Un
braccio giaceva abbandonato sul materasso di un lettino
d’ospedale, illuminato
solo dalla luce della lampada.
Al
polso del braccio era legato un piccolo braccialetto color carne,
recante una
targhetta numerata e con un nome.
Francesca
Daniele.
Al
di là del letto, addormentata placida nella culla, una
bambina aveva lo stesso
bracciale.
Emanuela
Ferri.
Quella
stanza era la più silenziosa del reparto. Il sole era
probabilmente già sorto e
alto nel cielo, ma la biondina stesa sul letto non sembrava avere
l’intenzione
di volersi alzare. Anzi, persisteva a dormire, stanca come se avesse
corso la
maratona, distrutta come se avesse combattuto una battaglia. E in
effetti, una
battaglia con se stessa l’aveva combattuta, e vinta.
Ora
da bravo soldato si concedeva il meritato riposo.
Le
coperte erano avvolte attorno al corpo della ragazza e le serrande
erano
abbassate. Emanuela era nata tra le due e le tre della notte, e la sua
mamma
dormiva dalle quattro e mezza senza interruzioni. Sul comodino
c’era il suo
cellulare, una bottiglia d’acqua e un bicchiere, fazzoletti.
Poi
un pigiama pulito. Davide aveva fatto l’andirivieni per tutta
la notte fra casa
e ospedale, e possiamo immaginare che anche lui stesse dormendo
indisturbato.
L’orologio
segnava le dieci passate da un po’.
Due
colpi alla porta, e nessuno rispose da dentro, ovviamente.
Allora
la porta si aprì. Il contrasto fra la stanza e il corridoio
era lampante,
infatti da fuori entrò una luce violentissima che
investì la ragazzina in pieno
volto.
Davide,
non volendo svegliarla, la richiuse in fretta e si infilò
dentro. Poggiò una
busta che teneva in mano sulla sedia, poi si avvicinò lento
al letto.
Sotto
gli occhi due occhiaie testimoniavano quanto poco aveva dormito; ma
anche se a
casa ci aveva provato, non era comunque riuscito ad addormentarsi,
troppo
eccitato e preso dai pensieri. E non sopportava di dover essere
lì da solo
mentre le sue due ragazze stavano in ospedale. A quel pensiero
arrossì e si
diede dello stupido da solo.
Non
era opportuno.
Così
si sedette al pizzo del letto e posò una mano sulla gamba di
lei.
Lento
la fece salire più su, con un andamento così
leggero da non svegliarla.
Quel
giorno non voleva finire mai, ed era appena cominciato.
Guardò
la culla a fianco del letto. Chissà se dormiva, la bambina.
Lui
forse era l’unico, fra i tanti che avevano assistito al
parto, a non aver visto
per bene la bimba. La figlia, per meglio dire.
Ancora
non riusciva a capacitarsi che sul serio, era diventato
papà. Poi un pensiero
malinconico, triste e guastafeste si impadronì di lui.
E
se Francesca avesse deciso di andare a vivere con la bambina da Damiano?
Aveva
visto il suo sguardo mentre teneva in braccio la bambina. Forse non
l’aveva mai
vista tanto felice.
E
ora che la bimba era nata, lui non gli serviva più.
Francesca
aprì gli occhi lenta e assonnata, girando la testa dalla
parte opposta.
Si
tolse un ciuffo biondo che le ostruiva la vista e sorrise al ragazzo.
-Ciao-
Lui
ricambiò il sorriso e si spostò fino a
raggiungere il suo viso, stando seduto.
Con una mano la aiutò a risistemarsi i capelli.
-Come
stai?- domandò gentile.
-Ho
tanto sonno- rispose incrociando le braccia dietro la testa.
La
bionda allungò una mano per toccargli il viso; lui la
lasciò fare e disse
-Ti
ho portato qualcosa da mangiare-
-Ma
tu non hai dormito per niente- osservò lei.
Poi
girò la testa verso l’orologio e si
alzò a sedere bruscamente.
-Ehi
ma è tardissimo!-
Scivolò
giù dal lettino e si avvicinò alla culla.
Emanuela
aveva aperto gli occhi e impotente osservava tutto ciò che
le stava intorno.
Muoveva lenta le piccole braccia e quando la ragazza la prese in
braccio spalancò
gli occhi.
Occhi
che non avevano colore, occhi indaco, che ancora non sapevano vedere.
Francesca
si sedette sul letto con in braccio la bambina, poi si
slacciò i bottoni della
camicia da notte.
-Sicura
che sai come si fa?- la scherzò lui, in realtà
con la gola secca e incantato
per lo spettacolo che gli veniva offerto.
-Certo,
mica sono scema-
Lei
prima di scoprirsi il seno gli rivolse un’occhiata
sospettosa, poi gli permise
di guardarla mentre allattava la bambina.
Emanuela
sembrava sapesse perfettamente come muoversi, perché dopo un
paio di tentativi
andati a vuoto, cominciò a bere.
La
ragazzina la osservava sorridente e con un’espressione dolce,
affettuosa che
Davide non le aveva mai visto. Lui stette in silenzio a contemplare la
scenetta
finché lei non ruppe il silenzio.
-Stanotte
dopo che te ne sei andato l’hanno fatta stare
nell’incubatrice; aveva troppo
freddo-
Non
si guardavano, come se entrambi fossero imbarazzati e non trovassero
nulla da
dire. Quella notte erano successe così tante cose, ne erano
cambiate tante che
ancora non avevano metabolizzato le novità. Non sapevano
quasi cosa dirsi,
eppure il ragazzo ne aveva tante, di cose da chiederle.
Come
stai? Cosa vuoi fare? Perché Emanuela? Cosa hai provato?
Cosa provi per me? Mi
ami ancora?
Ecco,
forse l’ultima era la più inquietante e al tempo
stesso quella che voleva farle
per prima.
-Non
dici niente...- commentò lei, alzando gli occhi su di lui
mentre con una mano
aiutava la bambina a bere meglio.
-Cosa
devo dire?- replicò alzando le spalle. Era un po’
triste, un po’ felice. Felice
ovviamente per la bambina, per la gioia che provava Francesca. Triste
perché
non sapeva cosa sarebbe successo dopo. Aveva visto sia i suoi occhi
piangere e chiudersi
per il troppo dolore, sia brillare di felicità quando aveva
preso in braccio la
bimba.
-Beh
non so... da quando è nata lei non hai detto nulla...- qui
si fece seria e
smise di sorridere –cosa stai pensando?-
Anche
la biondina aveva paura della sua risposta, ma fece comunque la
domanda.
Sentiva che qualcosa in lui non andava, che si stava tenendo dentro un
dubbio.
O forse una verità.
Improvvisamente
si guardarono l’uno spaventato dell’altra.
Sembrava
che da un momento all’altro si dovessero dare una brutta
notizia. Francesca
come al solito fu la prima a parlare e a dire quello che le passava per
la
testa.
-Cosa
pensi? Cosa pensi della bambina?-
Davide
abbassò lo sguardo su Emanuela che stava ancora bevendo dal
seno della mamma.
-È
molto bella- disse.
Francesca
la staccò, riprendendola in braccio e lasciando che tornasse
a dormire. Tremava
tutta perché era certa che lui non stesse dicendo la
verità. Credeva che
volesse abbandonarle entrambe. Il solo pensiero riusciva a renderla
agitata.
Poi
ebbe un’idea.
-Tieni-
Gli
allungò la bimba che aveva chiuso di nuovo gli occhi.
-A
me?- chiese stupito, indicandosi.
-E
a chi? Ma che, hai paura?- gli fece un ghigno strafottente che celava
la paura
che improvvisamente si era impossessata di lei.
-Macchè...-
In
realtà, se doveva dir la verità, un po’
di paura l’aveva; non aveva mai tenuto
in braccio un neonato prima di allora. E se l’avesse fatta
cadere?
Non
voleva mostrarsi insicuro, specie davanti a lei, così
allungò le mani per
prenderla in braccio.
Esitante
lasciò che la ragazza la poggiasse sulle sue mani.
Impacciato perché non sapeva
come fare, Francesca se ne accorse
-Non
ti preoccupare lo so che non sai nemmeno prenderla in braccio. Ma tanto
non
cade, sta’ tranquillo-
Davide
si fece rosso per l’imbarazzo e si imbronciò, ma
sistemò meglio la bimba fra le
mani, un po’ più sicuro.
Emanuela
si era pacificamente riaddormentata, gli occhi chiusi e il piccolo
respiro che
fuoriusciva dalla bocca. Aveva della pelle screpolata sulla fronte,
così lui
pensò di toglierla. Il suo dito, rispetto alla fronte e al
naso e alla bocca e
a tutto pareva enorme. Le spostò anche un ciuffo di capelli
scuri dalla fronte,
mandandolo di lato. Sorrise involontariamente quando la vide fare una
smorfia.
Francesca
non aveva perso una sola mossa ed era più tranquilla ora;
forse si era
semplicemente sbagliata e lui non voleva lasciarle sole. No, si disse,
lui non
era così e ormai l’aveva imparato.
-Mettila
nella culla prima che quei ca**o di medici la sveglino- disse,
sbadigliando
forte.
Il
ragazzo fece come gli aveva detto, non senza difficoltà. Una
volta che l’ebbe
stesa sul piccolo materasso la guardò dormire
dall’alto. Era così piccola e
indifesa, gli venne da pensare spontaneamente. Ora erano soli.
Non
voleva voltarsi, non voleva parlarle perché già
sapeva che gli avrebbe detto: “Voglio
tornare a vivere da mio padre”. Non sarebbe stata la stessa
cosa, e già lo
sapeva. Lui non voleva essere solo il suo amico, no, lui voleva
qualcosa di
più. Ormai non era pronto a rinunciare a lei.
Per
cui non si girò, ma fece finta di osservare la bimba
finché non lo chiamò.
-Davide?-
Anche
Francesca aveva paura che si voltasse e le dicesse: “Non
posso tenere la
bambina”. Allora che avrebbe fatto?
Il
ragazzo si girò, fissandola dritto negli occhi.
Ti
prego non dirlo.
Ti
prego non farlo.
Entrambi
non volevano sentire uscire dalla bocca dell’altro quelle
parole, ma entrambi
volevano affrettare quel momento.
-Mi
vuoi lasciare?-
Davide
si avvicinò al letto.
Francesca
schiuse le labbra sorpresa; di certo non si aspettava quella domanda.
-Io
no. Tu?- ansiosa stette in attesa della risposta.
Anche
il ragazzo fu stupito della richiesta.
-Io
no!-
Si
fissarono per un attimo, sorpresi dalle risposte e dalle domande. Poi
la bionda
sorrise e lo tirò a sedersi accanto a lei.
-Credevo
che tu mi avresti lasciata in mezzo alla strada- confessò
arrossendo.
-Ma
che dici? No! Io credevo che tu volessi lasciarmi e andare a vivere da
tuo
padre!-
Tutti
e due capirono di aver frainteso le intenzioni dell’altro e
sorrisero, un po’
stupiti.
-Non
voglio andare a vivere da mio padre!-
-Oh
ma che stupido... scusa, non volevo dire questo... cioè io
credevo che...-
aveva paura che lei si arrabbiasse per la mancata fiducia che le aveva
dato.
-Scusami...non
volevo dubitare di te...- sorrise storto e incerto, poi la
guardò con
espressione esitante.
-Mi
perdoni?- domandò.
Francesca
non voleva perdonarlo, perché non aveva nulla di cui
scusarsi: anche lei aveva
dubitato di lui. Non voleva perdonarlo, ma solo ringraziarlo. Non aveva
scordato le parole che le aveva detto mentre sofferente minacciava di
mollare
tutto, e come invece di precipitarsi dalla bambina si era preoccupato
di come
stesse lei appena dopo partorito. E non solo, l’aveva
consolata e pure fatta
innamorare.
Credeva
che non servisse altro per giustificarlo.
Senza
ascoltare quello che stava dicendo, gli infilò le mani fra i
capelli e lo
baciò. Aveva così voglia di sentirlo, di farlo
suo che per poco non lo
travolse, facendolo cadere per l’impeto.
Davide
si trovò impreparato al suo assalto, ma fu ben felice di
rispondere
adeguatamente.
Aveva
così voglia di lei da non calcolare la forza messa nel
trasporto.
La
stese sul letto, riprendendo a baciarla più piano,
più dolce, più eccitato o
forse tutto insieme.
Come
si era innamorato di lei non lo sapeva.
Erano
due cose totalmente diverse, due entità separate, opposte,
che forse proprio
per quello erano perfette insieme.
Semplicemente
perfette.
C’era
sempre stata, nella sua vita qualcosa di più importante di
una ragazza.
La
famiglia, il lavoro, gli studi.
Forse
adesso, davvero, non esisteva nulla più importante di lei.
Niente.
Francesca
non desiderava altro che essere tutta sua; voleva essere
l’unica, la sola
capace di farlo sciogliere così. E sentirsi importante,
sentirsi amata.
La
faceva stare così bene, finalmente al sicuro da ogni paura,
preoccupazione
tanto da poter essere felice.
Quello
che Davide era stato per lei, nessuno; nessuno era stato capace di
capirla, di
ascoltarla come faceva lui. Con la stessa semplicità che
aveva lui. Con lo
stesso sguardo, e la stessa voce che aveva lui.
Questo
pensiero molto profondo, e intimo, e irrazionale e detto con
sincerità, la fece
tremare e gli occhi cominciarono a pungerle.
Non
sapeva perché, ma mentre lo stava baciando alcune lacrime
scivolarono dagli
occhi alle guance, per poi disperdersi in mezzo alle loro labbra.
Quando
Davide avvertì il sapore salato inequivocabile si
staccò di poco. Aspettò che
lei dicesse qualcosa. Francesca schiuse le palpebre, rivelando due
occhi
azzurri e umidi.
-Vedi?-
domandò facendo in modo di guardarlo negli occhi.
Imbarazzata cercò di
asciugarsi e di far cessare le lacrime. Il ragazzo le spostò
quella frangia
bionda che le cadeva sul davanti.
La
bionda sorrise e di nuovo due lacrime bagnarono il suo viso.
-Sei
l’unico capace di farmi piangere- disse in poco
più che un sussurro.
Perdonate il capitolo
corto. Grazie a tutti quelli che leggono questa storia e la
recensiscono.
GinTB: già,
penso anche io che sia una cosa insita in ogni ragazza... anche nella
più orgogliosa del mondo. Grazie della recensione.
FeFeRoNzA: beh, grazie
tante. Non volevo che il parto fosse tutto rose e fiori, e tutti felici
e contenti. Volevo descrivere come anche se sia doloroso lei abbia
avuto il coraggio di farlo. E quante mamme partoriscono col cesario
(non voglio nemmeno pensarci). Insomma, non è facile.
però ne vale la pena, no?
Nells: ciao a te! Ti ringrazio molto dei complimenti che mi fai, sei
molto gentile e spero di meritarmeli. L'essere riuscito a trasmettere
bene le emozioni è un gran risultato. E grazie a voi, per
aver letto.
Marty McGonagall: Buonasera, Martina. Oddio, non ho vissuto
un'esperienza del genere, e non la vivrò mai. Mentre leggevo
il libro di medicina immaginavo quanto dolore si potesse provare. E non
volevo che partorire fosse una cosa facile per Francesca.
P.s: sì,
Davide aveva un altro nome in mente. Dunque, lui avrebbe preferito
chiamarla... Miriana. Sì, credo proprio che sia
così.
Nor: emanuela? Boh non so, m'è venuto sul momento, ero molto
indeciso. La storia è autobiografica solo e unicamente per
il carattere di Davide. Non ho mai vissuto una situazione
così incasinata.
vero15star: sono certo che non hai affatto bisogno del mio aiuto per
trovare un ragazzo del genere. Ecco, ti cito una parte di una
recensione che mi hai lasciato:
"Francesca non
è la semplice ragazzina quasi 17enne che si ritrova incinta
e allora scoppia la tragedia. Francesca è una ragazza che sa
essere forte e fragile allo stesso momento come tante persone in questo
mondo. In questo forse mi assomiglia. A lei non piace sentirsi
debole,non le piace cadere e non sapere rialzarsi,non le piace chiedere
aiuto.E in questo credo di assomigliarle troppo,forse è
anche per questo che all'inizio non mi piaceva. Avevi in un certo senso
descritto la parte del mio carattere che io detesto,e non lo
sopportavo. Ora invece questa nuova Francesca mi piace molto.
Perchè adesso non ci sono solo "difetti"ma ci sono anche
pregi."
Esattamente, è
così. Ed è bello che tu l'abbia capito. Grazie
dei bei complimenti che mi fai ogni volta.
Oasis: grazie per la recensione, felice che ti piaccia.
Jiuliet: eh sì, era ora, credo che si fosse stancata di star
sempre chiusa nella pancia di Francesca. Grazie mille.
Emily Doyle: ahahah beh mi dispiace che non ti piaccia il nome
Emanuela. Tu come l'avresti chiamata? No, però non mi puoi
dire che ti ho fatto passare la voglia di avere figli. Ce l'avrei sulla
coscienza.
wanda nessie: viva la vita sì. Era d'obbligo farla nascere
femmina. Certo che continuerò, che faccio, la lascio proprio
ora che è quasi finita?
Devilgirl89: sua "Altezza" ti ringrazia dall'alto del suo broncio
orgoglioso. Una donna già mamma? Caspita, non so se
è un complimento questo... beh sai, ho raccolto informazioni
da film, da libri, dai racconti (estenuanti) di mia madre, mia nonna e
le mie zie... e poi sai quante volte ho fatto la veglia in sala parto?
Argh, una cena tutti
insieme... che bello... non so se sarà realizzabile
MissQueen: beh, fortunata tua madre, e brava tu che hai fatto presto ad
uscire. Forse bisognava anche farla soffrire a Francesca.
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