A Rea.
Grazie per il prompt,
grazie per l'ispirazione
grazie per avermi fatto
tornare a scrivere.
Grazie per questa storia,
che è un po'
tua ed un po' mia.
Succedeva sempre così, ogni volta che aprivano
l’argomento. Succedeva che Michael si imputava su una
motivazione superficiale ed infantile, Ian si innervosiva, nessuno dei
due riusciva a mettersi nei panni dell’altro e finivano con
l’urlare e sbuffare.
«Michael, hai ventiquattro
anni, scusa se non riesco a concepire il fatto di non
volerti trasferire con la persona che ami perché dovresti
farti tre quarti d’ora con i mezzi per arrivare
all’università al posto di dieci minuti a
piedi.»
«Invece dovresti, perché sai che dopo
ore all’università è davvero stancante
farsi anche un’ora sui mezzi per tornare a casa.»
«Io lo farei per te.»
«Beh, non tutti amano allo stesso modo.»
Finivano col ripetere sempre le stesse cose da quasi un anno ormai.
Ogni volta che Ian chiedeva a Michael di trasferirsi da lui Michael se
ne usciva con la stessa motivazione che ad Ian non sembrava altro che
una scusa e andavano a toccare sempre gli stessi punti. Ian dopo
qualche mese aveva imparato a non riaprire l’argomento, ma
ormai mancava poco al loro terzo anniversario e ad Ian era sembrato
giusto riprovare.
Passarono dei secondi che si trasformarono in minuti prima che Ian
parlasse di nuovo, con più calma quella volta.
«È come se già vivessi qui, Michael.
Hai qui metà dei tuoi vestiti, lo spazzolino, praticamente
tutte le tue poesie, per non parlare del fatto che dormi qui
praticamente cinque notti su sette. Cosa ti costa rendere la cosa
definitiva?»
«Ne abbiamo parlato così tante volte,
Ian…»
«Ed è proprio per questo che non
capisco perché ti ostini a dire di no. Ormai stiamo insieme
da tre anni, se continuiamo così ci sposeremo e tu ancora
vivrai con i tuoi.»
Michael perse un battito a sentir parlare di matrimonio e avrebbe
voluto davvero tanto soffermarsi sull’argomento in quel
momento, ma non gli sembrava il caso, non nel mezzo di una discussione.
I toni di entrambi erano stanchi ormai, non riuscivano nemmeno
più ad urlare per quanto entrambi fossero abbattuti e fu per
questo che quando Ian guardò nuovamente negli occhi di
Michael e non ci lesse dentro niente di diverso, decise di chiuderla
lì. «Sono stanco Michael, andiamo a
dormire.»
Michael non ribatté. Si levò la maglietta,
infilò un pantaloncino al posto del jeans e, per le tre di
notte, era sotto le lenzuola. Ian era rimasto con solo dei boxer
addosso, come suo solito, e quando Michael lo abbracciò da
dietro non disse una parola, perché nonostante avessero
discusso, Ian non riusciva nemmeno ad immaginare di dormire nello
stesso letto di Michael senza che questo lo tenesse tra le sue braccia.
Il respiro di Ian era regolare, Michael poteva sentirlo sulle mani
mentre il suo petto si alzava e si abbassava sotto i suoi palmi. Non
sapeva se aveva gli occhi aperti o chiusi, ma sapeva che il senso di
colpa a lui non avrebbe permesso di chiuderli senza vedere lo sguardo
di Ian a terra per non mostrare a Michael la sua delusione. La
verità è che Michael si sentiva un codardo. Un
codardo per non riuscire ad ammettere la verità, un codardo
per non riuscire a confessare di aver paura. Perché Michael
amava Ian in un modo così intenso da essere paralizzante e
questo spesso lo intimoriva. Michael non voleva trasferirsi con Ian
perché non riusciva nemmeno a prendere in considerazione
l’idea che vivendo insieme le cose sarebbero potute cambiare
e il loro rapporto avrebbe potuto rovinarsi. No, loro stavano bene
così, andava tutto bene in quel modo, perché
cambiare le cose? Michael aveva troppa paura per rischiare e,
evidentemente, anche per dirlo ad Ian, visto che ogni volta che aveva
le parole sulla punta della lingua, puntualmente tornavano dritte nella
sua gola a mozzargli il respiro. Eppure non poteva nemmeno prendere in
considerazione l’ipotesi che facendo così lo
stesse rovinando ugualmente il rapporto, così fece
ciò che in una serata come le altre, avrebbe fatto senza
nemmeno pensarci due volte.
Posò le labbra sulla spalla di Ian. Lo fece
perché gli mancava il sapore di Ian tra le sue labbra,
perché nonostante in tre anni non lo avesse mai sentito
emotivamente lontano, gli mancava sentirlo fisicamente vicino. Non
dormivano insieme da due giorni e non facevano l’amore da
quattro. A Michael mancava sentire
Ian, perciò nonostante non sapesse se Ian dormiva o no,
nonostante non sapesse se gli avrebbe detto di sì,
posò le labbra sulla sua spalla un’altra volta.
Poi le posò sul collo e sotto l’orecchio. A quel
punto Ian rabbrividì e Michael seppe che era sveglio. Collo,
spalla, mascella, collo. Ian non apriva bocca se non per ansimare. Fu
solo quando Michael spostò la mano dalla sua pancia sul suo
petto e gli sfiorò un capezzolo con un polpastrello, che
mormorò: «Smettila.»
Ma Michael non smise perché quello non era un non voglio farlo
perché non ne ho voglia. Era un non voglio farlo
perché abbiamo appena discusso e devo mantenere il mio punto.
Così continuò a lasciargli una scia di baci e a
sorridere alla pelle d’oca che sentiva sotto le sue mani e
sotto le sue labbra. Il capezzolo sinistro di Ian era tra
l’indice e il pollice di Michael ora e bastava quella leggera
frizione a far gemere Ian.
«Michael…»
Ian prese la mano di Michael tra la sua per fermare i suoi movimenti e
sospirò.
«Ian» rispose Michael in un sussurro a mezzo
centimetro dal suo orecchio. «Non facciamo l’amore
da quattro giorni, Ian…»
E allora non ci fu più bisogno di parole perché
sentir Michael sussurrargli all’orecchio di fare
l’amore era la più grande debolezza di Ian e
Michael –che lo sapeva-, l’aveva sfruttata bene.
Perché Ian avrebbe potuto dire qualsiasi cosa di Michael:
che alla sua età gli capitava ancora di essere
irresponsabile, che quando iniziava a parlare di poeti e poesie nessuno
sarebbe mai riuscito a fermarlo, che era disordinato e che cucinava
male, ma nessuno avrebbe mai potuto dire che non era bravo a sedurre.
Non era il momento di perdere tempo con i preliminari. Dopo che Michael
si era messo a cavalcioni su Ian e gli aveva fatto un paio di
succhiotti sul collo mentre si strusciava lentamente ma con decisione
su di lui, ci misero meno di un minuto a disfarsi dei vestiti. Non ci
furono altre parole, se non qualche sussurro spezzato che ricordava il
nome dell’altro. Non ci furono nemmeno labbra a contatto con
altre labbra. Ci fu però il calore del corpo di Michael
premuto contro quello di Ian, i gemiti mormorati per il piacere non
trattenuto, Ian che involontariamente graffiò la schiena di
Michael mentre con i talloni lo aiutava a spingere dentro di
sé; ci furono le urla di Michael soffocate
nell’incavo del collo di Ian e labbra tra i denti per
impedirsi di baciare l’altro. Ian –nonostante
ciò che stavano facendo- non riusciva a permettere a Michael
di baciarlo e a Michael andava bene così perché
non riusciva a trovare una ragione per meritarselo. Così
continuarono a fare l’amore con tanta passione da muovere il
letto sotto di loro e sentir rimbombare nelle orecchie il rumore che
faceva quando sbatteva contro la parete. Non potevano dimostrarsi amore
con baci e parole, così lo dimostrarono con la forza, con
l’irruenza, con il posticipare l’orgasmo il
più possibile nonostante entrambi fossero al limite, solo
per farlo durare un po’ di più, solo per il tempo
di un’altra spinta che sapeva di un ‘ti
amo’, e poi un’altra ed un’altra
perché a Michael non sarebbe bastata una vita intera per far
capire ad Ian quanto lo amava ed Ian nemmeno dopo
l’eternità si sarebbe stufato di sentirselo dire.
Michael non rimase abbracciato o accanto a lui una volta venuto.
Ispirò per l’ultima volta il profumo di Ian e si
alzò dal letto. Non si meritava di esser coccolato e
baciato, di sentirsi dire parole dolci all’orecchio o anche
solo abbracciarlo in silenzio, così andò a
prendere dal suo cassetto un paio di boxer puliti e se li
infilò sotto gli occhi di Ian, che rimase sdraiato con il
lenzuolo che gli copriva fino alle ginocchia. Dopodiché si
sedette sulla panca sotto la finestra di camera di Ian e rimase in
silenzio ad osservare le luci di Los Angeles che splendevano insieme
alle stelle, illuminando le vie di quell’immensa e
straordinaria città che lo lasciava ogni volta senza parole.
Los Angeles era la città perfetta in cui vivere se si voleva
scrivere poesie. Ogni angolo di quella città lo ispirava per
un motivo diverso, eppure il panorama che si poteva osservare dalla
casa di Ian era talmente mozzafiato che ogni giorno gli dava un
argomento diverso da trattare nei suoi racconti. Quella notte Michael
aveva voglia di parlare delle stelle. Guardò quelle nel
cielo e si chiese come potessero sembrare così piccole
eppure catturare così tanto l’attenzione.
Realizzò che non era la singola stella ad importare, ma
l’insieme di esse, che facevano sembrare un cielo infinito,
infinitamente bello. Michael aveva perso il conto di tutte le volte che
guardando quelle stelle, da quella stessa posizione, aveva sognato.
Sognato il giorno della sua laurea triennale e, solo più
recentemente, della magistrale; sognato di entrare in una libreria e
trovare un libricino pieno di poesie con il suo nome sopra; sognato di
insegnare la letteratura a dei ragazzi vogliosi come lui di imparare.
Ma più di ogni altra cosa, aveva sognato una vita in cui non
era così spaventato dai cambiamenti, una vita in cui avrebbe
potuto dire ad Ian di sì senza paure, così da
vederlo sorridere sinceramente felice grazie a lui. In quel sogno che
stava vivendo per l’ennesima volta le stelle non erano nel
cielo di LA ma al posto degli occhi di Ian. Avrebbe voluto
così tanto girarsi e perdersi in quella luce talmente
intensa da mandarlo in confusione, invece abbassò la testa
sulla panca e vide uno dei suoi quaderni accanto a sé. Non
era ancora finito, quello, così prese la penna e si mise a
scrivere.
Ian era affascinato. Era affascinato dal modo in cui le spalle di
Michael si contraevano ad ogni piccolo movimento che faceva. Le sue
spalle, dopo le sue dita, erano la parte del corpo di Michael che
preferiva. Quella notte, però, non erano rilassate ed Ian
non riusciva ad immagina che sul volto di Michael ci fosse un sorriso.
Il sorriso era la quarta cosa che preferiva di Michael
–naturalmente prima c’erano gli occhi,
così profondi da perdercisi tanto da riuscire a sfuggire
alla realtà ogni singola volta che li guardava- ed Ian
odiava pensare che non riuscisse a sorridere. La voglia di andare da
lui e massaggiarlo fino a sciogliere ogni tensione lo divorava, ma una
parte di lui che non riusciva a scacciare non gli permise di alzarsi
dal letto, così prese l’album da disegno che aveva
sul comodino e, con la matita che giaceva lì accanto,
iniziò a tracciare qualche segno che piano piano prese la
forma di una panca, poi di una finestra e infine del corpo di Michael
visto da dietro. Non era la prima volta che disegnava Michael, anzi.
Era lui la sua maggiore fonte d’ispirazione. Lo aveva
ritratto mentre scriveva poesie, mentre ne leggeva una, mentre
studiava; di mattina ancora nudo nel letto, aggrovigliato tra lenzuola
e mentre guardava la tv. A volte Michael posava appositamente per lui,
a volte Ian lo ritraeva senza che Michael ne fosse nemmeno consapevole.
Fatto sta che Ian aveva ritratto ogni parte del corpo di Michael e
ritratto lui in ogni situazione possibile di vita quotidiana. Un suo
professore una volta aveva dato inizio ad un progetto. Aveva assegnato
alla classe cinque colori e il loro compito sarebbe stato di portare
ogni settimana un colore diverso, rappresentato in un disegno. Per il
colore rosso Ian aveva ritratto le labbra di Michael, sfumando il resto
del volto. Per il colore verde aveva disegnato i suoi occhi alla luce
del Sole, lasciando tutto in bianco e nero tranne quelli. Per il
bianco, Ian aveva chiesto a Michael di posare per un nudo e, per la
prima volta, aveva ritratto un soggetto durante un atto sessuale. Quel
disegno lo aveva concluso in un lasso di tempo uguale ai minuti che a
Michael servivano per arrivare all’orgasmo e poi riprendersi.
Il disegno che stava facendo in quel momento non era perfetto, non era
ai livelli di quelli che portava a scuola o di quelli che programmava e
studiava per ore, non era fatto con attenzione e con il suo adorato
carboncino, ma con una matita e con la luce di una lampada da comodino.
Però lo aveva aiutato. Ad Ian aiutava sempre disegnare,
aiutava sempre l’arte, in qualsiasi forma. Gli sollevava
l’umore in qualsiasi situazione vedere un dipinto o una
scultura, sentir parlare di un artista o studiare l’arte in
un preciso periodo storico. Ian sperava da quando aveva diciassette
anni di poter aggiungere a quella lista anche il parlare ad altra gente
di arte.
Le stelle ormai si intravedevano appena, notò Michael
alzando il viso dal suo quaderno. Los Angeles era appena arancione in
quel momento ma lui faceva fatica ad osservare il panorama per
più di qualche secondo di fila a causa degli occhi diventati
pesanti. Realizzò che forse era il momento di andare a
dormire, così chiuse il quaderno e lo ripose dove stava
prima, la penna a tenere il segno, e si voltò in tempo per
vedere Ian posare il suo album sul comodino. Avrebbe voluto chiedergli
cosa stesse disegnando, ma non lo fece.
Si infilò di nuovo sotto il lenzuolo ed Ian spense la luce
che avevano acceso prima di levarsi i vestiti. Il più grande
sfiorò la spalla di Ian per vedere la sua reazione, ma lui
non rispose, così seppe che poteva riavvicinarsi. Si
addormentarono con Ian stretto tra le braccia di Michael, ma non con le
mani intrecciate come ogni notte da due anni e dieci mesi a quella
parte.
Ian e Michael si rividero a distanza di due giorni. Nel weekend Michael
aveva avuto i parenti a casa, perciò era riuscito ad andare
da Ian solo la domenica sera. Essendo i suoi parenti particolarmente
noiosi, Michael aveva avuto molto tempo per pensare alla sua relazione
con Ian. Per prima cosa, realizzò che avrebbe voluto
riflettere con l’immensità di LA sotto agli occhi
e invece l’unica cosa che riusciva a vedere da casa sua era
il palazzo grigio di fronte. Avrebbe tanto voluto riflettere davanti
alla finestra della camera di Ian, ma non aveva potuto,
perché quella era camera
di Ian, non camera loro.
Una volta arreso al fatto che il posto migliore per pensare era
sdraiato sul letto osservando il soffitto, Michael
riaffrontò tutta la conversazione del giorno precedente con
Ian e se c’era una cosa che non riusciva proprio a levarsi
dalla mente era l’espressione di Ian quando gli aveva detto
di esser stanco e di andare a dormire. Stanco di cosa? Di stare in
piedi alle tre di notte? Eppure dopo aver fatto l’amore lo
aveva aspettato fino alle cinque per dormire. Stanco di discutere?
Stanco di ripetere sempre le stesse cose? Stanco di aver ragione e
sentirsi invece dire di no? Stanco di ascoltare un rifiuto da parte
dell’uomo che amava? Michael non riusciva nemmeno a pensare
di esser stato la causa di tutta quella stanchezza sul volto di Ian.
Il terzo punto che aveva affrontato era l’immagine di una
vita con Ian. Addormentarsi e svegliarsi ogni giorno nello stesso
letto, mangiare insieme tutte le sere, studiare sapendo che lui era
nell’altra stanza e che lo avrebbe baciato dopo
l’esaurimento dato dalle cinquecento pagine da portare ad un
esame. Michael non riusciva a trovare nulla di negativo in tutto
quello. Certo, stando più tempo assieme avrebbero trovato
più motivi per discutere e litigare; Ian avrebbe tutte le
sere la consapevolezza che Michael non era in grado di cucinare un
piatto decente. Ma Ian amava
cucinare, quindi qual era il problema? Per un attimo pensò
che Ian si sarebbe stufato di sentirlo parlare sempre di poeti e di
letteratura, eppure Ian si era innamorato di lui sentendolo ripetere
gli argomenti di un esame ad un suo compagno di corso prima di un orale
e spesso gli chiedeva se poteva recitargli una poesia scritta da lui,
quindi perché preoccuparsi? In ogni caso, non è
che non sapeva controllarsi, era abbastanza maturo da riuscire a
parlare anche di altro.
Di cos’è, esattamente, che aveva paura? Che la
relazione si facesse troppo seria? Era
già seria.
Solo in quel momento era diventato consapevole del fatto
che stava giocando con un anello. Ne aveva quattro in totale, eppure
mentre pensava a tutto quello, si girava, sfilava e rinfilava solo
quello all’anulare destro. Realizzò quale anello
era quello da cui non riusciva a togliere le mani pensando ad Ian e
capì senza altri dubbi che era il momento di crescere. Per
se stesso, per Ian e per la loro relazione.
Ian non era ad aspettarlo sull’uscio come al solito quando
Michael arrivò ma –anche se non riusciva a capire
esattamente perché- era già ansioso per quello
che avrebbe detto ad Ian, non aveva bisogno di farsi altre paranoie.
Entrò in casa e vide che in sala non c’era nessuno
nonostante la luce fosse accesa. Si diresse allora in camera da letto,
ma era vuota anche quella. Quindi si avviò in cucina,
nonostante non ci fossero luci accese. O almeno, non ci furono fino al
momento in cui Michael oltrepassò l’entrata. Fu in
quel momento che Ian accese le quattro candele presenti sul tavolo
apparecchiato per due e la cucina prese luce. La tovaglia che Ian aveva
scelto era quella rossa che usavano solo per le occasioni importanti e
vide che Ian indossava una camicia azzurra su dei jeans scuri. I
capelli erano scompigliati come al solito, ma Michael li amava
follemente così. Ian sorrise mentre si avvicinò a
Michael e gli prese le mani tra le sue. Solo in quell’attimo
Michael riuscì a chiudere la bocca che aveva
involontariamente socchiuso vedendo tutto ciò che Ian aveva
preparato e guardarlo negli occhi.
«Non ti sei scordato nessuna data importante»
iniziò Ian, facendo ridere Michael e lasciandosi andare
anche lui ad una risatina. «Volevo solo chiederti
scusa.» Michael fece per aprire bocca ma Ian lo
zittì. «Fammi dire questa cosa, per favore. Lo so
che ti ho pressato molto ultimamente perché vivere insieme
è qualcosa che volevo davvero, davvero fare.
Però mi sono reso conto che non è ciò
che vuoi tu. Ho realizzato che non posso- che non voglio costringerti
a fare qualcosa che non vuoi fare, soprattutto qualcosa di
così importante. Quindi va bene così, Michael,
dico sul serio. Infondo l’ho detto anche io, praticamente
già viviamo insieme. Se dovesse servire a farti restare, me
lo farò bastare. Ho detto l’altro giorno che in
una relazione si devono fare dei sacrifici, ma li ho pretesi solo da
te. Quindi ti prometto che non riaprirò più
l’argomento fino a quando non sarai pronto anche
tu.»
Michael non riusciva a smettere di sorridere. Sapeva quanto Ian ci
tenesse a vivere insieme e decidere di poterne fare a meno solo
perché non era la stessa cosa che voleva Michael aveva
dimostrato a quest’ultimo ancora di più quando Ian
fosse l’uomo giusto per lui. «Ti amo,
Ian.» Il più giovane si sporse per baciarlo, ma
Michael continuò a parlare. «Ora è il
mio turno.» Disintrecciò la mano destra da quella
di Ian sotto il suo sguardo confuso e si sfilò
l’anello. Vedendo l’espressione di Ian
scoppiò a ridere. «Non ti sto chiedendo di
sposarmi, stai tranquillo.» Allora risero entrambi e wow,
ridere aiutava davvero Michael ad allentare la tensione. O forse era il
ridere con Ian, forse erano i suoi occhi così azzurri e
intensi da dargli sicurezza, forse era il suo stringergli la mano come
se non l’avrebbe mai lasciata. Forse era Ian e basta.
«Sai che anello è questo?» Ian
annuì, perché Michael glielo aveva raccontato,
gli aveva raccontato la storia di ognuno di essi, ma quella volta aveva
bisogno di ripeterla. «Ho comprato questo anello la mattina
del mio primo giorno di università. Ero così nervoso
quel giorno. Da lì sarebbe cambiato tutto. Sarebbe cambiata
la mia vita, completamente, e ne ero davvero intimidito. Eppure
camminando verso l’università ho visto questo
anello su una bancarella e l’ho voluto comprare. E’
stato come se mi avesse chiamato, come se mi avesse detto che ci
sarebbe stato lui a farmi da àncora da quel momento in
poi. Molta gente quando ha una svolta nella propria vita si
tatua, io compro anelli. Ho comprato un anello anche quando ci siamo
fidanzati io e te, quando è nato mio fratello e quando mi
sono laureato. Questa volta però la mia vita avrà
un cambiamento che non voglio vedere egoisticamente, poiché
non è la mia
vita che cambierà, ma la nostra, ed io come
prima cosa vorrei dare, non ricevere.» Ian era ancora
spaesato da quel discorso, ma anche positivamente sbalordito dalle
parole del suo fidanzato e rimase in silenzio attendendo che Michael
continuasse. «Quindi, Ian Somerhalder, accetteresti questo
anello, come simbolo della nostra convivenza?»
Ian aprì e richiuse le labbra un paio di volte mentre lo
guardava con sguardo sorpreso. «Dici sul serio? Lo vuoi
veramente?»
Michael aveva ripreso a sorridere, ancora una volta meravigliato da
quell’uomo. «Si, Ian, dico sul serio. Voglio
questo, voglio vivere con te, addormentarmi con te ogni notte e
svegliarmi accanto a te ogni mattina. Voglio poterti baciare ogni volta
che ne ho voglia e non essere limitato dalla distanza. Voglio te, ogni
giorno della mia vita, con me.»
Allora Ian sorrise a sua volta, porgendogli la mano destra. Michael
infilò l’anello dove lo teneva sempre lui,
all’anulare destro e venne poi stretto in un abbraccio.
«Ti amo, Michael.»
Michael abbassò la testa per affondare il viso nella spalla
di Ian. «Ti amo anch’io»
mormorò, prima di posare le labbra sulle sue.
A completare il trasloco ci avrebbero pensato il giorno dopo, decisero.
Quella sera si godettero la squisita cena che aveva preparato Ian e poi
optarono per un film che però non finirono di vedere
perché a mezz’ora dalla fine Ian era tra le
braccia di Michael mentre quest’ultimo lo portava in camera,
nella loro camera, senza smettere di baciarlo. Anche quella sera
restarono a vedere l’alba, ma solo perché fecero
l’amore due volte e arrivati alle due e mezza di notte erano
entrambi troppo felici per dormire, così Ian prese una
bottiglia di champagne e sorseggiarono lo spumante sulla panca,
guardando, uno tra le braccia dell’altro, le stelle brillare
su Los Angeles e poi il Sole nascere. Michael lesse ad Ian la poesia
che aveva scritto il venerdì sera ed Ian gli fece vedere il
suo disegno. Lo firmò con un ‘I love you.
–Ian’ e glielo porse con un bacio. Il
giorno dopo avrebbero entrambi avuto corsi
all’università, ma in quel momento niente sembrava
importante come la loro relazione.
Andarono a dormire verso le cinque e mezza, Ian tra le braccia di
Michael e le loro mani intrecciate.
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