Non passate la sera per barboun street
Non passate la sera per Bourbon
Street
Oggi voglio darvi un consiglio, non passate la sera per Bourbon Street
perché per voi potrebbe essere troppo rischioso.
Specialmente
non andateci a piedi perché potrebbe costarvi la vita. E se
state pensando che io vi stia raccontando una frottola, sappiate che
non è così; sfortunatamente io so che tutto
questo
è credibile, perché io vivo in Bourbon Street e
soprattutto perché il pericolo vero sono io.
Perciò fidatevi, se ci tenete a vivere, evitate Bourbon
Street e
tutto il suo circondario; in realtà dovreste evitare di
frequentare tutto il quartiere, meglio ancora l’intera
città.
A questo punto credo di dovervi dare qualche spiegazione in
più
perché possiate seguire il mio invito, ma prima devo farvi
una
domanda: “Avente idea di cosa sia un vampiro?”.
Voglio dire
un vampiro vero, non quelli dei film che si vedono al cinema con i
denti aguzzi e gli occhi cerchiati di sangue; avete presente il conte
Dracula con il frac, il papillon, la camicia bianca e il mantello nero
che si trasforma in pipistrello? Bene, toglietevelo dalla testa, nulla
di tutto questo. Io intendo dire un vampiro reale, tangibile, vivente;
uno di quelli che di sera si potrebbero incontrare per strada. Uno di
quelli che sembrano persone normali e invece non lo sono. Uno di quelli
che possono assomigliare a chiunque e perciò passano
inosservati.
Insomma, per farla breve uno come me, perché in ultima
analisi io sono un vampiro.
A dire la verità “vampiro” è
la definizione
migliore cui sono arrivato per rappresentare me stesso e la mia
condizione. Probabilmente qualcun altro potrebbe trovarne una
più giusta, ma io non sono riuscito a scoprirne
un’altra
che si avvicinasse di più a come mi sento e a come mi
comporto.
E poi, per dirla tutta e, in fondo in fondo, questa mia auto
descrizione mi intriga anche un po’. Non che io ne sia
compiaciuto, ma nel male qualche piccola soddisfazione me la devo pur
concedere per poter reggere, senza impazzire, il peso
dell’angoscia che mi tormenta.
Perciò provo come un senso di benessere ogni volta che mi
ricordo di essere praticamente invulnerabile, anche se ancora non sono
riuscito a capire se sono pure immortale. Ora sicuramente penserete che
io sia completamente fuori di testa. Pazzo sarebbe la parola giusta.
Disgraziatamente non è così.
Ho detto che la definizione che mi si avvicina di più
è
vampiro, ma se pensate a cose come l’aglio, i paletti di
frassino, i proiettili d’argento e le croci siete
completamente
fuori strada. Non parliamo poi di bare per dormire o di succhiare il
sangue perché avete sbagliato indirizzo. Sono tutte balle
che vi
hanno raccontato nei film o che avete letto in libri per sprovveduti.
Vorrei che dimenticaste tutto questo. Per rendervi l’idea di
quanto in apparenza io sia normale vi basti sapere che a me piace
andare in chiesa e pregare: sapeste quante volte l’ho fatto!
Già, ma allora perché considerarmi un vampiro?
Perché per vivere io ammazzo, più precisamente io
sono
costretto ad uccidere. Come un vampiro.
Badate bene, le mie non sono le elucubrazioni di un pazzo paranoico
degno di un manicomio criminale, non sono i vaneggiamenti di un serial
killer che cerca di giustificare i propri omicidi, piuttosto sono le
riflessioni di chi vorrebbe non vivere in un incubo, ma nonostante
tutto, è costretto a farlo. Perché io sono
cosciente del
dolore che provoco, sono inorridito dalle conseguenze delle mie azioni,
ma resta il fatto che in certe sere il mio istinto di sopravvivenza e
la bestia che sono in me prendono il sopravvento e mi guidano in gesti
atroci che in condizioni normali mai mi sarei sognato di compiere.
In seguito, dopo ogni delitto, subentrano il rimorso e il desiderio di
farla finita; vi devo però informare che a suicidarmi ci ho
provato in tutti i modi, ma niente sembra funzionare. Infatti, come ho
già detto, io sono invulnerabile, inattaccabile,
inviolabile. In
me qualunque veleno ha l’effetto di un forte purgante, i
proiettili mi trapassano senza danni apparenti e le ferite si
rimarginano dopo qualche ora, il fuoco sfiora la mia epidermide, ma non
riesce a raggiungerla perché un velo invisibile lo respinge.
Qualunque incidente, fatale per un normale essere umano, non ha
conseguenze su di me. Però provo dolore; ogni volta che
tento di
uccidermi provo dolore. Un dolore atroce, lancinante disumano che mi fa
desiderare di non tentare un’altra volta. E allora piango per
il
dolore e la disperazione e mentre piango una rabbia feroce mi pervade
perché penso che non potrò mai liberarmi da
questa
maledizione.
Di essere invulnerabile me ne sono reso conto un po’ per
volta
nel corso degli anni; da bambino non sono mai riuscito a sbucciarmi un
ginocchio, provocarmi una piccola ferita o peggio ancora rompermi
qualche osso. Ma allora non ci facevo caso e ogni volta che cadevo di
bicicletta saltavo di nuovo in sella e correvo via più
veloce di
prima senza neppure un graffio. Saltare giù dagli alberi era
il
mio gioco preferito. Una volta un mio compagno si ruppe una gamba
cercando di imitarmi. Io invece saltavo a terra senza danni dai tetti
dei garage tutte le volte che ci salivo per andare a recuperare un
pallone.
Un giorno, quando ero già un ragazzo, fui investito da una
macchina mentre attraversavo la strada correndo. Fui proiettato in alto
e scaraventato sul parabrezza di un’altra auto parcheggiata
lì vicino. L’unica cosa che mi venne in mente,
appena mi
rimisi in piedi, fu di rivolgere parole irripetibili
all’indirizzo del mio investitore che, imbarazzato e
incredulo,
mi aveva visto rialzare illeso e mi stava osservando esterrefatto.
Essere invulnerabile può perfino originare qualche
complicazione. Ad esempio è difficile tagliarsi le unghie.
Già da piccolo mia madre doveva darsi parecchio da fare, ma
non
è stato un grosso problema fino all’età
adulta.
Adesso sono costretto a ricorrere ad una grossa lima per consumarle
piano piano.
Anche radermi non è mai una cosa semplice. Per farlo sono
costretto ad utilizzare lame di qualità extra che costano
un’enormità e durano pochissimo. Per buona sorte
sono
calvo e non ho il problema del barbiere.
Ormai avrete già capito che non sono diventato un vampiro in
seguito al classico morso sul collo come ancora oggi viene raccontato
in certi romanzetti di serie b, ma che lo sono sempre stato fin da
quando ero un bambino, solo che non me ne rendevo conto.
Perché
credetemi, vampiri si nasce non si diventa. Infatti io credo che la mia
sia una mutazione genetica, un’alterazione della struttura
del
mio DNA, un qualcosa che in me è diverso da tutti gli altri
e
che forse mi rende unico. Forse.
Sì, forse, perché, anche se io non ne ho mai
incontrati,
ho il forte sospetto che esistano altri come me. Avete mai sentito di
persone che sono uscite illese da incidenti incredibili? Di
paracadutisti senza paracadute che si sono salvati o di persone che
sono cadute da altezze proibitive e sono sopravvissute senza danni?
Forse erano vampiri. Forse.
Il fatto è che, se esistessero altri come me, non vi
basterebbe
evitare di passare in Bourbon Street di sera. Dovreste infatti schivare
molti altri posti, però unicamente durante le notti di luna
piena, perché è solo durante il plenilunio che
provo
l’irrefrenabile desiderio di sfamarmi, che sento la smania di
saziare il mio essere, che non sono più padrone delle mie
azioni
e sono spinto a cercare la fonte alla quale spegnere il fuoco che mi
arde dentro e per questo, infine inevitabilmente costretto ad uccidere.
Perciò nelle sere di luna piena non passate in Bourbon
Street,
evitate di farvi illuminare dai lampioni perché io vi potrei
notare e la cosa potrebbe costarvi cara. Sappiate che non
avrò
scelta, che non sarò veramente io a muovermi
nell’ombra,
ma solo il mio corpo che, indipendente dalla mia coscienza,
reclamerà il suo agognato nutrimento.
Per l’esattezza non è sempre stato
così, da giovane
non ero obbligato a vagare nella notte in cerca delle mie vittime per
procurarmi la sostanza all’origine dei miei tormenti.
Perché dovete sapere che io oggi devo assorbire
l’energia
vitale dal sangue delle persone attraverso il contatto con la loro
pelle, fino ad ammazzarle. Questa però è una cosa
che si
è manifestata a poco a poco col passare degli anni tanto che
all’inizio non uccidevo le mie vittime, ma trasmettevo loro
una
specie di scossa elettrica e le lasciavo senza energie come se avessero
appena corso una lunga maratona. Attualmente invece nessuno
può
salvarsi.
La prima volta è capitato per caso e il ricordo ancora mi
tormenta. Avevo vent’anni, stavo baciando appassionatamente
la
mia ragazza e non mi sono neppure accorto di cosa stava succedendo.
Solo quando l’ho sentita immobile fra le mie braccia ed ho
visto
il suo viso innaturalmente rilassato e sereno ho capito quello che era
accaduto. Non potrò mai dimenticarlo. E’ stato
allora che
ho tentato il suicidio per la prima volta. Mi sono impiccato e sono
rimasto appeso per il collo attendendo la morte, purtroppo inutilmente.
Ci ho messo più di tre ore prima di riuscire a liberarmi.
Da allora il mio cuore è diventato come di pietra e non
posso più permettermi di avere una relazione.
Ho anche rinunciato ad avere delle vere amicizie per paura di far del
male alle persone che mi stanno vicino. Perciò vivo solo e
occupo il mio tempo libero a leggere, guardare la TV, scrivere, come
sto facendo adesso o a riflettere. Qualche volta passo le mie serate
allo “Square’s Jazz Club” a bere birra ed
ascoltare
buona musica.
Spesso torno a pensare al suicidio, ma non è mai una
decisione
facile perché tutti i tentativi fatti fino ad oggi sono
risultati vani e diventa ogni volta più difficile inventarne
di
nuovi. Immancabilmente lo sconforto che accompagna ogni fallimento
è sempre unito ad un tremendo dolore fisico. Immagino che
questa
sia la punizione che il mio corpo mi infligge per farmi desistere e
maledire l’averci provato ancora. Per questo ormai non ci
provo
quasi più.
Ricordo, come se fosse oggi, tutti i miei primi patetici sforzi di
farla finita e quello che ne è seguito. Come ad esempio il
mio
terzo tentativo quando sono saltato giù dal cornicione di un
palazzo ed ho sfondato il tetto di un camper parcheggiato in strada.
Dopo qualche minuto mi sono ripreso dallo stordimento e, anche se tutto
sofferente, sono uscito indenne dalla porta del pulmino come in un
cartone animato di Willy il Coyote. Fortunatamente, data
l’ora
tarda, nessuno si è accorto dell’accaduto,
però il
dolore fisico è stato straziante e invece di attenuarsi
è
andato aumentando col passare del tempo torturandomi per quasi una
settimana. E’ una cosa che non auguro a nessuno.
Per evitare di uccidere ho anche provato a rinchiudermi in modo da non
poter raggiungere le mie vittime. Malauguratamente trovo sempre il modo
di evadere perché, come vi ho già detto, quando
la luna
risplende piena non sono più responsabile dei miei
comportamenti
e vivo i miei atti come in un sogno dal quale mi risveglio solo dopo
aver spento la sete di fluido vitale che mi assale.
A questo punto qualcuno potrebbe suggerirmi di rivolgermi alla polizia
per farmi arrestare. Credete che non ci abbia provato? Il fatto
è che non ci riesco; qualcosa, forse l’istinto di
conservazione dell’animale che è in me, me lo
impedisce e
tutte le volte che tento di fare qualcosa del genere, mi risveglio il
mattino dopo nel mio letto senza ricordarmi come ci sono arrivato. Sono
però sicuro che nella notte un’altra vittima ha
pagato il
suo debito poiché ho sempre la netta sensazione che il mio
corpo
abbia acquisito nuovo vigore come dopo ogni mio delitto. E tutto
ciò accade anche se non c’è la luna
piena, per
questo ho smesso di tentare.
Adesso avete capito perché io sono un vampiro?
Perché
sono intrappolato in questa vita che non ho desiderato? In quale sorta
di incubo sono costretto a vivere? Quale condanna mi porto addosso? Io
sono pericoloso e tutti coloro che mi stanno vicino corrono
continuamente un pericolo mortale.
Voglio darvi ancora qualche indizio perché so che siete
tuttora
scettici. Non vi siete mai chiesti perché al giorno
d’oggi
tanta gente muore d’infarto? Nel passato non succedeva
così spesso, non si è mai sentito dire che
qualche
personaggio della storia o quel tale condottiero siano morti per un
colpo apoplettico. Giulio Cesare è morto accoltellato,
Abramo
Lincoln in seguito ad un attentato, qualcun altro impiccato, uno o due
in battaglia, ma mai nessuno in seguito ad un attacco di cuore. Invece
è questa la diagnosi che tutti i medici fanno ogni qual
volta
esaminano qualcuno che è stato aggredito da me o da uno come
me.
Se invece gli esami fossero più approfonditi, si scoprirebbe
che
i lividi delle vittime sono dovuti alle alterazioni della struttura
delle cellule del sangue, perché un vampiro ne ha assorbito
l’essenza vitale.
Invece, io so bene che la causa della morte di quelle persone
è
diversa, perciò il mio dubbio che esistano altri vampiri che
vivono in mezzo agli umani è per me quasi una certezza.
Ovviamente non posso esserne sicuro, anche se almeno una volta potrei
averne incontrato uno.
E’ accaduto durante il mio nono tentativo di suicidio.
Normalmente cerco sempre di non coinvolgere altre persone quando tento
di suicidarmi, però ricordo che allora non fui abbastanza
attento. Quella volta avevo scelto di schiantarmi con
un’auto,
lanciata a tutta velocità, contro la facciata di un
edificio.
Cercai con cura il posto adatto, poi attesi pazientemente che in strada
non ci fosse nessuno e quando fu il momento ingranai la marcia e
accelerai il più possibile. L’impatto contro il
muro fu
tremendo tanto che la vettura lo sfondò e, oltrepassata la
parete, prima di fermarsi contro un altro ostacolo, travolse tutto
quanto incontrò sulla sua strada trasformandosi in un
groviglio
inestricabile di lamiere, macerie e carne umana. Nessuno avrebbe potuto
salvarsi da quello schianto tremendo. Nessuno a parte me.
I soccorsi impiegarono qualche ora per raggiungere la carcassa
dell’automobile con me dentro per colpa
dell’incendio, che
si era sviluppato dopo la collisione, causato della taniche di benzina
di cui avevo riempito l’abitacolo. In tutto rimasi
imprigionato
sette ore fra le lamiere fumanti. Quando mi estrassero feci finta di
essere svenuto per non destare sospetti. Mentre mi caricavano
velocemente su un’ambulanza vidi distintamente in mezzo al
fumo
che qualcuno si stava affannosamente liberando da sotto i detriti e,
non notato da nessun altro, si allontanava barcollando dalla scena
dell’incidente. Evidentemente quell’uomo si trovava
all’interno del palazzo al momento dello scontro ed io lo
avevo
investito in pieno insieme a tutto il resto. Solo che nessuno sarebbe
potuto sopravvivere ad un simile cataclisma. Nessuno tranne me o meglio
nessun altro che non fosse come me. Nessuno tranne un altro vampiro.
La notte stessa scappai dall’ospedale presso il quale mi
avevano
ricoverato prima che qualcheduno cominciasse a fare troppe domande e
soprattutto prima che riuscissero ad identificarmi.
Dopo di allora sono tornato più volte sul luogo del mio
“incidente”, ma non sono mai più
riuscito ad
incontrare quella persona perché in fondo potrebbe essere
chiunque e il suo volto sarebbe certamente uguale a quello di
chicchessia. Un volto ordinario, insignificante che si guarda per un
istante e si dimentica subito dopo, insomma un volto come il mio dietro
al quale facilmente si nasconde la maschera di uno spietato vampiro.
Ho detto spietato poiché è possibile, anzi
probabile che
non tutti si facciamo gli scrupoli che io mi pongo e vivano con
maggiore crudeltà la loro condizione di vampiri,
fregandosene
altamente delle loro vittime e del dolore provocato dalle proprie
azioni.
A me invece riesce difficile far finta di niente e, per quanto i miei
sforzi siano intensi, il mio carattere non mi permette di vivere come
se niente fosse. Per fortuna la mia professione di scrittore di romanzi
noir mi aiuta se non a dimenticare almeno a dar sfogo ai rimorsi che
m’inseguono. In questo modo tra una Weizenbier ed
una scura
Paulaner, nelle sere che passo allo Square’s Jazz Club,
prendono
vita le storie nelle quali infondo tutte le angosce che mi affliggono
e, dato il loro successo, mi permettono se non di essere ricco almeno
di vivere agiatamente.
Per questa ragione, mentre con mano tremante scrivo i miei racconti, il
mio unico supplizio diventa contare i giorni che ancora mancano alla
prossima luna piena, sperando che questa una sera possa finalmente
smettere di sorgere e illudendomi, come se mai fosse possibile, che per
un inganno dei sensi io stia vivendo in una visione e non nella
realtà che mi circonda. Così, intanto
che rimugino
queste cose, le trasfondo nei miei componimenti:
...la
vita è il sogno e si confondono l’una
nell’altro,
senza che né l’una, né
l’altro si possano
distinguere con chiarezza, di modo che non si sappia mai con certezza,
se si stia vivendo il sogno o la realtà.
Può
ad
esempio capitare di essersi trovati in un luogo o in una situazione e
chiedersi a posteriori, se quello che si è vissuto,
appartenga
all’una o all’altro, senza tuttavia potersi
pienamente
fidare della risposta, non sapendo con chiarezza quale stato della
consapevolezza, sogno o realtà, si stia vivendo in quel
momento…
Scrivo
cercando di ingannare me stesso e prego ogni giorno di avere la forza
di non fare qualcosa di sbagliato, ma poi fatalmente, come sempre
accade, una sera la luna sorge nuovamente sulla città e sul
mio
quartiere con le strade dai nomi di titoli di canzoni famose ed io non
ho scelta, devo seguire il richiamo e scendere un’altra volta
sul
marciapiede di Bourbon Street.
Desidero avvertirvi che in quelle notti non mi sentirete arrivare, che
alla luce della luna non potrete vedere i miei occhi scintillare sotto
la tesa del cappello, né vi sarà possibile vedere
la mia
ombra o udire il suono dei miei passi. Io osserverò i vostri
visi e sceglierò con cura e rapidità,
poiché il
mio impulso naturale non potrà essere a lungo represso e
dovrò con urgenza soddisfare la mia sete.
Sappiate che sarò veloce e anche che, nel momento fatale
dell’attacco, il mio non sarà comunque un ghigno
di
soddisfazione, quanto piuttosto il ringhio della bestia bramosa di
poter finalmente raggiungere il proprio sospirato pasto.
Per questo ho scritto questa lettera, perché non ho altro
mezzo
per avvertirvi e cercare di mettere fine a questa follia. Spero
ardentemente che non faccia la fine delle altre che ho scritto in
passato e di avere la forza di farla avere a chi possa un giorno
fermarmi. Dio voglia che possa essere letta presto.
Intanto però, nelle sere del plenilunio non fatevi notare,
affrettate il vostro passo e siate cauti più che potete;
dato
che il pericolo potrebbe esservi vicino non soffermatevi ad ammirare le
vetrine scintillanti, guardatevi attorno con circospezione e tuttavia,
non illudetevi di essere al sicuro solo perché siete in
compagnia. Io potrei osservarvi, trovare il momento giusto per colpire
e per voi non ci sarà nulla da fare.
Per cui vi scongiuro, se desiderate vivere a lungo, seguite il mio
consiglio, siate prudenti e soprattutto, nelle sere di luna piena, non
passate a piedi per Bourbon Street.
New
Orleans, 25
Aprile 2009
Alfred Joseph
Lyon
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