.
« Vuoi il tè, adesso?
»
***** *****
Angolo autrice:
Mi mancavano le storie
comiche, per cui eccomi qui, Ringrazio Evola_Love_Beatles, per avermi
dato lo spunto per questa storia, che del film da cui prende il titolo,
prende appunto solo il titolo, ma senza il suggerimento non ci sarebbe
questo prologo. Spero vi abbia fatto sorridere, grazie a chi
leggerà.
|