All'apparir del vero

di Mignon
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"All'apparir del vero" è la mia nuova bimba, sono stata via molto tempo, ho provato e riprovato a far uscire altre storie, a terminare quelle cominciate. Ma non ce l'ho fatta.
Perché c'era lei, era lì che gironzolava indisturbata incasinando tutto il resto.
Quindi sono qui a riprovarci. Spero di incontrare di nuovo tutte quelle persone che hanno seguito "Candido Autunno" (che avrebbe bisogno di qualche potatina...).
Vi lascio al primo capitolo, a tra pochissimo.


 
1



La luce entrava indisturbata dalle immense finestre che affacciavano al grande giardino perfettamente curato, riempiva ogni angolo della stanza, senza timidezza, padrona del tutto. In lontananza si poteva notare la sagoma indistinta di qualche sconosciuto che camminava per la tenuta.
Irritato dall’idea che qualcuno potesse solo minimamente pensare di intravedere la sua figura, andò a tirare le pesanti tende per evitare una qualsiasi possibile intrusione non desiderata.
Ora intorno a lui la stanza pareva addormentata, immobile. Come si sentiva lui in quell’istante: impossibilitato a muoversi, con le gambe come piombo. Si fermò davanti allo specchio, con il nodo della cravatta ancora da fare, mentre i due lembi di seta gli ricadevano al collo.
Gli sembrava di correre dietro al tempo, sentendosi sempre lievemente in ritardo rispetto agli avvenimenti, come se non fosse in grado di stare al passo con il mondo che, inesorabile, continuava ad andare avanti senza di lui.
Poteva essere passata un’eternità o poteva essere durato un battito d’ali quell’istante, regalandogli la solita sensazione di impotenza di fronte al grande tutto. Così si fece forza e con le mani esperte annodò la preziosa cravatta con innaturale perfezione.
Davanti allo specchio guardava se stesso e come uno spiacevole bagno in un’acqua gelida, fece capolino nel suo cuore, nel suo stomaco, una sensazione familiare. Non credeva sarebbe potuto succedere una seconda volta, invece eccola lì: il solo riflesso di se stesso lo nauseava, costringendolo ad andarsene da lì ed impegnare la mente in qualcos’altro.
Chiunque, chi meno inconsciamente degli altri, ha un rituale per prepararsi alle giornate importanti, qualche trucco per diminuire l’ansia e l’angoscia che non accennano ad andarsene e che mortificano il malcapitato aumentando ad ogni respiro.
Il suo piccolo cerimoniale consisteva nel liberare la mente dai ricordi più pesanti. Quelli talmente forti da essere quasi palpabili, quasi tangibili.
Impeccabile nel suo abito, non un capello fuori posto, con le scarpe perfettamente lucidate e la cravatta troppo stretta, avvicinò la bacchetta con classe e delicatezza alla sua tempia, respirò a fondo e lasciò che quella strana sostanza argentea seguisse i suoi movimenti verso l’elegante boccetta di vetro che teneva solidamente nell’altra mano.
E così fece altre innumerevoli volte, appoggiando ognuna di quelle preziose ampolle in una piccola scatola, con una sorta di riverenza.
Alcuni di quei ricordi erano così difficili da raccogliere, sembrava volessero restare nascosti e che quel processo stesse solo disturbando il loro sonno. Pareva, quasi, che chiedessero pietà.
Ma Draco lottò fino all’ultimo per sradicarli da lì e dare loro una nuova dimora. Anche i piccoli contenitori che li accoglievano sembravano più pesanti di altri.
L’ultima la rigirò tra le mani osservando quella materia leggera muoversi delicatamente all’interno del vetro, studiava come ne prendesse la forma per un secondo, per poi cambiare ancora, girarsi su se stessa, annodarsi. Il colore di alcuni ricordi era più scuro, il vetro che li conteneva era quasi più caldo. Era affascinato, quel ricordo cambiava la sua forma, era in costante movimento, ma il suo contenuto sarebbe rimasto lo stesso, identico, per l’eternità.
Stava per riporla quando l’esitazione prese possesso di lui, la sua mente ancora cercava di decidere cosa fare mentre il suo braccio già stava agendo.
L’acqua cambiò colore, disegnando piccoli arabeschi di fumo. La boccetta vuota era vicina al pensatoio e la testa di Draco già immersa nel ricordo.
Ne riemerse poco dopo, con una certa urgenza, come se volesse scappare, scomparire. Si sentiva scosso, rabbioso, confuso. Scagliò via il pensatoio, mentre il ricordo tornò sulla punta della sua bacchetta.
La mano gli tremava, era difficile da controllare. Prese aria e cercò di non disperdere una sola goccia del ricordo mentre lo raccoglieva. La mise insieme con le altre, chiuse la scatola con un incantesimo e la trasfigurò. Nascose il nuovo oggetto vicino ai libri, sperando di dimenticarsene per il resto della sua nuova vita.
Si stupì di sé e della lucidità che riusciva a mantenere, ma nel profondo già sapeva che sarebbe stato tutto inutile, che qualsiasi impulso lo avesse guidato in quel momento non lo avrebbe liberato.
Chiuse gli occhi, li strinse talmente forte da farsi male, serrando la bocca, aveva le vertigini, lo stomaco ringhiava. Prese a camminare per tutta la stanza forzandosi e facendosi violenza per mantenere il controllo, sentendo la magia sotto la pelle fremere per uscire, per distruggere tutto ciò che aveva intorno.
Poi improvvisamente una lieve ed insolita sensazione si impadronì di lui: la tristezza lo raccolse con sé, cancellando tutte le altre emozioni. Il tempo era perduto, le occasioni scomparse. Non c’era più motivo di sentire qualcosa.
Qualcuno bussò piano alla grande porta di legno, costringendolo a ricomporsi e a strozzare i pensieri.
Riuscì a sputare una frase tra i denti.
«Arrivo» la sua voce era tornata solida.
Si stirò il vestito con le mani ma non si avvicinò più allo specchio, non avrebbe potuto sopportare di nuovo la sensazione di poco prima, perché sapeva che sarebbe stata ancora peggiore, ancora più insopportabile. Mormorò qualche incantesimo a mezza voce e il suo aspetto tornò come avrebbe dovuto essere.
In cuor suo ora sapeva che nemmeno il mago più potente avrebbe più potuto salvarlo da se stesso.
La porta si aprì e la testa di Pansy fece timidamente capolino, nei suoi occhi si poteva leggere la dolcezza infinita che solo gli amici sanno regalare a chi condivide con loro il cuore.
Draco ne assaporò ogni singola goccia, pregando che quell’incantesimo naturale potesse tenerlo in vita fino alla fine di quella giornata. Dopodiché sapeva – sempre in cuor suo – che sarebbe scivolato di nuovo in quell’oblio da cui sperava di esserne ormai uscito. A quanto pareva si era sbagliato.
«Qualcuno non vede l’ora di sposarti» disse a mezza voce Pansy. «Stiamo aspettando te per cominciare».
Draco annuì e si mosse verso di lei, con le gambe che minacciavano di cedere nel bel mezzo di un passo. Si aggrappò a Pansy, stringendola in un abbraccio. La testa dell’amica trovò il suo posto preferito, incastrandosi tra la sua spalla e il collo, ricambiando la stretta.
«Andiamo, Draco. Sii forte».
E sulle note di quel sussurro il ragazzo prese la mano dell’amica e la seguì.
La porta della camera si chiuse con un tonfo sordo e lui credette di aver sentito lo stesso rumore dento di sé, domandandosi come facesse a rimanere ancora in piedi: dentro di lui sentiva di essersi rotto in mille pezzi, si essere stato dilaniato.
La consapevolezza di ciò che era accaduto in quell’anno lo aveva preso in ostaggio, ora si sentiva scomparire.





Eccoci, allora...
il titolo l'ho preso da un verso di "A Silvia", perché nella mia mente ci stava bene, magari capirete perché più avanti, se riuscirò a spiegarlo nella storia :D
Questo è il presente, dal prossimo capitolo si racconterà l'inizio, per poi arrivare alla fine di tutto. Cioè al presente...
Pensavo fosse più semplice da spiegare. Nella mia testa lo era.
Negli appunti un po' meno, avrei dovuto capirlo forse.
Voi immaginatevi un cerchio, quella è la storia. (?)

Io sono qui per qualsiasi dubbio, domanda, offesa (delicata però, vi prego ^^).
Spero di sentire qualche voce, a presto :*



 




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