Capitolo 1° : The Dark Ninja 1° -
To
the Hell [past]
L’
aria era piuttosto tesa.
Un’
ombra sottile, slanciata e agile, fissava quel luogo, con fare attento
e preciso.
Non
si riusciva a distinguere nulla in quella luce opaca, soffusa e oscura,
e l’ ombra passava inosservata, camaleontica e perfettamente
mimetizzata.
La
creatura si mosse repentinamente, estraendo uno stiletto e con una
capriola si ritrovò davanti alla faccia di un’
altra ombra, leggermente più tozza. Sorrise.
“Non
cambierai mai, si è capito” sussurrò
l’ ombra più tozza.
L’
altra sorrise. “ Già…”
inspirò. “ Il lupo perde il pelo ma non il
vizio… Lo sai meglio di me” poche parole, per poi
prendere il braccio all’ altra ombra e girarglielo
totalmente, ma quest’ ultima forse l’ aveva
previsto, perché con un calcio alto ben assestato era
riuscita ad evitare di non rimetterci il braccio, però il
calcio non era andato a segno, per niente.
L’
Ombra sottile afferrò di colpo la gamba della sua sfidante,
la strinse in alto e poi, con leggiadria ed eleganza,
la fece volare.
Il
corpo dell’ ombra sfidante rigirò nell’
aria parecchie volte, forse troppe, e crollò a terra come
una marionetta a cui erano stati tagliati i fili.
Le
luci si diradarono, ritornando luminose, e l’ ambiente si
scoprì che era un ampio salone.
Ma
non era quello che stupì tutti i presenti.
L’
Ombra rimise a posto lo stiletto, sfilandolo con delicatezza dalla
bocca, dove l’ aveva tenuto per il combattimento corpo a
corpo.
L’
Ombra si ricompose, ritornando rigida come un palo. Il kimono,
rigorosamente nero, stava perfettamente a quell’ ombra, come
se fosse stato disegnato per lei; la
benda che le copriva buona parte del volto era quadrettata, rosa e
nera. La slegò, con delicatezza, senza produrre alcun
rumore. Neanche il suono della stoffa si faceva sentire.
Adesso
si poteva osservare bene; il corpo molto sottile, le spalle rigide e il
portamento di una regina.
Il
torace era modellato, e in quel momento si stava alzando e abbassando
velocemente, cercando di regolarizzarne i movimenti e il respiro.
L’
Ombra era una ragazza.
Due
ragazzi sbadigliarono, fissando con occhi vuoti e privi di interesse le
luci della città, passando cupe sotto lo sguardo
d’ essi, che cercavano riparo nel buio di un sonno tranquillo
e ristoratore.
Cosa
che, a detta dei ragazzi, li avrebbe aiutati, visto le troppe poche ore
di sonno negli ultimi mesi, e il forte stress che condizionava le loro
giornate sempre troppo piene e impegnative.
Non
ci lasciano neanche il tempo di respirare, pensava il moro, il
più alto dei due.
Si
capiva che erano gemelli, quei due. Gli stessi occhi nocciola
caratterizzavano il loro volto, e le stesse labbra, che però
quelle del biondo erano più carnose, e questo non faceva che
accrescere la fame di playboy di quest’ ultimo.
Caratterialmente,
e anche in fatto di gusti, erano totalmente diversi.
Il
moro aveva lunghi capelli neri, sparati
in aria, e con l’ immagine di angelo dannato collimava
perfettamente. Gli occhi erano cerchiati da uno spesso strato di trucco
nerissimo, il corpo era sottile, e un piercing, fatto appena pochi anni
prima, era puntato al sopracciglio. Ne aveva due, di piercing, uno
sulla lingua e l’ altro, quello di cui ho parlato prima. Tre
tatuaggi, uno più significativo dell’ altro, erano
stati finemente disegnati su quel corpo apparentemente fragile e
idilliaco.
Suo
fratello non poteva essere più diverso di così.
L’
altro aveva lunghi rasta biondi, e un solo piercing, sapientemente
posto sulle labbra del ragazzo, accentuava il fatto del suo stile;
pareva essere uscito da un video di hip-hop, e sarebbe stato molto bene
vicino a 50 Cent in -In Da Club-.
La
maglia oversize, rosso fuoco, rappresentava tre teschi.
Uno
posava la mano sulle orecchie, l’ altro sulla bocca, e
l’ ultimo sugli occhi; il cappellino, dello stesso colore
della maglia, era firmato L.A. I jeans, anch’ essi
rigorosamente oversize, erano abbassati al massimo, e il moro, durante
le giornate, lo vedeva spesso tenersi il bordo di quei…
cosi totalmente sformati.
Il
rastaro aveva le cuffiette dell’ I-pod nelle orecchie, a
massimo volume e molto probabilmente, anzi, conoscendolo, quasi
sicuramente, si stava ascoltando Samy Deluxe.
Ecco,
un altro ottimo motivo per considerarli diversi. La musica. Il moro
ascoltava i Green Day, e tantissima altra musica rock, mentre il
rastaro ascoltava spesso e volentieri l’ hip-hop tedesco.
Sulle
ragazze non si erano mai trovati d’ accordo.
Il
moro era sempre alla ricerca del vero amore, e per questo il suo cuore
era stato parecchie volte spezzato, mentre i letti del rastaro erano
popolati sempre da una ragazza diversa. La cosa inversa, in poche
parole; il moro non amava le tipiche storie ‘una scopata e
via’, e per questo aveva disprezzava il fratello, che si
vantava di infiniti trofei, ragazze di cui utilizzava solo i corpi,
senza minimamente fregarsi di quello che quest’ ultime
potevano provare.
Poi,
con il lavoro dei due, il rastaro aveva triplicato le sue ore piccole,
ogni notte con una groupie diversa. Tutto per lui girava intorno al
sesso, solo al sesso, e lui, con i suoi commenti pesantini nei
confronti del moro, si era già fatto distinguere dagli altri
della band, facendosi riconoscere come il puttaniere.
Eh,
già, suonavano dal 2005, una vita per loro. Il moro si
ritrovò a pensare a tutto quel successo in così
poco tempo. Era stato stupendo tutto quello, perfetto per le sue
aspettative, perché in fondo lui era molto ambizioso, e
anche piuttosto testardo ed egoista. Era molto eccentrico, il suo stile
lo dimostrava.
Suo
fratello era menefreghista, gli piaceva stare nella mischia e attirare
l’ attenzione in quel modo.
Nel
suo, personalissimo, modo.
Il
rastaro non aveva mai creduto nel vero amore, e il moro, per la sua
dolcezza e il suo romanticismo, veniva spesso preso in giro da lui.
Una
ragazza si stava cambiando, nello spogliatoio della palestra di
quell’ enorme posto, il luogo in cui poco prima aveva, ancora
una volta, dimostrato che era una ninja professionista.
Quella
ragazza era l’ Ombra.
Sayu
si era sempre considerata strana. Per la sua famiglia, poi…
C’ era da spararsi.
La
madre Geisha, e il padre di una vecchia stirpe di Samurai, quando erano
venuti a sapere che lei era Ninja, la madre era svenuta, il padre la
stava per diseredare.
Si
specchiò, asciugandosi il sudore che le si era appiccicato
addosso, cosa che aveva sempre odiato.
Lo
specchio, leggermente scheggiato, riflesse l’ immagine di una
18enne cresciuta troppo in fretta, maturata.
Nel
suo complesso, Sayu era perfettamente normale. Lunghi capelli neri,
liscissimi e perfetti, e gli a mandorla leggermente tirati. Non neri.
Era alta per la sua età, ma era troppo magra, quando aveva
15 anni aveva sofferto di una forte anoressia, che poi nel tempo era
scomparsa, la pelle non era giallognola, era un bianco cadaverico, cosa
che risultava parecchio strana, visto i capelli così neri.
Le
mani le tremavano leggermente, come sempre, lei si prese il polso
destro la morsa di cuoi di un bracciale lago e particolare quanto lei,
quando gli occhi quasi le si rivoltarono senza un motivo; quando
riaprì gli occhi, era scossa ancora da un leggerissimo
tremito. Si sorrise, fissandosi attraverso quello specchio.
I
ricordi possono essere i tuoi migliori amici, altrimenti fanno solo
male, quasi fossero cocci aguzzi e acuminati, lucenti di
malvagità, che tornavano a ferire l’ anima nei
momenti più inopportuni; non c’ è
rimedio, si disse. Un altro sorriso malinconico attraversò
le sue labbra carnose, spegnendosi pian piano nel suo sguardo gelido.
I
ricordi fanno male, constatò.
Continuava
a fissare la sua pelle innaturalmente cadaverica, senza sapere bene il
perché.
Non
se ne vergognava, della sua pelle; aveva preso quella
tonalità quando era stata in Germania da un lontano parente.
In
Germania erano cambiate parecchie cose in lei. Aveva conosciuto sua
cugina, una ragazza leggermente più piccola di lei che, pur
non volendo darlo a vedere, stimava Sayu più di chiunque
altro, e cercava di copiarla in quasi tutto.
In
fondo però erano terribilmente simili, non di aspetto
perché la cugina era bionda e totalmente diversa, ma in
carattere: tutte e due venivano massacrate di ordini da i loro
genitori, forse Ginevra un po’ di meno, e tutte e due erano
amanti dell’ emo style.
Si
capiva tantissimo che erano emo, da come vestivano, dalle loro
amicizie… Da tutto. Magari fossimo state sorelle,
pensò Sayu.
Ginny,
o Ginevra, era stata l’ unica cosa positiva della Germania, a
parte Amburgo e il piccolissimo paesino dove Ginny aveva una
villetta… Com’è che si chiamava? Ah,
sì, Loitsche; anche se adorava le grandi metropoli come
Tokyo, quello non era male per gli esercizi di meditazione, che il
codice Ninja le imponeva.
Quanto
odio l’ Occidente, si disse con una nota di disprezzo,
sussurrandolo.
Quando
uscì dalla palestra, erano le 10. Il buio incupiva la
città, creando forme spettrali e scure, mentre riempiva ogni
poro della pelle di Sayu, facendola sentire sicura, perché
il buio le faceva questo effetto, da sempre; da piccola si ricordava
che la notte apriva l’ enorme finestra che dava sul balcone,
ci saliva sopra e si appostava sulle tegole: era molto facile salire
dal balcone sul tetto.
Accese
il suo amatissimo I-Pod Nano.
Sayu
era fatta così; per non sentire l’ affanno della
giornata, attaccava l’ I-Pod,e così non riusciva
più contraddistinguere la frenesia delle sue giornate cupe e
buie. Non aveva MAI tempo. Era così anche quando viveva con
i suoi, mai tempo, sempre di fretta. Quella era una cosa che non
sopportava davvero; quand’ era bambina aveva sempre pensato
che per i suoi genitori lei fosse una marionetta da comandare a
bacchetta: lei per loro era una semplice marionetta cui, tirati ben
bene i fili, si sarebbe alzata, di colpo, per essere comandata a
piacere.
Ma
al compimento dei suoi 17 anni aveva deciso di tagliare quei fili che
la tenevano in piedi, staccandosi dai suoi genitori e andando a vivere
da sola.
Non
si reputava coraggiosa o chissà che cosa, no.
Si
riteneva abbastanza matura per scegliere quello che doveva fare.
Quello
non era coraggio. Era la responsabilità; era riuscita in una
cosa che qualche persona neanche a 30 anni è capace a fare.
Assumersi
la responsabilità delle proprie azioni.
Era
vestita molto semplicemente. Una maglia a maniche corte alla
giapponese, con il collo alto e i bottoncini su un lato. I bottoncini
erano tutti argentati, e continuavano anche per il corpetto, mentre la
maglia era nerissima, un po’ più lunga del
normale. I jeans, strettissimi a sigaretta e d’ un blu scuro,
un po’ lunghi anch’ essi, avvolgevano le cosce
modellate e scolpite dal troppo esercizio fisico di Sayu.
La
ragazza senti uno strano rumore dietro di sé.
C’era
odore di pericolo.
Un
rombo la fece voltare appena.
In
quel preciso istante partì, come per uno scherzo del
destino, che con lei era sempre stato troppo crudele, Hide &
Seek…
Era
tutto buio. E la testa pulsava dolorosamente. Tentò di
sbattere le palpebre, ma non ci riuscì, troppo difficile;
poi pian piano ricominciò a percepire qualcosa,
sprazzi di ondate di panico puro, e diverse urla. Sayu non vedeva
più niente.
L’
avevano fasciata, perlomeno, avevamo fasciato quello che secondo lei
era il suo volto.
Poi
capì tutto. Si tastò la testa, e capì
di non essere stata vista, perché una persona continuava a
dare di matto, dicendo che erano stati degli incoscienti, stupidi e
ciechi. Un'altra disse alla voce di zittirsi, di chiudere quella
maledetta boccaccia per un minuto.
L’
avevano presa in pieno, investendola, e si poteva considerare fortunata
se riusciva ancora a pensare con la sua testa.
Con
delicatezza trovò il punto in cui la fasciatura partiva, e
ne staccò un pezzo, molto lentamente; continuò,
fino a quando la staccò totalmente. Era una fasciatura da
poco, non una di quelle strette, ne era certa.
Quello
che non aveva calcolato era la luce: gli occhi le andarono a fuoco per
un secondo, e lei non riuscì a non emettere un gemito di
dolore, che si trasformò quasi in un urlo.
Voltò
di colpo la testa, con uno scatto fulmineo, e riuscì a
mettersi seduta.
La
voce che stava urlando prima si preoccupò ancora di
più, mentre anche l’ altra si avvicinò,
respirando affannosamente.
Percepiva
tutto, anche il fruscio degli indumenti dei due ragazzi, lo aveva
capito perché camminavano tutti e due con pesantezza; almeno
il fatto di percepire tutto era un buon segno, significava che non
aveva perso nessuna facoltà mentale.
Riprovò
ad aprire gli occhi, quando senti che un'altra persona si stava
avvicinando, molto probabilmente era un medico che uno dei due aveva
chiamato.
Quando
il medico la vide, gli venne quasi un infarto. Si avvicinò
con un'altra benda, sbuffando impercettibilmente; posizionò
la nuova fascia sul volto della ragazza, ma era troppo prevedibile.
Sayu,
con molta tranquillità, prese il braccio del medico e lo
girò, fino a volerlo staccare; ritentò, per
l’ ennesima volta di aprire gli occhi e stavolta ci
riuscì.
Girò
la testa di scatto, di nuovo, e quando vide il medico che starnazzava,
lo mollò.
Lui
gemette, quasi piangendo.
I
due ragazzi non potevano essere più diversi di
così, e quando tentò di scendere dal letto
dell’ ospedale il più calmo dei due si
avvicinò a lei per tentare di rimetterla sopra alla
struttura dell’ ospedale.
Ma
lei, lo fissò gelidamente, facendo slittare lo sguardo da
lui al corpo del medico.
“
Vuoi fare la stessa fine?” sussurrò con voce roca,
senza più fiato. Aveva parlato tedesco; aveva compreso dalle
urla del moro che i ragazzi erano occidentali.
Lui
parve capire comunque.
“
Chiamerò le infermiere, ti avviso”
Manco
avesse parlato!! Sayu gli saltò letteralmente addosso,
stringendo tra le dita affusolate il collo del ragazzo. Lo strinse in
una morsa di acciaio, ignorando le inutili richieste del ragazzo di
mollargli il collo.
Sorrise
tra se e se. Aveva sempre odiato quella tecnica di omicidio, ma a
quanto pare alla fine le era tornata utile, come la maggior parte delle
parvenze d’ addestramento di samurai che le avevano inflitto
quando era una semplicissima bambina.
“
Provaci”
Qualcuno
la costrinse a voltarsi, sentì solamente un ago puntato alla
spalla, e crollò a terra come una pesante farfalla di
cristallo a cui avevano tagliato il sottilissimo filo che la teneva
sospesa in aria.
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