Haruka ½
Una
fredda giornata d'inverno avvolgeva le larghe e vaste strade di
Nerima, le quali erano sempre deserte di prima mattina; così
silenziose da far udir solamente il lieve venticello danzatore.
Tuttavia,
la quiete si smorzò a causa di udibili schiamazzi e forti
tonfi provenienti ogni volta dalla stessa abitazione: i Saotome erano
conosciute come persone alquanto “vivaci” nel quartiere,
per tale motivo le lamentele da parte dei vicini non tardavano mai a
mancare all'appello.
«Sapete
che vi dico?» aveva iniziato una voce mascolina e rauca,
l'unica spallina dello zaino nero messa in spalla «Andate
entrambi al diavolo».
Un'affermazione
fredda e distaccata, ma il soggetto a cui apparteneva quella voce non
poté neppure mettere un piede fuori dalla porta di casa, che
subito fu rispedito al suo interno. Fu allora che egli vide i due
occhi taglienti altrui: quegli occhi così tanto simili ai
propri e che in quel momento lo fissavano con rimprovero.
«Ti
è andato di volta il cervello?!» aveva sbraitato chi
aveva innanzi, emettendo un mormorìo carico di stizza.
L'altro
aveva roteato gli occhi azzurrini e aveva dato nuovamente le spalle a
quella che sembrava sua madre: vestita con una canottiera bianca e
dei pantaloni verde-scuro; leggere cordicelle stringevano le sue
caviglie sottili. Gli occhi erano grandi, un curioso e furbo
cerbiatto dallo scarlatto crine raccolto in un semplice codino
all'insù.
«Non
ho tempo da perdere con i vostri inutili combattimenti a quest'ora
del mattino, papà» aveva affermato il giovane, e in men
che non si dicesse una gelida secchiata d'acqua fredda bagnò
l'aperta felpa blu chiaro, la bianca maglietta candida e gli stretti
jeans color pece. Per non parlare delle vermiglie All Star, ormai
tutte fradice, che il giovane portava ai piedi.
«Bada
a come parli, Haruka!»
«Papà,
dacci un taglio!»
«Ranma,
sei un ingrato! Io cerco di impartir un sana lezione a mio nipote,
aiutandoti, e questo sarebbe il ringraziamento?!»
La
ragazza col codino rosso gli cacciò un forte pugno in testa
«Vuoi farla finita, una buona volta?!», il quale ebbe
immediatamente risposta dal più vecchio dei Saotome, che non
esitò a riderglielo con tutti gli interessi.
Sempre
la stessa storia, in quella casa non si poteva stare mai tranquilli
un attimo.
Non
solo suo nonno mangiava a sbafo e si approfittava della situazione,
abitando insieme a loro già da tanti anni ormai, ma si
comportava perfino da superiore: e suo padre gli teneva testa in
maniera decisamente testarda.
Ciononostante,
vi era una ancora di salvezza: nonna Nodoka, che al contrario del
compagno si rendeva utile in casa e aiutava sempre sua madre Akane
nelle faccende domestiche e, soprattutto, a metter mano ai fornelli.
Sarebbe stato un vero e proprio suicidio mangiare la cucina di sua
madre senza la supervisione di qualcun altro.
Haruka
strinse con veemenza i pugni delle mani, la stazza ch'era divenuta
più minuta, l'altezza nettamente più bassa, gli occhi
più grandi e smeraldini, i capelli dorati e bagnati a causa
dell'acqua fredda precedentemente buttata dal nonno.
«Io
vi AMMAZZO!»
Fu
allora che il giovane si girò verso i due, cominciando a
lottare con loro dinnanzi alla soglia di casa.
Dei
veloci e pesanti passi scivolarono sul pavimento quasi come due
enormi macigni, finché una terza figura femminile non fece la
sua apparizione: le mani ai fianchi e lo sguardo assottigliato.
«Ora
BASTA» aveva urlato ella, e in un attimo silenzio fu.
Tutti
rimasero impietriti, gli occhi fissi su di lei: sembrava come se una
valanga di neve gelida li avesse appena investiti interamente.
La
donna accennò un lieve sorriso sulle labbra rosee e
successivamente s'avvicinò agli interlocutori. Con sé
aveva portato una teiera ricolma d'acqua calda, perciò non
aspettò oltre e versò essa addosso al figlio Haruka ed
infine all'ormai marito Ranma. Quest'ultimo si passò una mano
sui capelli corvini, un cenno di barba sul mento e ai lati delle
guance gli davano più anni di quelli ch'egli ne aveva in
realtà. Ma era anche vero che era passato parecchio tempo
dalla volta in cui v'era stato quel finto matrimonio, sebbene anni
più tardi Ranma ed Akane avevan deciso di convolare a nozze lo
stesso.
Haruka
restò altri secondi a fissare il padre e il nonno con uno
sguardo che non sembrava promettere nulla di buono, ma subito dopo
diede a tutti le spalle e corse velocemente via da quella casa: si
premurò solamente di salutare la genitrice.
«Ciao,
mà!»
Akane
si portò una lunga ciocca di capelli corvini dietro
l'orecchio, andando a posizionarsi proprio di fronte alla porta
spalancata di casa.
«Vedi
di non fare tardi, stasera!»
«Ma
sentitela, la brava mammina!» Ranma aveva incrociato le braccia
sul largo torace e poi il viso era stato spostato alla propria
destra.
Akane
si girò fulminea verso il consorte e gli si avvicinò
con aria minacciosa.
«Mio
caro, non ti sembra di esagerare?»
Il
codinato la guardò di sottecchi, per poi incamminarsi verso la
cucina come se nulla fosse, il tono altezzoso di chi vuole farla
finita il più presto possibile.
«Non
ti preoccupare, mia cara» le aveva risposto, mentre ella gli
camminava dietro «Lo sto semplicemente fortificando».
Akane
arricciò il naso, mentre Genma sorpassò entrambi con le
mani dietro la schiena, ed evidentemente, con un finto sguardo solenne
stampato in volto.
«Vorrai
dire che lo stiamo fortificando,
forse».
Ranma
si fermò di colpo, fece per dire qualcosa, ma sua moglie lo
precedette:
«Penso
che siate troppo crudeli con Haruka: ha pur sempre diciassette anni».
«Devo
ricordarti cosa facevo io alla sua età?»
La
donna si zittì e subito dopo lanciò un'occhiataccia al
marito: ci mancava pochissimo prima ch'ella gli tirasse un veloce e
forte ceffone sul muso.
Lo
sguardo di Akane, però, finì sul codino di Ranma e
rimase a fissarlo per alcuni secondi.
Se
lo chiedeva già da un po', ma non poteva far altro che
domandarselo: Haruka portava i capelli scarlatti fino alle spalle,
questi legati da una liscia coda bassa. Ciò dimostrava quanto
egli e il padre fossero così simili, ma allo stesso tempo così
diversi.
“Un
giorno, chissà...”
*
* *
In
una casa un poco più lontana da quella dei Saotome, vi era
quella degli Hibiki: era modesta, avevano addirittura il giardino e
innumerevoli piante e fiori in bella mostra sul verde prato intriso
di rugiada.
All'interno
dell'abitazione, una piccola figura se ne stava china sui libri,
seduta innanzi alla scrivania di camera propria. Questa alzò poi
il capo, e in quell'attimo notò che una piccola farfalla s'era
posata sul vetro della finestra, sbattendo pian pianino le piccole
alucce.
Gli
occhi color nocciola si illuminarono, una ragazza dall'età di
quattordici anni s'alzò dalla sedia e s'avvicinò al
piccolo esserino svolazzante, poggiando la mano destra sul vetro e
appannandolo un po'.
Quanto
avrebbe voluto sentire la brezza invernale carezzargli la pelle per
più tempo che solo qualche minuto il fine settimana, sentire i
capelli castani e cotonati andarsene per conto proprio a causa di
quel venticello tanto giocherellone.
Ella
sospirò e si sistemò gli occhiali rossi sul naso,
dopodiché uscì dalla camera e si diresse in cucina:
Shirokuro se ne stava seduta a fissare il frigo con lo sguardo fisso
e perso nel vuoto.
La
ragazza sorrise e le si avvicinò, carezzandole il capo
dolcemente, ed infine voltò il viso verso il frigo: vi era un
post-it attaccato sopra esso. Ella spostò il magnete a forma
di granchio che lo sorreggeva e, tenendo il fogliettino giallo tra le dita, cominciò
a leggere ciò che v'era scritto sopra:
“Buon
giorno, Nagisa cara. Io e papà stiamo portando il piccolo
Hiroshi dal pediatra.
Tieni
d'occhio Shirokuro e vedi di mangiare un po' di più che sei
tanto sciupata! Torniamo presto, non stare in pensiero,
Ti
vogliamo un mondo di bene,
Mamma
& Papà”
Nagisa,
poiché era il nome della ragazza con gli occhiali, sospirò
una seconda volta e riattaccò il post-it da dove l'aveva
preso.
Non
poteva uscire, poiché suo padre glielo aveva severamente
proibito: essendo che egli non aveva davvero senso dell'orientamento
c'era il rischio che anche Nagisa lo ereditasse. Dunque, onde
evitare, la ragazzina non era mai andata oltre la porta di casa senza
l'accompagnamento di qualcuno.
Sapeva
che suo padre era iper-protettivo e alquanto geloso nei suoi
confronti, non si rendeva conto di esagerare ma nonostante questo
Nagisa non s'era mai ribellata e lo aveva sempre assecondato.
Se
c'era una cosa che Nagisa aveva sicuramente preso da Ryoga Hibiki,
quella era senza alcun dubbio l'eccessiva timidezza: ma per ella
questa era stata triplicata per dieci, se non addirittura di più.
Nagisa
ritornò a guardare Shirokuro, poi si guardò intorno:
v'era un silenzio tombale così profondo da far accapponare
quasi la pelle.
«Ti
annoi anche tu, non è vero?» domandò la fanciulla
alla canide, inginocchiandosi davanti ad essa e avvolgendo le braccia
sul morbido collo altrui.
Shirokuro
la guardò intensamente e Nagisa fece lo stesso, non appena
ebbe puntato lo sguardo su quel faccino tutto pelo.
«Beh,
non penso che ritornare a casa sarà così difficile,
no?»
Fu
in quell'istante che Shirokuro abbaiò per la prima volta, in
tutto quell'arco della giornata. D'altronde, cosa mai poteva
andare storto?
*
* *
«Haruka
Saotome, ci rincontriamo di nuovo, a quanto pare».
«Youichi,
gira a largo. Vado abbastanza di fretta».
Youichi
Kunou era un ragazzo slanciato, dalla pelle diafana, dai capelli
color cioccolato lunghi sino alla schiena e legati da un'alta coda di cavallo. Non era un attacca brighe,
ma con Haruka aveva un conto in sospeso: suo padre glielo ripeteva in
maniera estenuante da quand'egli era solamente un bambino.
Estrasse
subito la spada di legno e andò all'attacco, facendo un alto
balzo e cercando di colpire il rosso sulla testa. Tuttavia, Haruka
aveva fatto un veloce salto e si ritrovò a sorreggere
strettamente la spada con i piedi, mentre le mani si tenevano
saldamente sul terreno.
«Ma
sei tutto matto?!» sbottò Saotome, mentre, con l'ausilio della spada, Youichi alzava
di peso il corpo dell'altro e lo lanciava via con forza.
Haruka
atterrò perfettamente in piedi nel lato opposto ove prima v'era il nemico, arcuando
le scarlatte sopracciglia.
Youichi,
quindi, gli puntò la lignea spada contro e lo squadrò
da testa a piedi con lo sguardo scuro.
«Non
posso ritenermi soddisfatto se ancora tu t'ostini a rimanere in
piedi, Saotome».
Il
rosso restò immobile e lo guardò con estrema freddezza:
«E'
la tua occasione, Youichi: perché non provi?» sulle
labbra di Haruka s'andò a creare un lieve ghigno. Youichi fece
un passo in avanti, stringendo la spada con un certo vigore «Non
chiedevo di meglio».
«Papà
ci ucciderà, Shirokuro», mormorò una femminea
voce «Forse avremmo fatto meglio a rimanere a casa...»
Fu
una frazione di secondo: Youichi scattò, allungò la
mano destra e con l'altra fece per colpire Haruka al ventre, il quale
però scansò con estrema facilità il colpo. Un
sorrisetto compiaciuto dipinse le labbra del figlio di Tatewaki
Kunou, gli occhi azzurri del rosso si sgranarono, poiché
Youichi si era dato una veloce spinta con l'aiuto della spalla
sinistra di Haruka, sfrecciando così verso l'alto.
In
aria, Youichi afferrò la spada con entrambe le mani
«Preparati, Saotome!»
Haruka
atterrò bruscamente sul terreno e notò che l'avversario
non lo stava prendendo in pieno ma bensì, non appena girò
il capo, egli si ritrovò a pochi passi da sé una
giovane ragazza in compagnia del suo cane bianco e nero –
quest'ultimo qualche passo più in là – che,
immobile, guardava la scena con curiosità ma a quanto pareva
con pochissima attenzione per ciò che la circondava. Difatti,
Youichi Kunou stava puntando proprio a lei, in quell'istante.
«Attenta!»
aveva esclamato il rosso, andandole addosso e scansandosi assieme ad ella
prima che la spada la centrasse in pieno capo.
Così,
Haruka Saotome, si ritrovò tra le braccia una totale
sconosciuta dagli occhiali dello stesso colore dei propri capelli.
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