Farce

di Zeranzo
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Camminava per le terre d’Alichin, il vagabondo senza meta. Il cuor inquieto lo portava a muoversi di città in città, senza sosta, per l’eternità (o un secondo). Dunque arrivò davanti a un gigantesco locale chiamato Àteicos… oppure Itav… boh, è uguale. Tanto, un luogo vale l’altro, nell’immensità del cosmo. Basta anche davanti allo specchio. Divago, vero?
Dicevo: arrivò davanti a questo enorme portone. Era placcato d’oro, ma immenso, tale che non si vedevano i bordi. Davanti a essa stavano due servitori, vestiti in maschera, di quelle lugubri che fanno paura solamente a guardarle. Si avvicinarono a quello, con passi veloci. Attaccarono bottone, parlando alternativamente.
“Prego, da questa parte. Ma la maschera è necessaria… deve lasciare la faccia qua.”
“Mi scusi?”
“Le ho detto che, per entrare, deve entrare di qua…”
“Lo vedo… ma io non voglio entrare.”
“Lei deve entrare qua.”
“Perché?”
“di sì.”
“Ma io non voglio entrare! Perché dovrei?”
“Da tempo lui ha stabilito questa cosa”
“Chi?”
“Ma come? Lui!”
“Bah…”
“Insomma, lei deve entrare qui… ma non può portare la faccia. Solo maschere.”
“Perché?”
“Eh’”
“Perché devo portare la maschera?”
“Ovvio”
“Ovvio cosa?”
“è ovvia la risposta”
“A me no, a quanto pare”
“Ti verrà spiegata dentro. Su, togliti la faccia.”
“Ma non ho maschere io!”
“Te la diamo noi… tieni”
“ma non voglio!”
“Prendiamolo, su!”
Fu così che lo trascinarono dentro la porta, aprendolo… smise di vagare e si stabilì lì. O forse scappò. O forse lottò. Cosa mi importa? Tanto è sempre uguale la farsa.
Ah, e voi, dove avete la faccia?




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