Le ciglia di Kise
sono davvero lunghe.
Aomine registra la
familiarità di quel pensiero e ricorda di averlo formulato già
in passato.
Ricorda se stesso a
quattordici anni, un tempo che adesso gli sembra distante, coperto da
una patina di polvere che lo fa apparire come qualcosa di
irraggiungibile, un posto immaginario creato dalla sua testa. Gli
sembra così reale, però, il se stesso di quattordici
anni chiuso in un ripostiglio per gli attrezzi, in palestra, le
risate soffocate dietro le mani dopo aver trovato un rifugio da
Akashi solo un'eco, perso a contemplare gli occhi di Kise troppo
vicini.
Allora le trovava
buffe, quelle ciglia lunghissime che sembravano quelle di una
ragazza, il contorno perfetto ad occhi di un oro che riusciva a
distrarlo quando il ragazzo gli parlava. Buffe, eppure era senza
fiato che le aveva osservate da troppo vicino, in quel luogo angusto.
Era confuso dal
batticuore, allora, incapace di dare un nome a quelle fitte allo
stomaco, a quel bisogno di stare vicino ad un compagno di squadra, un
amico, nonostante la sua vicinanza, il suo profumo e persino la sua
voce irritante gli provocassero un malessere che avrebbe volentieri
scacciato con una sana e debita distanza.
Sbuffa, Daiki e Kise
corruccia la faccia in un modo buffo che gli ricorda un bambino,
alzando una mano verso il viso per spostare qualsiasi cosa gli sia
caduta sul naso -sembra concentrarsi lì, alla cieca e ancora
troppo addormentato- e Daiki si tende, lo stesso bisogno di
osservarlo ancora e di scappare prima che si svegli che lo confonde e
lo costringe a trattenersi anche dal respirare.
Kise finalmente
smette di cercare alla cieca la fonte di disturbo e abbandona il
braccio sul cuscino, il pugno chiuso e i tratti più distesi.
Daiki non dorme poi
così tanto, durante la notte. Gli piace abbandonarsi a
pisolini improvvisi sul tetto della scuola o dormire di più
quando ha un impegno a cui rinuncerebbe volentieri, ma da quando non
dorme più da solo è sveglio non appena apre gli occhi,
pronto ad osservare l'altro occupante del letto, che dorme.
C'è da dire
che il suo letto ad una piazza e mezzo non è comodo, con due
giocatori di basket sotto le lenzuola, ma non è esattamente
quello ad impedirgli di riaddormentarsi.
Kise emette una
specie di gorgoglio che potrebbe essere una protesta per il sole che
comincia ad illuminargli le palpebre abbassate e torna a spostare
oggetti invisibili dal suo naso con il pugno chiuso, borbottando
ulteriormente.
Daiki gli sposta una
ciocca di capelli che gli tocca appena la radice del naso,
soffermandosi più a lungo del dovuto tra i capelli biondi, con
la punta delle dita. Sono impossibilmente morbidi e Daiki è
costretto a trattenere una risatina nel ricordare la quantità
di prodotti di bellezza che il ragazzo si porta dietro ogni volta che
passa il weekend in casa sua. Una volta ha persino insistito per
usarli su di lui, minacciando future rughe d'espressione e teste
pelate -che male c'è ad usare solo un tipo di sapone per corpo
e capelli?- e Daiki ha dovuto sopportare Momoi con le mani tra i suoi
capelli per due giorni di fila.
Sorride, nonostante
il primo istinto sia quello di corrucciarsi al ricordo, perché
ha da tempo scoperto che scivolare con le dita tra i capelli di Kise
è una delle sue attività preferite, anche se non
disdegna quando questa diventa reciproca, perché è ciò
che più di tutto riesce a conciliargli il sonno.
"...'cchi."
borbotta Kise, corrucciando nuovamente le sopracciglia. Daiki riempe
la distanza tra i loro corpi, facendo scivolare la mano non occupata
a pettinargli le ciocche dorate oltre la sua schiena ed aggrappandosi
al pigiama dell'altro.
"Dormi."
mormora, anche se probabilmente non può sentirlo.
Fa caldo, in quella
mattinata autunnale, tanto che ancora dorme senza la maglietta e il
contatto con il tessuto gli dà fastidio, ma Kise poggia il
pugno sul suo petto ed incastra la testa sotto al suo collo,
respirandogli qualcos'altro sulla pelle. Anche quello è
strano. Incastrarsi in quel modo nonostante ormai siano troppo grandi
per quel letto, un intreccio scomodo di muscoli ed ossa appuntite.
Eppure gli basta sentire il respiro di Kise farsi di nuovo regolare,
finalmente schermato dalla luce, per dimenticarsene.
Distrattamente,
Daiki si chiede quando abbia cominciato a cedere, a diventare morbido
e plasmabile agli affetti del biondo, accettando abbracci e mani
intrecciate solo con proteste espresse a mezza voce, cedendo
all'entusiasmo che non riesce a nascondersi dietro l'oro puro dei
suoi occhi.
Morbido, affettuoso,
si ritrova a pensare alla prima volta che hanno dormito insieme, alla
tensione delle spalle di Kise, al suo timore di perderlo ancora.
Ancora, quel
piccolo ed insignificante dettaglio nel mezzo della frase che è
riuscito a scuoterlo, a farlo cedere, pezzo dopo pezzo, ai desideri
del biondo che in sé aveva nascosto. E allora dormire insieme,
svegliarsi insieme, restare qualche minuto ad osservare il viso
addormentato del modello, le righe del cuscino sulla guancia e lo
sguardo ancora addormentato, cedergli una mano per permettergli di
appoggiarsela sul viso, prima di cominciare la giornata, è
diventato facile. Piacevole. Qualcosa che aspetta.
E davvero non
importa se qualcuno commenta che si lascia plasmare con troppa
facilità dal biondo, che mette a rischio la sua immagine, la
sua stessa carriera, semplicemente esistendo e riservando
l'entusiasmo meravigliato di un gesto d'affetto nei suoi confronti
solo a Daiki. Daiki smette di pensare, smette di preoccuparsi e forse
anche sbaglia, ma in fondo sa che quel bisogno di sentirsi causa di
quella felicità di Ryouta è essenziale, soprattutto
quando da essa sembra dipendere parte della propria, non è una
questione di un mese o due di una relazione che non esita a definire
d'amore.
E, quando Ryota
nonostante tutto si sveglia e si allontana appena per guardarlo, le
lunghe ciglia che pigramente scacciano via la stanchezza residua, gli
occhi che si riempono di una luce di cui sa essere la causa, Daiki sa
di essersi scoperto malleabile e innamorato ben prima, premuto contro
la porta di uno stanzino un po' nascosto della palestra, a
quattordici anni.
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