La
gente correva impazzita per cercare riparo il prima possibile dalla
sparatoria. Root camminava nel parco fianco a fianco con il loro
nuovo numero che tremava come una foglia, stringendo le sue cartelle
piene di documenti fra le braccia, trascinandolo; urlava ogni qual
volta lei ricambiava gli spari di chi cercava di inseguirli. Shaw era
dietro di loro e sparava a sua volta, esortandoli a camminare
più in
fretta. Si ripararono dietro un monumento e Shaw non perse tempo per
ricaricare la sua pistola e provare a sparare ancora.
«Certo
che devi averli fatti incazzare proprio tanto»,
sbottò
quest'ultima, stringendo i denti.
Lui
strizzò gli occhi e iniziò a pregare,
così Root scosse la testa,
sbilanciandosi e sparando anche lei. «Ehi, amore»,
la chiamò, «Che
ne dici se dopo tutto questo ce ne andassimo in un posto esotico per
una vacanza?».
Shaw
parve pensarci, fissandola. «Non credo sia il momento
migliore per
parlarne, ma… sì. Andiamo a farci una vacanza,
Root».
Spararono
dietro la scultura, ferendo qualcuno.
«Sono
emozionata», rispose, «Credo sia la prima volta che
accetti una mia
richiesta subito».
Shaw
sorrise, scuotendo la testa: «Non ti ci abituare».
Si diede lo
slancio per sparare ancora ma sentì che qualcosa era
cambiato nei
loro inseguitori: restò in attesa e, appena udì
il rumore di una
pistola che veniva caricata, si voltò, scoprendo che
quell'uomo era
a poco da loro e puntava una pistola contro di lei.
«Root!», la
chiamò con un grido.
Lei
si voltò solo in un secondo momento, troppo tardi, per
fortuna Shaw
aveva già sparato e l'uomo era caduto a terra esanime.
Si
erano guardate e Shaw aveva letto nel viso dell'altra la paura di
aver rischiato seriamente di morire, con gli occhi spaventati e il
fiato corto, prima di riprendere il suo sorriso e tentare di fare
finta di niente, continuando a sparare a quelli che restavano.
Non
aveva sentito che c'era un uomo a poco da lei, pensava Shaw. Non
aveva sentito l'uomo e non aveva sentito la pistola. Ancora un attimo
e le sarebbe stato fatale. Era arrivato il momento di far sistemare
l'orecchia sorda.
«Credo
sia la prima volta che accetti una mia richiesta subito».
«Non
ti ci abituare». Sarah scosse la testa, agitando una mano ed
estraendo un sorriso: «No, no, okay, okay, deve essere
così: non
ti ci abituare»,
cambiò la tonalità della voce, risultando
più cupa. Vide Amy
annuire e poi ricontrollare il copione. «Facciamo una pausa,
dai,
tanto non è che dopo si dicono molto, devono sparare e
correre»,
gettò il copione sul tavolino, sedendo sul divanetto con
pesantezza.
Stavano
provando quelle battute da un'ora, in modo che fossero pronte a
girarle al meglio; l'aveva suggerito Sarah e Amy le aveva detto che
era una bella idea, lo avevano fatto altre volte per Person
of Interest.
Il suo non era solo desiderio di portarsi avanti con il lavoro,
tuttavia, quella vicinanza aveva uno scopo ben preciso: consisteva
nel verificare la reale pericolosità della sua cotta. Era
solo una
cotta passeggera, era in grado di farla sentire come una liceale in
preda agli ormoni, oppure era qualcosa di serio capace di minacciare
il suo matrimonio? Doveva scoprirlo. E soprattutto doveva scoprire se
anche Amy era ancora preda di quel sentimento o se avesse archiviato
tutto quando disse a suo marito di amarlo. Doveva sapere la
verità.
Sarah
la seguì con lo sguardo mentre sistemava il copione accanto
al suo e
si sedeva anche lei, appoggiando la testa sul divanetto. Doveva
farlo: così deglutì e si girò verso di
lei. Amy la guardò e
sorrise, facendo fare al suo cuore le capriole.
«Arriviamo
al dunque», esordì: in ogni caso sapevano entrambe
che sarebbero
finite a parlare di quello. «Ci siamo baciate. Di
nuovo».
«Ci
siamo baciate spesso», scosse la testa lentamente.
Sarah
non capiva se stesse cercando di fare finta di niente o se in
realtà
quel bacio era stato solo per lei un bacio vero e non scenico.
Cominciava a pensare di essersi immaginata tutto. «Non
così»,
accennò un sorriso, grattandosi la nuca e tirando i capelli
da un
lato. «Ci siamo baciate… per davvero»,
abbassò per un attimo gli
occhi, «Dico…», chiuse le labbra,
incespicando con le parole che
ancora non era riuscita a dire. Guardò Amy che si morsicava
un
labbro, con gli occhi bassi, finché in un attimo la vide
muoversi e
le circondò il viso con le mani e, prima che potesse anche
solo
pensare a cosa fare, lei era sulle sue labbra e sentì un
caldo
improvviso.
Chiusero
gli occhi entrambe e si lasciarono trasportare, piano, socchiudendo
la bocca e poi riaprendola per accogliersi meglio, toccandosi,
respirandosi. Sarah decise di fermarsi e si guardarono, ancora
vicine, con i cuori che battevano all'unisono. Nessuna delle due era
in grado di capire cosa si rifletteva negli occhi dell'altra, se
fosse paura, se fosse voglia, se fosse coraggio o desiderio.
«Cosa
stiamo facendo?», domandò a bassa voce.
Amy
serrò le labbra e deglutì. «Meglio che
vada».
«Sì»,
annuì ma, vedendola alzarsi, scosse la testa, sciogliendosi
dall'incantesimo. «No! Devo andarmene io… Q-Questa
è la tua
roulotte». Si guardarono una volta sola, fugace, prima che
Sarah
chiudesse la porticina dietro di lei e scendesse i tre scalini.
Restarono
ferme lì, a riprendere fiato, a pochi passi di distanza
l'una
dall'altra. Amy si portò una mano sulla bocca e Sarah
sospirò,
guardandosi indietro, verso la porta chiusa. Poi intorno a lei. Non
c'era nessuno. Di nuovo la porta.
Bussò
e Amy aprì subito, tirandola dentro verso di lei,
tirandola per la
camicia. Chiusero la porta della roulotte con due calci o tre e Sarah
si gettò su di lei, buttandola contro la parete, continuando
a
baciarla. Le loro bocche si aprivano per riprendere fiato e si
chiudevano ancora, tirandosi le labbra a vicenda, sorridendo,
assaggiandosi.
Poi
sia Amy che Sarah scossero la testa e smisero di immaginare, aprendo
la bocca per prendere una boccata d'aria. Sarah era ancora fuori e
lei era sempre dentro; a separarle la porta. Il telefono di Amy
vibrò
sul tavolino e si sventolò sul viso prima di rispondere:
«Ciao,
tesoro». Sarah la sentì e sorrise con amarezza,
prendendo passo per
raggiungere la sua roulotte. «State facendo i bravi con la
tata? Oh,
è venuta la nonna? Vi siete divertiti?».
Adesso
che lo aveva capito e finalmente accettato era molto più
difficile
fare finta di niente. Le telefonate con Steve erano molto
più brevi
e disinteressate da parte sua e temeva se ne accorgesse. L'ultima
volta lo aveva sentito sbuffare così forte che le era parso
di
averlo al suo fianco. Sarah sapeva di essere distratta e continuava a
pensare al bacio, all'ennesimo, e a lei. Non riusciva a farne a meno
per quanto si sforzasse. Erano passati già due giorni e non
ne
avevano più parlato; era qualcosa di rimasto in sospeso,
incompleto,
e lo dimostravano ogni volta che dovevano registrare una scena
vicine, troppo vicine, che finivano per imbarazzarsi e ridere,
sbagliare. Due giorni di riprese persi poiché ogni scena
doveva
essere girata di nuovo. In quel modo non stavano solo mettendo in
situazioni complicate il loro rapporto con i rispettivi mariti, ma
anche la loro carriera. Era chiaro che dovevano risolvere in qualche
modo, se solo fossero riuscite a guardarsi di nuovo negli occhi senza
sentire una terribile attrazione che non potevano permettersi.
Intanto,
il fandom su Twitter entrava in visibilio ogni volta che una nuova
foto circolava di profilo in profilo. Entrambe le attrici venivano
taggate spesso e spesso quindi si ritrovavano perse fra le notifiche,
ma nessuna delle due poteva fare a meno di spulciare il profilo
dell'altra, riuscendo a cogliere qualcosa.
Sarah
vide che Amy aveva messo dei mi piace ad alcune fan art e fan video,
ad alcune foto, e poi aveva risposto a una in particolare: Sarah se
la ricordava, l'aveva scattata lei per Instagram il giorno che la
sentì dire a suo marito di amarlo, al telefono. Le avevano
chiesto
dov'erano, perché lo sfondo era di una casa, e Amy aveva
risposto
che stavano girando in un piccolo paese, senza dire quale, e aveva
lasciato il tag anche per lei, nel caso avesse voluto aggiungere
qualcosa, magari. Sfogliò la lista in basso con le varie
risposte e
non poté fare a meno di leggerne qualcuna, cadendo l'occhio
su
quelle che, scherzosamente, avevano definito la casa sullo sfondo
come la loro casa, una loro casa insieme, anche se erano entrambe
vestite da Shaw e Root. Era da tempo che i fan avevano
arbitrariamente deciso che le due dovevano essere una coppia, solo
perché fra loro c'era sempre stata molta chimica che aveva
permesso
una buona crescita di coppia nello show, ma solo in quel momento, ora
che le cose si erano fatte tanto diverse, cominciava a pensarla in un
altro modo: e se i fan avessero visto prima di loro due quel qualcosa
che loro solo ora stavano scoprendo? Questa prospettiva le faceva
paura più di ogni altra poiché, se loro avessero
sempre avuto
ragione, significava che era visibile e che era vero.
Non
rispose, spegnendo il monitor del cellulare.
Root
era sdraiata sul lettone intenta a guardare la televisione, in
compagnia di Bear che ogni tanto sbadigliava. Era notte e avevano
preso una camera in un vecchio motel fuori dal centro urbano. Avevano
mangiato qualcosa di veloce nel locale adiacente e avevano
controllato che nessuno di sospetto le avesse seguite, ma Shaw non si
era sentita affatto sicura ed era uscita di nuovo a controllare.
Rientrò
e chiuse la porta, dando un'occhiata dalla finestra.
«Ti
sei annoiata?».
«Non
è divertente», sbottò, richiudendo la
tenda. «Il prossimo
Marshall Mason potrebbe essere chiunque». Si
avvicinò al letto e
carezzò Bear, che ricambiò leccandole il viso. Si
allungò verso
Root, sollevandole i capelli e controllando con attenzione l'orecchia
tagliata, seguendo con l'indice la cicatrice. Root la guardava a sua
volta, incantata. «Potrebbe funzionare»,
sussurrò a bassa voce,
«So chi può aiutarci a risolvere il
problema».
Root
scosse lentamente la testa, ansimando. «Sameen…
non credo che
anche con un apparecchio nuovo possa di nuovo sentire la Macchina
come prima. Altrimenti Lei me lo avrebbe già
detto».
Shaw
si accigliò. «Non intendevo il tuo problema con la
Macchina, ma col
fatto che non ci senti più come devi quando ti puntano una
pistola
alle spalle: mi sembra decisamente più
importante». Oh, per un
attimo si pentì di aver usato quella parola, sapeva quanto
per Root
era sempre stato importante il suo collegamento con la Macchina.
Però
pensava davvero quello che aveva detto e non le avrebbe certamente
chiesto scusa; anche lei doveva capirlo.
Root
formò una smorfia con le labbra, guardando da un'altra
parte.
«A
meno che tu non stia pensando di disegnarti un bersaglio in
fronte».
«Di
cosa stai parlando?».
Shaw
si tirò indietro e prese qualcosa dal suo zainetto
personale, su una
sedia, gettandolo sul letto vicino a Root. Lei vide appena la sua
foto e il foglietto allegato, rivolgendo poi lo sguardo all'altra,
che la fissava aggrottando le sopracciglia. Shaw capì con
quel solo
sguardo che Root già sapeva della sua taglia. Non che avesse
dubbi.
«Perché non me ne hai parlato? Ho trovato la tua
taglia nella
camera d'albergo di Gregory Hopkins, il padre di Jack Backary. Era un
Marshall Mason. La Macchina ci ha inviato a lui per questo…
voleva
che lo sapessi».
«Non
ti ho detto niente perché non cambia niente… Lars
ha solo sparso
la voce».
«Root…»,
si abbassò, sedendo sul letto, «Lars ha messo una
taglia sulla tua
testa». Ansimò, accarezzando Bear, prima di
parlare di nuovo. «Cosa
stiamo facendo?», le domandò poco prima di
guardarla negli occhi,
«Stiamo insieme o qualcosa del genere…».
«Qualcosa
del genere».
«E
allora pretendo la verità. Non sopporto che mi nascondi le
cose»,
indicò la taglia con il movimento degli occhi,
«Avresti dovuto
parlarmene. C'è qualcosa su Lars che mi sfugge?».
Anche
Root carezzò Bear, che gettò la testa sulle sue
cosce, per farsi
coccolare meglio. Sorrise. «Quando ho trasferito dei contanti
dal
suo conto al mio, ho fatto in modo che la polizia trovasse alcuni
certificati che attestassero come abbia assoldato un killer per
uccidere Portes, il ragazzo che frequentava sua figlia: ha scontato
quindici anni di carcere».
«Non
ha avuto il tempo per assimilare il lutto».
«Presumo
non abbia pensato che a me durante quegli anni… Non che
avesse
altro da fare. So che fin da allora ha assoldato qualcuno per
trovarmi: ricordi il Marshall Mason del parco?».
«Quello
pelato…».
Root
estrasse un breve sorriso. «Ha detto di avermi cercato per
anni».
«Tu
però hai sempre cambiato identità».
Annuì,
abbassando gli occhi, guardando Bear. «Ho fatto un errore: ho
ripreso l'identità di Marguerite Yves mesi fa, quando ho
fatto un
colloquio di lavoro».
«E
lui ti ha trovata», aggiunse Shaw.
«Mi
aveva già trovata; i Marshall Mason sono a conoscenza di
tante altre
delle identità che ho preso, prima o poi sarebbero venuti
per me…
Diciamo che ho velocizzato il loro lavoro».
Shaw
prese per mano il foglietto allegato alla fotografia, leggendolo di
sfuggita. «Dobbiamo tenere gli occhi e le
orecchie», accennò
all'orecchio sordo di Root, «ben aperte».
Root
acconsentì, sorridendo, sdraiandosi meglio sul letto.
«Hai detto
che sai chi potrebbe aiutarci a risolvere». La
fissò con sguardo
complice.
Shaw
annuì, abbassandosi a sua volta, su di lei. Passò
le mani lungo le
braccia di Root, sollevandogliele e stringendole i polsi,
fermandoglieli contro la spalliera del letto. «Domattina ti
porto un
vecchio amico», bisbigliò con le labbra sulle sue.
Root
ammiccò; «Non vedo l'ora di conoscerlo. Bear,
scendi», si girò
poi verso il cane che, al comando, aveva inclinato la testa, alzando
le orecchie. «Naar beneden [giù]»,
gli gridò e lui obbedì subito.
Shaw
non riuscì a trattenere una risata; si avvicinò
al punto da
sfiorarle un labbro, alitando, e dopo, di colpo, raddrizzò
la
schiena. Tentò di andarsene ma Root la buttò
contro il materasso e
le salì addosso, poggiandole un indice sulle labbra, intanto
che
rideva.
«Questa
volta no». La baciò.
Come
aveva promesso, Shaw si sarebbe occupata del suo orecchio portandole
qualcuno. Era uscita dal motel la mattina presto, controllando che la
zona fosse sicura, e l'aveva lasciata sul letto, chiedendole di
aspettarla, che non ci avrebbe messo molto poiché sapeva
dove
andare. Prese in prestito una moto che doveva appartenere a uno dei
centauri che faceva colazione al pub davanti e partì verso
il centro
abitato. Si diresse direttamente verso una struttura di laboratori di
ricerca, come le aveva suggerito la mappa sul cellulare.
Entrò
dietro una donna con il pass e, quando la guardia la fermò
per
controllare che avesse i permessi, lei lo stordì dopo un
finto
sorriso, buttandolo a terra e trascinandolo in un corridoio,
chiudendo la porta. Chiese a un uomo delle indicazioni e prima che
lui potesse domandarle chi fosse se ne andò per prendere
l'ascensore. Quarto piano. Si guardò intorno e si nascose
dietro un
muro quando vide passare due uomini col camice. Riprese a camminare
dietro di loro, al verso opposto, talmente piano che non sembrava
toccare il pavimento, e aprì una porta con un pass rubato
alla
guardia. Scorse un reparto separato dai vetri e lo riconobbe subito,
mentre trafficava con delle provette. Quando lui alzò la
testa e la
vide, spalancò gli occhi e per poco non cadde dallo sgabello
girevole. La porta non si apriva. Shaw riprovò una e
un'altra volta
ancora ma doveva essere chiusa dall'interno o doveva servire una
chiave che non aveva, così afferrò con forza un
apparecchio sul
mobile accanto e lo pestò contro la maniglia, rompendola e
aprendo
facilmente la porta.
«Shaw…
sei tu! Ti trovo bene», biascicò l'uomo mentre la
vedeva tirare
fuori una pistola dalla cintura e puntargliela contro.
Lasciò lo
sgabello con un balzo e tentò di tornare indietro,
fermandosi contro
un mobile, attento che non si incastrasse il suo camice.
«Sai, ho
cambiato vita da quando Samaritan è stato smantellato, non
ho
nemmeno più contatti con nessuno di quelli che lavoravano
laggiù
con me… Sono un uomo pulito, adesso», si
appiattì contro il
mobile dalla paura intanto che lei si avvicinava, continuando a
guardarsi intorno nella ricerca di qualcosa che potesse aiutarlo
contro di lei. Infine agguantò una matita e gliela
lanciò addosso,
ma di certo non la fermò. Shaw si accostò e gli
puntò la pistola
al petto, così cominciò a singhiozzare.
«Oh, ti prego, ho
famiglia! Ho un bambino nato da poco… sono l'unico padre che
ha, ti
prego, ti
prego».
«Smettila
di frignare, non sono venuta fin qui solo per ucciderti».
Lui
tirò un sospiro di sollievo. «Per cosa,
allora?».
«Devi
installare un apparecchio acustico per me. Ti farò da
assistente».
Lui
deglutì. Non aveva molta scelta considerando che aveva una
pistola
puntata addosso e conosceva bene quanto quella donna fosse poco
incline alla pazienza e molto alle maniere forti, in questo modo la
seguì senza tante storie. Prese la sua valigetta e uscirono.
Lei
nascose la pistola sotto la felpa e lui sapeva che, a un passo falso,
si sarebbe ritrovato con un proiettile in corpo; scappare sarebbe
stato inutile e avrebbe solo rallentato l'agonia.
Una
signorina al piano terra lo salutò e lui le fece la mano.
«Va già
a casa?». Considerando che la giornata di lavoro era appena
iniziata, appariva piuttosto strano.
«Sì…»,
per poco non stridé la voce, quando sentì la
canna della pistola su
un fianco. «È venuta a prendermi mia
cugina», disse e Shaw
sorrise, facendo un cenno di saluto con la testa;
«È il compleanno
della nonna, sa, mi ero scordato», si portò una
mano alla tempia,
sorridendo.
Lasciarono
la ragazza e lo invitò a sedere sulla moto, dunque
partirono. Non ci
mise molto a tornare davanti al vecchio motel. Shaw lasciò
la moto
appena in tempo, i centauri stavano tornando ed era già
pronta per
accusare il ricercatore di averla rubata, ma non ce ne sarebbe stato
bisogno. Shaw aprì la porta del motel e Bear li aspettava
all'entrata. Lui fu spinto dentro e si tirò indietro dalla
paura,
incontrando il cane che lo ringhiava e abbaiava, mostrandogli i
canini affilati.
«Bear,
kom hier [vieni
qui]».
Il
cane tirò indietro le orecchie e tornò sui suoi
passi fino a
raggiungere Root, dall'altra parte della stanza.
L'uomo
spalancò gli occhi e la bocca dalla sorpresa, restando
immobile.
«Non è possibile», barbugliò,
«Tu sei morta».
Root
mostrò un sorriso dei suoi, inclinando la testa:
«Sono in molti a
pensarlo».
Sarah
finì di leggere il copione dell'episodio. Le piacevano
particolarmente le scene da solista di Shaw, come rapisce uno dei
dottori che l'avevano torturata quando era nelle mani di Samaritan
per costringerlo ad aiutare Root e, nel complesso, il suo rapporto
con lei. A dire il vero era un po' in imbarazzo al pensiero di dover
girare delle scene tanto vicina a Amy e sapeva di dover trovare un
modo per risolvere la situazione, eppure non vedeva l'ora.
Qualcuno
bussò alla sua roulotte e gridò di stare
arrivando, perciò uscì,
pronta per affrontare un nuovo ciclo di riprese. I fotografi erano
annidati ovunque intorno al motel e al pub che avevano trasformato a
piacimento per lo show; di certo le transenne non li fermavano,
né
lo facevano soprattutto con i fortunati fan che si ritrovarono a
guidare di lì per caso trovando la strada per
metà bloccata a causa
delle riprese. Inquadrò Amy che, ancora non vestita da Root,
firmava
autografi e faceva foto con l'autoscatto con alcuni fan. Alcuni le
indicarono Sarah facendole un gesto di avvicinarsi e Amy sorrise
anche a lei, passandole una penna.
«Posso
farvi una foto insieme?», chiese una ragazza dopo qualche
autografo
e le due accettarono, avvicinandosi e simulando con le mani delle
pistole. Si sorrisero e la ragazza, come tanti altri, scattarono una
o più foto.
Sia
Amy che Sarah sapevano che quello scatto avrebbe fatto il giro del
web e probabilmente sarebbe diventato fonte di storie più o
meno
strampalate su una loro possibile relazione segreta; era divertente.
La verità la sapevano solo loro.
Quando
entrarono nella saletta per il trucco non c'era ancora nessuno e
presero posto. Amy iniziò a frugare il suo cellulare e Sarah
lo
stesso, scattandole una foto senza che l'avvertisse.
«Ehi»,
brontolò, fingendo di arrabbiarsi, «Cosa
fai?». Le scattò
un'altra foto e Amy mise su il broncio, intanto che l'altra rideva,
scattandone un'altra. «Stai giocando? Ti diverti
così?». Appoggiò
il suo cellulare sul banco e allungò le mani per tapparle la
fotocamera, che scattava ancora. Alla fine le abbassò il
telefono e
scoprì di aver appoggiato la sua mano destra sulla sinistra
di
Sarah.
Le
guardarono e si guardarono. Non poterono farne a meno: si
avvicinarono e si scambiarono un bacio, riflesse nello specchio della
saletta, proprio quando si stava aprendo la porta. Udirono la
serratura e la voce della truccatrice che, fortunatamente, era
impegnata a parlare con qualcuno e non aveva visto niente. Le due si
guardarono di nuovo, come imbarazzate, e si allontanarono, prima che
le vedesse.
Non
era affatto facile. Stava succedendo sempre più spesso, come
fosse
qualcosa che non potevano fermare, né probabilmente
volevano, anche
se nessuna delle due era pronta a dirlo a voce alta. Avevano un
matrimonio felice, una famiglia unita, una carriera che amavano che
però dovevano tenere lontano dalle prime due cose. Ed era un
po'
assurdo pensarlo, quando entrambe avevano conosciuto i rispettivi
mariti sui set. Il problema è che non poteva capitare ancora
perché
avevano già conosciuto l'amore della loro vita e una cotta,
seppure
si stava trasformando in qualcosa di molto forte, non avrebbe mai
modificato questo.
Dopo
aver girato e ripetuto delle scene per tutta la sera, la notte
chiusero il set. Amy e Sarah salutarono con tante coccole il cagnone
che interpretava Bear, portato via da un addestratore, e si
scambiarono la buonanotte mantenendo uno sguardo complice, prima di
raggiungere entrambe le proprie roulotte. Era andata bene, in fondo.
Shaw aveva stretto Root ai polsi contro la spalliera del letto e poi
lei l'aveva buttata contro il materasso quando si era spostata. Si
erano baciate ma non era stato affatto come la volta della festa. Ci
erano riuscite, dopotutto: si erano toccate senza fare scenate, anche
se avevano dovuto rigirare il momento in cui Amy la tirava contro il
materasso un po' di volte. Sarah aveva perfino pensato che sbagliasse
apposta per la sensazione di trascinarla sotto di lei. Che andava a
pensare.
Sarah
si sedette sul divanetto e Amy lo stesso, ognuna nella propria
roulotte. Entrambe sfogliarono i messaggi sul cellulare, le chiamate
perse dei loro mariti che dovevano richiamare, le innumerevoli
notifiche dei social. Ritrovarono la foto che le avevano scattato
quella sera già online, su Twitter. Sia Amy che Sarah
guardarono
attentamente la foto, le loro pose, i loro corpi vicino, i loro visi
con le loro labbra che sorridevano e i loro occhi che si cercavano.
Chiusero. Stavano per comporre i numeri dei loro mariti ma si
fermarono all'ultimo, cancellando tutto. Era quella la
verità. Era
quella.
Sarah
lasciò il cellulare sul tavolino e si alzò,
pronta per aprire la
porta e andare da lei e parlarle, ma lo sentì vibrare.
Sapeva che
era Steve. Guardò la porta e poi il cellulare. Si
portò una mano
sui capelli, arruffandoseli, non sapendo cosa fare. Stava ancora
vibrando e alla fine pensò di prenderlo, sbuffando, se non
fosse che
qualcuno bussò alla porta. Lasciò il telefono e
aprì.
«Cosa
fai qui?», inevitabilmente sorrise e Amy divise la distanza
che le
separava, salendo gli scalini. Chiuse la porta e la guardò,
senza
dire niente o non sapendo davvero cosa dire, morsicandosi il labbro
inferiore.
Restarono
così, ferme e immobili a scrutarsi per non sapevano quanto,
che
fosse un solo minuto o tutta la notte o l'infinito era lo stesso. Il
telefono vibrava ancora e rimbombava muovendosi sul tavolino, eppure
nessuna delle due lo aveva degnato di un attimo di attenzione. Si
guardarono ancora e quindi successe: si avvicinarono all'improvviso e
si strinsero, portando le mani al viso dell'altra, seguendo il
contorno delle labbra con gli occhi e così baciarsi. Le loro
bocche
e le loro lingue si conoscevano già ma non lo fecero mai
così bene,
incontrandosi e scontrandosi, nel frattempo che le loro mani si
toccavano e stringevano con forza, come per assicurarsi che erano
lì,
che potevano farlo, che nessuno le avrebbe fermate per fare pausa o
rifare la scena. Non era una scena da show televisivo ma la
realtà.
Sarah
trascinò Amy contro una parete proprio come avevano
immaginato,
carezzandole le braccia, scendendo sul collo, sfiorandole le spalle e
poi verso i fianchi, accompagnandola a sé. Amy le
portò una mano
dietro, immergendola nella cascata dei suoi capelli, e con l'altro
braccio le circondò il collo, tenendosi a lei. Si spostarono
dalla
parete e presero fiato entrambe, solo un istante veloce, per poi
ricadere l'una sull'altra. Si sentivano. Si resero conto tutte e due
di quanto avevano desiderato avere il corpo dell'altra su di
sé così
tanto. I loro respiri erano veloci, bollenti.
Sarah
le baciò il collo e Amy trasalì, guardandola
negli occhi e
ricercando ancora le sue labbra, stringendole le natiche. La
sentì
ridere.
Si
trascinarono su un'altra parete e Sarah aiutò Amy a
togliersi la
maglia e a gettarla sul pavimento, passando le mani sul suo bacino,
toccando con impeto. La baciò dietro un orecchio e poi scese
di
nuovo sul collo, continuando sul seno e dopo sul ventre,
abbassandosi. Amy si appiattì alla parete, gemendo, sentendo
la
lingua calda dell'altra. Più tardi prese le mani di Sarah
con le
sue, tirandola su e verso di sé, spingendola verso la camera
a lato
e baciando ancora le sue labbra, e così una guancia,
alitandole su
un orecchio. Anche Sarah tolse la sua maglia e si lasciò
trasportare, passando dalla porta aperta e gettando Amy sul letto,
senza che se lo aspettasse, salendo su di lei. Risero.
«Ti
è piaciuto tirarmi sul letto questa sera, uh?»,
esclamò a poco dal
suo viso.
«Mi
hai scoperta», biascicò Amy, sorridendo.
Dall'imbarazzo improvviso,
rivolse lo sguardo dall'altra parte e Sarah restò a
fissarla,
esaminando il naso che le si arricciava, come si arroventavano le sue
guance. Amy le raccolse dei capelli e glieli portò dietro un
orecchio, approfittando del gesto per carezzarle il viso, riprendendo
possesso di sé.
Sarah
si avvicinò e la baciò ancora senza preavviso, e
Amy ricambiò.
Si
accarezzarono dolcemente. Non si chiesero più cosa stavano
facendo
perché lo sapevano ora più che mai. Si baciarono
ancora, e ancora,
tenendosi strette, vicine, ricercandosi a ogni tocco e a ogni
sospiro. Si sfilarono i pantaloni e si trascinarono meglio sul centro
del letto, continuando a toccarsi, premendo la pelle calda e morbida
e poi di nuovo accarezzarsi, sfiorarsi, conoscendo ogni parte del
loro corpo. Si slacciarono i reggiseni e si toccarono con ardore, con
le mani e con le labbra, facendo gemere l'altra. Sarah scese una mano
lungo la schiena di Amy e si fermò su una natica,
stringendola,
afferrando gli slip e tirandoli giù.
«Sai
la verità qual è…?», disse
Sarah, baciandola di nuovo. «Credo
di stare innamorandomi di te», sussurrò sulle sue
labbra.
Amy
la circondò con le braccia. Voleva rispondere ma non ci
riuscì e
preferì guardarla negli occhi, annuire lentamente, e
avvicinarsi per
portarle via un labbro con le sue, lasciarlo, e affondare la bocca
nella sua, ricercando la lingua.
Amy
lo sapeva, ma sapeva anche che, per quanto fosse vero, non l'avrebbe
mai amata abbastanza.
Ma
cos'è successo, che hanno combinato quelle due? Beh, secondo
me era
inevitabile! Secondo voi? :3 Ma Amy cos'avrà voluto dire
pensando
che non l'avrebbe mai amata abbastanza?
Dall'altra
parte, intanto, Shaw ha trovato un modo per sistemare l'orecchio
sordo di Root ed è diventata decisamente…
protettiva. Dopotutto
stanno insieme o qualcosa del genere ~♥
Capitolo
più corto del precedente. Cosa ne pensate? Li preferite
lunghi o
corti (in caso vedo come comportarmi con l'ultimo capitolo che
è
decisamente lunghetto)?
Come
mio solito, ci tengo a ringraziare chi mi ha lasciato una recensione
allo scorso capitolo e chi ha inserito la fan fiction nella lista
delle storie seguite ^_^ Spero che il capitolo vi sia piaciuto, se vi
va recensite, e noi ci rileggiamo con il capitolo
sei: Come può essere sbagliata una cosa tanto bella
;) A lunedì prossimo!
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