Titolo: I hate this
story.
Genere: Introspettivo;
Triste; Romantico
Rating: Arancione
Avvisi: Slash; OneShot;
Death Character
Personaggi: Frerard
Riassunto: Odio questa
storia - l'ho sempre odiata.
La odio,
sì. Perché è
stata scritta per me.
Dedicata a tre persone speciali.
“ I hate this story.
”
You know that I hate this - my - story.
Because it was written
for me.*
Lo sai che io odio
questa - la mia - storia
Perché
è stata scritta per me.
Ero a conoscenza del fatto che al mondo esistessero poche regole per
vivere bene, o perlomeno decentemente;
sfortunatamente io le avevo già infrante tutte. Dire che
mancavo di spirito distruttivo era una grande e grossa bugia, eppure
non avevo mai fatto nulla per essere odiato e disprezzato, ma ancor meno per essere amato.
Durante la mia assurda quanto inutile infanzia, le uniche persone che
erano state capaci di sopportarmi per fin troppo tempo
portavano dietro al proprio nome il mio stesso cognome. Questa cosa mi
aveva notevolmente nauseato e fatto pensare.
Non necessitavo di falsi legami sanguigni che mi tenessero incatenato
per forza a persone che molto probabilmente mi odiavano; non necessitavo di nulla.
Quasi certamente il mio vivere era libero e dannoso, quasi inutile. Me
ne rendevo perfettamente conto, eppure riuscivo non so come ad
accontentarmi di quell'enorme vuotezza che mi contraddistingueva. Ma se ero stato creato forse un
motivo c'era; lo pensavo continuamente. Non volevo essere
ricondotto ad una scopata andata male, proprio no. Mi ritenevo
semplicemente un piccolo verme assopito, incapace ancora di rompere il
guscio nel quale si era nascosto perché troppo debole e
stanco. Ma lo sapevo, avevo solo bisogno di forze esterne.
Ce l'avrei fatta ad
uscire e diventare farfalla, prima o poi.
Perciò continuavo speranzoso a vivere come una
nullità quasi scadente, magari anche fastidiosa, aspettando
quel qualcosa
che mi avrebbe fatto rinascere. Poi conobbi - persi - lui.
~
Il piccolo quanto spoglio parco giochi del paese era l'unico posto
più risanante per i miei nervi, inevitabilmente provati da
intere infinite giornate passate dietro una scrivania a ordinare fogli
ed a scarabocchiare numeri. Mansioni stupide e snervanti che
costituivano la principale attività che il mio nuovo lavoro
mi obbligava a compiere; posto che avrei sicuramente abbandonato dopo
pochi giorni. La mia esistenza che cambiava nel lasso di qualche
minuto, questa era la
mia routine.
Estraniandomi dal mondo, tracciavo quasi invisibili linee su uno
spiegazzato fazzoletto bianco. Un comune strato di carta fine che aveva
per poco arrotolato il mio intero pasto composto da un caffè
nero e da un'insalata scondita; da quel
giorno non
mangiavo più carne.
La mia fedele matita, impugnata saldamente nella mano destra, si
muoveva con ardore infierendo sul piano che gli offrivo, gli occhiali
dalle lenti scure scendenti sul setto nasale m'impedivano per poco la
vista. Ma non c'era
nessun sole ad infastidirmi, anzi.
“Tra qualche
minuto inizierà a piovere.” pensai.
Il vapore umido che s'innalzava dal terriccio circondante, le urla di
protesta dei bambini obbligati a tornare a casa: tutto ciò
preannunciava l'arrivo di un bel temporale fulminante. Eppure la mia
personale montatura occhialuta anonima e nera non abbandonava mai il
mio volto, giorno e notte mai
privo di qualcosa che riuscisse a mascherarmi; la mia era una credenza
alimentata col tempo, quasi
come se i miei occhi potessero ferire. Le mie pupille non
erano mai state niente di speciale, ma dopo allora me le
sentivo sporche. Se qualcuno mi avesse guardato dritto nei bulbi
oculari, ero sicuro che avrebbe
capito.
Avrebbe visto la paura, avrebbe visto il disgusto. Avrebbe visto la sofferenza.
“Lo sguardo
è lo specchio dell'anima, Gee.”
Odiavo i
miei occhi e li nascondevo. Se facevo la figura dell'idiota, poco
importava.
Continuai a starmene seduto sulla mia abituale panchina
scrostata anche quando il cielo grigio di pioggia cominciò a
tuonare in festa, mentre indaffarati passanti mi correvano davanti.
Respiravano ansimi affannati nella fretta dell'andare a casa, certi che
qualcuno li stava sicuramente aspettando, in un mio non so dove
immaginario. Chissà perché mi piaceva
così tanto ferirmi fantasticando sulle vite altrui,
magicamente migliori della mia; ormai
adoravo farmi
del male.
Dopo quel giorno
avevo perso residenza, avevo smarrito le redini del mio controllo.
Avevo dato di matto, credo. Troppo impegnato a consolare il mio dolore
con qualsiasi robaccia chimica e stupefacente, mi ero lentamente
allontanato dalla mia ex-vita. Addio,
ho detto.
Ho pianto.
Ho pianto
così tante lacrime di sangue da sentirmi troppo freddo.
L'idea di starmene ore e ore sotto l'acqua a prendermi una qualsiasi
malattia mi allettava molto; niente lavoro e una gradevole scusa per
starmene a letto per tutto il giorno, fino a sentirmi troppo stanco ed
annoiato pure per dormire. La mia pigrizia era forse giustificata dal
mio enorme rimuginare, eppure non pensavo mai niente, in
realtà.
Quel che facevo non si poteva catalogare come vivere, lo sapevo. Non lo era più,
perlomeno. Ciò che mi faceva inconsapevolmente andare avanti
era tempo che si segnava sul mio volto, che cambiava i miei connotati
fisici e lasciava intatto il resto. Era tempo, sì. Tempo che
passava e basta.
Ed io non ero un bravo attore, ma nessuno riusciva a capirlo. Non
sapevo fingere di poter stare bene; non potevo credere di sapermi
riprendere senza lui.
Non ostentavo disperazione o tristezza e non ero cattivo; sotto la mia
maschera formata da indifferenza e da impressionistica
superiorità non si nascondeva nient'altro che un “andate al
diavolo” generale. Al mondo esistono
avvenimenti, sensazioni e persone che riescono a cambiarti in meglio o
in peggio.
In quel momento lo capii e pensai di aver smarrito la mia
umanità, ma
in quel parco ero ormai solo e nessuno mi salvò.
Il foglio scribacchiato cominciò ad accartocciarsi su
sé stesso, quasi come se il mio fitto marcio interiore
avesse potuto distruggerlo solo venendoci a contatto. Quelle parole
scritte con finto odio e disprezzo continuavano a lampeggiare come
manifesti al neon dentro il mio cervello, cercando di assumere una
malignità che troppe volte non mi contraddistingueva. Ma ce
la dovevo fare.
A volte nella mia testa qualcosa si è sfilacciato; un filo che si spezza
è come un tic che ti spinge ad uccidere,
pensai. Ho sentito che mi sarei rotto, che avrei sbagliato qualcosa. La
mentalità umana è troppo complicata da decifrare
ed allora viene sintetizzata in pochi giudizi, ci diciamo. Ma
qual'è il vero problema esistenziale che ci assilla, allora?
La mia intera persona era stata diluita in piccole gocce di schifo,
forse spazzatura; come
oppormi al volere umano, al destino che mi era stato ingiustamente
designato? La mia situazione mi appariva più
grande di quel che era, quasi intricata. Aspirai aria fugacemente, come
a volermi liberare di qualcosa, ma un odore di fritto e di erba
tagliata mi invase le narici e mi stordì non poco. Pensai
che avevo fame,
fame d'amore e di affetto. Pensai a
lui.
La mia vita di crisalide era finita; grazie a lui avevo
finalmente vissuto da farfalla.
Ero riuscito ad abbandonare almeno un po' la tremenda indifferenza che
mi aveva sempre attanagliato, riuscivo finalmente a guardare il mondo
da una prospettiva diversa, forse felice.
Ma anche al più stupido degli ignoranti era noto, la vita di
tali animali era fin
troppo breve. Eppure lui c'era stato, eppure lui aveva provato a trattenermi in
vita. Il mio
ragazzo; un tipetto moro dagli occhi scuri, quasi un bimbo pimpante e
birichino - il suo nome era Frank e da parecchio tempo riposava sotto
almeno cinque metri di terra. Era un piccolo cerbiatto troppo
cresciuto, il mio Frankie. Si sentiva intatto difronte alla
crudeltà umana, riusciva a sorridere in ogni momento ed era
terribilmente sincero. Ma non quella sincerità cattiva,
proprio no. Lui si poteva accomunare ad un minuscolo diamante
maledettamente levigato, ma tuttavia pregiato. Non pensava, viveva e
basta, senza cognizione di tempo o di momento. Esisteva bene e nemmeno se ne
accorgeva.
In realtà eravamo molto differenti, lo sapevamo bene. Quasi
in complementari, ma ci necessitavamo come una droga ed il nostro
rapporto si fondava su amore condiviso e nient'altro.
Poi però cadde.
In un'anonima strada buia, dopo l'ennesima serata passata insieme e con
quella sua dolce smorfia da furbacchione ancora stampata in volto.
Cadde perché non sapeva camminare bene; lui inciampava sempre. Un piccolo
tonfo per terra nel bel mezzo delle strisce pedonali, il suo corpo
leggermente disteso sul freddo asfalto ed un ginocchio sicuramente
sbucciato. Si girò e mi sorrise.
“Sono proprio un
imbranato, vero Gee?”
Successivamente una macchina rossa, forse una Toyota vecchio stile.
Almeno duecento chilometri orari, un ubriaco al volante ed un'assurda
sfrecciata sulla tangenziale. Il piccolo corpicino nel mio Frankie fu
tranciato a metà dai fischi del freno a mano; il suo
sorrisetto ancora intatto sulle labbra ed infine il nulla. Dalla mia
bocca nemmeno un urlo, forse solo uno stridulo accenno di pianto; perché tutto accade
troppo in fretta quando inciampi in una strada.
Il sapore degli schizzi intestinali delle sue budella era ancora
orribilmente stampato nel mio palato. Avevo visto il suo sangue
estendersi per interi metri, inghiottire cartacce sporche e bagnarmi la
tela fine delle scarpe. Ricordai l'odore della sua morte; sì, odorava di benzina.
Ed avrei voluto strapparmi con uno scatto gli occhi, perché
io il mio amore morto non lo volevo vedere.
Assaggia il sapore del liquido vitale umano senza nemmeno rendermene
conto; o forse no, lui
era un cerbiatto. L'ho
amato e poi l'ho mangiato. Non è stata colpa mia!;
mi sono ripetuto col tempo.
Ma se l'avessi fermato? Se
l'avessi baciato? Se l'avessi stretto a me ancora per un po'?
Se.
Però. Ma. Quando.
Avrei voluto vomitare fino a non sentirmi più lo stomaco,
vomitare tutti i miei ricordi e rinascere vegetale. Forse sarei morto,
ma non sarebbe cambiato nulla. Non c'era più niente per me, nemmeno l'Inferno.
“Tu dici non hai
niente.
Ma ti sembra niente il
sole?
La vita?
L'amore?
**”
Adesso non
c'era vita, non c'era amore e non c'era nemmeno il sole. Da un quarto
d'ora buono il cielo continuava incessantemente a piangere, e mi
ritrovai scioccamente a sperare che quell'acqua potesse magicamente
diventare un non so quale acido. Un componente chimico così
forte e brutale da riuscire a scorticarmi la pelle, a farmi soffrire.
Forse anche solo per farmi capire, per darmi la prova che in fondo vivo
lo ero ancora.
Eppure mi bagnai, mi continuai a bagnare, ma non successe nulla. Cos'ho
fatto? Cos'ho perso? Cosa... cosa
sono diventato?
Cominciai a ridere istericamente, rompendo il silenzio idilliaco e
tombale creatosi tra i fulmini ed il ticchettio esasperante delle gocce
a contrasto con il ghiaino. Accartocciai con un gesto quasi rabbioso il
fogliaccio scritto, ormai diventato una specie di pappa grigia e
sporca. Lo strappai con furia, quasi come volessi distruggere del tutto
i miei pensieri. E
risi, sguaiatamente, senza ritegno. Ancora quel nauseante
puzzo di cibo nelle narici, sicuramente appiccicato ai vestiti, e
l'acqua che s'insinuava nelle mie vesti nere di cotone, che si
attaccava al di fuori degli occhiali. Tante piccole forme d'acqua che
mi oscuravano la vista, che m'infastidivano gli occhi.
Poi mi buttai per terra; o
forse cascai anch'io, chi lo sa. Sfrusciai i miei ginocchi
ricoperti da ormai fradicia stoffa di jeans nera contro i tanti
sassolini ruvidi della strada, mi abbandonai del tutto all'acqua e
smisi di pensare. Grattai la mia gola assumendo un tono roco e
stridulo, estesi la mia ugola e risi ancora, sempre più.
Ah. Ah. Ah.
Mi accasciai completamente disteso, la faccia sprofondata in una pozza
formatasi grazie ad un piccolo dislivello del piazzale. Il mio corpo
era del tutto bagnato ma non sentivo niente, solo un ulteriore freddo
che mi cresceva dentro. Poi l'immagine di lui, i suoi occhi, ed
allora fui contento di portare ancora gli occhiali. Anche se piangevo,
potevo mentirmi per un'ultima volta.
Non c'era un cuore nel mio petto, non c'era luce nella mia vita, e fu
un'idea fulminante e malsana quella che mi si formò nella
testa facendomi quasi sorridere. Premetti il mio volto dentro
quell'acqua sporca e nera, molto probabilmente lugubre, ma tuttavia illuminante.
Cominciai a soffocare i miei respiri; se mi ci mettevo d'impegno sarei
riuscito a farcela.
Dal liquido si prende vita e forse avrei potuto morirci, cercando di
arrestare gli spasmi violenti del mio corpo e la voglia di alzarmi che
mi faceva tremare le orbite degli occhi. Combattevo con il mio stesso
ego e sentivo che avrei potuto vincere. Un'ultima prova di coraggio Gee,
mi dissi.
Non sei poi così
debole, no?
Ed ecco la mia morte
deplorevole, pensai all'improvviso. Sarei finito sui
giornali e mi avrebbero preso per pazzo; ma la mia non era una via di
fuga, proprio no. Era solo l'alleviamento
del mio dolore. Solo
questo.
I will never let you fall.
Non ti farò
mai cascare.
I'll stand up with you forever.
Resterò in
piedi con te per sempre.
I'll be there for
you through it all.
Ci sarò qui
per te a discapito di tutto.
Even if saving you sends me to heaven.***
Anche se salvarti mi
manderà in Paradiso.
L'avevo promesso. Te
l'avevo promesso, ve l'avevo
promesso.
Ma mi è sempre
e solo riuscito sbagliare. So fare poco. Sbagliare, cascare, uccidere.
Adesso avevo imparato anche ad affogare.
Nient'altro.
Owari
Note:
* Ispirazione grazie a “I
hate this song” by Secondhand Serenade.
** citazione un po' stramba per me, ma penso che le parole siano
più che azzeccate e molto belle.
“Meraviglioso” by Negramaro.
*** “Your
guardian angel” by The Red Jumpsuit Apparatus.
Rivivo di luce propria,
oh yeah!
Ma questa piccola OneShot
depressa sta a significare qualcosa che di triste ha ben
poco - la posto per festeggiare,
ecco. Sorrido alla vita per almeno cinque minuti, e forse lo faccio
solo grazie a voi.
Festeggio
il ritorno della mia Twinna.
Festeggio i
nostri primi due giorni, Micia.
Festeggio
l'esistenza della mia mamma, la migliore del mondo.
Lo so; questa fic parla del suicidio multiplo e collettivo del Frerard, ma poco
m'importa - è un lavoro sofferto e già un bel po'
ammuffito, ma onestamente riesce quasi a piacermi.
Ordunque vado a sistemare i miei muffin da poco cotti - malatamalatamalata
- sperando che qualche anima pia mi lasci un gradito commento. *W*
Lova ya all. Voi tre
soprattutto. <3
AintAfraidToDie
|