Dicono
che il destino non esista. E forse è così. Le
cose capitano perché
semplicemente capitano, come potrebbero non accadere con la stessa
semplicità e casualità; eppure a volte succede
quel qualcosa che
mette in dubbio ogni tua idea a riguardo perché quel
qualcosa, oh,
quel qualcosa è così strano e sorprendente che
non riesci a non
chiederti se è successo perché doveva succedere,
perché così
doveva andare, invece che puro artificio della coincidenza. Molti,
d'altronde, sono convinti che la coincidenza non esista.
Si
erano incontrate la prima volta in quella che considererebbero una
vita fa, in un largo corridoio di un luogo che trattiene i giovani
per degli anni mentre prosciuga loro le energie vitali:
l'università.
Una delle due era una matricola, bassa, capelli disordinati, scarpe
più larghe della sua misura. L'altra era all'ultimo anno,
alta, con
la riga in mezzo e la coroncina, una camicetta con un filo di pizzo.
Opposte proprio come la direzione che stavano percorrendo e,
nonostante ci fosse tanto spazio dove camminare, si erano lo stesso
ritrovate a sbattere. Le loro braccia si erano toccate ed entrambe si
erano girate d'istinto ma, come è facile pensare, non si
erano
viste. La porta davanti si era aperta proprio in quell'istante e un
numeroso gruppo di chiassosi studenti si era frapposto intorno a loro
e così avevano ripreso a camminare ognuna per la sua strada.
E
così avevano continuato: entrambe avevano iniziato la
carriera da
attrici con ruoli minori, con un po' di fortuna riuscendo a
ritagliarsi uno spazio sempre maggiore sul piccolo schermo, entrambe
si erano sposate giovanissime con dei loro colleghi conosciuti sul
set, entrambe avevano avuto dei figli e, infine, entrambe avevano
passato la selezione per un telefilm che avrebbero amato, Person
of Interest.
La seconda fin dalla prima stagione, la prima dalla seconda. Si erano
incontrate e si erano conosciute come se già si conoscessero
da
sempre. Entrambe nate in Texas, entrambe avevano avuto un Jack
Russell, entrambe avevano frequentato la stessa università.
La loro
chimica era esplosa e i loro personaggi si erano avvicinati fino al
punto da spingere gli scrittori a creare per loro qualcosa che non
era minimamente nei piani: una storia d'amore. Più Root
flirtava con
Shaw e più tutto sembrava evidente, sensato, giusto.
Perfetto.
Allungò
la mano sinistra verso l'altro lato del letto, tastando fuori dal
lenzuolo, ma non c'era niente. Shaw si scoprì gli occhi,
spostando i
capelli, ma l'unica cosa che vedeva era la pioggia che faceva tanto
baccano per tutto l'appartamento; la finestra a tratti diventava
completamente bianca: stava tuonando e la luce improvvisa e veloce
illuminava tutta la stanza, permettendole di capire che Root non
c'era. Non era sul letto ma non era neppure nel resto della stanza.
«Root?», borbottò con la faccia
schiacciata sul materasso. Mise
forza sulle braccia per alzarsi il tanto di guardarsi meglio attorno.
La giacca di Root era appesa sul muro tenuta con una stampella su un
chiodo: i lampi la illuminavano. Non capiva: dove poteva essere
andata a notte fonda, per di più sotto un temporale? Era a
pancia
contro il materasso così si girò verso la
finestra, ricoprendo il
corpo nudo con il lenzuolo, capendo di avere qualche brivido di
freddo. Fissò le gocce di pioggia che si schiantavano contro
il
vetro per un po', fino a riaddormentarsi.
«Ehi,
tesoro».
Shaw
udì la sua voce appena, era ancora troppo assonnata,
finché non si
sentì ballonzolare sul materasso e allora si
sforzò di aprire gli
occhi, infastidita: Root era già vestita e si era gettata
sul letto.
Era mattina.
«Ho
comprato la colazione nel localino sotto casa: ho preso del succo
d'arancia, delle brioche e dei pancake, tanti pancake», le
sorrise,
«Alzati finché sono ancora caldi».
«Dove
sei stata stanotte?».
Root
incurvò la testa, sorpresa, sdraiandosi il tanto giusto per
allungarle una mano verso il viso, spostandole i capelli dagli occhi.
«Ero qui con te, stanotte».
All'improvviso
le venne il dubbio e le immagini si ripresentarono prepotentemente
nella sua testa: la finestra che diventava bianca, il rumore della
pioggia e le gocce che precipitavano sul vetro, lei sul materasso,
con solo il lenzuolo addosso. Era sola. La giacca di Root appesa con
una stampella su un chiodo nel muro. Deglutì. La notte stava
sognando o quello era un sogno e Root era morta? No.
Strizzò gli occhi con le dita. Root era lì
davanti a lei. Non
poteva credere di stare confondendo ancora la realtà a causa
delle
simulazioni della sua prigionia nelle mani di Samaritan. Credeva di
esserci già passata: avevano vinto; Root era morta, John era
morto,
Harold era morto, la Macchina era stata liberata. Poi Root era
tornata da lei. Era tornata da lei. «Mi sono svegliata e non
c'eri»,
le fece notare.
«Forse
ero andata in bagno?», le sorrise ancora, scuotendo la testa.
Ammise
che poteva essere vero, per quanto ne sapeva. Si mise seduta e i
capelli più corti le scesero lungo il seno scoperto. A Root
cadde
l'occhio e le portò una mano dietro la nuca. Stavano per
baciarsi
quando il viso addormentato di Shaw si accese di scatto, guardando
l'altra negli occhi: «Hai detto pancake?». Si
allontanò e ricercò
i suoi slip, alzandosi dal letto per correre a fare colazione. Anche
Bear le corse dietro lasciando il suo materassino, scodinzolando.
Root
alzò gli occhi al soffitto e dopo sorrise, rimettendosi in
piedi per
raggiungerla.
Si
svegliò di nuovo, scoprendosi fino alla vita, lasciando
scivolare
una mano lungo la vestaglietta fine. Non c'era verso: non riusciva
proprio a prendere sonno. Allungò una mano e diede
un'occhiata alla
sveglia sul comodino: le 17:44. Amy sospirò. Se non dormiva
ancora
un po' le sarebbe certo venuto sonno quando avrebbe dovuto girare fra
qualche ora. Si spostò, mettendosi schiena contro il
materasso e
fissò il soffitto della roulotte, ripensando a
ciò che era
successo. E a ciò che non era successo. Lei e Sarah si erano
baciate
veramente, si erano baciate con le bocche che bruciavano per la
cucina messicana, si erano baciate a lungo, si erano toccate,
sentite, respirate, si erano… Si fermò. Si erano
separate e
avevano deciso che non sarebbe successo mai più. Oh,
accidenti, era
sposata! E anche Sarah era sposata! Rischiare di mandare a monte il
suo matrimonio, no,
quello di entrambe,
per una cotta… era impensabile, faceva paura persino a
pensarlo!
Anche James era un attore e non aveva mai avuto problemi quando sua
moglie si era ritrovata a baciare un altro, e un'altra in quel caso,
ma un bacio sotto i riflettori era una cosa molto diversa da quello
che era successo nella sua roulotte. Era stato uno sbaglio. Un
terribile sbaglio.
Si
portò una mano sulla fronte, sospirando. Erano
già passati dei
giorni e stavano provando a fare finta di niente, naturalmente,
dovevano di continuo stare l'una con l'altra e non c'era tempo per
imbarazzarsi e fare le ragazzine, ma accidenti se l'aria era
diventata pesante. Tanto che l'unico momento in cui avrebbe dovuto
dormire continuava a pensarci senza sosta, da sola, nell'ombra data
dalle tende chiuse.
Quanto
avrebbe dato per sapere cosa passava per la testa di Sarah.
Prese
il cellulare e premette un pulsante, socchiudendo gli occhi per la
luminosità troppo alta. Sospirò di nuovo,
accennando un sorriso,
provando a fare una telefonata. «Ciao, amore»,
sorrise e si
imbronciò di colpo, sentendo dall'altra parte una vocina
stizzita.
«Davvero? E cosa è succe- Oh, al solito. Passami
tuo fratello», si
grattò la fronte, «Ava, passami tuo fratello!
No… e va bene, ci
sentiamo domani! Non litigate, per favore». Diede la
buonanotte per
errore e riattaccò. Quando se ne accorse rise da sola. Ah,
ripensò
che i figli di Sarah erano ancora troppo piccoli per litigare come
facevano i suoi. Appoggiò il telefono sul comodino con uno
sbuffo
quando si accorse di aver di nuovo pensato a Sarah, che nemmeno
parlare con sua figlia l'aveva fatta tornare alla realtà.
Si
ricoprì fino al collo e sorrise, ripensando a vecchi
momenti…
Appena glielo aveva detto, era saltata di gioia:
«Incinta?
Sei incinta?», le aveva ripetuto col cuore in gola, mentre
Sarah
annuiva, sorridendo. Le aveva toccato la pancia d'istinto ma era
ancora troppo piccola affinché si sentisse qualcosa e si era
tirata
indietro chiedendole scusa, sorridendo, intanto che Sarah si piegava
dal ridere.
«Tra
un mese e mezzo o due sarà tutta tua», le aveva
detto Sarah,
dandole una pacca sulla spalla.
E
lo era stata: appena finivano di girare una scena, a ogni pausa, Amy
portava le sue mani alla pancia di Sarah che cresceva a vista
d'occhio. Le era stata così vicina che, per una qualche
strana
combinazione delle cose, aveva sentito quei due gemelli anche un po'
suoi. E lo aveva dimostrato, rendendosene conto solo a danno ormai
fatto, quando in un'intervista aveva parlato del finale felici e
contenti che sperava per Root e Shaw includendo il cane Bear e i
gemellini di Shaw.
I gemellini di Shaw. Aveva detto proprio così, non ci poteva
credere, confondendo non solo la realtà e la fiction, non
aveva
nemmeno distinto Sarah da Shaw. E non che fossero proprio uguali, se
non l'aspetto. L'aveva presa a ridere e Sarah aveva riso lo stesso,
quando l'aveva saputo. Perfino James. Era stata l'ingenuità
del
momento, un piccolo lapsus, eppure lei ci aveva rimuginato per
giorni: che sentisse davvero tanto di essere in sintonia con Root da
percepire il suo amore verso Shaw così reale da trasmetterlo
a se
stessa per Sarah? Era una sciocchezza. Aveva sepolto questi pensieri
allora e poteva farlo di nuovo. Anche se c'era stato un bacio.
Chissà
cosa passava per la testa di Sarah…
Qualcuno
bussò alla sua roulotte e Amy si spaventò,
scoprendo di essersi
addormentata, anche se per poco. Si alzò dal letto in fretta
e si
rivestì; avrebbe avuto del tempo mentre le sistemavano il
trucco e i
capelli per svegliarsi decentemente.
Il
tre, il due, l'uno. Amy, in veste di Root, si era fermata di scatto.
Secondo il copione doveva aver sentito dei passi a poco da lei ma,
guardando indietro, non c'era e non doveva esserci nessuno. I ragazzi
con la luce si avvicinarono tanto che le stavano quasi sui piedi,
puntando al suo viso, mentre lei, dopo aver salito qualche scalino,
si fermava davanti alla porta di un immenso hotel. I ragazzi delle
luci erano vicini e così le telecamere, ma le bastava sapere
di
essere Root di nuovo per non farci caso. Guardò verso la
strada,
alle telecamere che stavano riprendendo, e tirò la maniglia
verso di
lei. Entrò nell'edificio e staccarono la scena,
così ritornò Amy.
Qualche operatore dentro l'hotel corse loro incontro, mettendosi al
lavoro per sistemare cavi elettrici, microfoni, telecamere e pannelli
della luce.
«Okay,
abbiamo il permesso di girare anche all'interno, ma abbiamo firmato
per questa notte soltanto», enunciò a gran voce
Sandra Mollier, la
regista.
La
truccatrice si avvicinò a Amy e le controllò se
il viso era ancora
perfetto per le telecamere e poi le sollevò un poco i
capelli, prima
di lasciarla. Dopo che erano finite le riprese di Person
of Interest
anche lei, come Sarah, aveva tagliato i capelli. Root aveva i capelli
così lunghi nella quinta stagione che ora le faceva quasi
strano
interpretare lo stesso personaggio con i capelli solo alla
metà di
come li aveva prima, come se avesse fatto un torto a Root,
tagliandoglieli senza averla prima avvertita. O preparata. Se li
sfiorò, nelle punte, ricordando che lo aveva fatto
soprattutto
perché pensava che non avrebbe più interpretato
quel personaggio,
anche se a malincuore: era un capitolo della sua vita che si
chiudeva, e forse doveva averlo pensato anche Sarah.
Si
girò e guardò al cielo, scoprendo che aveva
iniziato a piovere.
Qualcuno disse che lo avevano previsto e tutti si munirono di
ombrelli, coprendo anche le attrezzature.
«Forza»,
Sandra Mollier batté le mani, «Si
ricomincia».
Amy
si riconcentrò, guardando attentamente il salone e facendo
memoria.
Tutti ritornarono al proprio posto ed era di nuovo sola anche se sola
non lo era mai, diventando ancora Root. Entrò nell'hotel e
si chiuse
la porta alle spalle, camminando con sicurezza fino al portiere,
poggiando i gomiti sul bancone. Gli sorrise.
«Ha
prenotato?», domandò lui dopo averle dato il
benvenuto. La
telecamera aveva zumato sull'uomo, catturando nel vivo il sonno e il
disinteresse del portiere.
«Numero
quarantuno, Cassandra Hodges».
Lui
controllò rapidamente al computer e sorrise appena, con
sforzo,
allungando una mano per prendere la chiave elettrica. Le telecamere
si allontanarono intanto che lei le afferrava e salutava il portiere.
«Buonanotte,
signorina Hodges».
Secondo
piano, quarantadue. Non c'era tempo per fare altrimenti: Root
scoperchiò il pannello elettrico accanto e spezzò
due cavi,
permettendo alla porta della camera di aprirsi, chiudendo di nuovo.
Entrò, prima che passasse qualcuno per il corridoio. Si
ritrovò
davanti a una camera costosa ma completamente sottosopra. Amy aveva
letto nel copione che la stanza era stata noleggiata da un certo
Marshall Mason e che quella notte non ci sarebbe stato. Root pensava
a un probabile alias e doveva assolutamente scoprire la sua reale
identità. Era stata la Macchina a fornirle l'indirizzo. Dopo
aver
fatto un'altra pausa, ricominciarono a girare quando Root aveva
già
messo le mani un po' ovunque, frugando fra i cassetti della
biancheria a quelli delle caramelle, sotto il materasso e i cuscini,
il divano, nel frigo, nel mobile del televisore. Infine
trovò
qualcosa semiaccartocciato su una poltrona davanti alla televisione,
in mezzo a briciole di patatine: aprì ed era una foto, il
soggetto
Caroline Turing. Root fissò la foto con attenzione. Caroline
Turing
era l'alias che aveva usato anni prima per incontrare Harold e farsi
dire dove si trovava la Macchina. Rimise tutto com'era e
uscì dalla
stanza, trovando quasi sui suoi piedi un facchino che spazzava
l'andito, cogliendola di sorpresa. Il ragazzo trattenne il respiro.
«Uff,
credo proprio di aver sbagliato stanza», gli
mostrò la chiave
magnetica ma lui non fece in tempo a dirle che con quella avrebbe
dovuto aprire solo la sua poiché si immobilizzò,
guardando alle
spalle di lei, lontano. Root si voltò e, ancor prima di
esserne
certa, sfilò la pistola che teneva in vita nascosta dalla
sua nuova
giacca e tirò indietro il facchino, prendendo anche un'altra
pistola, con l'altra mano. Le puntò all'uomo velocemente e
lui aveva
fatto lo stesso. Lo straniero sorrise, prima di aprire il fuoco.
«Stooop»,
gridò Sandra Mollier, fermando tutto.
«Spero
che il progetto vada in porto, signora Acker! Auguri», disse
il
ragazzo che interpretava il facchino, stringendo la mano a Amy, prima
di raggiungere il resto degli addetti ai lavori e iniziare a chiedere
in giro se sapevano se il suo personaggio sarebbe stato ucciso,
ferito o se se la sarebbe scampata.
E
anche quella scena era finita, pensò Amy. Vide avvicinarsi
anche il
grosso uomo che fino a poco prima aveva tentato di sparare a Root:
ogni volta che avanzava un passo i suoi stivali facevano rumore
contro la bassa moquette del corridoio. Era simpatico, lo aveva
conosciuto prima delle riprese e anche lui le strinse la mano,
dicendole che sperava proprio di rivederla, anche se forse avrebbe
tentato di ucciderla.
«In
quanti ci hanno provato», ridacchiò lei. Poi le
chiese una foto e
accettò, prima che il set smontasse.
Avevano
finito. Quella sarebbe stata l'ultima scena per testare il possibile
spinoff, dopo aver lasciato a Sarah interpretare la scena da sola sul
letto. Avevano del materiale e avrebbero accostato il tutto per
sapere se avrebbe o meno funzionato. Il futuro di Root e Shaw era
nelle loro mani e in quelle poche scene.
In
realtà, di tempo prima del responso non ne passò
molto. Il set
aveva chiuso e avevano mandato tutti a casa ma passò meno di
una
settimana che su alcuni giornali online erano apparse alcune foto
sfocate di Amy Acker in abbigliamento da Root entrare in un hotel,
circondata da telecamere. Non poteva essere una vecchia foto di
Person
of Interest:
Root non era mai stata in quell'hotel prima e non poteva essere una
scena tagliata, poiché a essere tagliati erano chiaramente i
capelli
dell'attrice.
ROOT
IS ALIVE. ROOT IS BACK? SHOOT SPIN-OFF ARE COMING?
Citavano alcuni articoli sopra le foto. Dopo poco, altre foto ancora
apparvero in rete e furono distribuite: ritraevano Root e Shaw che
passeggiavano sopra un ponte. L'idea che potesse accadere sul serio
una cosa del genere mandò in visibilio i fans e le foto
circolarono
in ogni angolo del web. Era il prezzo di girare all'aperto, lo
conoscevano tutti, e i profili Twitter delle attrici furono
bombardati fra domande e segnali di aiuto per capirci di
più. Non
accettavano il loro silenzio, ma nessuna delle due poteva dire
niente, anche perché in realtà loro stesse
sapevano molto poco:
erano tornate a casa e avevano ripreso contatto con la loro vita
fuori dagli impegni lavorativi, fra figli, spesa, compiti, amici.
Entrambi i loro mariti erano impegnati a girare per altri show
televisivi e così le due avevano preso l'abitudine di
sentirsi ogni
sera dopo aver cenato, magari dopo aver parlato con loro.
Era
una sera piovosa come quella notte quando sul profilo ufficiale di
Netflix su Twitter comparve un messaggio ben chiaro che diede il via
a liste chilometriche di cinguettii del famoso social di fan
esaltati: lo spinoff Shoot si sarebbe fatto. Sì, ci stavano
lavorando. Era realtà. Amy e Sarah erano state avvertite la
notte
prima e non avevano dormito dall'eccitazione, ritwittando il
messaggio di Netflix sui propri profili appena videro che era stato
annunciato. Avrebbero avuto ancora due settimane e poi il set avrebbe
riaperto: gli scrittori avevano già pronti sui cinque
episodi e
avrebbero cominciato da quello, proseguendo da dove si erano
interrotte le scene di prova che, con molta probabilità,
sarebbero
state usate quasi tutte.
Ancora
due settimane e tutto poteva cominciare di nuovo.
Il
cellulare vibrò, muovendosi sul tavolino di vetro. Un altro
messaggio. Era tardi e non ne arrivavano da un po', così
Sarah
s'incuriosì, sporgendosi per fermare con il telecomando una
delle
partite di baseball che le avevano salvato, afferrando il cellulare e
sistemando la piccola ciotola di popcorn in mezzo alle gambe
incrociate, sulla larga maglietta con una palla da baseball
disegnata sopra, che indossava. Accese e rise, portandosi un popcorn
in bocca, spostando i capelli sciolti da un lato.
Sono
troppo emozionata, non riesco a dormire! Ti avevo dato la buonanotte
due ore fa e sono ancora sveglia sul letto che ci penso… Tu
dormi??
(:
Nooo!
Sto guardando il baseball. Amy dormi!! :P
Ma
non riesco a dormire :(
Vieni
qua! ;P Ho anche i popcorn e qualcosa da bere!
Non
sfidarmi!! Ci riprovo! Buonanotte Sarah (:
Buonanotte,
ti mando un messaggio domattina per sapere se hai dormito :D
Appoggiò
di nuovo il cellulare sul tavolo di vetro e sorrise, portandosi altri
porcorn alla bocca.
Scivolò
giù dal letto e si rivestì in fretta, dando un
biscottino a Bear
per non fargli fare chiasso. S'infilò la giacca sopra la
maglia a
collo alto guardando Shaw che dormiva. Sarebbe rimasta lì a
vederla
dormire per sempre. Aveva fatto così tanto per ritrovarla,
per
inviarle un messaggio e ridarle speranza quando era nelle mani di
Samaritan che ora quasi stentava a credere che fosse tutto vero, che
lei era lì e che erano insieme. Poggiò un
ginocchio sul materasso e
si allungò per farle una carezza e darle un bacio. Un altro
biscotto
a Bear per comprare il suo silenzio e uscì.
Si
mise in marcia guardandosi intorno, notando qualche passante. Anche
se era tarda notte, sapeva che c'era una festicciola ed era diretta
proprio lì. La Macchina le aveva fatto sapere che Marshall
Mason era
nelle sue tracce e che presto o tardi l'avrebbe trovata,
così
sarebbe stato meglio anticipare i tempi e coglierlo di sorpresa:
sembrava che dovesse intrattenersi con qualcuno alla festa, la
Macchina aveva intercettato una chiamata. Non era riuscita a sapere
altro se non il nome del locale, poi la connessione con lei si era
interrotta, ma era un buon punto di partenza. Camminò con
sicurezza
fino ad avvicinarsi a un'automobile parcheggiata: aprì il
cofano
anteriore e si accertò che il motore si accendesse,
così richiuse
e, appoggiandosi allo sportello del guidatore, lo aprì,
partendo
verso la festa. Capì di essere arrivata quando le luci
colorate
inondarono le strade, e i palloncini, gli striscioni, le urla dei
bambini, le risate sotto la musica ad alto volume. Lasciò
l'automobile e proseguì a piedi, mescolandosi nella folla.
Per
un attimo, vedendo le famiglie con bambini che si divertivano, le
passò per la testa di volere realmente una vita
così, una vita
normale. Credeva di stare combattendo per quello eppure, ancora una
volta, si era ritrovata a stringere le sue pistole e a sparare.
Cominciava a credere di non essere semplicemente capace di essere una
persona normale. Fuggiva e si nascondeva da quando aveva dodici anni,
dopotutto, e il suo rapporto con la Macchina era importante per
entrambe, non sarebbe riuscita a smettere all'improvviso e basta,
anche se non era stata capace di essere sincera con Shaw e dirglielo.
Le aveva fatto credere di stare cercando un lavoro e di stare
tranquilla, che avrebbe pensato lei a tutto perché era
ancora
provata da ciò che era successo nei mesi di prigionia con
Samaritan
e aveva bisogno di riposo, ma in realtà aveva provato una
sola volta
ad approcciarsi nel mondo del lavoro vero e aveva mollato. Sapeva
fare di tutto perché aveva sempre fatto di tutto, ma era una
cosa
diversa se si trattava di farlo a lungo termine.
Udì
che la Macchina stava cercando di mettersi in contatto con lei e si
girò, trovando la telecamera di sorveglianza accesa di un
negozio.
Restò in ascolto per decifrare il codice morse ma
sentì un fischio
all'orecchio buono e si mantenne la testa fino a quando non lo
sentì
più. Si guardò attorno e, scoprendo che il locale
che le aveva
indicato era appena dall'altra parte della strada, andò
spedita. A
causa della musica troppo alta non poteva certo sentire lo squillo di
un telefono pubblico non troppo lontano da dov'era. La Macchina
probabilmente aveva saputo delle novità e voleva metterla in
guardia, perché ciò che successe dopo non se lo
aspettava, anche se
forse avrebbe dovuto: il locale era pieno di coppie e giovani che si
divertivano e bevevano intorno ai tavoli, ma nessuno appariva come
sospetto, così uscì ma ancor prima di
allontanarsi qualcosa si
appoggiò contro la sua schiena, una pistola, e Root sorrise
d'istinto. C'era troppa gente per improvvisare qualcosa lì
in mezzo,
così si mantenne ferma.
«Samantha
Groves», sussurrò quella voce maschile e gutturale
dietro di lei.
«Finalmente siamo faccia a faccia; non sai per quanto tempo ho
desiderato questo momento».
«Marshall
Mason, presumo. Non sei l'uomo dell'hotel».
«Bisogna
sapersi muovere preparati, soprattutto con te».
Le
disse di camminare e lei obbedì, fermandosi nello spiazzo
verde di
un parco adiacente alle vie dove si consumava la festa.
«Ho
saputo che mi cercavi», gli disse.
«Da
anni», rispose, «Sei un camaleonte… Root.
Ti fai chiamare così, no? Io ti conoscevo come Marguerite
Yves».
Root
spalancò gli occhi, spegnendo il suo sorriso.
«Hai
perso la lingua, adesso?», incitò lui, battendole
la pistola contro
la schiena.
Non
era solo. Sentiva la presenza di almeno altri quattro uomini che la
tenevano sotto tiro, erano preparati, e si muovevano fra la
vegetazione del parco. A quel punto doveva solo capire cosa voleva da
lei quell'individuo: se portarla via o ucciderla. In ogni caso, lo
avrebbe fatto sudare.
Riprese
il suo sorriso e alzò le braccia, girandosi. Lui era alto,
emaciato,
con i capelli così corti da sembrare pelato, e aveva il
segno scuro
della barba. Non lo aveva mai visto prima. «Ti ha pagato
bene?»,
domandò incurvando la testa, sorridendo.
«Non
sai quanto». Alzò la pistola e gliela
puntò alla tempia, a quel
punto capì che era arrivato il momento di agire.
Alzò
un braccio in fretta e gli spinse la pistola verso l'alto,
lasciandogli sparare un colpo, che mise la gente della festa subito
in fuga, in urla, mentre con l'altra prese una delle pistole che
aveva dietro la giacca e sparò verso un cespuglio, colpendo
un uomo
che finì a terra. Si girò in fretta e
sparò un altro colpo verso
un lampione e ne colpì un altro, e così un altro
ancora,
velocemente, e per poco non sbagliava e prendeva un albero. Marshall
Mason tentò di difendersi e la colpì con uno
strattone; le puntò
la pistola contro ma lei lo fece cadere a terra con uno sgambetto e
lo colpì a un fianco con un calcio. Un uomo con la pistola
sbucò
alla sua destra all'ultimo e, per girarsi e colpirlo, non
badò a
Marshall Mason, che riprese la sua pistola e gliela puntò
contro di
nuovo. Sparò. Ma anche qualcun altro. Root cadde a terra e
lo stesso
la pistola dell'avversario, intanto che una macchia scura sbucava
fuori all'improvviso dalle vie della festa e si gettava su Mason,
afferrandolo al collo. Lui cercò di dimenarsi e
buttò Shaw
sull'erba, così lei riprese la sua pistola e
sparò a un altro, a un
altro ancora, finché tutti batterono in ritirata.
Mirò all'uomo
pelato ma era già lontano e non aveva tempo da perdere,
preferendo
aiutare Root.
Rientrò
a casa reggendola su di lei. Il fianco aveva perso molto sangue
durante la corsa in auto, sicuramente il proprietario non ne sarebbe
stato felice, ma non aveva colpito nessun organo vitale. Root si
sdraiò sul letto, Bear salì e si
sdraiò accanto a lei come se
sapesse e Shaw portò il kit di pronto soccorso,
rimproverandosi di
averla persa nella folla, alla festa.
Root
la fissava con attenzione mentre lavorava con estrema precisione per
estrarle il proiettile.
L'aveva
seguita. Aveva finto di dormire e poi l'aveva seguita.
«Cosa
sta succedendo?», le chiese finalmente, gettando il
proiettile in un
contenitore, prendendo dell'alcol: ne bevve un sorso e poi gliene
gettò un po' sulla ferita, per aiutarla a cicatrizzare. Root
strinse
i denti ma non perse il sorriso. «Potevi farti
uccidere». Shaw
ripensò al sangue che perdeva sul sedile dell'auto e strinse
gli
occhi, ricordando che l'ultima volta che l'aveva vista, prima di
sapere della sua morte, stava salendo su un'automobile simile a
quella, con Harold. Ma lei non era morta, allora. Non era morta.
«Quegli
uomini sono stati pagati per trovarmi e uccidermi»,
confessò, «La
Macchina mi aveva messa in guardia. Volevo trovarli prima che
trovassero me, ma a quanto pare era una trappola».
Shaw
non mosse nemmeno un muscolo facciale, come se sapere di Root che era
ancora in contatto con la Macchina non la sorprendesse affatto.
«Perché non mi hai detto niente?».
«Perché
hai bisogno di riposo».
«Root»,
la richiamò, guardandola in faccia, «La
verità».
Lei
roteò gli occhi. «Non voglio perderti di nuovo,
Sameen», scosse la
testa, «Per mesi ti hanno trattenuta lontano da me e non
sapevo se
eri morta o se eri viva, cercando-», si fermò un
secondo; tentò di
trattenere il sorriso ma le venne difficile con gli occhi lucidi,
così formò una smorfia con la bocca,
«cercando un modo per andare
avanti, per non impazzire… E adesso che sei qui, farei di
tutto per
tenerti al sicuro». Shaw la fissava senza dire una parola.
«Dovevamo
andare avanti, dovevamo costruirci una nuova vita e non volevo in
alcun modo che tu tornassi a rischiarla là fuori, in special
modo
per me».
«Sei
un'egoista. Non puoi decidere per me quello che devo fare».
Lei
rise, con le lacrime che le rigavano il viso. Alzò una mano
e le
carezzò una guancia, scorgendo un luccichio negli occhi di
Shaw.
Stava per dire qualcosa ma l'altra la fermò, avvicinandosi:
le prese
il viso e la baciò. Piano, le portò via un
labbro. La lasciò
andare solo quando si accorse che si stava lamentando troppo dal
dolore. Root allungò le braccia per farla avvicinare e Shaw
si
appoggiò su una spalla, portando una mano vicino alla
ferita, senza
premere né accarezzare, perché avrebbe potuto
farle male.
«Sono
rotta, Sam», confidò a un certo punto, nel
silenzio.
Shaw
la guardò con la coda dell'occhio, cercando di capire cosa
volesse
dire.
«Quando
mi sono risvegliata dalla morte, non mi ero resa conto subito del
danno che mi ha
causato stare sotto farmaci per così tanto tempo. Mi sono
dovuta
staccare l'impianto cocleare perché mi dava problemi, ma
adesso
anche l'altro orecchio ha difficoltà ad ascoltare la
Macchina». Il
suo viso si ricoprì di nuovo di lacrime, riuscendo di nuovo
a
sorridere. Marguerite Yves, pensò. L'alias che
usò quando aveva
solo diciotto anni. «Se ci penso, è buffo
perché fin da quando ero
ragazzina ho sempre preferito le macchine alle persone e parlare con
la Macchina, per me, era un sogno che si avverava. Era più
di quanto
mai avessi potuto sperare per la mia vita. Ma un giorno ho inscenato
la mia morte per proteggere i miei amici. E te», la
guardò, «Ho
preferito le persone e, facendo quella scelta, ho messo a rischio la
mia connessione con la Macchina».
Shaw
sorrise, infine. Era così bello vederle fare quel sorriso,
per Root.
«Io sono stata ritenuta inadatta a diventare medico per
scarsità di
empatia. Le persone non sono mai state il mio forte. Eppure sono qui,
adesso».
Root
sorrise a sua volta. «Siamo proprio fatte l'una per l'altra,
Sameen.
Finalmente lo hai capito. Era destino che ci incontrassimo».
Shaw
la baciò di nuovo e Root ricambiò, trattenendo il
dolore. Quello
poteva aspettare.
Bentornate/i!
Cosa ne pensate al momento della storia? Passare da Amy e Sarah a
Root e Shaw è complicato o vi ci trovate? Spero la seconda!
Lo
spinoff è ufficiale, Amy ripensa al bacio che si sono
scambiate lei
e Sarah nello scorso capitolo e, dall'altra parte, Shaw aiuta Root a
scappare da uomini che sono stati pagati per ucciderla. Pagati da chi,
perché? E Marguerite
Yves? La trama
comincia a prendere forma.
Le
solite note…
- L'università:
sì, Amy e Sarah hanno frequentato davvero la stessa
università ma
non so se si sono o meno incontrate come nella fan fiction.
- Ho
scritto che entrambe hanno conosciuto i propri mariti sul set: in
verità lo so per certo solo di Sarah, ma era comodo che
fosse così
per tutte e due.
- Tutte
quelle cose in comune fra loro sono vere. Hanno vissuto una vita in
parallelo e fa un po' ridere!
- Ho
scritto che Harold è morto perché Shaw sa che lo
è ed è una parte
scritta dal suo punto di vista.
- Amy
e 'i gemellini di Shaw' è un riferimento a una vera
intervista! Ma
Amy quanto è tenera? ♥
- Dopo
tanto rimuginarci, ho deciso di usare i reali nomi dei figli di Amy e
Sarah, che comunque non appariranno spesso.
- Da
che so, il
baseball a Sarah
piace particolarmente.
Ringrazio
chi ha inserito la fan fiction nelle varie liste e, anche qui, chi mi
ha lasciato una recensione allo scorso capitolo: spero di risentirvi
e che questo secondo capitolo vi sia piaciuto :)
Ci
rileggiamo la settimana prossima con il capitolo tre: Chi
l'avrebbe mai detto!
~♥
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