38. Burning
[100 Themes Challenge Writing Prompts]
She burns, yeah, she burns
Like petrol soaked paper
and fireworks
And I’m
burning, yeah, I’m burning
I’m burning so
deep that just breathing hurts
Foy Vance
“She
Burns”
Minori Rokujo, la famigerata calamità naturale di Tenbi,
l’aveva fatto ancora.
Maledetta pazza
spericolata…!
Vedere il suo pugno brillare un istante prima dell’impatto, e
le fiamme salire e divorarla, gli aveva tolto tutta l’aria
dai polmoni-- quasi letteralmente. Non c’era stato un solo
pensiero coerente nella sua testa, una parola, una sensazione...!
Nulla. Rumore bianco.
«Minori!»
La terra esplose in un turbine che spazzò l’aria
verso l’alto, travolgendo ogni cosa nel suo cammino: nera
come la pece, la colonna di polvere che si creò parve quasi
raggiungere il cielo, e inghiottirne la luce e i colori, prima di
disperdersi e precipitare tutt’attorno.
«… M… er…
da…»
Nel frattempo Gen Tagayashi, illustrissimo creatore di maken,
nonché membro non-esattamente-di-sua-sponte del comitato
studentesco, aveva avuto tutto il tempo di maledire il momento in cui
aveva urlato il nome di quella cretina. Eh, sì,
perché ora sentiva tutto il pulviscolo che aveva inalato
graffiargli le pareti della gola, portandolo inevitabilmente a
tossire… E a cercare, come poteva, di non rimettere
l’anima per restituire al padre eterno tutta la terra che
aveva inghiottito.
Fargli da scudo così--
Minori e quella sua testaccia calda!
Quale essere umano sano di mente (manipolatore d’element o
meno) si sarebbe lanciato a testa bassa contro una fiammata di quelle
proporzioni? Uno decisamente stupido, ecco chi! Quella scema non aveva
la minima considerazione per la propria incolumità, non
sapeva ancora controllare la propria potenza, era una pessima stratega,
e…!
E Gen si ritrovò ad ammettere che un’amica
così, oh, avrebbe potuto solo piovergli dal cielo.
Gli era
stato difficile crederci, all’inizio, che ci fosse altro al
di là di quel suo ghigno arrogante, di tutti quei discorsi
vanagloriosi sul suo presunto “genio”, e di quella
sua sbadataggine fuori luogo-- ma nel momento in cui l’aveva
vista trasformare quel maken imperfetto, che lui stesso aveva creato
tanto per ammazzare il tempo, in un’arma devastante, aveva
capito che il potenziale di Minori andava davvero oltre ogni
ragionevole aspettativa.
…
E se la dannata avesse in qualche modo potuto intercettare i suoi
pensieri in quel momento, l’avrebbe preso in giro per il
resto della sua vita. Garantito.
Rabbrividendo all’idea, il buon Gen preferì
focalizzare la propria attenzione sui dintorni, sforzandosi di tenere
gli occhi aperti e di scrutare aldilà di quella rovente
cortina di fumo che ancora impestava l’aria: notò
un bagliore rosso ad una ventina di metri di distanza, che sembrava
pulsare sempre più tenuamente. Corrugò la fronte.
Le possibilità era due: o quella era Minori, oppure ad
aspettarlo lì c’era lo svitato che aveva deciso di
brasarlo con i suoi element qualche minuto fa.
Incespicò in avanti, dirigendosi verso la zona
dell’impatto; strano, non sembrava esserci nessuno
lì attorno.
Mh…?
Caracollò finché la sua ostinazione glielo
permise, ma poi con il palmo della mano premuto contro la fronte, il
giovane fu costretto a fermarsi. Non era certo se fosse ancora il
terreno a vibrare sotto i suoi piedi, o se fossero semplicemente le sue
gambe a non reggerlo come si deve, ma stava avendo qualche
difficoltà a mantenere l’equilibrio. Diavolo, con
le narici riarse dal fumo che stava respirando, e quel fastidioso
fischio continuo nelle orecchie, stava avendo problemi anche solo a
formulare un pensiero
coerente.
«Uah!»
Qualcosa di liscio gli accarezzò la caviglia, strappandolo
da quello stato confusionale.
«Oh…»
Gen abbassò i pugni; il nastro che Minori usava per legare i
capelli si stava contorcendo sotto la suola della sua scarpa, il viola
della stoffa ormai quasi indistinguibile dalla cenere che lo
circondava. Si chinò a raccoglierlo, soffocando tra le dita
la fiamma che ne stava bruciando i bordi.
«Minori…?», azzardò,
guardandosi attorno. «Minori, sei qui?»
Un’imprecazione fu la soave risposta al suo richiamo, seguita
da un sospiro rassegnato lo fece balzare in piedi di scatto; non
c’era dubbio, era proprio lei. Si precipitò nella
direzione del suono, il nastro abbandonato ancora una volta al vento.
«Gen…?»
Ecco perché
non riuscivo a vederla da nessuna
parte… Ha davvero dato il meglio di sé.
Il celeberrimo asteroide umano era al centro d’un cratere
fumante, seduta sulla schiena del suo avversario con l’aria
di chi si stava godendo un picnic al parco. La brace sfrigolava ancora
sul terreno accanto ai sui piedi, accendendole le iridi d’un
rosso che gli fece saltare un battito. O forse due. Che disastro
ambulante che era, quella ragazza: se ne stava lì, ad
osservarlo con un sorriso che quasi gli impedì di notare i
lividi, o la terra che le sporcava le guance.
«Non ti ho colpito, vero? Heh… Mi sa che ho
esagerato. Giusto un
pochino.», si schernì Minori,
passandosi una mano dietro il collo. «Nonostante sia riuscita
a deviare la maggior parte dell’aria calda lontano da noi, ho
fatto bruciacchiare tutta la divisa…»
Sorrideva e minimizzava, lei, mentre le ustioni sparse sulle braccia e
le gambe gli stavano raccontando tutta un’altra storia. Lo
sguardo di Gen si incupì per un istante, mentre passava
dalle ferite, agli abiti che le ricadevano a brandelli attorno al corpo.
…
No. No, non poteva essere…
Ma q-quelle…?
Trasalì all’improvviso con il gemito tipico di chi
si è appena schiacciato un dito nella porta.
… Ma
perché…?
Evitando di soffermarsi
sull’“ooh” epifanico e la
susseguente risatina maliziosa dell’amica, il giovane le
diede le spalle e si tolse la camicia, appallottolandola e gettandola
dietro di sé, certo che lei avrebbe afferrato al volo il
messaggio. Il fruscio di stoffa che sentì un istante dopo
glielo confermò.
«Piuttosto…», borbottò Gen,
la temperatura delle orecchie che lievitava in maniera preoccupante.
«Per una volta nella vita fa’ caso a come sei conciata tu.»
«Aw…», miagolò Minori.
«Guarda che puoi girarti, eh… Voglio dire, chi
sono io per privarti di questa visione celestiale?»
Uno schiocco di lingua incredulo, e Gen scosse il capo, premurandosi di
fare teatralmente spallucce per enfatizzarle quanto assurda fosse per
lui quella frase.
«Pff… Ma chi ti credi d’essere,
scema?», fiatò, le labbra piegate in un ghigno di
scherno. «Non sei mica Nijo.»
«Cooosa?!
Vieni a ripetermelo in faccia, se ne hai il coraggio!
Testa di castagna! Porcospino!»
Già. La celestialità fatta a donna.
Gen ascoltò l’amica ruggirgli contro a pieni
polmoni una sequela d’epiteti sempre più
deliranti, sentendo la tensione nelle tempie sciogliersi leggermente:
se era ancora in grado di gridare come un’aquila, forse le
sue condizioni erano meno gravi di quel che sembrava.
O forse gli piaceva pensarlo perché il senso di colpa lo
stava divorando.
«Ora ti faccio vedere io!»
A quelle parole, più per abitudine alle loro schermaglie
quotidiane che per volontà propria, Gen si
ritrovò a ridacchiare sotto i baffi, ma non appena
s’accorse, dal rumore di passi, che la calamità di
Tenbi s’era messa in piedi e si stava avvicinando
rapidamente, saltò ritto sul posto.
«Oi, mi stai sfidando?», si sentì
ringhiare con una strafottenza che andava contro ogni basilare istinto
di sopravvivenza. «Fatti sott--»
L’afferrò prima che potesse schiantarsi a terra.
«…
Brutta stupida.»
«Uffa…», biascicò Minori
contro la sua canotta, e la sua voce gli vibrò nel petto
là dove le sue labbra erano premute. «Quanto sei
monotono, Gen.»
Ora che ce l’aveva tra le braccia, l’odore di carne
bruciata era così penetrante che gli rimestò le
budella.
Devo portarla da Nijo al
più presto.
Senza badare a darle una risposta, Gen passò un braccio
sotto le ginocchia dell’amica e si alzò in piedi,
incamminandosi frettolosamente verso l’Accademia.
«E-Ehi, che fai?», partì in quarta
Minori, agitandosi tra le sue braccia con piglio oltraggiato. Forse era
solo una sua impressione, ma con la sua camicia indosso, sembrava
assurdamente piccola. «Posso camminare benissimo da sola! Ho
solo bisogno di un paio di minuti di riposo e sarò come
nuova, vedrai!»
Per quanto le sue parole sembrassero dettate dall’orgoglio e
null’altro, il giovane sapeva che stava cercando a modo suo
di tranquillizzarlo sul suo stato di salute. A pensarci, era quasi
ridicolo che, in una situazione del genere, Minori fosse più
interessata a calmare lui,
che a preoccuparsi di sé stessa.
«Finiscila di berciare!», le rispose, distogliendo
lo sguardo. «Non ti è bastato farmi quasi saltare
i timpani con l’esplosione di prima?»
«Sei un stupido, Gen!»
«E tu sei una cret--»
Minori gli infilò i pollici negli angoli della bocca,
stirandogli e muovendogli le labbra su e giù, facendogli
sputacchiare il resto dell’insulto. Forse era sciocco da
parte sua, insensato, ma Gen non poteva fare a meno di continuare ad
assecondarla nel solito teatrino, perché così
sembrava tutto normale. L’idea che si fosse ferita per
proteggerlo continuava a tenergli serrata la bocca dello stomaco, ma
quando battibeccavano come se nulla fosse, gli sembrava quasi di avere
ancora il diritto di prenderla in giro e sghignazzare con lei.
E poi seriamente, quella stupida non era umana. Non poteva esserlo. Che
fosse protetto dagli element o meno, un corpo non poteva sopportare
tutto quel dolore, e continuare a funzionare come se nulla fosse. Ma
come accidenti ci riusciva?
«… Gen?»
Minori gli sfilò le dita dalla bocca e lo scrutò
da sotto le ciglia chiare con un’intensità che
pareva potergli leggere i pensieri.
«Mh?»
Quando si decise a guardarla, il giovane notò che le guance
le si erano arrossate leggermente. Sembrava… Vulnerabile.
Femminile,
addirittura.
… No.
Che accidenti le stava passando per la testa?
«Sei preoccupato…», mormorò
la giovane, facendo ciondolare le gambe pigramente, «Per
me?»
Gen sgranò gli occhi, e quasi si soffocò con la
propria saliva.
«Minori…», riuscì a grugnire
a denti stretti. «Ricordami di chiedere a Nijo di
controllarti il cervello quando arriviamo.»
«Aw…», l’amica
ridacchiò, non facendo assolutamente nulla per nascondere il
sorriso sornione che le si stava allargando sul volto. «Che
carino, sei arrossito!»
Che faccia da schiaffi.
«Smettila di ridere!»
Lei gonfiò le guance e gli fece la linguaccia. Lui
ringhiò, cercando un sistema per strozzarla in quella
posizione, e finendo per inciampare nel processo.
«Ehi, sta’ un po’ attento!»
«È colpa tua! Ma quanto pesi?»
«Non è colpa mia, se sono stata benedetta da
queste forme procaci!»
«Eh? … Non mi stavo riferendo a quello,
cretina!»
.:~*~:.
Qui
trovate la lista dei prompt, se vi interessa.
Anywho, voglio solo aggiungere che la storia è ambienta nel
passato, nel periodo immediatamente successivo agli eventi di
“Maken-Ki! Kai!!”
(io ho letto solo il manga, quindi non so se nell’anime
vengono raccontati). In questa storia, Tenbi è
ancora frequentata dai giovani Gen, Minori, Aki e Akaya... E visto che
Gen e Minori mi fanno morire, ho deciso di dedicar loro un
po’ di spazio oh oh oh. ♥
See ya,
Shadow
Eyes
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