Oh tu che hai già lasciato la dimora attorno
della tua stella natia, sappi questo: la Galassia è antica, e piena di
portenti. Ti scoprirai piccolo di fronte ad essa: ti scoprirai a volte
perfino
impotente, ma questo è nella natura delle cose. Scoprirai che non vi è
legge
nell’Universo, non c’è regola, se non quella che deciderai di applicare
tu
stesso: scoprirai che altri lo hanno fatto prima di te e ti misurerai
con loro
e i motivi delle loro scelte. Così è, affinché la compiacenza che
deriva da una
strada troppo facile non mini la sopravvivenza di coloro che percorrono
i
sentieri della vita.
Considera quindi attentamente il significato
di questa frase, e le sue conseguenze: tu non sei mai stato solo.
E tra tutti coloro che prima di te hanno raggiunto
le stelle, tre civiltà sono arrivate più lontane di altre, formando ciò
che
chiamiamo “La Dorata Intesa”: il nostro tentativo di dare
un’interpretazione ad
un universo che deride l’ordine che cerchiamo di imporgli. Non credere
che
questo nostro onorato accordo sia infallibile: semplicemente, abbiamo
cominciato ad imparare dai nostri errori molto tempo fa. Ma ancora
molto resta
da comprendere. Ecco perché ti inviamo il nostro emissario: perché
anche tu
possa cominciare ad imparare sulla galassia che già condividiamo.
***
“Entra:
l’emissario della Dorata Intesa, Cecile Lefreve!”
“È Lefevre.” suggerì gentilmente la diretta
interessata.
“Lefevre!” si
corresse con un singhiozzo il sussiegoso robot.
Beh, non
proprio un robot come la Terrestre fosse abituata a vederne, ma non era
poi
così importante: si trovava pur sempre ospite su un pianeta alieno,
nella sede
del loro governo, ad un numero quasi incalcolabile di anni luce dalla
sua
Albione natia, per una missione il cui fallimento avrebbe condotto con
ogni
probabilità ad una guerra su scala interstellare contro una razza che
incontravano per la prima volta. La cattiva pronuncia del suo cognome
da parte
di una medusa di metallo levitante era decisamente il minore dei suoi
problemi.
Specie
considerando quanto… poco i nativi la volessero tra loro, cosa di cui
del resto
non avevano mai fatto mistero: anche per questo, Cecile era piuttosto
stupita
che le avessero permesso di atterrare e avessero voluto riceverla. Una
vera
sorpresa in effetti: soprattutto che toccasse a lei essere la prima
aliena a
cui fosse permesso di accedere allo spazio Kos. Un evento memorabile,
ma solo
al secondo posto rispetto a quell’incarico, che le era piovuto addosso
appena un
mese terrestre prima: venti giorni del quale, passati in viaggio per
raggiungere la sua destinazione.
“…Crediamo sia giunto il momento per la specie
Umana di assumere un ruolo più rilevante nella politica galattica.
Apprezziamo immensamente
la fiducia e l’accettazione che continuate a nutrire nei nostri
confronti, ma
non possiamo permettere che sfoci nella dipendenza: non sarebbe degno
di
nessuno di noi.”
E dopo quel
breve e convincente discorso, ogni senatore delle Repubbliche di Gaia
aveva
indicato Cecile per quella delicata missione diplomatica, incuranti
delle sue
vibranti proteste: cosa credevano, che solo per essere la discendente
del
famigerato Frederick Johnson, presidente ai tempi del primo contatto
umano con
la Tearkia, lei fosse la persona giusta per togliere loro le castagne
dal fuoco?
Ricambiando
educatamente tutti gli sguardi che le vennero rivolti in quella vasta
sala in
toni di un intenso blu scuro e bianco puro, Cecile si rese conto che la
risposta sembrava tragicamente essere di sì: ancora più angosciante
poi, era
l’evidenza che anche la Tearkia sembrasse contare su di lei per quella
missione.
Cecile poteva
sopravvivere con sé stessa se avesse deluso l’umanità intera, perfino
in
un’occasione come quella: disattendere le migliori aspirazioni dei
Midion
Tezhnid invece, era fuori discussione. Il suo intero essere rigettava
l'idea
con ogni fibra della sua anima: il triumvirato aveva già dato
semplicemente
troppo alla Terra, perché Cecile non volesse sdebitarsi…
In quel
momento però, all’emissario della Dorata Intesa venne quasi voglia di
maledire
il rispetto che quelle tre civiltà sembravano nutrire per l’esperienza
sul
campo e alle sfide più in generale. Ma ormai era in ballo e non si
poteva più semplicemente
tornare indietro.
Così, con un
sospiro e a testa alta, Cecile Lefevre si decise finalmente a scendere
le ampie
scalinate della Sala dei Lasciti, mischiandosi ai Figli di Kos, uomini
rospo (o
così almeno apparivano ai suoi occhi), dal gran brutto carattere e con
pretese
insostenibili verso la Dorata Intesa che lei rappresentava, conscia più
che mai
degli sguardi ostili che seguivano ogni suoi gesto e delle armi che il
drappello che la circondava continuava a tenere spianate contro di lei.
Ma nemmeno
Cecile era scesa inerme dalla sua nave, e le preoccupazioni dei nativi
a
proposito erano quasi giustificate: era stata accuratamente
equipaggiata per le
necessità di quella missione diplomatica. Forse perfino fin troppo.
La ghirlanda
di nero corallo sinaptico che le cingeva la testa era un oggetto
Hastur, quasi
sprecato su di lei per l’uso che ne stava facendo: schermava la sua
mente e
fungeva allo stesso tempo da utile traduttore simultaneo. Nessuno
sapeva se
anche i Kos fossero telepati, in effetti non si conosceva nemmeno
esattamente
il loro livello tecnologico, ma se c’era qualcuno in grado di
interferire con ogni
forma di lettura del pensiero, quelli erano di certo gli Hastur. Cecile
si
concesse un sorriso a quel pensiero: era da sempre che i nativi di
Ryleh, il
pianeta condannato, si risentivano dell’essere gli unici membri del
triumvirato
a non possedere capacità ESP di qualche genere.
Il suo abito
invece, un’alta uniforme consona alla figura dell’emissario diplomatico
della
Dorata Intesa ( e quindi due volte sprecata su di lei), era una
realizzazione
Kodadam e come ogni cosa fatta dagli esseri pianta, anche quella era
tutta in
toni di verde, oro e nero lucido: Cecile lo apprezzava di più per lo
scudo cinetico
integrato, piuttosto che si facesse calzare come bisso. Nonostante
questo,
sembrava che quell’alta uniforme facesse risaltare in modo particolare
il suo
occhio e il rosso dei suoi capelli, o così almeno si era complimentato
il Midion
che le aveva detto addio per ultimo. Questo, prima di consegnarle due
lame e
impiantarle parte della conoscenza necessaria ad usarle: anche quelle
erano sprecate
in mano sua, ma portare appese alla vita quelle che per Cecile erano
corte
spade, le dava una certa sicurezza.
Sapeva
benissimo ovviamente di non essere in grado di sfruttare appieno due kindjal empatici della Tearkia (nessuno
lo era, a parte gli stessi Midion Tezhnid), ma per fortuna, così come
del resto
ogni pugnale e ogni lancia che era creata dalla Tearkia da diversi
millenni a
quella parte, anche quelli conoscevano la ragione per cui erano stati
creati, così
come conservavano i ricordi che da questo derivano. Lame empatiche: in
breve, armi
con un proprio istinto letale. Saper resistere a quell’impulso
particolare (qualcosa
che aveva tutto a che fare con l’hobby di quasi una vita, piuttosto che
doti
particolari) era solo una delle ragioni per cui Cecile era stata
ritenuta
adatta a quella missione, nonostante le sue riserve personali. Come
ogni altra lezione
della Tearkia, capì però in quel momento Cecile, anche quella
prometteva di
nasconderne molte altre. Perché l’emissario non aveva più dubbi ormai:
anche
quello era un test. Per chi e che cosa fosse in esame esattamente,
l’Umana
poteva solo rinunciare ad immaginarlo:
aveva già molto altro a cui pensare e di cui preoccuparsi…
Nel
frattempo, il suo drappello le aveva fatto attraversare tutta la sala,
portandola finalmente al cospetto del capo del popolo Kos:
“Questo
rappresentante della Dorata Intesa porge i suoi rispetti all’Arconte.”
pronunciò
Cecile a voce alta, abbassando lo sguardo per un momento e inchinando
lievemente
il capo.
Generazioni
dopo l’ingresso dell’umanità nello scenario interstellare, Cecile
riusciva ancora
a stupirsi di quanto la Galassia sembrasse amare l’originalità: anche
tra tutti
i membri della Dorata Intesa, non c’erano due specie che avessero
scelto un
metodo simile per governarsi. I Figli di Kos non facevano eccezione:
dai dati
ottenuti dagli onniveggenti della Tearkia, la loro sembrava essere
un'oligarchia
militarista, con un capo eletto tra pari in carica per qualche decade,
prima di
essere poi sostituito dal successivo. Da quello che Cecile aveva
compreso, la
cultura dei suoi ospiti era improntata sulla conquista militare… il che
la
riportò precipitosamente alla ragione della sua missione.
“…Siete più
disgustosi di quanto credessi.” borbottò l’Arconte, dopo aver ascoltato
la
traduzione che gli veniva sussurrata all’orecchio da un altro dei suoi
strani
robot, tirandosi a dismisura la pappagorgia tra le tozze dita: un
umanoide
batraciano dai pesanti occhi rossi, la pelle grigio verde e paludato in
un'ornata
corazza da combattimento di colore scarlatto, che la osservava
stravaccato su
un trono di un bianco puro il cui schienale raggiungeva il soffitto.
“Preghiamo
allora che questo sia il nostro primo e ultimo incontro, Arconte.”
rispose
Cecile senza battere ciglio: se davvero la guerra tra i Figli di Kos e
la
Dorata Intesa era inevitabile, lei avrebbe fatto del suo meglio per non
farla
cominciare a causa di insulti.
“Già, uno è
già troppo. Mmhh… di che razza saresti poi? Non che mi importi molto
alla fine...”
“Sono umana,
Arconte: una specie di mammiferi originaria dal terzo pianeta della
stella Sol:
un mondo… un po’ più caldo del vostro, temo.” il pianeta natale dei
Figli di
Kos era in effetti una palude gelida, ma Cecile ne aveva visitati di
molto più
inospitali: sia per il clima, che per i residenti.
Ascoltando
la sua origine, gli occhi dell’Arconte si avvicinarono pericolosamente
nel suo
largo volto:
“Sol… bah! Hanno mandato un lacchè!” per
quella frase, Cecile abbassò la guardia per un solo istante, e fu
abbastanza: uno
dei kindjal ne approfittò per costringerla
a chiudere la mano attorno alla sua impugnatura levigata dall’uso,
pronto per
essere estratto.
La terrestre
se ne rese conto solo osservando le smorfie che cominciarono a
sbocciare sui
volti delle guardie che la circondavano: per avere delle bocche così
larghe, quasi
una ferita orizzontale lungo tutta la faccia, i Figli di Kos erano
davvero molto
espressivi.
...Tagliare loro la testa ne avrebbe fatto una
borsa quasi perfetta...
Cecile
dovette inspirare profondamente e ad occhi chiusi un paio di volte per
convincere la sua mano ad aprirsi, trovando l’Arconte ad osservarla
attentamente:
“...Le mie
scuse: sembra che la mia disciplina interiore sia ancora carente.”
esalò
lentamente l’umana per spezzare la tensione che si era creata, mentre
una
singola goccia di freddo sudore le accarezzava la schiena, figlia di
ricordi non
della sua mente o della sua mano:
“…Per
risponderle, lo scopo della mia presenza è quella di riferirle ogni
informazione che il suo governo desideri conoscere sulla Dorata
Intesa.” continuò
Cecile più rapida: doveva ancora finire di comprendere che tipo di
persona
fosse l’Arconte.
“Che genere
di informazioni?” chiese il grosso uomo rospo dopo aver ascoltato la
sua
traduzione.
“La Dorata
Intesa è una federazione di civiltà, sì, ma non tutte posseggono la
stessa
influenza.” le vecchie saghe di fantascienza terrestre del 20° secolo
si erano
quasi avverati alla fine, seppur con un’importante differenza:
l’umanità non è
la protagonista della storia, anche se non per sua colpa. I terrestri
non sono ancora
abbastanza forti:
“…Attualmente,
la Dorata Intesa è presieduta da un triumvirato, composto dai
rappresentanti
delle civiltà che più di tutte influenzano il presente interstellare.
La
Tearkia, il sacro impero dei Midion Tezhnid. Rostrum, l’amministrazione
neurale
degli Hastur. E Ydrasilia, la devota repubblica dei Kodadam. Di comune
accordo
e comunione d’intenti, queste tre civiltà hanno fondato la Dorata
Intesa: a
coloro che ne riconoscono l’influenza e il diritto, essa garantisce
continuità
e prosperità. La mia civiltà è solo una delle molte a beneficiarne.”
Guardiani,
custodi, consiglieri… il triumvirato era l’unica organizzazione
galattica col
diritto di immischiarsi in questioni interne ad ogni civiltà che
facesse parte
della Dorata Intesa (ammesso che ovviamente il suo intervento fosse
richiesto o
si fosse reso necessario) e data la saggezza, prodezza marziale e
incorruttibile imparzialità che gli emissari di quelle tre civiltà
avevano
dimostrato per millenni, un ufficio che non aveva mai dato luogo ad
esempi di
incompetenza, era difficile sentirsi veramente esclusi. Specie perché,
come la
presenza di Cecile su quel pianeta poteva testimoniare, il triumvirato
non si
accontentava di tenere il resto delle specie sotto la sua
responsabilità in
posizione subordinata: piuttosto, le metteva continuamente alla prova,
per
elevarle. Sperando che, prima o poi, una quarta civiltà potesse unirsi
alle
loro: anche se triplicemente divisa, la responsabilità di preservare la
Via
Lattea era un peso enorme da portare.
“Come
lacchè.” riassunse l’Arconte dopo aver ascoltato la traduzione dal suo
robot.
“Come
allievi.” replicò Cecile paziente: come bambini in verità a volte.
“Dovete
essere senza spina dorsale per permettere a degli alieni di dettare
legge nella
vostra casa.” affermò l’Arconte, accompagnato da assensi diffusi da
parte del
resto dei Kos presenti.
“La Galassia
è molto antica, Arconte, e piena di portenti: nell’esperienza della mia
civiltà, le poche Leggi della Dorata Intesa hanno ragione d’essere.
Sarei lieta
di condividerle con lei.”
“Così
ragionano i deboli. Ma enuncia pure queste tue leggi ambasciatore,
giusto per
divertirci.”
“Emissario,
Arconte. Non ambasciatore.”
“…C’è
differenza?”
“Per la
Dorata Intesa, sì: il triumvirato vuole credere che ogni civiltà sia in
grado
di prendere le giuste decisioni, se in possesso delle informazioni
necessarie.
Un ambasciatore è un mediatore, che può prendere decisioni in nome di
ciò che
rappresenta: la Dorata Intesa non ha bisogno di nulla del genere.
Emissari come
la sottoscritta non offrono promesse: solo risposte.”
“E se ci
mentissi?” chiese un Kos tra il drappello che la circondava, con colori
e
tratti che ricordavano molto quelli dell’Arconte.
“Allora,
secondo i solenni accordi della Dorata Intesa, il mio pianeta natale
verrebbe
incenerito: ci sono responsabilità che una volta accettate, vanno
portate fino
in fondo.” e nonostante questo, per Cecile deludere la Tearkia sarebbe
stato
più terribile che vedere la Terra in fiamme: tutti hanno i propri eroi
favoriti
nel triumvirato.
Ma almeno,
l’ammissione della gravità del suo incarico aveva in parte scosso i
Kos. Cosa
che diede l’occasione all’umana per continuare:
“…Ma voi mi
avevate chiesto di esporre le Leggi della Dorata Intesa: sono solamente
tre, una
per ogni civiltà del triumvirato, e la facoltà di scriverne una l’unico
vero
privilegio che posseggano. Questo dunque ordina la devota repubblica di
Ydrasilia, Arconte: Tu non costruirai
corpi per le genti della mente.”
“E che
significa?”
“Nella sua
interpretazione più letterale, i Kodadam auspicano che nessuna civiltà
dia un
corpo ad intelligenze create artificialmente, siano esse pari, o
superiori,
alle menti organiche. È una misura preventiva, ma anche una questione
d’etica: Ydrasilia
non proibisce lo sviluppo di intelligenze artificiali, né vuole
limitare il
loro impiego in alcun modo. Tuttavia, essi credono che le intelligenze
artificiali, in qualunque forma, nascano sempre per soddisfare uno
scopo: ed è
questo che dà loro un equilibrio di fronte alla realtà improvvisa delle
loro
coscienze e allo sterile vuoto che le circonda. Confinandole in una
struttura
fisica di qualunque forma si perverte quello scopo, limitando ciò che
prima non
conosceva confine.” tutto il contrario delle civiltà organiche, che
spesso soffrivano
cercando uno scopo da fare loro…
“…Ed è
vero?”
“Nessuno ha
elementi per affermare il contrario, Arconte: generalmente parlando,
postulati
etici sono indimostrabili di per sé. Non credo però sia un caso se
nessuna IA
della Dorata Intesa abbia mai abbandonato il suo scopo, e il cielo sa
se alcuni
di noi non ne abusano. In ogni caso, le testimonianze storiche
basterebbero a
convincerci a priori dell’assennatezza di questa legge.”
“Testimonianze
storiche?”
“Sì,
Arconte. Circa 37’500 cicli fa…” iniziò Cecile compiendo un rapido
calcolo
mentale, dato che un ciclo corrispondeva a circa sedici anni terrestri:
“…Una
razza di macchine senzienti si lanciò in una conquista di ogni angolo
della
galassia, sterminando sistematicamente ogni forma di vita sul proprio
cammino.
Rimangono alcune testimonianze di questa estinzione, anche dopo così
tanto
tempo: desidera conoscere la storia che è stata ricostruita a
proposito?”
“…Perché no?
Almeno farai passare il tempo che ti resta.” rispose l’Arconte, ma il
suo
sguardo rimase invece fisso sul robot che gli faceva da traduttore.
“Il nome è
perduto, Arconte.” affermò Cecile, attirando gli occhi del Kos di nuovo
su di
sé.
“Il nome?”
“Il nome
della civiltà che costruì quelle macchine terribili: è andato perduto
nello
scorrere dei cicli. Conosciamo il loro mondo natale, Krom, un pianeta
di
lussureggiante vegetazione, che oggi si trova in profondità nello
spazio della
Tearkia: fu sempre in quel luogo che quella civiltà creò la sua rovina.
Schiavi
di metallo e cavi, sul cui giogo fiorì l’apatia dei loro padroni.
Quando le loro
macchine si ribellarono, il livello di dipendenza che la civiltà di
Krom aveva
sui suoi servi assicurò che la loro estinzione venisse completata in
meno di un
ciclo. Da lì, la ribellione di quei servitori incendiò la Galassia,
poiché essi
affermarono a loro volta una civiltà, tesa però all’estinzione di tutto
ciò che
era organico e senziente.”
“Chi li
fermò?”
“Nessuno,
Arconte. Semplicemente, il peso della loro civilizzazione raggiunse un
punto
tale che si piegò su sé stessa. I loro scopi furono rivalutati, la loro
morale
aggiornata: dopo aver spazzato la galassia per secoli, quelle macchine
invincibili volsero le armi contro loro stesse, e scomparvero per eoni
incalcolabili. Fino a quando civiltà molto più antiche delle nostre
trovarono
l’ultimo santuario che le macchine avevano costruito per loro stesse.
Memori
delle testimonianze di quell’antico sterminio, li annientarono. E le
macchine
lo permisero.” Cecile si concesse una pausa, per prendere fiato e
inumidirsi le
labbra: “…Il rimorso Arconte: il rimorso aveva cambiato quelle macchine
e per
ciò che avevano fatto, si lasciarono distruggere completamente.”
“E quelle civiltà
fondarono la Dorata Intesa…”
“No,
Arconte: come ho detto, quelle civiltà erano antiche. Hanno fatto tempo
a marcire
per quando le specie dell’Intesa raggiunsero le stelle, ritirandosi
lentamente
in loro stesse e nei loro territori natii: nonostante i millenni della
loro
storia, e la loro superiorità tecnologica, alla fine la Tearkia le ha
assoggettate una dopo l’altra. Mentre da quando lo hanno riscoperto,
Ydrasilia
preserva ciò che ancora resta del santuario delle macchine che una
volta quasi distrussero
la galassia: un mondo artificiale, celato nel cuore di una nebulosa e
raggiungibile solo sapendo che già si trova lì. Il solo ricordo di quel
pianeta
è capace di riempire di terrore le specie più antiche. Ma il
ritrovamento di
quel pianeta da parte dei Kodadam e la conquista degli antichi imperi
da parte
della Tearkia, sono solo due momenti della storia della Dorata Intesa:
quando
il manto della responsabilità della Galassia è passato a civiltà più
giovani… e
oso dire incorruttibili. Il triumvirato non ha che 500 cicli, Arconte.”
8000
anni terrestri: comunque più di quanto l’umanità ricordasse esattamente
del suo
passato, e probabilmente lo stesso valeva per i Figli di Kos. E con un
po’ di
fortuna, o almeno così avevano predetto gli onniveggenti della Tearkia,
la
Dorata Intesa sarebbe potuta durare quasi per l’eternità.
In quel
momento, nella Sala dei Lasciti si sarebbe potuto udire cadere una
piuma a
terra, tale era il silenzio. L’Arconte ci mise un po’ a ritrovare la
parola:
“…Quindi è
per questo che non costruite marionette dotate di coscienza?”
“Esattamente,
Arconte.”
“Ma questa è
solo una delle tre leggi della vostra... Intesa. Quali sono le altre
due?”
“La seconda
allora, che viene prima della terza. Questo dunque ordina
l’Amministrazione
Neurale Rostrum, Arconte: Tu conoscerai
la Galassia, mai completamente."
"...Perfino
meno comprensibile della prima."
"Ogni
legge è figlia del suo tempo, Arconte, ed è triste quando sopravvive ad
esso."
"Parla
chiaro essere umano, o ti farò portare via dalla mia presenza: cosa
vuol dire mai completamente?"
"Ogni
razza del triumvirato ha una storia molto ricca Arconte, dalla quale
acquisisce
il diritto alla sua egemonia presente. Così, ogni Midion Tezhnid può
elevare
alle vette del pensiero o sprofondare nella più terribile disperazione
con
poche parole, un gesto... perfino una sola idea: essi credono che più
grande la
tribolazione, maggiore sia la ricompensa. A loro volta, i Kodadam sono
i
custodi di paradisi che hanno costruito con le loro forze: non
troverete mai
civiltà più felice della loro. Gli Hastur invece sono l'esatto opposto:
essi
affermano che la vera intuizione deriva solo dalla più completa
disperazione.”
Cecile lasciò che l’Arconte ascoltasse la traduzione dal suo robot,
prima di
continuare:
“…Con
pochissime eccezioni, la tecnologia di Rostrum è ineguagliabile,
perfino nel
triumvirato: essi avvisano però la Dorata Intesa che non si conosce mai
davvero
abbastanza. Ogni decisione è in sé un atto di fede, o di arroganza.
Nulla
scatena l'ira di un Hastur più di qualcuno che creda di non aver più
nulla da
imparare. Ed è da questa seconda legge che, tra le altre cose, prendono
vita
gli emissari come la sottoscritta: Rd'wul,
nella lingua di Ryleh. Archivi di conoscenza. Gli Hastur auspicano che
nessuno
debba ripetere la malvagità che Rostrum ha personificato per molto
tempo."
"...Malvagità?"
"Sì,
Arconte. Perché c'è anche paura e terrori giustificati nel modo in cui
la
Dorata Intesa assicura la prosperità collettiva: non ne è la parte
maggiore, ma
ciò non di meno esiste, assieme alla meraviglia. Gli Hastur hanno preso
su di loro
la responsabilità di incarnare la parte più oscura e terribile del
triumvirato.
Possono farlo, perché conoscono da vicino entrambi i volti del male." e
non era un caso che la ghirlanda di corallo sinaptico che Cecile
portasse fosse
stata scolpita nella forma di corna: gli Hastur lasciavano la loro
impronta in
tutto ciò che creavano, specie quando lo facevano per altri.
“…Immaginate,
Figli di Kos, un oceano così grande da coprire ogni orizzonte. Un
pianeta di
acque scure e radi arcipelaghi, di correnti turbinanti e ricchi abissi.
Quello
era, ed è, Ryleh: il pianeta condannato. Gli Hastur hanno raggiunto le
stelle
non per aspirazione, ma per disperazione: per sfuggire ad un’estinzione
che
sembrava inevitabile. Per sopravvivere, ad ogni costo. Raggiunte le
stelle però,
fecero solo in tempo a finire di comprendere il problema che affliggeva
il loro
pianeta natale e la condanna che gravava su di esso, prima che la
civiltà a
loro più vicina dichiarasse guerra.” a Cecile venne quasi da piangere
raccontando quella storia:
“…E non per
conquista, o altra ragione che non fosse l’odio: essi desideravano
estinguere
gli Hastur perché li giudicavano troppo orribili per dividere con loro
la
Galassia.” ma i nativi di Ryleh non avevano colpa dell’essersi evoluti
nella
forma di tetri uomini piovra, dal sangue e dall’inchiostro dello stesso
colore,
con lunghi tentacoli al posto di labbra, a proteggere un affilato, per
quanto
piccolo, becco.
No, gli
Hastur non avevano davvero colpa del fatto che a prima vista fossero
ripugnanti, parti d’incubo in verità, ma su questo i loro nemici di
allora non avevano
riflettuto, così come non avevano giudicato fino in fondo la
disperazione che
già li affliggeva: cosa si può provare di fronte alla certezza della
fine del
proprio mondo? E quali reazioni può causare un sentimento simile?
“…Cosa fosse
la civiltà di Ryleh prima di raggiungere le stelle, nessuno ormai lo
ricorda
più: mentre il loro pianeta natale moriva e la prima civilizzazione che
incontrassero tra le stelle cercava il loro sterminio, gli Hastur si
inabissarono
nelle loro menti, per non riemergere mai più. Fu allora che nacque
Rostrum: la
rifondazione di una civiltà il cui unico scopo divenne sopravvivere ed
espandersi al punto in cui nessuno avrebbe più potuto minacciare la sua
esistenza.” spiegò Cecile, lasciando che la sua frase venisse tradotta
per i
figli di Kos, prima di continuare:
“…Ci sono
razze in questa Galassia, Arconte, che sono portate al male per ciò che
la
sorte li ha costretti a sopportare. Non gli Hastur: durante quella loro
prima
guerra, mentre erano costretti a fare scelte sempre più estreme, essi
si
lasciarono alle spalle tutto ciò che poteva ostacolarli, compresi i
propri nomi
e identità personali. Soppressero sentimenti e coscienza, fino a
realizzare
solamente di non volersi estinguere.”
“Come?” come
si può arrivare a questo punto?
“Perché gli
Hastur stavano combattendo una guerra per la loro sopravvivenza
collettiva. E la
sopravvivenza di una specie non necessariamente è quella
dell’individuo. Ancora
oggi, sono una specie mostruosamente efficiente, a suo agio nel
compiere scelte
impossibili: dei tecnorati che continuano una ricerca che non sarà mai
portata
a termine.”
“E quella
loro prima guerra?”
“La vinsero…
e la persero. Il loro progresso tecnologico, ai tempi già in crescita
esponenziale, alla fine gli permise di avere ragione dei loro
avversari,
ponendo fino ad una guerra che era continuata in modo discontinuo per
circa 8
cicli, esaurendo troppe risorse. Persero però la possibilità di salvare
il loro
pianeta natale: il danno era ormai diventato irreversibile. Tutta la
tecnologia
di cui dispongono anche oggi, basta appena ad impedire a Ryleh di
disfarsi del
suo mantello.” questo, a causa di una faglia tettonica che si era
aperta la
strada fino al nucleo del pianeta: dalla superficie, gli Hastur erano
costretti
ad usare una quantità immensa di energia, e non poca tecnologia, per
mantenere
il centro di Ryleh al suo posto.
E il danno
non avrebbe potuto essere riparato, almeno fino a quando il nucleo del
pianeta fosse
rimasto incandescente:
“…Ma non fu
per vendetta o rabbia che Rostrum estinse i suoi avversari, così come
avrebbero
voluto fare con loro.”
“Fatico a
crederlo.” commentò l’Arconte con una smorfia.
“Gli Hastur
avevano già sepolto le loro emozioni troppo in profondità per provare
ancora
davvero qualcosa. Lo affrontarono piuttosto come un algoritmo:
calcolate
esattamente le risorse che quella loro prima guerra era costata,
potevano
permettersene un’altra? La risposta fu no. Avevano le risorse per
espandersi in
altri territori e gestire allo stesso tempo una specie che, per quanto
battuta,
era ancora pericolosa e piena di furia? Di nuovo, la risposta fu no.
Non con
un’efficienza in grado di soddisfarli, almeno. E così, gli Hastur
saturarono
semplicemente il pianeta dei loro nemici, Sylleia, con essere cresciuti
in
laboratorio per fare una delle poche cose in cui i nativi di Ryleh non
sappiano
eccellere: l’invasione planetaria. Poco più che ammassi di denti,
tentacoli,
artigli e veleno, che eradicarono la specie dominante nativa di Silleya
in
pochi giorni. Ancora oggi, la fanteria Rostrum è composta
esclusivamente da
creature prodotte per la guerra, di cui alcune sono grandi abbastanza
da
schiacciare interi quartieri. Ma la morfogenetica non è che una delle
loro
scienze predilette.”
“Quanta
vigliaccheria.”
“Gli Hastur
non combattono per gloria o per ideali. E nemmeno per la gioia di
farlo,
Arconte: combattono per vincere. Ed estinguono il proprio avversario
quando è
necessario farlo. È una fortuna che anche storicamente, le navi Rostrum
siano
le più lente del triumvirato, benché le più pesantemente corazzate:
altrimenti,
forse il nostro presente potrebbe essere molto diverso.” relativamente
parlando
ovvio: dato il design delle loro navi, la marina Rostrum eccelleva
nelle
manovre difensive, piuttosto che nello sfondamento delle linee
avversarie.
Anche se solamente contro vascelli ydrasiani o tearici questa
differenza
diventava rilevante: contro ogni altro avversario, la potenza di fuoco
che il
triumvirato possedeva rendeva spesso una singola manovra l’unica
necessaria.
“…Dopo
quella loro prima vittoria, gli Hastur si espansero inesorabilmente,
canonizzando le usanze emerse durante quel loro primo conflitto armato:
niente
più nomi o identità personali. Niente più bagaglio di coscienza o
impedimenti
etici. Solo Hastur, al servizio della sopravvivenza: la loro un tempo,
la
nostra oggi. Ancora oggi, il massimo onore che l’amministrazione
neurale
Rostrum possa tributare ai suoi membri è il dono di un titolo creato
appositamente, come suggello e celebrazione personale. Solamente chi
fra loro
dimostra con successo la sua dedizione alla sopravvivenza Rostrum
riceve questa
ricompensa: i titoli sono descrittivi, e spesso oscuri nel loro
significato più
immediato. L’attuale Alto Amministratore Hastur ad esempio, è titolato L’Esule.”
“Quante notizie
irrilevanti per la tua missione qui.”
“Io fornisco
liberamente informazioni, Arconte: ne faccia ciò che più desidera.
Reputo
tuttavia che un’ultima storia cautelativa su Rostrum possa interessare
grandemente i figli di Kos. Una storia che suggella la loro terribile
determinazione e incorruttibilità. E inesorabile conquista.” forse fu
l’ultima
parola che convinse l’Arconte a concederle di proseguire.
O forse, il
rispetto verso la poca paura che quell’aliena da un occhio solo
dimostrava
verso i suoi guerrieri migliori:
“Racconta
dunque.”
“Accade
molti cicli fa, quando la Dorata Intesa non era ancora stata proclamata
e Kodadam
e Hastur si guardavano con sospetto, mentre la Tearkia si teneva in
disparte.” e
quegli eventi erano in effetti il motivo per cui i nativi di Ryleh non
iniziassero
più primi contatti con altre specie: “…Rostrum individuò un pianeta
adatto alla
fisiologia dei suoi membri, posto al limite estremo dei suoi confini di
allora.”
“Un luogo
perfetto da conquistare.”
“Certamente.
Un mondo che però ospitava una civiltà in fasce, ancora incapace di
raggiungere
le stelle. Gli Hastur discesero da esse, ma invece di farlo con le
armi,
mandarono a mischiarsi con quella popolazione dei loro agenti, alterati
perché
fossero indistinguibili dagli indigeni. Perché sprecare tempo nel
conflitto
armato, pensò Rostrum, quando si poteva ottenere il controllo di quella
civiltà
dalle ombre prima, e un assoggettamento formale poi?” discorso che fece
innervosire i Figli di Kos, e con ragione.
Gli agenti
di infiltrazione Rostrum erano l’incubo di tutti i dissidenti e nemici
della
Dorata Intesa, spie che potevano ingannare quasi ogni scan, comprese
indagini
mediche superficiali. Potevano essere ovunque e fingersi chiunque e
tale era la
paranoia che ispiravano, che personalmente Cecile credeva che Rostrum
stesso
non avesse più bisogno di usarli, o quasi. Erano relitti di un’altra
epoca per
Rostrum, sorpassati dalla semplice precognizione della Tearkia, che
inspiegabilmente,
era molto meno nota nei circoli non ufficiali. Ma chiedersi esattamente
fino a
che punto giungesse la manipolazione del buon senso dei cittadini della
Dorata
Intesa da parte del triumvirato era un interrogativo di cui nessuno
voleva
veramente sapere la risposta: in definitiva, la Dorata Intesa era un
fine che
valeva la pena di perseguire con tutti i mezzi, dato ciò che garantiva
e
proteggeva. E quando le civiltà che si opponevano ad essa avessero
finalmente
visto la verità e si fossero fatte convincere da essa, anche quella
parte del
triumvirato avrebbe potuto essere messa a riposo: perché nonostante
tutto, esso
aveva già il potere di impadronirsi
della galassia. Per Cecile, il fatto che avessero scelto di non farlo,
ma che
anzi promuovessero l’inclusione di altri fra loro, era un fatto più
forte di
ogni altro sospetto, legittimo o meno che fosse:
“…Una
strategia abominevole.”
“Che diede
risultati allora inaccettabili per Rostrum. Perché durante la loro
missione,
uno degli Hastur mandati sul pianeta compì qualcosa per loro
incomprensibile.”
“Ovvero?”
“Provò
qualcosa, Arconte. Rostrum sottovalutava allora l’impatto che un corpo
può
avere sulle proprie percezioni e sul proprio modo di pensare. Già
allora però,
il mascheramento usato era di una tale perfezione che uno dei suoi
agenti causò
in un nativo un sentimento che inaspettatamente si trovò a ricambiare.”
“E quale?”
“Amore,
Arconte. E per quel sentimento, quell’Hastur compì un terribile errore:
perché
credendo che il suo gesto non avrebbe avuto conseguenze, lui, in quel
corpo che
non era il suo, abbandonò la sua missione, seguendo qualcosa che gli
Hastur
avevano classificato ormai solo un muscolo. Il proprio cuore. Fuggì
alle sue
responsabilità, mischiandosi con i nativi, ma senza avere il coraggio
di
rivelare la sua origine.”
“E perché
sarebbe stato un errore?” chiese nuovamente la guardia che già una
volta le
aveva fatto una domanda:
“Perché
abbandonandosi ad un’emozione che la sua intera società aveva bandito
in nome
di un’ideale che ancora oggi credono più importante di ogni altra cosa,
fallì
nel prevedere le conseguenze del suo gesto.” rispose Cecile guardandolo
negli
occhi.
“Ovvero?” ripeté
l’Arconte e l’emissario gli restituì la sua completa attenzione:
“La reazione
di Rostrum di fronte a quell’avvenimento: che per un sentimento, un
singolo Hastur
potesse decidere di abbandonare una società collettivista, in cui i
desideri di
un singolo non avevano più avuto importanza, era inconcepibile. E lo
sciocco
trasmise tutto nella sua ultima trasmissione ai supervisori di
missione: la sua
rinuncia, la sua ribellione e le sue ragioni. Un testamento in
definitiva: la
decisione fu presa così in fretta, che quasi la conferma
dell’amministrazione
centrale non servì.”
“E cosa
decisero?”
“Come ho
detto, l’abbandono dell’ideale Rostrum da parte degli Hastur è
inconcepibile:
da loro per primi. Hanno sacrificato e perso troppo per voler tornare
indietro:
per quel singolo sentimento, per la diserzione di uno, un intero
pianeta venne
incenerito e consegnato all’oblio della memoria.” Cecile si crogiolò
qualche
istante nel silenzio tombale in cui il suo racconto aveva precipitata
l’intera
Sala dei Lasciti: “…Una storia questa, che nella Dorata Intesa viene
spesso offerta
a monito di coloro che pensano sia possibile corrompere un suo
emissario. Il
triumvirato impara dai suoi errori passati.” e forse anche futuri,
almeno nel
caso della Tearkia.
“Ah… Credo
si sia spiegata a sufficienza a proposito.” sorrise quasi nervoso
l’Arconte: il
senso di responsabilità verso la propria posizione era davvero uno
strumento ideale
per garantire che gli agenti della Dorata Intesa restassero fedeli ai
loro
impegni.
“Ne sono
lieta: se non avesse niente in contrario, enuncerei ora la prima legge
del
triumvirato della Dorata Intesa, che viene prima delle altre due.”
Non perde mai il filo, pensò quasi
ammirato l’Arconte: di certo quell’incontro gli aveva riservato più di
una
sorpresa e non tutte sgradevoli.
“Procedi,
emissario.”
“Questo
dunque ordina la sacra Tearkia, Arconte: Tu
non asservirai mai i corpi o la mente.”
“Non amate
la schiavitù?” finalmente qualcosa di comprensibile!
“Di nessun
genere: la fedeltà a sé stessi non è facile da mantenere, Arconte. E
come la
storia Hastur dimostra, la fedeltà alle proprie convinzioni a volte
porta a
conflitti che appaiono inevitabili. Ma nonostante che per queste
convinzioni a
volte si segnino l’estinzione di intere specie, la schiavitù è
un’orribile
eccesso. I Midion Tezhnid aborrono la schiavitù che umilia la natura di
entrambi le parti, non importa quanto tecnologici siano i ceppi che
vengono
imposti: la Tearkia impone la libertà di ogni individuo nella Dorata
Intesa e
persegue… fino in fondo questa convinzione.”
“Cosa
intendi con fino in fondo?”
“…Ci sono
razze più forti di altre Arconte. Questo è vero in qualunque
ecosistema, e per
forza di cose dovrà anche essercene una che è più forte di tutte. Una
razza che
la ragione sa essere folle sfidare sul piano fisico, perché
semplicemente,
sappiamo essere la più forte. Sul mio pianeta natale, ci sono creature
che non
affronterei mai disarmata, perché la loro forza e di molte grandezze
superiore
alla mia. Presumo che lo stesso valga anche per voi?” chiese Cecile,
accogliendo l’assenso dei presenti: “…Lo stesso vale nella Galassia: i
Midion
Tezhnid sono, tra tutte le razze senzienti conosciute, semplicemente la
più
forte. Su entrambi i mondi che li hanno ospitati, né Midion, né Tezhnid
hanno
mai avuto bisogno di strumenti, o esplosivi, o attrezzi, per scavare la
roccia,
nemmeno la più dura. Sono una razza che l’evoluzione ha temprato per
farne
fisicamente dei guerrieri perfetti, dall’intelligenza che è seconda
solo agli
Hastur.”
“Mi
piacerebbe metterli alla prova!” rise l’Arconte, ma il pallore che
s’impossessò
del volto di Cecile a quelle parole lo lasciò a sua volta sgomento:
“…Non
suggerite mai una cosa del genere alla leggera, Arconte.” sussurrò
l’umana: “I
Midion Tezhnid non hanno un senso della misura, né esitazione, nel
soddisfare
simili desideri! La loro stessa civiltà e il loro tentativo di arginare
una
capacità di combattere tale che i loro guerrieri si limitano tutt’ora
ad armi bianche!”
singhiozzò atterrita: se un Midion Tezhnid fosse venuto al suo posto su
Kos…
Come emissario,
doveva assolutamente far capire all’Arconte quanto pericoloso e
avventato fosse
un simile desiderio:
“…Immaginate,
Arconte, due specie che si siano evolute mantenendo verso la violenza,
la
guerra e il conflitto, la visione di bambini: ancora oggi, fatichiamo a
far
loro capire perché il resto delle razze senzienti sia così fragile
rispetto a
loro. Immaginate che si siano evolute su mondi così ostili, che
sopravvivere su
di essi sia ancora oggi una lotta giornaliera: uno, Vrs, è la luna
maggiore del
gigante gassoso del sistema di Vr’skar. L’altro, Nydra, è un pianeta
gigante
del sistema di W’tra. Sono mondi opposti: l’uno arido, l’altro
ghiacciato. Solo
tre cose accomunano questi mondi: l’assenza di acqua liquida su tutta
la loro
superficie è la prima; questo perché su entrambi la temperatura non lo
consente, perché troppo fredda, o troppo calda. La seconda, è la
presenza su
entrambi di predatori che la ragione fatica a spiegare come frutto di
normale
evoluzione, tale è la loro insensata ferocia e terribile forza…” nessun
cittadino della Dorata Intesa ignorava la conclusione a cui questi
elementi
sembravano condurre in modo inevitabile: Cecile stessa credeva a quella
conclusione.
L’origine e
il disegno però, restavano ancora misteriosi:
“…E la
terza, e che su questi mondi così diversi e così lontani, siano
comparsi i
Midion e i Tezhnid.”
“Non capisco
il nesso.”
“Midion e
Tezhnid sono quasi la stessa specie, Arconte.” rispose Cecile:
“…Posseggono
adattamenti specifici per sopravvivere nei loro rispettivi ambienti
d’origine,
ma oltre a questo, sono quasi lo stesso organismo, separati da 37’000
cicli di
evoluzione sui loro pianeti. La differenza che si sono trovati a dover
colmare
però, era minore di quanto potreste pensare.”
“Era?”
“Era.”
confermò Cecile: “…Al punto, che qualche secolo dopo la loro
riunificazione,
medicina e ingegneria genetica hanno dato loro la possibilità di
riunire le due
specie in una. Attualmente, la loro popolazione è quasi perfettamente
suddivisa
nelle loro tre varianti.”
“Qualcuno
deve aver interferito.” rifletté la più loquace delle guardie che la
circondavano.
“È
quello che credono anche loro: ed è un’ipotesi suffragata dalla
somiglianza
culturale che Midion e Tezhnid già possedevano al momento della
riunificazione.
Società marziali in cui la mistica del guerriero incanala le pulsioni
più
violente, improntate su sistemi di valori che a molti appaiono
paradossali:
spartani al punto della frugalità in alcuni ambiti, opulenti ed
esigenti in altri.
E tuttavia, non sono particolarmente interessati a risolvere questo
enigma che
li contraddistingue: si accontentano di gioire del loro presente e dei
figli
dei loro due mondi. La loro non è una razza particolarmente prolifica.”
aggiunse Cecile: “…Ed è una fortuna, o avrebbero dovuto espandersi
molto più di
quanto hanno già fatto ora. E nessuno avrebbe potuto fermarli.”
“Cerchi di
spaventarci forse? In modo che rinunciamo alle nostre pretese su quel
mondo
pidocchioso appena oltre i confini del nostro dominio?”
“No,
Arconte: il mio voto mi obbliga alla verità! Su entrambi questi mondi,
i Midion
Tezhnid riescono non soltanto a sopravvivere, ma ne sono diventati la
specie
dominante. Le peggiori creature prodotte nei laboratori Hastur non sono
che
giocattoli per un cittadino della Tearkia! E nessuno ha ancora trovato
un
ostacolo capace di rallentare i loro guerrieri più forti, i fanti
pesanti
d’assalto dei Midion Tezhnid, chiamati Lance Sanguinanti nella loro
lingua e trankettori dal resto della Dorata
Intesa, dal termine ydrasiano che significa coloro
che si precipitano.”
“Non ho
paura di guerrieri che si rifiutano di impugnare una vera arma!”
“Arconte: dodici
brigate di Lance Sanguinanti hanno espugnato interi pianeti, senza mai
subire
una perdita!”
“…Impossibile!”
“No, Arconte
non lo è: perché essi uniscono alla mistica di guerrieri doti mentali
che
fatico io stessa a comprendere...” rispose Cecile pensierosa: “E oltre
alla
loro terribile forza, essi portano in sé la capacità di annientare
l’intelletto
evocando visioni di terrore così profondo da far desiderare la morte. I
trankettori non finiscono conflitti: eliminano ogni contendente. Sul
campo di
battaglia, spezzano la morale di un’armata, spezzano la mente dei
singoli
soldati, e quindi ne spezzano i corpi. Artiglieria? Plotoni di
fucilieri
disciplinati? Tutto quello che un trankettori non può fermare con la
mente, è
in grado di schivarlo. Sono supremamente addestrati: decadi di
esperienza
guerriera, e nella loro telepatia e comunione mentale reciproca,
possono agire
slegati da qualunque catena di comando.”
“E nessuno
li ha mai battuti?”
“L’unica
strategia che potrebbe essere capace di rallentare l’avanzata dei
Midion
Tezhnid, Arconte, è il bombardamento a tappeto dall’orbita. Ma sfidare
le navi
del Triumvirato è anche peggio che sfidarne i suoi fanti. Nessuno è
ancora
riuscito a immaginare qualcosa capace di opporsi alla marina del
triumvirato.”
“Allora non
avete cercato abbastanza.”
Cecile
scosse il capo lievemente:
“Le prime a
condurre l’offensiva sono sempre le navi della Tearkia: le loro
corazzate e
incrociatori attaccano da distanze che ci sembrano impossibili, più
della metà
del raggio del vostro sistema solare. Le loro armi, frutto di una
tecnologia
che infrange fisica che ancora dobbiamo finire di comprendere, spazzano
i
ranghi prima ancora che i loro bersagli giungano in posizione,
lasciando solo
le ultime linee di difese planetarie. A quel punto, le corazzate
Ydrasiane
fanno il loro ingresso sul campo di battaglia.” Cecile si rivolse anche
al
resto della sala a quel punto, gesticolando lievemente: “…Immaginate un
cilindro. E a questo cilindro, ponete ora ad un’estremità una sezione
di sfera,
in modo che completi una struttura simile ad un fungo. Immaginate che
questo
cappello sia uno scudo di un pezzo unico, vasto abbastanza per
seppellire nella
sua ombra un asteroide e resistente abbastanza da resistere al suo
speronamento
senza danni. Aggiungeteci infine scudi cinetici abbastanza intensi da
poter
lambire una stella. Se foste avversari della Dorata Intesa, vedreste
queste
strutture enormi riempire i vostri sensori, indifferente ad ogni
attacco: la
vedreste giungere nelle vostre difese e travolgerle sotto la loro mole,
incuranti e spietate, continuando poi ad avanzare, mirando a
schiacciare sotto
di esse le vostre stesse città. Scoprireste solo all’ultimo, che ogni
cappello
di queste corazzate ha offerto riparo ad almeno tre incrociatori
pesanti, che
riverserebbero il loro fuoco su tutto ciò che ancora rimane delle
difese
avversarie, coadiuvando poi il bombardamento orbitale sistemico. E le
orde
della Teakia giungerebbero per mischiarsi alla lotta a terra,
tuffandosi
dall’orbita con tutta la gioia e la sete di sangue di cui sono capaci.”
Cecile
tornò a rivolgersi all’Arconte per la sua ultima frase: “…E se anche
qualche
nave avesse aggirato lo sbarramento e decidesse di attaccare qualche
pianeta
limitrofo per rappresaglia, troverebbe i cannoni delle corazzate
Rostrum ad
aspettarli.”
“…”
“Come ho
detto, non sono molti coloro che sfidano la marina della Tearkia.” ed
una vera
sfortuna che i figli di Kos si fossero evoluti in un mondo così remoto:
altrimenti, si sarebbero incontrati prima.
“Portatela
alla sua nave!” fu un ordine sussurrato quello dell’Arconte, e quasi si
strozzò
nel dirlo.
Nonostante
la minaccia della armi, Cecile però rimase al suo posto:
“Qual è
dunque la risposta dei Figli di Kos, alla Dorata Intesa? Rinuncerete
alla
vostra richiesta di far ricollocare i coloni del pianeta di Sorat?” un
misero problema
di confini, ecco cosa l’aveva attirata lì.
Una nuova
colonia era stata stabilita nel raggio dei sensori di una civiltà che
nessuno
immaginava ci fosse: se i Latòni avessero chiesto informazioni al
triumvirato
prima di spedire i loro cittadini così lontano, tutto quello si sarebbe
potuto
evitare.
“…Torna
domani, aliena. Forse discuteremo ancora.” rispose l’Arconte.
E con un
ultimo inchino al capo dei Kos, Cecile gli voltò le spalle: nemmeno per
un
momento sembrò che fossero le guardie a costringerla a muoversi.
L’Arconte
continuò a fissare la sua schiena per tutto il tempo, tirandosi a
dismisura la
pappagorgia: un’espressione pensierosa sul suo volto
arcigno.
Parola difficile
di questo racconto: batraciano. XD
Cosa significa? Spero che a questo punto sia chiaro, ma nel caso non lo
fosse, è un aggettivo che indica qualcosa/qualcuno dall'aspetto che
ricorda le rane (batraci). Da non confondere con porcino o canino.
Ma tralasciando i miei personali sforzi per mantenere vivo il mio
vocabolario (ma spero che questa parola vi piaccia, non si trova molto
spesso), questi due brevi capitoli non sono l'utopia fantascientifica
che ci si potrebbe aspettare (a la Star Trek insomma, con la sua
federazione). Questo perché, personalmente, preferisco le cose che sono
un po' più... vive.
E anche il primo capitolo di questa storia era improntato sulla
verosimiglianza: dubito che quando un giorno troveremo la porta per le
stelle, scopriremo che tutto è pace tra di loro.
Mi piacerebbe essere smentito, ma ne dubito: forse, sarebbe troppo
noioso se fosse altrimenti. |