Capitolo 3 – Deus ex machina
Mi alzo decisa dal letto, passandomi la manica
della vestaglia rosa sulle guance bagnate. Raggiungo il comodino, costatando
che Dean ha lasciato il cellulare a casa. Sorrido, benissimo… almeno sono
sicura che tornerà a casa…
Stasera gli preparò una bella cenetta, anzi…
sospiro, è meglio che gli faccia quel maledetto pollo fritto che gli piace
tanto, accidenti a lui. Mi faccio una doccia, lasciando che l’acqua scrosci sul
mio corpo senza fermarsi, poi mi vesto velocemente per andare a fare la spesa;
è una giornata calda, quindi mi posso permettere una canotta rossa ed un paio
di jeans scuri. Racimolo gli ultimi spiccioli nel barattolo dello zucchero
sopra la credenza, saluto Grattastinchi che miagola
in risposta, prendo le chiavi e mi chiudo silenziosamente la porta alle spalle.
Se mi sente la signora Sanchez, è la fine…
Mi acquatto sulla parete, scendendo le scale un
gradino alla volta ed in punta di piedi. Impreco mentalmente contro la borsa di
plastica trasparente rossa che sbatte contro la parete, producendo un piccolo
rumore, amplificato dall’eco della tromba delle scale. Rimango in attesa,
sospiro di sollievo… meno male che non mi ha sentito…
Supero il suo pianerottolo in completo
silenzio, poi inizio a correre per le scale. Apro il portone con aria
vittoriosa.
“Signorina Granger!!!!” un urlo da mammut mi trafigge le orecchie. Ecco, era
troppo bello per essere vero…
indecisa su
che cosa fare, sosto un po’ con la mano sulla maniglia, poi la mando
mentalmente a quel paese ed apro la porta, fingendo abilmente di non averla
sentita. L’hanno sentita anche in Kosovo a dirla tutta, ma potrò sempre dire
che avevo il lettore mp3 nelle orecchie. Tanto che imprechi per quello o per il
fatto che non abbia ancora pagato l’affitto, non credo che sia molto differenza… imprecherà lo stesso…
Riesco ad agganciare per l’ultimo secondo utile
la metro che mi porterà in centro. Mi siedo nell’unico sedile libero, accanto
ad una decina di uomini in giacca e cravatta diretti alla City. Estraggo il
lettore dalla borsa e mi metto ad ascoltare in silenzio la musica che ci ho
messo solo la sera prima, prevalentemente canzoni struggenti e spezzacuore. Appoggio la testa sul sedile scomodo della
metropolitana, chiudendo gli occhi dietro le lenti scure, cercando di ignorare
il ballonzolare continuo del treno. Un senso di apatia mi avvolge come sempre,
mentre ascolto la mia musica preferita. Una volta, Ginny
mi disse che ascolto solo la musica di quelli che sono prossimi al suicidio.
Non mi interessa.
Di solito, sono dell’opinione che una canzone
d’amore struggente, se ti fa male, è perché hai qualcosa di enorme da
nascondere, che la suddetta canzone è andata a toccare. Quindi, quando esco con
le mie amiche o facciamo una festa, finisco sempre per attaccare un cd a caso
con una che strilla dalla strofa al ritornello sulla fine del suo amore
meraviglioso, mentre loro mi dicono di spegnere, urlando come delle invasate.
“Ci vai venire una depressione, Herm!” sbraitano con le mani premute sulle orecchie. E
stiamo parlando anche di Ginny Weasley,
la famosissima fidanzata del Ministro della Magia, nonché membro del Wizengamot, eroe del mondo magico, paladino del bene e, nel
tempo libero, anche validissimo cercatore di Quidditch.
In una parola, Harry James Potter.
Al che io mi chiedo… se a lei con un
fidanzato come Harry viene la depressione, a me che dovrebbe venire? La faccia
a cui nemmeno un obiettore di coscienza negherebbe l’eutanasia?!! Sono quindi giunta alla conclusione che le canzoni
d’amore ti fanno effetto in due soli casi: o se ti ritieni troppo felice e
quindi pensi che la canzone porti una sfiga pazzesca, oppure se sei infelice
forte e quindi arrivi anche a pensare che potrebbe pure andare peggio. Ergo, se
a me non fanno effetto… non sono in nessuna delle due condizioni esistenziali.
Non è una bella cosa definirsi non-felice e nemmeno propriamente infelice, ma rimando alla spiegazione precedente per
credere; nell’attesa e nella pallida gioia di non detestare le canzoni d’amore,
le ascolto con soddisfazione, compiacendosi della mia superiorità rispetto ai
più comuni sentimenti umani, quali la felicità o l’infelicità. In fondo, che io
lo ammetta almeno con me stessa, sono sempre stata abbastanza al di sopra della
norma della condotta umana.
Nell’intervallo di due secondi netti tra “My heart will
go on” di Celine Dion, e “I had
nothing” di Whitney Houston, apro leggermente
l’occhio sinistro per vedere se sono finalmente arrivata alla mia fermata.
Ovviamente nel buio della metro, non riesco a distinguere niente; sto per
chiudere nuovamente l’occhio, quando la metro si ferma nuovamente. Strizzo gli
occhi per leggere il nome della fermata sul cartello luminoso. Notting Hill. Notting Hill???!!! Ma sono almeno cinque fermate dopo la mia!! Accidenti
a me e a tutte le canzoni d’amore del mondo!
Mi alzo come una furia nel timore di
allontanarmi ancora di più da casa mia e raggiungo la porta automatica, che stava
già per richiudersi. La fermo, mettendoci un piede in mezzo, poi la spalanco
con le mani e le braccia. Il terribile dejavù della
mia situazione e di quella del film Sliding
doors si fa sgraditamente presente nel mio
cervello, appena metto piede fuori dal treno. Scuoto la testa, ci mancava anche
questa. Io di solito evito accuratamente di cadere nelle trappole dell’intuizione, ma oggi sembra veramente giornata… arrotolo gli
auricolari del dannato lettore mp3, quello che adesso mi farà perdere un casino
di tempo per aspettare la metro nella direzione opposta… e, cosa non
trascurabile, la sterlina per il nuovo biglietto di andata e ritorno… rabbia!
Lo getto con furia nella borsa in mezzo alle mie cose. Percorro in lungo e in
largo la banchina alla ricerca del cartellone con gli orari, evitando uomini
d’affari scontrosi e maleducati, e giovani mamme nevrasteniche con figli che
potrebbero tranquillamente fare concorrenza alle nervose genitrici. Trovato il
cartello, scopro ovviamente che il prossimo treno passa dal binario
cinque tra due ore e mezzo. Ma si può??!!! E questa è
l‘efficiente rete di servizi inglesi?! Maledetti, nell’ordine, Lavanda Barbie
Brown, Ronald Ken Weasley,
Troy alias LA SPIA,
e poi anche Dean con i sensi di colpa annessi e connessi! Se avessi la magia,
ci impiegherei mezzo secondo a materializzarmi nell’ufficio di Dean per
chiedergli scusa, risparmiando anche i soldi per il maledetto pollo fritto che
gli devo pure cucinare… ovviamente dopo provvederei a smaterializzarmi da quei
due bambolotti di plastica, brucerei il camper delle meraviglie con cui vanno
in vacanza assieme alla casetta rosa stile Nouvelle Cousine,
per poi sgonfiare con uno spillo i loro attributi ritoccati al silicone! Questo
solo per quello che mi fanno passare ogni giorno, non per l’umiliazione, la
rabbia e il dolore, che sono dati trascurabili!
Con il passo di uno
yeti di montagna, quando il gruppo di campeggiatori designati riesce a scappare
incolume dalle sue grinfie, risalgo le scale della fermata, uscendo
all’esterno. L’aria fresca mi sferza il viso e finalmente recupero anche
l’ombra di un semi sorriso. Potrò sempre fare la spesa
in un negozio di qui, poi magari mi guardo un po’ di vetrine, sognando quello
che non mi posso assolutamente comprare.
Cammino un po’, guardandomi avidamente attorno,
la folla colorata e multietnica che scorre vicina a me. I negozi sono pieni di
merce particolare, soppesata con occhio critico dalla clientela. Se non ricordo
male, qui vicino ci dovrebbe essere anche un negozio dell’usato… sì, ci venivo
spesso con l’infame… in effetti non vengo a Notting Hill da allora. Di mattina è sempre troppo caotico
come quartiere, la sera poi è semplicemente troppo romantico. Insomma
dall’infame in poi, ho preferito decisamente non metterci più piede. Poi, figuriamoci,
con Dean ogni occasione è buona per rinviare un’uscita e starcene a casa a poltrire… con Ron, invece, ci venivo spesso, specie
nei primi tempi di pace. Lui aveva la sede del club per cui giocava qui vicino
e io passavo il tempo in quel negozietto di roba usata, giocherellando con
chincaglierie varie e comprando i libri usati. Trovai una copia di “Orgoglio
e pregiudizio” praticamente intatta. Certo mancavano le ultime cinque
pagine, ma tanto la conoscevo a memoria la storia… quasi quasi
ci vado… mi riscuoto violentemente, urlandomi un “NO” gigante nel cervello.
Dobbiamo risparmiare! Altrimenti non arriviamo alla fine del mese! Poi mi
ricordo che stamattina l’unico piacere della mia vita, ossia il succo
all’ananas, è caduto rovinosamente per terra… quindi giustifico alla luce di
quella incolmabile privazione il mio imboccare la strada per arrivare a quel
negozio e poi sciolgo le mie ultime reticenze, dicendomi che, qualora le cose costano troppo, potrò sempre andarmene. L’ultima incertezza
se ne vola via al pensiero che devo comunque aspettare due ore e mezzo da
perfetta imbecille.
Se non ricordo male… percorro un vialetto
principale, dominato da una serie di imponenti alberi di magnolia e una sfilza
di bancarelle all’aperto, che vendono cibi di ogni sorta. Incuriosita da una
bancarella ricolma di trecce d’aglio e spezie odorose, gestita da un francese
dal naso rosso, intravedo il negozio di fiori all’angolo del palazzo, da cui si
girava per trovare il famoso negozio vintage. Do l’ennesimo strappo alla
finanziaria di casa mia, comprando un piccolo mazzo di fiori d’arancio da
mettere sul tavolo stasera, quando mangerò con Dean (e cucinerò lo
stramaledettissimo pollo fritto, non ci voglio pensare…), poi imbocco la
stradina.
Ecco il negozio di musica celtica, la
cartoleria sempre piena di mocciosetti che comprano le penne colorate al sapore
di frutta, e poi ci dovrebbe essere… no!!!
Dove pensavo ci fosse il negozio che ricordavo,
mi appare invece un’insegna in caratteri luminosi che recita beffarda “Petit
peste”. Che delusione, hanno chiuso quel negozio così carino per un altro…
già, e che cosa è? Il locale sembra chiuso, la serranda blu
scuro con il disegno di una bambina sorridente è abbassata fino a metà.
Tipico, deve essere un pub o qualcosa del genere. Sulla saracinesca, sono stati
attaccati una sfilza di volantini di colore fucsia. Uno
recita che di sabato non si entra senza prenotazione; devo dedurre che deve
essere un posto conosciuto. Io non l’ho mai sentito nominare; dimenticavo, con
Dean come sarebbe mai possibile?!!! Deve essere anche
grande, il negozio che ricordavo io, aveva merce di tutti i tipi ed era enorme;
aveva un seminterrato con la roba più vecchia e copriva anche un primo piano
nell’edificio. Il secondo volantino informa che sono in vendita i biglietti per
il Turquoise Party del mese prossimo,
chissà che diamine è… un altro invece dice che sono alla ricerca di una
cameriera a tempo pieno per la zona pub. I colloqui si tengono ogni mattina
dalle 11,00 alle 14,00; si deve chiedere di un certo Danny Ryan. Deve essere il
proprietario… bah… inizio a percorrere il vialetto all’incontrario, ma mentre
sto per girare l’angolo e mi chiedo dove diamine potrei andare adesso per
perdere tempo, ripenso al contenuto dei volantini. Il ritornello prenotazione-turquoise party-cameriera a tempo
pieno, si ripete dodici volte nel mio cervello, prima che lo interiorizzi
del tutto. Sto davvero perdendo colpi… cameriera a tempo pieno?! Cameriera=lavoro=paga=soldi=fine di una vita di
mortificazione economica=fine delle urla della
signora Sanchez e delle fughe mattutine!
Ritorno velocemente indietro, fermandomi
davanti alla saracinesca e rileggendo il volantino come per accertarmi di aver
capito bene. Guardo l’orologio, le undici spaccate… rimango ferma per un po’,
spostando il peso del corpo da un piede all’altro. Mi torco le mani,
imbarazzata, non sapendo che fare, poi decisa raddrizzo la schiena e busso
leggermente alla saracinesca. Che me ne frega, magari hanno già preso qualcuna…
Una voce acuta e sottile mi risponde
dall’interno: “Sì? Chi è?”.
Deglutisco un paio di volte… e se poi questi
per cameriera intendono… insomma, molto più di una semplice cameriera…
“Si può sapere chi cavolo è?!!”
la voce urla, avvicinandosi all’entrata.
Avvertendola più vicina, i miei sensi si
risvegliano: “Chiedo scusa… sarei qui per il posto da cameriera… è ancora
disponibile?”.
Oltre la saracinesca, nella piccola fessura che
la separa dal pavimento, emerge una testa castana. Si sporge un ragazzo dai
ricci capelli scuri e dagli occhi verde acqua. Mi squadra torvo per un po’ dal
basso verso l’alto, mi studia attentamente guardandomi in tutta la mia figura
per un paio di volte. Indugia sulle mie gambe, mentre io mi serro nelle spalle.
Finalmente si apre in un largo sorriso, che
mostra una fila di piccoli denti bianchissimi. Meglio per lui, lo stavo già per
prendere a calci, non prima di essermi maledetta mentalmente per aver bussato.
“Come ti chiami, tesoro?” mi chiede, ancora
accovacciato in quella buffa posizione.
“Hermione… come vedi,
non mi chiamo tesoro…” osservo acida, socchiudendo gli occhi.
Lui si para il viso con le mani: “Chiedo scusa…
se non sapevo il tuo nome, come ti dovevo chiamare, eh?”.
Lascio cadere il discorso, non rispondendo alla
sua domanda retorica: “Sei tu Danny Ryan?”.
“Spiacente…” risponde e sembra veramente
dispiaciuto “Danny è uscito un attimo…”, sembra rianimarsi nel dire: “… ma
torna tra poco!”.
“Ah…” mormoro delusa
“Quindi devo aspettare lui per il colloquio? Non ho molto
tempo…”.
Il ragazzo scrolla il capo: “Non ce n’è
bisogno… nel caso, lo chiameremo… prego entra…”.
Solleva di qualche centimetro la serranda,
fermandola alla mia altezza, consentendomi di entrare. Le mie pupille si
allargano per l’improvvisa mancanza di luce. E’ tutto buio, non vedo niente.
“Sta attenta al gradino…” mi sussurra il
ragazzo alle mie spalle.
“Quale, gradino?!”
chiedo, voltandosi verso la sua voce, ma non faccio in tempo a dirlo che sono
inciampata nel famigerato gradino.
“Quel gradino…” sogghigna il tipo.
“Non potresti accendere la luce, prima che mi
ammazzi?!” borbotto, massaggiandomi la caviglia
dolorante.
Lui annuisce, poi lo sento fare qualche passo,
poi un piccolo clic metallico. Una luce soffusa e rosata illumina una stanza
ingombra di tavolini circolari, disposti a semicerchio. Le sedie sono poste rovesciate
sui tavoli. Solo un tavolo ha le sedie per terra, quello più vicino a noi, dove
è accesa una piccola abatjour rosa carico che illumina una pila di fogli
bianchi, una tazza piena di caffè e un paio di occhiali da vista.
Il ragazzo fa cenno di seguirlo, si siede ad
una delle due sedie e mi fa segno di imitarlo.
Mi siedo, guardandomi le ginocchia a disagio.
Lui inforca gli occhiali e prende un foglio
dalla pila davanti a lui. Estrae una biro dalla tasca ed inizia a scribacchiare
qualcosa, scordandosi di me. Passano dieci minuti buoni in cui continua a
scrivere, mentre io lo osservo nervosa. Mi sta facendo perdere tempo e, tra
l’altro, sembra farlo di proposito! Lo guardo con gli occhi socchiusi, indossa
una camicia rosa perfettamente mimetizzata con la luce dell’ambiente, sopra un
paio di jeans scuri. Sembra jamaicano o una cosa
simile; è molto abbronzato e muscoloso, decisamente un tipo carino. Carino sì,
ma solo perché a me non piacciono questi tipi così eccessivi, ma sono pronta a
scommettere che una come Ginny lo troverebbe, con
buona pace di Harry, un figo da paura! Il mio
cervello scimmiotta la voce della mia migliore amica, come ho detto, non è
certamente il mio di pensiero! A completare il tutto, una collana d’oro bianco
a maglia spessa, che si intravede attraverso i primi due bottoni della camicia
accuratamente sbottonati, e due brillanti per orecchini, uno per ogni orecchio.
“Bè?!”
chiedo, battendo nervosamente il piede per terra.
Lui sbatte gli occhi, sollevando lo sguardo,
come se si fosse dimenticato di me.
“Scusami… dovevo finire delle cose… allora…”
riprende, mettendo a posto il foglio a cui si stava dedicando prima e
prendendone un altro dalla pila. Come faccia a raccapezzarsi in quel disordine,
non lo so…
“Ti chiami…?” chiede.
“Hermione Jane Granger” sospiro.
“Anni?”.
“23”.
“Davvero?” osserva sinceramente stupito “Te ne
davo di più…”.
“Vorrebbe essere una specie di complimento?”
chiedo perplessa, già sul piede di guerra.
“Vorrebbe essere solo una constatazione…” risponde
lui pacato “Dio, quanto sei nervosa!”.
Mi mordo inquieta il labbro inferiore,
prendendomi mentalmente a calci per non ribattere ancora. Non perché sia corto
di argomenti e forse nemmeno perché devo essere carina per ottenere il posto,
ma perché è la seconda persona in meno di un’ora che mi dice che sono troppo
nervosa. Prima Dean, e poi questo qui… e se fosse
vero?
Il ragazzo finalmente prosegue: “Titolo di
studio?”.
Eccola là la parte migliore… Hermione, ora prendi, ringrazia, alzati decorosamente e
vattene…
“Ho finito le superiori…” inizio balbettante,
poi mi assale un’ondata di orgoglio. Ma che ci vorrà la laurea ad honorem per
fare la cameriera, cavolo??!!
“Ho iniziato il college, ma ho lasciato dopo
qualche mese…” mi invento al momento, poi, colta da un’improvvisa ispirazione,
aggiungo: “… per problemi economici…”.
“Capisco…” commenta lui comprensivo “E che cosa
studiavi?”.
Benissimo… e adesso? Divento all’istante
scarlatta, sudando freddo e caldo assieme. Mi torco le mani in grembo alla
ricerca di una risposta plausibile, lontana dalla mia mente anni ed anni luce.
“S-studiavo…” mastico
imbarazzata, sputando la prima cosa che mi viene in mente: “Archeologia…”.
Quello che volevo fare a cinque anni…
“Doveva essere interessante…” risponde lui, soppesandomi
con lo sguardo “Io invece studiavo… giusto! Non mi sono
nemmeno presentato…”.
Certo che questo ragazzo è strano forte… con
tutti quelli che chiedono un posto, racconta la storia della sua vita? Sorrido,
però in fondo sembra simpatico…
Mi porge la mano abbronzata con un gesto
elegante e leggero: “Il mio nome è Seth Green…”.
“Piacere” concedo, stringendogli la mano “Non
sei di qui, vero?”.
“Mia madre era cubana e mio padre è inglese… di
solito non se ne accorgono… che sono metà straniero,
intendo…sei una brava osservatrice…” mi fa affettuosamente l’occhiolino “Hai
mai fatto la cameriera?”. Il suo tono è tornato neutro.
Non potevamo rimanere a parlare della sua multietnicità? Sicuramente avrai avuto più cose da dire
rispetto a quest’ultima domanda. Se gli dico che no, non ho mai fatto la
cameriera, mi metterà alla porta senza tanti complimenti, ma se poi dico sì,
forse mi chiederà delle referenze o cose simili. Bene, meglio di così proprio
non può andare… la scelta è epocale: Hermione
Jane Granger sarà disgustosamente sincera, come
sempre, perdendo di nuovo l’opportunità di avere un lavoro fisso, oppure
mentirà brillantemente, assicurandosi l’agognato posto?
Sento persino il rullo di tamburi nelle
orecchie. Tempo sprecato.
Era assolutamente prevedibile che cosa avrei fatto.
“No, non ho mai fatto la cameriera…” dico a
denti stretti. Sono veramente cretina… sempre e per sempre la retta e nobile Grifondoro… adesso capisco perché tutti quelli di Serpeverde sono ricchi sfondati… la nobiltà d’animo non
paga, meglio fingere e dissimulare, così da starsene perennemente a pancia
all’aria a spendere miliardi. Il colmo quale è? Che mi sono persino pentita di
quest’ultima osservazione. Sono veramente un caso irrecuperabile.
Seth mi guarda ancora comprensivo, poi sospira
tra sé e sé. Si sporge leggermente verso il tavolo e mi fa:
“Ascolta Hermione… la nostra priorità, al momento, è
trovare una cameriera esperta per il Tourquoise
Party, non so se ne hai mai sentito parlare… abbiamo bisogno di una ragazza
che abbia abbastanza esperienza… è un’occasione mondana molto importante e non
possiamo permetterci che niente la possa rovinare, capisci, tesoro? Se mi lasci il tuo numero, magari ti richiamo per un colloquio, non
appena sarà passato il party…”.
Sospiro, eccome se mi chiamerà... lo dicono a
tutti quelli che scartano… ti facciamo sapere… ma che diamine è sto
party, che hanno bisogno di cameriere con esperienza pluridecennale?
Prenderanno la cameriera della vecchietta del Titanic in tal caso…
Per non lasciare nulla di intentato, sillabo lo
stesso il mio numero di telefono. Almeno potrò dire di averci provato.
Mi alzo dalla sedia, salutando Seth con un
sorriso di circostanza, e ringraziandolo. Raccolgo la mia borsa e rifaccio la
strada all’incontrario, attenta al maledetto gradino che prima mi ha fatto
inciampare. Così facendo evidentemente non mi chino abbastanza per uscire fuori, dato che la saracinesca è ancora mezza
abbassata. Qualcosa mi colpisce violentemente sulla fronte e ricado indietro,
seduta sul pavimento, con la testa che mi fa malissimo. Me la massaggio con un
gemito appena trattenuto di dolore.
“Seth, perché diamine non l’alzi questa
saracinesca?!!” urlo al ragazzo alle mie spalle che se
la sta facendo addosso per le risate. Poi il suo volto si fa preoccupato e
corre trafelato verso di me. Fa bene a preoccuparsi, potrei avere un trauma
cranico, la saracinesca è di metallo e ci sono andata a sbattere contro!
Ma Seth mi sorpassa come se non mi avesse
nemmeno visto. Ma è cretino o cosa??!! Lo vedo
abbassarsi poco più lontano di me e sussurrare preoccupato: “Danny, ti sei
fatto male?”.
Danny? Danny… cavolo, Danny! Danny Ryan! Il
proprietario! Non sono andata a sbattere contro la saracinesca,
ma contro il proprietario del locale, quello che tanto per intenderci, dovrebbe
darmi il lavoro! Ma si può avere più sfiga di me? Mi azzardo a guardare oltre
Seth, la figura si sta rialzando. Almeno non l’ho ucciso…
“Seth, perché diamine non l’alzi questa
saracinesca?!!” la figura urla, massaggiandosi la
fronte. Che strano, mi sembra di conoscerla questa voce… lenta e strascicata…
“Scusami, scusami Danny!” frigna Seth con le
mani giunte.
Mi sporgo oltre il vermetto
che chiede perdono, per affrettarmi a porre almeno un pallido rimedio alla mia
sbadataggine.
“Chiedo scusa, signor Ryan, è stata solo colpa
mia… non guardavo mentre stavo uscen…”.
La mia voce si blocca in gola, mentre riconosco
la figura davanti a me.
Ecco perché riconoscevo la voce.
Sollevo il braccio tremante, segnalando con
l’indice la figura che mi guarda con espressione meravigliata.
“Malfoy!” urlo con tutta la voce che ho in
corpo. Forse spero che sia una visione e che, urlando, sparisca dalla mia
vista.
Ma quella rimane lì, squadrandomi con aria
disgustata.
Non va affatto bene se vedo Malfoy davanti a
me.
In questo caso, spero ardentemente di aver
battuto la testa più forte del previsto.
Mi vanno bene anche gli estremi di una
commozione celebrale, purché questo non sia veramente Malfoy!
Non è possibile
leggere che questa storia è la preferita di sei o sette persone e poi
vedere solo una recensione!!! Guardate che non la pubblico più… come sono
perfida!! Scherzo!! Comunque davvero se avete un
pochino di tempo, lasciatemi un piccolo commento…
Sono cose che fanno
davvero piacere… e che aiutano a continuare… intanto ringrazio falalula per la recensione…J