È strano.
Takao non crede al colpo di fulmine e quello non è un colpo di
fulmine.
Ma ci somiglia. È
improvviso come una scarica elettrica e lo lascia allo stesso modo
frastornato, incapace di fare altro che fissare il sorriso storto di
Midorima che riatterra sul campo dopo un canestro perfetto.
È una
sensazione inspiegabile, come se, all'improvviso, tutto il resto
avesse smesso di esistere, di essere importante. Non ci sono i loro
compagni di squadra, sbalorditi da quella mossa che hanno impiegato
settimane a perfezionare. Non c'è l'allenatore che non ne
sapeva nulla, ancora, perché i momenti in cui l'hanno provata
sono stati segreti e nascosti, nel campetto accanto al parco in cui
passano ogni sera dopo gli allenamenti, timorosi di non riuscire a
farcela, eppure ben determinati a farcela.
Takao ha, in qualche
modo, avuto la propria vendetta sulla Generazione dei Miracoli. Ma
non gli importa più.
Perché tutto
quello che vede, adesso, è il modo in cui l'angolo della bocca
del suo partner è ancora increspato dal sorriso di chi ha
rischiato tutto, rivoluzionando il proprio modo di giocare, riponendo
una fiducia cieca in qualcun altro, qualcuno su cui non ha nessun
controllo.
Eppure, Takao si
sente all'improvviso come se fosse capace di piegarsi completamente
al gioco del suo partner e quella sensazione gli trasmette una calma
irreale, qualcosa di pericoloso, di potenzialmente doloroso, ma che
lo fa sorridere.
È come un
colpo di fulmine, mesi dopo aver conosciuto qualcuno.
L'allenatore chiede
loro di rifarlo, ancora e ancora e Takao si sorprende di quanto sia
facile, come se il suo passaggio e il tiro di Midorima fossero uno il
prolungamento dell'altro. Si sente fiero per entrambi, come se anche
lui fosse capace di fare quel tiro incredibile, come se facesse tiri
da tre ad occhi chiusi.
Non è così,
ovviamente, ma quando ancora Midorima si volta a guardarlo, prima di
infilarsi nello spogliatoio, Takao è costretto a rallentare, i
colpi nella schiena dei suoi compagni di squadra che non pesano
nulla, in confronto al batticuore che sente.
Aspetta l'ultimo
momento prima di andare a cambiarsi.
Anche se Midorima lo
aspetta per ragioni che potrebbero non c'entrare per nulla con
l'amicizia, è con un sospiro di sollievo che accoglie la
visione in lontananza della sua schiena appoggiata ad un palo,
accanto al deposito delle biciclette. Resta troppo a fissarlo, la sua
altezza fasciata del nero della divisa scolastica che sembra
allungarlo ulteriormente, i capelli impeccabili che, alla luce del
lampione, sono di un verde così scuro da sembrare nero.
Ha in mano l'oggetto
fortunato del giorno, un pettine antico di colore lilla e Takao sa di
non doversi più fare domande su dove li trovi, eppure lo
stesso è curioso, perché qualsiasi dettaglio, in quel
ragazzo, lo affascina da ben prima del colpo di fulmine.
Rallenta di nuovo,
incapace di correre verso di lui e dire qualcosa che potrebbe
potenzialmente irritarlo. Lo osserva, invece, nessuna traccia di quel
sorriso sulle labbra, ma un viso comunque bello, affilato, reso
ancora più serio dalla montatura degli occhiali e il cipiglio
severo tra le sue sopracciglia.
Non ha mai pensato
che il suo partner non fosse bello, dalla punta dei suoi capelli
improbabili alla curva delle sue ciglia folte, dalle dita sottili
alle gambe lunghissime, perché solo un cieco non se ne
accorgerebbe, eppure con lui si è sempre e solo sentito a
proprio agio, pronto a prenderlo in giro, a stemperare la sua
attitudine troppo seria, a farli funzionare come partner nonostante
le differenze abissali che esistono tra di loro.
È molto
diverso dall'improvvisa realizzazione che Midorima si fida ciecamente
di lui, che è, in qualche modo, importante.
È come se
quella sensazione avesse dato un senso ai lunghi minuti trascorsi in
pullman a fissare le sue ciglia lunghe e l'ombra che creano sulle
guance pallide, come se, all'improvviso, qualcuno gli avesse preso la
mano ed avesse messo insieme gli indizi, mettendolo davanti
all'inevitabilità dei fatti.
Midorima Shintarou è
sempre stato bellissimo. E Takao l'ha sempre saputo. Ma non ha mai
considerato cosa significasse davvero.
“Shin-chan!”
lo chiama, facendolo sobbalzare. Il pettine gli scivola dalle mani ed
è con un buffo movimento che riesce a recuperarlo prima che
cada.
Takao ride,
divertito, la scena che, inspiegabilmente, gli crea nel petto una
sensazione quasi sgradevole, come se qualcuno si stesse divertendo a
stringergli il cuore. Trova Midorima adorabile in un milione di modi
ed è per questo che nemmeno prova a giocarsi a
carta-forbice-sasso la possibilità di non guidare il carretto.
Pedalare può
solo che fargli bene.
“Takao.”
Cerca di ignorarlo e
dandogli le spalle è più facile che guardandolo. Può
farcela. Gli basterà andare a casa e dormirci su. Non è
il tipo da attaccarsi troppo ai colpi di fulmine in ritardo.
Il fatto che
continui a pensare al sorriso del suo partner è irrilevante.
“Takao.”
sillaba meglio Midorima, la o finale lunga come quando è
arrabbiato per qualcosa.
Non ha il coraggio
di voltarsi e non ha la prontezza mentale di aspettarsi che l'altro
ragazzo faccia il giro per andargli davanti. Non si guardano
direttamente, un'ombra scura sulle guance dell'ace che gli suggerisce
un rossore che non sente di poter affrontare.
“Andiamo a
casa!” esclama, fingendosi così entusiasta da farlo
sobbalzare, l'ultima sillaba che suona come il gracchiare di un corvo
ferito, di fatto attirando esattamente l'attenzione che non voleva.
“Takao.”
Ricorda
perfettamente la prima impressione che ha avuto di Midorima,
l'impressione che gli altri avevano di lui e che Takao ha
inconsciamente assorbito, fino al loro primo incontro.
Midorima è
uno tsundere, un ragazzo che non dice mai le cose
direttamente, che nasconde i propri sentimenti dietro un movimento
simile ad un tic per sistemarsi gli occhiali e un altrettanto
irritante tic vocale. Midorima è il tipico secchione per cui
conta solo studiare e che gioca a basket solo perché è
semplice. Midorima ovviamente suona il piano, senza nessun cuore.
Ma Midorima non è
nulla di tutto questo e a Takao spaventa quasi il modo in cui ai
propri occhi è leggibile.
Non vorrebbe vedere
l'insicurezza nei suoi tratti tesi, il modo in cui la mano sinistra
si stringe intorno al pettine e la destra passa le dita sopra quelle
fasciate, avanti e indietro come una sorta di carezza rassicurante.
Eppure non riesce a
dimenticare la naturalezza con cui è riuscito a passargli la
palla, il piegarsi di Midorima, con il passare dei mesi, ad un gioco
a cui non era abituato e la fiducia che ora ripone negli altri.
“Grazie.”
lo sente borbottare, lo sguardo ancora fisso su un lato del cancello
d'accesso alla palestra e Takao non sa cosa fare. Vorrebbe
abbracciarlo e dirgli che è un cretino troppo alto, vorrebbe
promettergli che vinceranno, che quella fiducia è ben riposta,
ma riesce solo a fissare lo sguardo su una ruota del carretto.
“Andiamo a
casa.” dice soltanto, pentendosene immediatamente. Perché
conosce Midorima e sa che quel semplice ringraziamento dev'essergli
costato tantissimo. Perché Midorima è gentile e ha
questa buffa tendenza ad aiutare gli altri anche se fa finta di non
volerlo e per questo gli appare fragile, perso, quando riesce a
guardarlo.
Non riesce a fare
nulla mentre ancora aggrotta le sopracciglia e si sistema gli
occhiali, ma quando gli dà le spalle, è come se
qualcosa in Takao si sbloccasse, perché riempe la distanza tra
loro con due passi soltanto.
“Ti ho visto
sorridere. Quando ti ho passato la palla, quando hai fatto punto, hai
sorriso! E... E non riesco a non pensare che è merito mio e
faccio pensieri stupidi e inappropriati, ma giuro che mi basta
dormirci su e domani starò sicuramente meglio!” lancia,
finalmente, allungando una mano per trattenerlo per la giacca della
divisa.
“...merito
tuo.” lo sente borbottare e il suo tono lo fa ridere, ridere
davvero.
“Sì, mi
hai ringraziato. Scusa, Shin-chan, sono un po' confuso, stasera.”
ammette, in imbarazzo. “Io... Io vado, ok? Ci vediamo domani
mattina!” aggiunge, affrettandosi a dargli le spalle,
obbligandosi a lasciare andare la sua divisa e quei sentimenti non
del tutto nuovi, ma con finalmente un nome che già odia.
Dormire gli farà
bene. Dormire gli rimetterà a posto il cervello.
“Tu mi rendi
felice.”
Gli sembra di
perdere la funzione delle gambe, di dimenticare come si cammini, come
si respiri, poi, perché la voce di Midorima è
inequivocabilmente quella che pronuncia quelle parole, seppur a
fatica, quasi strozzandosi con la fine di esse.
Non dovrebbe girarsi
tanto velocemente, eppure lo fa, non fermandosi nemmeno all'estremo
rossore sulle guance dell'amico, annaspando per il contatto che lui
stesso cerca con le mani sui suoi polsi. Gli toglie le mani dal
volto, gli impedisce di nascondersi e Midorima è veramente
adorabile.
Midorima ha
quell'aria adorabile che fa venire voglia a Takao di proteggerlo ad
ogni costo e contemporaneamente spezzarlo, quel moto di rabbia
inspiegabile che si ha davanti ad un gattino sotto alla pioggia.
“Non ho detto
niente di che, non farti strane idee!” sbotta e Takao, anche se
non riuscisse a leggerlo come un libro illustrato e aperto davanti al
proprio naso, saprebbe che invece è importante. E difficile. E
Midorima è scosso e stringe troppo quel suo maledetto pettine
e giura di lanciarlo nell'iperspazio, ma non riesce a fare a meno di
guardarlo e basta, perché oltre gli occhiali i suoi occhi sono
lucidi e le sue ciglia lunghe in modo imbarazzante continuano a
sbattere come se tentasse di scacciare le lacrime, come una farfalla
morente.
“Ora te le fai
te le idee strane, Shintarou!” ribatte, sentendo il calore
delle guance farsi spazio sulle orecchie e sul collo. Shin-chan è
molto diverso da Shintarou, ma non avrebbe mai potuto pronunciare il
suo cognome senza scavare troppa distanza tra di loro. “Smettila
di essere carino! Potevo andare a casa e dormire e smettere di
pensare al tuo stupido sorriso e le tue stupide ciglia e le tue
stupide mani lunghe, invece devi essere carino e sorridere e dirmi
che ti rendo felice e obbligarmi a dirti che mi piaci! Sei l'ace più
irresponsabile che abbia mai conosciuto!” erompe Takao,
sentendosi andare letteralmente a fuoco. A questo ritmo li
ritroveranno al mattino come mucchietti di cenere, perché
finiranno inevitabilmente per prendere spontaneamente fuoco per
l'imbarazzo.
Takao è
istintivo, non gli piace girare intorno alle questioni, eppure sa di
aver sprecato un'occasione.
Se avesse pensato
meglio al fatto che Midorima gli piace, forse gliel'avrebbe detto in
modo diverso. Non davanti ad una cena a lume di candela, ma nemmeno
accusandolo di esserne responsabile.
Che poi Midorima sia
assolutamente responsabile di essere il ragazzo che gli piace è
fuori discussione, ma, appena Takao realizza, sente di dovergli
lasciare i polsi, lasciandogli modo, anche, di coprirsi il viso.
“Ti sei fatto
idee strane?” chiede stupidamente conferma, come se potesse
tornare indietro e affermare che tutto è solo uno scherzo ben
architettato.
“Ti accompagno
a casa.”
La voce di Midorima
è calma, ma in un modo che sembra forzato, falso. Si sforza di
guardarlo, anche se ha ancora una mano sulla faccia e la sua
espressione è nascosta. Ma la punta delle sue orecchie è
scura e, quando Takao finalmente abbassa lo sguardo, la sua mano è
lungo il fianco, con le dita tese verso di lui.
La afferra, perché
esitare significherebbe parlare ancora troppo e ora dubita che una
notte di sonno riesca a mandare via la sensazione che quell'epifania
sul campo da basket gli ha lasciato.
Che Midorima gli
piaccia davvero, anche se ancora non ne conosceva il modo, non è
solo questione di un momento di follia, della ragione ottenebrata da
un mezzo sorriso.
E contro questo
sente di non poter fare niente, a parte dondolare le mani legate tra
loro ed incamminarsi verso casa.
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