Quarto capitolo: Bad
Timing
Shaw
aprì gli occhi e si guardò attorno. Fusco era legato ad una sedia a un metro da
lei, che era nella stessa situazione, ma lui non si era ancora svegliato, non
aveva acquisito la sua resistenza ai tranquillanti con nove mesi di
somministrazioni. Tese i polsi per testare la solidità dei legacci e fece una
smorfia.
“Questa
è sveglia.” Un uomo le si avvicinò e lei gli fece una parodia di sorriso.
“Non
ti piacerà quello che ti farò quando mi sarò liberata.” Un altro uomo entrò
nella stanza ridendo.
“Siamo
già alle minacce?”
“Tu?”
Shaw fissò stupita Igor Selkov, il suo numero. “Non
dovresti essere in una cella?”
“Sì,
ma abbiamo un buon avvocato e degli amici influenti.”
“Abbiamo?”
Chiese lei dandosi della stupida ancora una volta, avrebbe dovuto sapere che la
Macchina non si sarebbe interessata a un piccolo rapinatore, doveva esserci
qualcosa di più sotto. L’uomo sorrise.
“Non
sai con chi hai a che fare, vero?” Altri uomini erano presenti nella stanza e
Shaw gettò loro un’occhiata. Gorilla pieni di tatuaggi e croci d’oro. Sameen fece roteare gli occhi infastidita: mafia russa.
“Esatto.”
Una donna entrò nella stanza, elegante e gelida. “Mi fa piacere incontrarti di
persona, non credevo di essere così fortunata quando ho mandato i miei uomini a
prendere il detective Fusco.”
“Allora
lo spiacere è tutto mio.” Le rispose Shaw, immobile e indifferente sulla sedia.
“Dimmi,
per chi lavori?” Un ampio sorriso si aprì sul volto della donna legata.
“Davvero?
Vuoi giocartela così? Senti, mettimi un proiettile in testa e facciamola
finita, tanto non dirò nulla.” La donna estrasse la pistola e la puntò
direttamente alla testa di Lionel.
“Così
andrebbe meglio?” Il sorriso di Shaw si fece sarcastico.
“Spara
a lui, spara a me, nell’ordine che preferisci. Non ho preferenze.” La donna
rimase immobile per un lungo istante senza distogliere lo sguardo dai suoi
occhi, poi premette il grilletto. Shaw non batté ciglio e la donna abbassò il
braccio. La pistola non era carica.
“Scoprirò
quello che succede in questa città, abbiamo dovuto abbassare la testa per
qualche tempo, ma sembra che soffi un vento nuovo e ho tutte le intenzioni di
prendermi il mio posto al sole.”
“Sì,
ti servirebbe un po’ di colore.” Commentò Shaw lanciandole uno sguardo di
valutazione.
“Posso
farle un buco in testa?” Chiese allora Igor.
“Forse,
ma prima direi di raffreddarle un po’ l’animo. Magari parlerà quando inizierà a
perdere le dita, le orecchie o il naso.”
“Capo!”
Due uomini entrarono nella stanza, tra di essi tenevano legata una donna. Shaw
non mosse un muscolo, me sentì il cuore accelerare: Root.
“E
questa chi sarebbe?”
“Salve,
puoi chiamarmi Root, tu invece sei Marika Petrovoska, figlia del boss della mafia russa Dimitriv Petrov. Come sta il
paparino? Oh, ops, è morto. Ucciso da Samaritan per l’esattezza.” Fece un sorriso compiaciuto che
non scomparve dal suo volto neppure quando l’uomo che le stava accanto le tirò
un pugno nello stomaco.
“Cosa
fai qui? E chi è Samaritan?”
“Sono
venuta a salvare loro.” Con la testa indicò lei e Fusco. “Il resto scopritelo
da sola.”
“Brava,
hai trovato i tuoi amici, ma per il resto, direi che hai fallito.” La donna
sorrise, ma nel suo sguardo vi era della fredda rabbia.
“Succede
anche ai migliori, chiedilo a papà.” Root si strinse
nelle spalle e lanciò un’occhiata a Shaw che distolse lo sguardo da lei.
“Mettete
nella cella anche lei. Uno dei tre parlerà, prima o poi, e mi divertirò più del
previsto a vederli soffrire.” La nuova leader della mafia russa lasciò la
stanza seguita da un paio di gorilla, ma con loro rimasero Igor e tre idioti
armati.
“Che
spreco.” L’uomo che aveva eseguito la rapina qualche ora prima, osservò Root mentre la mettevano su una sedia e la legavano. “Una
creatura così bella.” La donna gli fece una smorfia disgustata, ma lui le si
avvicinò, le posò la mano sulla gamba e risalì lungo la coscia.
Shaw
sentì il sangue ribollirle nelle vene, ma non mostrò nessuna emozione, era
brava anche a non provarle, ma se vedere una pistola alla tempia di Fusco non
le aveva dato neanche un brivido, anche perché sapeva riconoscere una pistola
scarica, quell’uomo che toccava Root la faceva
impazzire.
“Non
lo farei se fossi in te.” Mormorò Root all’uomo che
si era avvicinato ancora.
“E
perché no?” Chiese lui e Root strinse le ginocchia,
poi le ruotò spezzandogli la mano con quella netta torsione. L’uomo urlò di
dolore stringendosi al petto l’arto ferito e Root
ricevette uno schiaffo che le spaccò il labbro, ma che non le fece smettere di
sorridere. Così ricevette un pugno e poi un secondo e un terzo. Shaw sentiva le
mani prudere, ma non era riuscita a liberarsi, le serviva ancora qualche
minuto.
“Ti
aveva avvisato.” Disse e i due gorilla si voltarono a guardarla, fermandosi.
“Ne
vuoi un po’ anche te?”
“Perché
no…” Si strinse nelle spalle e ricevette un manrovescio. Almeno avevano smesso
di picchiare Root.
“Metteteli
nella cella, quando usciranno sarà passata a entrambe la voglia di sorridere.”
La
cella era frigorifera, come Shaw aveva intuito. Erano in un mattatoio, dopo
tutto si parlava di mafia, giusto? Certi classici erano intramontabili.
Fusco
si mosse un poco mentre lo spostavano, ma non si risvegliò. La porta si chiuse
e loro rimasero sole.
“Sei
stata gentile a fermarli.”
“Ti
avevo detto che non volevo più vederti.” Ritorse lei armeggiando con le corde
ai polsi.
“Avevi
promesso di spararmi, ma visto che probabilmente ti avevano tolto le pistole
potevo rischiare.” Root le sorrise e Shaw digrignò i
denti, un ultimo colpo deciso e si liberò, nel pugno la piccola lama che aveva
nascosto nella manica della giacca. Si alzò e raggiunse Root
puntandole il coltellino alla gola.
“Però
ho questo.” I loro occhi si intrecciarono.
“Fallo.”
Mormorò Root. “Fallo, perché io non vivo…” Shaw la
prese per la gola impedendole di continuare.
“Non
usare le sue parole!” La lasciò
andare e si voltò, rabbiosa, accanendosi contro la porta nel tentativo di
aprirla.
“Vuoi
sapere cosa sono?”
“Sei
un mostro ecco cosa sei.” Shaw si voltò a guardarla e Root
inclinò la testa sorridendo appena.
“Questo
lo ero anche prima, io, te, il boyscout, siamo mostri, lo sappiamo.”
“Smettila
di giocare con me, se vuoi dirmi cosa sei dimmelo e basta.”
“Un
clone.” La parola rimase sospesa nell’aria fredda della cella.
“Cosa?”
“La
Macchina ha deciso di darsi alla clonazione umana. Dopo tutto la tecnologia per
farlo esiste, ma sequenziare un genoma senza fare errori fatali è troppo
complesso per noi o per un normale calcolatore, di certo non per lei.” Sorrise
a quel pensiero e si strinse nelle spalle.
“Un
clone.” Ripeté Shaw scuotendo la testa. “Non è possibile, perché hai i suoi
ricordi?”
“Oh,
questa è la parte che ti divertirà.” Root sorrise,
ironica. “Ha avuto l’idea da te, o meglio, dal modo in cui Samaritan
ti ha torturato.” Shaw scosse la testa incredula. “Sì, Sameen,
ha impiantato tutti i ricordi della vera Samantha Groves
in me. Dice che ciò che ci determina è ciò che abbiamo vissuto. Nella mia testa
i ricordi di Root sono verità, come se li avessi
vissuti io stessa.”
Shaw
scosse la testa eppure lei aveva ancora l’impressione di aver ucciso Reese in
migliaia di simulazione e di essersi uccisa, di aver avuto un momento di
felicità con Root e… si interruppe.
“Root, non abbiamo tempo per queste stupidaggini
metafisiche, dobbiamo uscire di qua.”
“Root? Dunque…?” La donna si liberò a sua volta delle
costrizioni e si sedette più comodamente sulla sedia.
“Stai
zitta e aiutami.” Ancora una volta colpì la porta sperando di farla cedere.
“Lo
sai che così non si aprirà, vero?”
“E
dunque ti arrendi? La mia Root non lo farebbe.”
“La
tua Root?”
Un sorriso malizioso le illuminò lo sguardo.
“Diavolo,
Root! Aiutami!”
“Non
si aprirà così, ma non crederai che sono venuta qui senza un piano?” Shaw
finalmente si arrese e si voltò a guardarla.
“Finch? Senza John non credo possa fare granché.”
“Non
lo sottovalutare.” Shaw si strinse le braccia attorno al corpo, il freddo
iniziava a penetrarle nelle ossa. Root sorrise, le
labbra della giovane ormai erano viola, ma non sembrava infastidita dal freddo.
“Lo
sai che è scientificamente provato che unendo il calore dei nostri corpi
sopravvivremmo più a lungo?”
“Nei
tuoi sogni, Root.” Vide la donna sorridere divertita.
“Non
solo nei miei sogni e questo è un ricordo vero, tutto mio.” Sorrise ancora,
maliziosa. “Come un altro ricordo… tu, io, un letto, nessun vestito, un
discorso in sospeso…”
“Root…” Il tono ammonitore di Shaw non spaventò la donna
neanche per un istante.
“Sì,
Sameen?”
“Se
non la smetti chiederò ai bambinoni qui fuori di farmi cambiare cella frigo.”
“Non
riuscirai a starmi lontana, io e te ci apparteniamo.” Questa volta non c’era
ironia o malizia nel suo tono. “E lo sai, c’è un posto speciale per me, nel tuo
piccolo cuore da sociopatica.” Sorrise dolcemente nel vedere il turbamento nei
suoi occhi a quelle parole. Per la prima volta da quando si era liberata si
alzò e lentamente la raggiunse. Le lasciò il tempo per scansarsi, ma Shaw non
lo fece.
“Sameen…” Mormorò soffiando il nome sulle sue labbra. “Tu
sei mia e io sono tua.” Non si mosse eppure le sarebbe bastato un piccolo
movimento per allacciare le loro labbra. Non si mosse, aspettando che fosse
Shaw a farlo. Lasciando a lei il potere di decidere.
“Non
posso.” Disse lei, la voce pervasa da un indecisione che non le si adattava.
“Sì
che puoi. Ci è stata data una seconda possibilità. La Macchina ha deciso che
non poteva fare a meno di me e io so che non posso fare a meno di te.” Shaw
sentiva l’emozione nelle parole della giovane nelle quali c’era anche una punta
di disperazione.
Erano
sole, loro due, erano sempre vissute sole. Root: costantemente
nascosta passando di lavoro in lavoro senza legarsi a nessuno; e lei: menomata,
incapace di provare sentimenti, psicologicamente impossibilitata a legarsi.
Eppure si erano trovate, oh quanto l’aveva irritata Root
all’inizio, sempre a punzecchiarla, sempre a infastidirla, ma poi aveva capito
che erano anime affini, anime solitarie che finalmente avevano trovato un posto
sicuro, una nell’altra.
Ma
Root era morta e l’ultima cosa che lei le aveva detto
era di andarsene altrimenti le avrebbe sparato lei stessa. Quante volte aveva
ripensato a quel momento, quante volte aveva desiderato poter tornare indietro
per cambiare posto con lei. Per salvarla.
“Siamo
qui, ora, io e te.” Le mormorò ancora Root e lei
eliminò la distanza che le separava, baciandola. Le sue labbra erano fredde,
gelide quanto le proprie, ma non aveva importanza, quel bacio sigillava il loro
amore, che Shaw sapeva di non avere ancora la forza di ammettere ad alta voce.
La
sua mano salì a sfiorarsi dietro l’orecchio in un gesto automatico, ma incontrò
le dita di Root che le accarezzarono il collo. Si
separarono, gli occhi di Root brillavano di gioia.
“Ora
possiamo uscire da qui.” Annunciò la donna, sorridendo.
“Non
ci hai messo in questa situazione, apposta, vero?” Chiese allora Shaw,
consapevole che non sarebbe stato così impossibile.
“No,
certo che no, ma perché non approfittarne un po’? Dovevo fare in modo che mi
ascoltassi e farci chiudere insieme in una cella frigo sigillata mi è sembrato
un’ottima idea.” Sorrise di nuovo maliziosa. “Coltello, grazie.” Tese la mano e
Shaw glielo consegnò. “Questa cella frigorifera è state costruita recentemente
e per essere a norma deve essere dotata di un sistema di sicurezza che ne
permette l’apertura dall’interno.” Mentre parlava tamburellava sulla fredda
parete della cella con il manico del pugnale. “Ovviamente lo hanno manomesso,
ma…” Si interruppe sorridendo soddisfatta, poi piantò il pugnale nella parete.
“Ti
ricordo che se rompi uno dei tubi contenente il gas refrigerante siamo morti.”
“Sì,
tesoro, la sicurezza come prima cosa.” Si voltò a guardarla e sorrise. “Lo vedi
come lavoriamo bene insieme?” Shaw alzò gli occhi al cielo, ma non riuscì ad
impedirsi un sorriso.
Un
grugnito avvertì le due donne che Fusco si stava svegliando.
“Benvenuto
al Polo Nord, bello addormentato.” Lionel sbatté le palpebre confuso e di certo
le parole di Root non lo aiutarono.
“Che
diavolo sta succedendo?”
“La
mafia russa. Puntavano a te, hanno capito che eri troppo spesso coinvolto in
azioni della polizia poco chiare, in particolare la finta morte di Elias e
hanno deciso di rapirti per avere delle risposte. Shaw è stata un piacevole
bonus.” Spiegò Root chiaramente informata dalla
Macchina, alle sue ultime parole guardò Shaw con gli occhi che brillavano e un
sorriso malizioso sulle labbra. “Posso capirli perfettamente…”
“Quindi
io per te sarei un bonus? Un di più?”
“Un
magnifico di più del quale non riesco a fare a meno.” I loro sguardi si
intrecciarono, un sorriso divertito apparve sulle labbra di entrambe.
“Davvero?
Adesso vi mettete a flirtare? Sono legato come un salame, siamo in una cella
frigorifera della mafia russa e voi flirtate?” Fusco scosse la testa
esasperato.
“Oh,
Lionel, abituati, Root ha un pessimo timing.” Shaw
guardò la donna con un sorrisino sulle labbra.
“Oppure
ho il migliore che ci possa essere.” Le rispose lei, divertita dalla
situazione.
“Oddio,
sono pazze…” Le due donne si sorrisero, poi Shaw andò a liberare il detective e
Root tornò al suo lavoro sulla parete.
“Root ci tirerà fuori in un attimo.” Disse a Fusco.
“E
quando saremo fuori?” Sul volto di Shaw si aprì un ampio sorriso, preannuncio
di guai.
“Allora
potremo divertirci.”
Dopo
aver inciso la parete Root ebbe accesso a dei fili
elettrici, trafficò alcuni secondi, poi si voltò con un sorriso.
“Et
voilà.” Disse appoggiando la mano alla porta e aprendola.
Shaw
sorrise gettandosi in avanti, seguita dalla donna. Quando Fusco uscì a sua
volta le due donne erano le uniche rimaste in piedi.
“Credo
che non si aspettassero di vederci… non è stato molto divertente.” Si lamentò
Shaw.
“La
porta a destra.” Disse Root afferrando una pistola da
terra. Raggiunsero la porta insieme e la donna fece cenno di aspettare. “Ci
sono due guardie pesantemente armate qua fuori, ma la polizia farà irruzione
tra: tre, due, uno.” Uno scoppio e delle urla seguirono quell’annuncio. “Finch ha fatto la sua parte.” Ascoltò le istruzioni della
Macchina e aprì la porta. “Le guardie sono fuggite e ora noi ce ne andiamo,
meglio non farci trovare qui.”
Un’automobile
si fermò e loro vi salirono.
“Sono
contento di vedere che il suo piano ha funzionato, signorina Groves. Malgrado quello che ha rischiato per rimanere sola
con la signorina Shaw.”
“Quindi
era proprio tutto pianificato.” Mormorò l’interessata, scuotendo la testa, ma
sul viso aveva un ghigno divertito. Finch sorrise nel
capire che il colloquio tra le due donne si era risolto per il meglio.
“Ne
dubitavi Harry? Così mi offendi.” Gli rispose Root.
“No,
non dubiterò mai di lei e riguardo al fuggire so che è una maestra. Se, poi,
assieme a lei c’è la signorina Shaw allora non conosco qualcuno capace di
fermavi.”
“Ehi,
quattrocchi, c’ero anche io.”
“Un
aiuto impareggiabile, Lionel, hai dormito tutto il tempo.” Gli ricordò Shaw, poi
abbassò lo sguardo stupita, Root fissava la strada,
ma aveva intrecciato le dita con le sue.
“Comunque
non si scherza con la mafia russa e a me non va di essere nel loro mirino.”
“Mi
sono occupato anche di questo detective Fusco. Non la disturberanno più.” Non
aggiunse altro, ma se Finch affermava qualcosa del
genere probabilmente aveva ragione. “New York si sta svegliando dallo
stordimento provocato da Samaritan, sento che i guai
sono solo incominciati.”
“Vuoi
dire che non sono mai finiti, Harry. Ma dopo tutto per questo siamo qui, no?” Root sorrise all’uomo che la guardava nello specchietto.
“Di nuovo in sella, assieme.” La sua mano si strinse con più forza attorno a
quella di Shaw.
“Sì,
signorina Groves, ha ragione.” Finch
sospirò, davanti a quel lavoro infinito, ma Shaw e Root
sorrisero. Fino a quando esisteva un mondo di esseri umani ci sarebbero stati
numeri da salvare o numeri da fermare. Quello era il loro lavoro e lo avrebbero
fatto assieme.
Note:
E questo era l’ultimo capitolo… cosa ne pensate? Root effettivamente non é Root, ma al contempo è Root… Shaw
sembra aver dipanato la matassa, per una che non prova sentimenti ha ben chiaro
per chi batte il suo cuore, clone o non clone. J
Ci sarà ancora un piccolo epilogo, per ora grazie mille a
tutte le lettrici che mi scrivono un commento (il capitolo con un giorno di
anticipo è un regalo per voi) e anche a quelle/i silenziose/i.
A presto!
Ciao ciao