capitolo 1
capitolo 1
Lighter
Capitolo 1
I
raggi, che filtravano dalla piccola finestra rettangolare
dell'appartamento, illuminavano l'ambiente di una dolce luce mattutina.
Nonostante fossero solo le 6:30 del mattino, si poteva udire
perfettamente il rumore frenetico del tipico traffico milanese.
I primi tempi in cui mi ero trasferita in quel piccolo trilocale,
insieme a mia sorella maggiore Lavinia, avevo faticato non poco a
prendere sonno.
Eravamo cresciute entrambe in un piccolo paesino di campagna, sperduto
tra il verde della provincia milanese, dove regnava una quiete perenne
sia di giorno che di notte.
Per questo, quando tre anni prima avevamo preso la decisione di
trasferirci nella capitale della moda, prendendo quell'appartamento in
zona Loreto, avevamo faticato entrambe ad abituarci al suo ritmo
incalzante e frenetico.
Le prime notti erano state un vero incubo, ma alla fine avevamo
imparato a conviverci.
Mi alzai dal letto a fatica, trascinandomi con passo pesante verso la
cucina/soggiorno.
Nell'aria aleggiava ancora l'odore di caffè appena macinato,
e
nel lavandino c'erano i resti di una colazione appena consumata,
sicuramente da mia sorella.
Lavinia, oltre ad essere più grande di me di ben dieci anni,
lavorava come medico in un ospedale della città e per
questo,
nonostante vivessimo insieme, ci vedevamo quasi esclusivamente di sera,
ma mai con frequenza.
Molto spesso capitava infatti che non ci vedessimo anche per un paio di
giorni, tanto i nostri orari erano incompatibili.
Trattenni malamente uno sbadiglio, mentre premevo il pulsantino per
azionare la macchinetta del caffè, per poi prendere la mia
tazza
in ceramica nera con su il simbolo di Batman dalla
credenza.
Era una delle mie tazze preferite, e me l'aveva regalata il mio
migliore amico Enrico un paio di Natali prima, insieme ad una
bellissima action figure
del Joker,
che faceva bella mostra su una delle mensole della mia cameretta.
Enrico Ferri era il mio migliore amico dai tempi della terza media, ed
eravamo veramente inseparabili.
Insieme alla nostra altra migliore amica, Elisa Roselli, formavamo il
magico trio.
Io e lui avevamo in comune una grandissima passione per il mondo dei
videogiochi e dei fumetti.
Eravamo entrambi due Nerd di prima categoria, e con la "N" maiuscola.
Elisa tollerava bene o male questa nostra passione, anche se lei non la
condivideva minimamente.
Diceva sempre che i suoi interessi erano altri, e che cose simili non
le sarebbero mai interessate.
Il trillo del telefonino attirò la mia attenzione
così, con una tazza di Bat-caffè
nella mano sinistra, risposi alla telefonata.
- Buon giorno, Chiara Chiaruccia. Come sta la mia ragazza preferita? -
Non riuscì a non trattenere un sorriso, riconoscendo la voce
del mio migliore amico.
- Assonnata - risposi, lanciando una rapida occhiata all'orologio
appeso al muro davanti a me - Te, Rico? -
- Bene, dai - lo sentì sospirare - Ti ho chiamata
perchè
al negozio di mia zia sono arrivati dei nuovi arrivi ieri sera, e tra
questa mattina e oggi pomeriggio dovrebbero arrivarne degli altri. Mi
ha detto di avvisarti prima, visto che oggi pomeriggio sei da lei -
Per potermi mantenere, e per poter guadagnare anche qualche soldo in
più, avevo iniziato due lavori part-time.
Uno come commessa in un negozio d'abbigliamento e l'altro, sempre come
commessa, ma nella libreria della zia materna di Enrico.
Sofia, la zia di Rico, gestiva una piccola libreria nei pressi di corso
Buenos Aires dove, sia io che il mio amico, andavamo a dare una mano
tre volte a settimana.
Quel posto era il mio piccolo antro incantato, e il buon 90% dei libri
che componevano la mia collezione li avevo presi proprio da lei.
Era una donna tanto cara; mi faceva sempre qualche sconto di favore
quando andavo lì a comperare qualche libro, e molte volte
capitava che insistesse nel non volermi far pagare.
Mi vedeva come parte della sua famiglia e le dispiaceva farmi pagare
tutti i libri che prendevo da lei, come a me dispiaceva quando si
impuntava nel non volermi far pagare. Su questo discutevamo tanto,
quasi ogni volta che andavo da lei in negozio.
Essendo la libreria di Sofia aperta anche fino a tardi, facevo i turni
serali il martedì, il giovedì e il
venerdì; mentre
lavoravo lì di pomeriggio solo di sabato.
Lavoravo come commessa nel negozio d'abbigliamento invece il
lunedì, il mercoledì e il venerdì di
pomeriggio, e
il sabato di mattina.
Dove trovassi il tempo per andare in Università, studiare ed
uscire con gli amici proprio non lo sapevo.
- Ok - dissi, prendendo un sorso di caffè macchiato - Questa
sera usciamo a bere qualcosa tutti e tre insieme? -
- Elisa non c'è - mi avvisò - Ha un appuntamento
questa sera - spiegò, poco dopo, cogliendomi impreparata.
- Come un appuntamento? Con chi? - chiesi, curiosa.
La nostra amica non mi aveva detto niente. Che strano.
- Con la sua compagna di Università. Ti ricordi la famosa
bionda
e gnocca? Alla fine ha ceduto al suo intenso corteggiamento. Quando ci
si mette, Elisa è capace di far capitolare chiunque -
Conobbi Elisa il primo anno di superiori, e già da allora
affermava di essere omosessuale convinta.
I nostri vecchi compagni non la vedevano di buon occhio all'epoca,
troppo ottusi ed arretrati per comprendere che persona meravigliosa
avevano in classe, ma a me non era mai importato.
Non era l'orientamento sessuale a fare una persona, ma purtroppo questo
in molti non riuscivano a comprenderlo.
Sapevo che Eli da un paio di mesi aveva iniziato a fare una corte
spietata ad una sua compagna di corsi, la famosa bionda, ma
quest'ultima
sembrava non volerne sapere della mia amica.
Sembrava.
- Ma dai! - esclamai sorpresa, e felice allo stesso tempo per lei -
Allora domani resoconto dettagliato - lo avvisai, con un sorriso sulle
labbra.
- Ovvio, tesoro - lo sentì ridacchiare - Facciamo serata
maratone e schifezze? Ti faccio provare quel videogioco di cui ti
parlavo l'altro giorno in negozio -
La proposta era allettante, non potevo negarlo.
- Va bene. Approfittiamo dell'assenza di Eli brontolona per nerdare
pesantemente -
Tendenzialmente facevamo sempre così: quando Eli non c'era,
ci dedicavamo alle nostre piccole maratone nerd.
Una volta avevamo provato ad invitarla, ma non aveva fatto altro che
brontolare per tutta la sera e da lì si è sempre
rifiutata di partecipare una seconda volta.
Da qui il soprannome "Eli brontolona".
Seppur Eli non condividesse le nostre stesse passioni, non ci aveva mai
giudicati, a differenza di molte altre persone nel corso delle nostre
vite.
Avere queste passioni mi aveva creato non pochi problemi, soprattutto
durante le medie e tutti gli anni delle scuole superiori.
Viviamo in una società in cui, se hai delle preferenze
differenti dalla maggior parte della popolazione, vieni immediatamente
additato come "strano" e "diverso". Che tristezza.
- È meglio se ti lascio, Rico. Devo prepararmi per andare a
lavoro. Ci vediamo oggi pomeriggio da tua zia -
- Va bene, Chiaruccia. A dopo -
Salutato Enrico molto velocemente, e finita la tazza di
caffè, mi precipitai in camera per prepararmi e andare a
lavoro.
Lavoravo al "Florida's beach" da un paio di anni, più o meno
da quando mi ero trasferita.
Era un piccolo negozietto, distante cinque minuti di metro da casa mia,
che vendeva principalmente abbigliamento maschile, ma ne possedeva
anche di femminile.
Ero stata assunta grazie ad un'amica di Lavinia, che caso volesse
essere la sorella della proprietaria del Florida's, alla disperata
ricerca di una nuova giovane commessa.
La paga non era un gran che, ma a me andava bene così.
Insieme a quello che mi dava Sofia per il lavoro in libreria, riuscivo
a pagarmi la retta dell'Università.
Per le bollette, purtroppo, facevo un po' fatica a pagare sempre la mia
parte, e molto spesso interveniva mia sorella.
Cercavo di pesarle il meno possibile, ma certe volte era dure; davvero
molto dura.
Ero stata anche tentata di cercare un altro lavoro, ma di adatti alla
mia situazione e ai miei orari era difficile trovarne.
Dovunque andassi, cercavano sempre persone con un'esperienza lavorativa
alle spalle o che parlassero mille lingue differenti, compreso elfico e
dothraki.
Non sia mai che a Thranduil venga la pazza idea di andare a comprarsi
un paio di scarpe da ginnastica, e non ci sia una commessa che non
parli la sua lingua. Giammai!
Anche gli elfi hanno diritto a fare acquisti al di fuori della Terra di
Mezzo.
Indossata la divisa del negozio, composta da un pantalone nero e una
t-shirt del medesimo colore con su il variopinto logo del negozio,
legai i lunghi capelli castani in una coda alta e fissai il ciuffo
laterale con una mollettina.
Avevo maledetto innumerevoli volte quell'idea malsana di ritagliarmi il
ciuffo, che mi contornava il lato sinistro del volto; era
già la
seconda volte che avevo fatto lo stesso errore e, molto probabilmente,
in futuro ce ne sarebbe stata una terza.
Presi al volo la giacca di jeans, e la borsa di tela con le chiavi di
casa al suo interno.
Mentre uscivo dall'appartamento e chiudevo la porta in legno chiaro,
incrociai la mia vicina di casa che stava appena rientrando.
La signora Rosalia era una vecchia e simpatica donna, dal sorriso
contagioso e dall'incredibile bontà.
Fin dai primi tempi in cui io e Lavi ci eravamo trasferite
là, era sempre stata molto gentile con noi.
Mi ricordo ancora lo stupore che ci colse, quando Rosalia venne a
bussare alla nostra porta con tra le mani una teglia rotonda di torta
al cioccolato.
Oltre ad essere gentile e cordiale come poche persone al mondo, era
anche molto loquace.
Molto spesso si fermava a parlare con me e mia sorella, e ci invitava
quasi sempre a prendere una tazza di the al limone in sua compagnia; un
invito che accettavamo più che volentieri.
Rosalia era una persona deliziosa, tanto dolce ma purtroppo anche tanto
sola.
Aveva perso il marito quasi sette anni prima, in un terribile incidente
stradale, e i suoi unici figli non andavano mai a trovarla.
Molto probabilmente non si sentivano nemmeno via telefono.
L'anziana donna aveva cercato di riempire il vuoto che aveva dentro con
i suoi piccoli cuccioli di Welsh Corgi, Briciola e Cannella, ma
purtroppo un vuoto come il suo era quasi impossibile da colmare.
In tutto il palazzo Rosalia era ben voluta da tutti, ed io e mia
sorella eravamo quasi diventate una sorta di figlie adottive.
- Buon giorno, Rosa. Come stai? - la salutai cordiale, con un lieve
cenno della mano, mentre sistemavo il mazzetto di chiavi nuovamente
all'interno della borsa di tela.
- Buon giorno, Chiara. Io tutto bene, grazie. Te invece? Come mai sei
già sveglia, cara? - chiese la donna dai capelli nivei,
avvicinandosi con passo tremolante.
Mi sistemai una ciocca del ciuffo, sfuggita alla molletta, dietro
all'orecchio.
- Devo andare a lavoro. Mi hanno aggiunto un turno di sabato mattina,
da un paio di settimane - le spiegai - Te, invece? Come mai
così
mattiniera oggi? -
- È appena venuto quel ragazzo così gentile, del
quarto
piano, a prendere le mie cagnoline, per far fare loro una passeggiata
al parco. È così gentile, ed è anche
carino -
aggiunse, con fare complice, regalandomi un simpatico occhiolino - Ed
è pure single! -
Ridacchiai leggera per l'imbarazzo, con le gote colorate di un lieve
rosa.
- Non mi interessano certe cose, Rosa, ma grazie lo stesso - la
ringraziai, prima di salutarla augurandole un buon proseguimento di
giornata.
Sarei rimasta molto volentieri a parlare ancora con lei, ma dovevo
correre per andare a prendere la metro, se no sarei arrivata in ritardo
in negozio e dovevo ovviamente evitarlo.
Riuscì a salire sul vagone della metro per un soffio, tanto
da
dovermi chinare lievemente in avanti per la fatica della corsa fatta.
Per un attimo, credetti pure di essermi giocata un polmone.
Quel giorno a lavorare con me c'era anche un'altra commessa; una
ragazza poco più grande di me di nome Stefania.
Era una tipa silenziosa, che parlava davvero di rado, ma sotto sotto
non era malaccio.
Quando arrivai al "Florida's Beach", la mia collega aveva
già
aperto e la trovai intenta a ripiegare alcune magliette su uno scaffale.
Essendo arrivata con qualche minuto d'anticipo, sulla strada mi ero
fermata in un bar vicino in cui andavo ogni sabato mattina per prendere
i caffè, e ne avevo presi due d'asporto. Uno macchiato per
me,
ed uno normale per la mia collega dai tinti capelli rossi.
Per me la giornata non iniziava prima del secondo caffè.
Ero una di quelle persone fortemente dipendenti dalla caffeina, e senza
faticavo a vivere.
- Buon giorno, Stefy - la salutai, con un sorriso sulle labbra,
appoggiando entrambi i bicchierini di carta sul bancone nero e lucido
della cassa.
- Ti ho preso il caffè. Nero e senza zucchero; come piace a
te -
- Grazie, Chiara. Sei un tesoro - mi ringraziò, ricambiando
il mio sorriso di poco prima, mentre si avvicinava.
Le porsi il suo bicchierino, e presi a versare una bustina di zucchero
nel mio.
Il Florida's non era molto grande come negozio, ma aveva una bella
atmosfera. I muri erano di uno scuro nero, con su diverse stampe
floreali e foto appese qua e là, e l'unica luce proveniente
nella stanza veniva dalle luci al neon appese al soffitto.
Fortunatamente la mattinata in negozio passò molto veloce,
tra
la visita di un paio di clienti e la riorganizzazione del magazzino.
Verso mezzogiorno e mezzo ritornai a casa, e pranzai con un tramezzino
al pollo comprato per strada.
Anche se la libreria di Sofia apriva alle tre in punto, mi sarei dovuta
recare lì almeno un'ora prima dell'apertura per aiutarla con
gli
scatoloni dei nuovi arrivi.
Sospirai, buttandomi per un secondo sul divano foderato in stoffa nel
piccolo soggiorno, con gli occhi fissi sul televisore spento.
Mi ricordavo ancora la lunga litigata che avevo fatto con Lavinia per
far sì che ne prendessimo uno.
Lei sulle prime non era intenzionata a prenderlo perché
sosteneva che potevamo fare tutto via computer, senza l'ausilio di uno
"stupido televisore", ma non mi ero mai trovata d'accordo con il suo
pensiero.
Alla fine, dopo mesi di suppliche pre-trasloco, ero riuscita a
convincerla.
Ero una che puntava molto sull'esasperazione delle persone.
Per la seconda volta nella giornata andai a cambiarmi, dopo una rapida
doccia, e mi diedi una sistemata alquanto frettolosa.
Mi tolsi la divisa del Florida's e la buttai malamente sulla sedia
della scrivania, insieme agli altri vestiti lì
momentaneamente
appoggiati.
Presi un jeans sbiadito e leggermente largo, a causa degli anni di
usura, ed una maglietta semplice bianca.
Al negozio di Sofia non c'era l'obbligo di divisa, così sia
io
che Enrico potevamo andare con indosso i vestiti di tutti i giorni.
I capelli li legai ancora in una coda alta, per una questione di
comodità e di praticità.
Mentre osservavo il mio riflesso nello specchio, spostai una ciocca di
capelli castani da davanti agli occhi scuri e me la rigirai tra le dita.
Non mi piaceva molto il mio colore naturale; lo trovavo fin troppo
banale ed ordinario, quasi spento.
Insieme al mio incarnato cadaverico, poi, stonava proprio.
Forse un giorno mi sarei decisa una volta per tutte, e li avrei
finalmente tinti.
Finito di prepararmi, e prese le ultime cose che mi servivano,
uscì sul pianerottolo di casa.
La porta dell'appartamento della mia vicina era aperta e, a qualche
metro di distanza, la trovai intenta a parlare con qualcuno.
Era un ragazzo, più o meno della mia stessa età,
che
teneva ancora al guinzaglio i piccoli Corgi della signora Rosalia.
Doveva essere il famoso ragazzo del quarto piano.
Era molto alto, con un fisico asciutto ed atletico.
I capelli, leggermente più lunghi rispetto alla norma, gli
ricadevano morbidi sulle spalle in tante piccole onde corvine, e la
mascella era contornata da un leggero strato di barba ben curata.
Era davvero un bellissimo ragazzo, ma bello sul serio.
Ma non bello come un modello in una campagna pubblicitaria dello
shampoo, assolutamente no.
Quello era il tipo di ragazzo che sognavi in sella ad un destriero dal
manto scuro come la notte, nelle veci di un affascinante guerriero
vichingo, proveniente dalle inospitali e fredde terre del nord, di
ritorno da una battuta di caccia al cinghiale.
- Oh ciao, Chiara - esordì Rosa, notando la mia presenza e
voltandosi nella mia direzione insieme al ragazzo.
- Lei è la ragazza di cui ti stavo parlando, caro - la
sentì dire, rivolta al corvino - Vieni Chiara,
così ti
faccio conoscere questo giovanotto -
Poteva la mia vecchia vicina di casa improvvisarsi Cupido in quella
situazione?
A quanto pare sì, dall'ampio sorriso che vidi fare capolinio
sul viso della donna.
- Ti voglio presentare Steven, vive al quarto piano, ed è
lui il
ragazzo tanto gentile che porta a spasso Briciola e Cannella quasi ogni
giorno. Lei è Chiara, la mia carissima vicina di casa; ti ho
già parlato di lei un paio di volte -
In tutta quella situazione, mi sentivo incredibilmente a disagio, e
avere gli occhi azzurri del corvino puntati addosso non
aiutava per niente.
Steven mi porse una mano, con un luminoso sorriso stampato in volto -
Piacere di conoscerti - lo sentì affermare, con un forte
accento
inglese.
Bello e pure straniero? Stavo male.
Con le guance ancora imporporate, risposi alla sua stretta di mano
mormorando un - Il piacere è mio -
A primo impatto, Steven mi sembrò subito una bella persona.
Un ragazzo cordiale ed educato; qualità praticamente estinte
nella maggior parte dei miei coetanei.
Sfortunatamente non rimasi molto a parlare con loro, dovendo correre in
libreria e non avendo molto tempo a disposizione.
Per fortuna il negozio di Sofia si trovava proprio in Porta Venezia,
una zona praticamente attaccata a Loreto, così impiegai
davvero
pochi minuti per arrivare.
Il negozio di Sofia era il mio piccolo antro di paradiso.
Non era una libreria dalle ampie dimensioni, ma rimaneva lo stesso ben
fornita; con gli scaffali colmi di libri, che coprivano per intero
tutte le pareti presenti, ed alcune librerie di dimensioni
più
ridotte sparse in più punti del negozio.
Le luci al neon bianche, poste sul soffitto, erano spente e l'intera
stanza era illuminata dalla luce naturale del sole, proveniente dalle
ampie e pulite vetrine all'entrata.
La zia di Enrico era già dietro al bancone in legno chiaro,
munita di occhiali da lettura in ferro sottile ed elenco di fogli nella
mano destra, su cui stava scarabocchiando con una biro blu qualcosa a
me sconosciuto.
L'indomabile cascata di ricci castani era stata rinchiusa in una
crocchia disordinata, ad un lato della testa, mentre gli occhi scuri
scrutavano con aria critica i foglie pinzati.
Quando entrai, il campanello collegato alla porta d'ingresso
annunciò il mio arrivo, e Sofia alzò fulminea gli
occhi
verso di me.
La vidi aprirsi in un ampio sorriso materno - Ciao, Chiara! - mi
salutò, avvicinandosi per poi abbracciarmi con energia -
Come
stai? - chiese poco dopo, gentile.
- Bene - ricambiai il sorriso - Te, invece? -
La donna si lasciò sfuggire una smorfia, che andò
ad incresparle le labbra sottili.
Ok, c'era qualcosa che non andava.
- Io bene... - rispose - Ma sono lievemente preoccupata per mio nipote
- confessò, facendo impensierire anche me.
- Perché? Cosa è successo a Rico? -
- Non so come dirlo... - iniziò a parlare, incrociando le
braccia sotto al seno formoso - È da quando è
arrivato
che lo vedo strano. Ora è fuori sul retro a fumare; a me non
ha
voluto dire niente, nemmeno mezza parola, magari con te sarà
diverso... -
Sapere che il mio migliore amico non stava bene, mi fece correre sul
retro del negozio.
La porta sul retro, che dava su un piccolo vicolo da dove facevamo
entrare la merce in arrivo, era lievemente socchiusa.
La aprì e trovai subito Enrico, appoggiato al muro vicino,
intento a fumarsi una sigaretta.
Dai mozziconi ancora fumanti a terra, dedussi che fosse già
alla quarta di fila.
Non stava per niente bene.
Non appena si accorse della mia presenza, mi fece un sorriso tirato;
forzato.
Quello era il segno che la situazione era più grave del
previsto, insieme alle numerose sigarette fumate fin troppo velocemente
per il nervosismo.
- Che è successo? - chiesi, togliendogli il pacchetto di
mano.
Quel pazzo era già pronto ad accendersi una quinta sigaretta
davanti a me e, nonostante fossi anch'io una fumatrice, avevo deciso di
fermarlo; stava davvero esagerando.
Ci mise un po' a darmi una risposta, ma quando lo fece sgranai gli
occhi.
- Marika -
Bastò quel nome, per farmi capire.
- Raccontami tutto -
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