Cap3
«Sarah
è così forte… È molto
talentuosa ed è sempre un piacere
lavorare con lei. Siamo entrambe molto felici e grate di prendere
parte insieme a questa nuova opportunità e che-»,
si fermò il
tempo di mordersi un labbro e sorridere di nuovo, «possiamo
riprendere da dove avevamo lasciato la storia d'amore fra Root e
Shaw».
«Un'altra
domanda, Amy», disse l'intervistatore dietro la telecamera:
«Eri
soddisfatta di come si era concluso Person
of Interest
per il tuo personaggio? Hai sempre creduto in questo progetto o
credevi di aver terminato con Root?».
Lei
guardò in alto, cercando le parole. «Credevo di
aver terminato con
Root… sì», annuì,
«Ma speravo non fosse così per sempre»,
scoppiò a ridere, portandosi una mano sul viso. Era
diventata rossa.
«Ho creduto in questo progetto ma avevo paura non si
realizzasse…
Sentivo di avere ancora molto da raccontare su di lei, con lei, al
suo fianco. Soprattutto nella sua relazione con Shaw che si era come
fermata», sorrise, gesticolando, «bloccata quando
proprio si erano
appena ritrovate! Per poi separarsi ancora».
«È
un po' triste».
«Sì»,
annuì, stringendo le labbra, «Era un po'
triste».
«Amy
è un'attrice straordinaria! Siamo molto amiche e non vedevo
l'ora di
lavorare di nuovo con lei! Penso che questa sia
un'opportunità più
unica che rara. Ci stanno dando altro spazio per interpretare
personaggi che amiamo e che si sono visti troncare un futuro, dopo un
passato di ingiustizie…», prese fiato, accennando
un sorriso,
«Credo che Shaw e Root possano ancora raccontare tanto e che
più
che mai adesso possano farlo al meglio, in uno show completamente
dedicato a loro». Si fermò, spostando i suoi
capelli da un lato.
«Root era morta e Shaw era appena tornata dopo aver passato
dei mesi
a sognare di loro due, nelle simulazioni… Non era giusto!
All'inizio, Shaw non era ancora convinta si trattasse della
realtà,
non poteva credere a quello che stava succedendo e da un momento
all'altro pensava di potersi risvegliare su quel letto ma una parte
di lei sapeva, sapeva che era diverso, e ci stava male. Si erano
appena ritrovate e», scosse la testa, ripassandosi una mano
sui
capelli, «Era come se aver salvato Root in settemila
simulazioni non
avesse contato niente perché lei era destinata ad altro
quando in
quattro anni di PoI
il suo personaggio era cambiato, cresciuto»,
deglutì, «Sono felice
che Shaw e Root possano avere un'altra occasione».
«Mi
pare di capire…», esclamò
l'intervistatore e Sarah annuì,
aspettando, «che non sei, o eri soddisfatta di come sia
finito
Person
of Interest
per il tuo personaggio».
Lei
per poco non lo bloccò, accennando un sorriso, guardando
altrove:
«Person
of Interest
era uno show basato su Harold e la Macchina, mentre Shaw e Root erano
personaggi creati con uno scopo ben preciso, importanti, ma sempre di
fondo. Harold e la Macchina hanno avuto una fine forse
più…»,
inclinò la testa, giocando con i capelli,
«completa?! La Macchina è
stata liberata grazie al sacrificio di Root e, sempre per lei, Harold
è sopravvissuto, aiutato da Reese, Shaw e Fusco. E ha potuto
avere
il suo lieto fine. Non era possibile averlo per Shaw perché
sarebbe
stato con Root».
«Hai
sempre creduto nel progetto sullo spinoff o sapevi di aver finito con
Shaw?», domandò ancora l'intervistatore.
«No»,
rise, «Credevo assolutamente di aver finito»,
annuì, «Non credevo
davvero sarebbero riusciti a ottenere uno spinoff, era fuori
discussione! È ancora tutto così
strano… Ma è successo
davvero?», chiese alla telecamera, ridendo.
L'intervistatore
rise con lei e il cameraman gli diede l'okay. «Va bene,
Sarah,
grazie per essere stata qui con noi! Spero che lo spinoff, di cui
ancora non abbiamo un titolo, vada a gonfie vele».
Lei
sperò lo stesso e salutò la telecamera muovendo
le mani, inviando
poi un bacio. A riprese finite, l'intervistatore le diede le
congratulazioni, poi Sarah uscì, richiudendo la porta alle
spalle.
Nel salottino davanti c'era un piccolo tavolino con dei dolcetti e
intravide Amy assaggiarne uno, mentre l'aspettava.
Appena
la vide venire verso di lei, Amy sorrise con una guancia gonfia e una
mano davanti, facendole cenno di avvicinarsi. Ingoiò, prima
di
parlare. «Devi assolutamente assaggiarli, sono buonissimi!
Hanno
detto che possiamo mangiarli anche tutti», le fece presente,
prendendo un altro dolcetto con la mano già sporca di
zucchero a
velo. Glielo avvicinò e Sarah aprì la bocca; con
un morso lo prese
quasi tutto.
«Oddio»,
chiuse gli occhi, assaporando, «È la fine del
mondo». Amy le
avvicinò anche il resto e Sarah si lasciò
imboccare di nuovo. La
prima iniziò a ridere, cercando un fazzolettino di carta, e
Sarah si
avvicinò allo specchio, scoprendo di avere il naso sporco di
zucchero a velo. Rise anche lei, con la bocca piena, ma, invece di
pulirsi, passò un dito sul vassoio e si accostò
all'altra,
sporcandole il naso.
Risero
insieme con il rischio di ingozzarsi, riempendosi le dita di
zucchero, fino a quando non furono interrotte da un finto colpo di
tosse ed entrambe si girarono, scoprendo all'ingresso un uomo alto e
grosso con un pass come il loro sotto la spalla sinistra. Sarah si
accese e Amy si ripulì con il fazzolettino, abbassando lo
sguardo.
«Ho
interrotto qualcosa?».
«Steve»,
urlò Sarah, correndogli incontro. Probabilmente gli sarebbe
saltata
addosso se non avesse avuto la minigonna. Si apprese intorno al collo
di lui, intanto che la circondava con le braccia e la baciava sui
capelli, fino a quando lei non si spostò un poco e si
baciarono
sulla bocca. «Cosa ci fai qui?».
«Sono
al secondo piano con il cast, abbiamo un servizio fotografico. Non ti
ho detto niente per farti una sorpresa», rise, baciandola di
nuovo,
«Mi hanno detto che eravate qui». Finalmente
alzò la testa e fece
un cenno a Amy, salutandola.
Lei
sorrise, afferrando un altro dolcetto. «Prendine uno, sono
buonissimi».
«Sì»,
esclamò anche Sarah, prendendo per mano suo marito per farlo
avvicinare, «Devi assaggiarli». Guardò
Amy e lei ricambiò, prima
che si allontanasse verso un altro tavolino per controllare il suo
cellulare, con il dolcetto fra le dita. Lui la interruppe dicendo che
non ne voleva e allora lei si fermò.
«Devo
tornare giù, non ho molto tempo», la
baciò ancora. «E i
bambini?».
«Ieri
hanno chiesto di te, ma erano stanchi e ho mandato tutti a letto
presto; stasera te li passo per telefono».
Le
chiese ancora quanto tempo avesse prima di ritornare sul set e poi se
aveva finito, così si baciarono di nuovo, più a
lungo, prima di
lasciarla andare e salutarla con un altro abbraccio. «Ciao,
Amy»,
salutò.
Lei
gli fece la mano, sorridendo, alzando un attimo gli occhi dallo
schermo del telefono.
Sarah
lo accompagnò fino all'ascensore. «Non me lo
aspettavo proprio»,
rise, tornando all'interno del salottino. «Cosa
guardi?», domandò
poi, avvicinandosi.
«Jackson
e Ava ieri sera hanno fatto un castello di carte e sono riuscita a
fare un video», rise, mostrandoglielo. I bambini presentavano
con
orgoglio alla telecamera il proprio castello ma uno spostamento
d'aria ne fece tremare una e in meno di un secondo cadde tutto a
terra. In un primo momento Amy rise, poi cercò di consolare
i figli
disperati.
«Ma
quanto sono cresciuti», commentò Sarah,
«Jackson è diventato
altissimo».
«Sta
crescendo in fretta».
«Diventerà
alto come la madre». Amy sorrise, vedendola tirare fuori
dalla
borsetta anche il suo cellulare. «Ecco i miei
mostriciattoli»,
disse, passandole il cellulare, «Mi sa che è da
tanto che non li
vedi».
Amy
sorrise, vedendo quei bimbi paciocconi che camminavano stretti alle
mani del fratello maggiore. «Non ci credo, camminano
già».
«Oh,
se non ci stai attenta lo fanno anche talmente in fretta che
spariscono», rise, «Non ci si può
distrarre, credimi. Vieni a
casa, stasera: li vedrai con i tuoi occhi».
Amy
si perse con lo sguardo per un momento, guardando dietro Sarah di
sfuggita, trattenendo un sorriso incerto, fino a scuotere la testa.
«Meglio di no».
Sarah
stava per insistere ma decise di lasciar perdere e accettare il
rifiuto. Sapeva cosa stava succedendo: anche se non ne parlavano,
entrambe stavano ancora pensando a ciò che era accaduto
nella
roulotte. Al di là dello sbaglio, pensava che le cose
sarebbero
potute tornare a essere quelle di prima, ma forse Amy non la pensava
ancora in quel modo. Non era frutto della sua immaginazione, Amy
aveva una cotta per lei, ne aveva avuto la certezza, e pensare che
aveva rischiato spesso il litigio con Steve che era pronto a giurare
lo stesso, reputandolo solo geloso. Se Amy pensava che stare lontana
da lei a parte nel lavoro l'avrebbe aiutata a staccarsi da quel
pensiero, allora non poteva fare altro che acconsentire e non
ostacolarla.
«Chi
l'avrebbe mai detto…», sussurrò per
sé.
«Cosa?»,
«Nulla,
pensavo a voce». Riflettendoci, per una volta Steve aveva
ragione. E
non lo avrebbe mai saputo.
Ricordò
che ci aveva messo un po' a farsi piacere quel nome: Marguerite Yves.
Si era già abituata a cambiare identità spesso,
ma quello specifico
nome rappresentava una svolta per la sua carriera, e ogni volta che
qualcuno la chiamava sentiva un brivido di freddo, anche se cercava
di nasconderlo. Nonostante avesse già avuto modo di testare
le sue
abilità, quella era la prima volta che faceva una cosa del
genere a
pagamento e una parte di lei temeva di sbagliare. Come se quello
sarebbe potuto essere l'unico vero errore.
Era
ancora una ragazzina, appena diciotto anni ma, per la nuova carta
d'identità, Marguerite ne aveva già ventuno anche
se non li
dimostrava. Si era fatta assumere come segretaria in un reparto
ospedaliero: il suo compito era ufficialmente quello di ricevere le
chiamate e segnare gli appuntamenti, ma in realtà doveva
essere
pagata per uccidere Gustavo Portes, un ragazzo emigrato dal Brasile
addetto alle pulizie. Doveva essere un lavoro facile e veloce:
restare fino a tardi una notte in cui lui era di turno per sistemare
dei fascicoli, coglierlo di sorpresa e togliere dalla borsetta la sua
pistola. Sparargli alla testa e andarsene. Si sarebbe ripresentata il
mattina dopo per assicurarsi che il cadavere fosse stato trovato e,
poi, si sarebbe fatta licenziare perché tragicamente scossa.
Nessuno
avrebbe sospettato della ragazzina dal viso innocente da angelo e, se
mai qualcuno avesse provato a farlo davvero, in ogni caso non avrebbe
trovato niente perché la Marguerite Yves che sarebbero
andati a
cercare non era altro se non un cumulo di dati senza storia
depositati su internet. Sarebbe diventata un fantasma, un'idea, fino
alla prossima identità.
Era
la prima volta che doveva uccidere qualcuno di persona e la
tentazione di farlo fare ad altri era forte, se non che il
committente aveva chiesto un omicidio pulito e non doveva creare
caos, così decise che ci avrebbe pensato da sola. Ma
Samantha
Groves, che ancora non era Root, di tutto si aspettava ma non che
all'ultimo provasse paura.
Si
era sistemata i capelli lisci dietro la coroncina, guardandosi allo
specchietto portatile, e poi aveva spento la sua postazione,
richiudendo tutto con le chiavi del reparto. Aveva rimesso lo
specchietto in borsa e toccato la pistola al suo interno. Entrando di
turno, quel ragazzo l'aveva salutata e poi si era sistemato le cuffie
per ascoltare la musica; lo aveva trovato assorto in un
corridoio, lavando il pavimento. Le camere erano tutte chiuse, non
c'era nessuno al secondo piano, e la pistola aveva il silenziatore
già pronto. Si era posizionata dietro di lui, a pochi metri,
e aveva
preso la pistola dalla borsa, puntandogliela alla nuca. Lui dondolava
con lento ritmo, ignaro di ciò che poteva capitargli di
lì a poco.
Samantha Groves stava tremando e la pistola con lei. Poi un colpo di
tosse improvviso, lontano, e le era parso di ingoiare il suo cuore,
riponendo la pistola in borsetta e andandosene.
Il
committente non l'aveva presa molto bene, chiedendo esplicitamente
per email la testa del ragazzo entro tre giorni. Era giovane e forse
ancora inesperta, ma non avrebbe permesso a nessuno di farla sentire
debole o inadeguata, così aveva deciso di prendere qualche
precauzione. Del suo committente sapeva solo che doveva essere molto
ricco e che si firmava con L.P..
Aveva pagato metà di quanto pattuito subito, ventimila
dollari.
Entrando in rete, era passata dalla sua email al suo conto bancario
in fretta, avendo accesso a ogni suo dato. Si chiamava Philip Lars ed
era nientemeno che il direttore di una catena di ospedali, compreso
quello dove era andata a lavorare. Si era domandata perché
un
direttore di ospedale avrebbe voluto pagare qualcuno per uccidere un
ragazzo delle pulizie mentre, con qualche trucco, accedeva ai suoi
soldi e si assicurava una cospicua ricompensa extra per quando
sarebbe sparita.
Il
giorno dopo, il direttore l'aveva incitata a fare la sua mossa,
chiedendole se avesse cambiato idea, minacciandola, dicendo che
avrebbe raccontato tutto alla polizia inventandosi una storia, se non
era una codarda. Lui non sapeva chi si celava dietro quell'email, non
sapeva che il killer si nascondeva in quella piccola nuova segretaria
che, per essere stata ripresa un po' troppo, aveva deciso di dargli
una lezione. Aveva visto il ragazzo delle pulizie entrare
nell'ospedale di giorno, senza camice, e l'aveva seguito. L'idea le
era balenata proprio in quel momento. Lo aveva visto in compagnia di
una ragazza ma non si era lasciata intimidire, quella volta. Il
committente l'aveva spronata a fare presto e lei voleva abbandonare
l'identità di Marguerite Yves il prima possibile; Philip
Lars doveva
pagare la sua strafottenza.
Aveva
puntato la pistola alla schiena del ragazzo e aveva spinto entrambi a
prendere l'ascensore fino all'ultimo piano, diretti all'ufficio del
direttore. Lei sapeva che lui era lì. Una volta arrivati, li
aveva
fatti entrare e l'uomo era sobbalzato dalla sua sedia, chiedendo
spiegazioni.
«Ventimila
prima e ventimila dopo», Samantha Groves ripeté le
parole che lui
le aveva scritto per email e gli mostrò la pistola,
puntandogliela
contro.
Lui
era impallidito.
«Papà,
di cosa parla? Chi è questa pazza?», aveva gridato
la ragazza. Il
ragazzo si era messo a farle scudo per proteggerla; non poteva certo
sapere di essere il bersaglio.
«Marguerite
Yves?»:
Philip Lars aveva sussurrato quel nome con così tanta
incredulità
da darle fastidio.
Samantha
Groves cambiò obiettivo e puntando la pistola al petto del
giovane
premette il grilletto due volte senza pensarci. Lo aveva visto
accasciarsi sulla ragazza, ormai in lacrime. La Samantha Groves
diciottenne aveva sentito il suo cuore in gola, che era asciutta, e
aveva guardato quel corpo crollare a terra senza vita. Ed era stata
lei a farlo. Troppo distratta per non accorgersi subito che Philip
Lars aveva nascosto una mano dietro la scrivania e aveva tirato fuori
una pistola. Schivò il primo colpo per un soffio e
nell'istinto
aveva reagito, sparando a sua volta, ferendolo alla spalla. Tre
guardie dell'ospedale erano accorse a poco da lì sentendo lo
sparo
della pistola senza silenziatore di Lars e per colpirla avevano
sparato anche loro. Samantha Groves si era nascosta dietro lo
schienale di una poltrona e dopo era corsa fuori facendosi scudo con
la pistola, sparando ancora. Immaginava avrebbe avuto la polizia alle
calcagna, invece aveva nascosto la pistola nella borsetta e se n'era
andata come nulla fosse, mentre tutto l'ospedale si era accalcato per
paura degli spari.
Allora
non sapeva che la polizia non l'aveva inseguita solo per ordine
diretto di Lars che, prima della killer, doveva pensare alla sua
bambina, lì, stesa a terra esanime accanto al cadavere
ancora fresco
del suo fidanzato che lui voleva morto. Era stata colpita da un
proiettile vagante ed era stato fatale.
Samantha
Groves si era fatta accreditare il denaro dal conto bancario di Lars
ed era sparita, con solo qualche graffio e tanta paura. Forse l'uomo
aveva pensato sarebbe stato facile ritrovarla, chi l'avrebbe mai
detto che era solo una ragazzina, ma ogni suo dato era scomparso da
internet e Marguerite Yves non esisteva.
Lei
ce l'aveva fatta. O così fino a quel momento aveva creduto.
Shaw
era stata a sentirla raccontare quella storia con attenzione,
rimanendo impassibile per gran parte del tempo, fino a quel sorriso.
«Quindi, da ragazzina… eri stronza come
adesso».
Root
roteò gli occhi, pur non nascondendo un sorriso malizioso.
«Solo
molto più impreparata», sventolò la
mitraglietta che aveva in
mano, sistemandola dentro un borsone.
Anche
Shaw ne prese una, assicurandosi che ci fosse la sicura e mettendola
al suo interno, in mezzo alle altre. «Sei certa che non
possiamo
portarci dietro tutta questa roba? Potrebbe tornarci utile».
«Potrebbe,
ma se la facciamo viaggiare con noi stiamo scomode… Ci
prendiamo il
necessario», le fece notare, infilando dentro anche due
fucili.
«Invece… queste bellezze ci aspetteranno dentro un
box che
viaggerà quando saprò dove saremo e ci saranno
più utili». Scorse
Shaw annuire. «Mi spiace se dobbiamo rimandare la nostra vita
normale e tranquilla a quando avremo trovato Lars».
Lei
alzò la testa, guardandola in faccia. «A me no. Un
po' di
divertimento».
Root
le sorrise.
Erano
pronte per partire, Marshall Mason le avrebbe trovate se fossero
rimaste ancora nel vecchio appartamento di Root. Amy cambiò
pagina,
interessandosi. Purtroppo, dopo quello che stava leggendo, aveva
ancora il copione di un solo altro episodio e poi avrebbe dovuto
aspettare per sapere cosa sarebbe successo. Lo spinoff era stato
accettato con una prima stagione di dodici episodi e stavano ancora
lavorando sulla scrittura. Interessante era il punto in cui Root e
Shaw, discutendo su Marshall Mason, si erano accorte che il nome non
era altro che un anagramma.
Dividendo
le lettere di quel nome avevano ottenuto Mona Shalm Lars, la figlia
di Philip Lars morta nella sparatoria di quel giorno. Marshall Mason
non era una persona ma un'operazione che profumava di vendetta. Stava
per scrivere un messaggio sul telefono a Sarah per chiederle fin dove
aveva letto la sceneggiatura quando si fermò con quello in
mano,
nascondendoselo poi su un fianco, sul divano su cui era sdraiata.
Aveva rifiutato di andare da lei, che figura ci avrebbe fatto a
cercarla ora? Oh, non che cambiasse qualcosa con Sarah, pensando che
in ogni caso doveva aver capito il perché del suo rifiuto.
Temeva
sarebbe stato così palese anche con suo marito e ringraziava
che non
avessero l'abitudine di videochiamarsi. James le aveva sempre
ripetuto che per lui era come un libro aperto e in quel momento si
preoccupava di esserlo davvero. Amava James. Amava ciò che
insieme
avevano costruito, amava i loro splendidi bambini, amava ciò
che
avevano insieme e condividevano, amava ciò che avevano in
comune e
ogni tanto anche ciò che non avevano in comune, amava come
si
sentiva in sua compagnia e amava esserlo. Amava davvero tutto di lui.
E allora non capiva perché dovesse provare quelle cose e
pensare ciò
che non doveva pensare. A volte l'amore di Root per Shaw le era
sembrato così vero da sfociare nella realtà, ma
quello era
esagerato. Stava andando al di là della finzione, dello
scherzo, del
gioco. Al di là di tut- il telefono vibrò. Lo
riprese e la foto dei
gemellini di Sarah che mangiavano una merendina con le manine e la
bocca completamente sporche di cacao la fece ridere. Non fece in
tempo a salvarla che le arrivò un'altra foto: stavolta, in
compagnia
di Violet e Knox c'erano sia Sarah che William, il primogenito, tutti
sporchi di cacao mentre facevano le linguacce. Rise più
forte,
accorgendosi di amare anche Sarah. Amava anche Sarah.
Ed
ecco a voi il terzo capitolo!
Abbiamo
scoperto una parte del passato di Root quando ancora non era Root e
stava facendo i primi passi verso una vita pericolosa, Sarah si
è
resa conto che suo marito su qualcosa aveva ragione e Amy di amare
sì
suo marito, ma di amare anche Sarah. Dal canto suo, quest'ultima cosa
pensa davvero?
Sono
contenta che questo capitolo sia passato, perché il prossimo
sarà
decisamente più lungo e ci sarà molto
più spazio per il punto di
vista di Sarah :D
Credo
di non aver note da fare per questa volta, non mi viene in mente
niente! Dunque i soliti ringraziamenti a ha inserito la storia nelle
liste e a chi mi ha lasciato una recensione e… a presto con
il
quarto capitolo: Cambiamento :)
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