My
life turned around
Troy strinse nella mano una corda.
Poté percepire
carezzandola la sua ruvidezza mentre grezzamente entrava in contatto
con la sua
mano morbida e delicata. Le sue mani erano grandi e morbide nonostante
il
basket. Sorrise appena mentre con un gesto rapido stringeva in un pugno
la
corda.
Una mano si poggiò stanca
e tremante contro il ramo dell’albero,
la corteccia dura e ruvida gli graffiò le mani. Era strano
come non percepisse
nemmeno i dolori. Era quasi fastidioso quel peso sul cuore, peggio che
sentirsi
trafitto da una lama affilata. In quel momento più di tutti
avrebbe preferito
che una lama gli perforasse la carne arrivando al cuore, uccidendo in
un solo
momento lui e il suo amore.
Come era possibile vivere
così? Senza i suoi passi che
risuonavano rapidi per le scale, magari con una risata e qualche
rimprovero.
Vedere la sua schiena piccola, minuta, con i fianchi morbidi e le gambe
fine.
Che senso aveva andare avanti se la
sua mente lo riattirava
indietro annegandolo nei ricordi?
Annegando nelle lenzuola troppo
grandi, correndo per le
scale per poi fare l’amore in un fruscio tenero di mille
rumori impercettibili,
come il battito dei loro cuori in sincrono, come i loro respiri
sconnessi, lo
strusciare lento e piacevole dei loro corpi, i piccoli sorrisi tra i
baci e le
mani tra i capelli.
Come poteva tutto questo essere
svanito in un battito di
ciglia, in un respiro?
Dissolto come neve al sole. I loro
sogni infranti, il loro
futuro spaccato a metà così come il suo cuore.
Marchiato a fuoco da una grande
ferita, da un’enorme taglio, rotto definitivamente senza un
motivo.
Loro due che erano perfetti, loro due
che avevano gettato il
resto del mondo nel cestino dedicandosi solamente l’uno
all’altra. Lui era
perfetto, grazie a lei che lo rendeva tale. E lei…lei non
era perfetta, lei era
divina, lei era tutto. La perfezione era banale se paragonata a lei,
per questo
lui era banale con lei. Ma erano perfetti insieme. Erano una persona
sola.
Ma ora di quella persona era rimasto
solo un cuore ferito e
dolorante, che scandiva gli ultimi battiti di un tempo già
sprecato, consumato,
corroso. Come lui.
Lui che non era più in
grado di essere perfetto, lui che era
tutto un danno se lei non era lì a correggerlo. Lui che non
era più in grado di
amare. Nel suo cuore solo un posto rimaneva, per colui che ancora lo
incoraggiava e lo spingeva ad andare avanti. Una persona a cui doveva
tutto: il
suo migliore amico, Chad.
Ma anche con Chad al fianco la vita,
che non sembrava più un
inferno, era un purgatorio. Un immenso vagare cercare disperatamente
una
persona che potesse curare quel cuore, qualcuno che lo potesse risanare.
Troy si sentiva un bambino: piangeva
la notte nel sentirsi
solo, correva a casa del suo migliore amico per farsi ospitare, rubando
le ore
a quel dannato sonno che non lo voleva più abbracciare,
passando le ore buie a
chiacchierare per non dover pensare, ritrovarsi in una pacca sulla
spalla e in
un pianto confortato.
Perché la sua non era
più vita, lui non era più uomo senza
la sua donna. Lui: l’uomo. Lei: la donna. Perfetti.
Nient’altro. Che parole
usare per descrivere il divino?
Poche, belle, semplici: divina
è quella persona che ha gli
occhi color cioccolato, la pelle leggermente abbronzata eternamente,
tratti
ispanici, i capelli boccolosi neri e un corpo minuto e perfetto, una
persona
che ha il suo sorriso, le sue labbra, il suo nasino, una persona che
è dolce
come lei, una persona che è buona, passionale e decisa come
lei. Una persona
che è insicura sull’amore, una persona con un
cuore d’oro, una persona che
facesse l’amore con lui in un campo di fiori a casa sua, una
persona che ha il
suo stesso nome e il suo stesso sguardo. Una persona che solo lei
poteva
essere. Una persona che l’ha lasciato ha causa di un doloroso
incidente.
In banca. Era andata in banca a
ritirare dei soldi per poter
fare un regalo. Il loro regalo. Il regalo per l’anniversario.
Per poi trovarla stesa al suolo,
attorniato da uomini in
uniforme poliziesca che arrestavano quattro criminali incappucciati che
aveva
cercato di fare una rapina. Lei sempre così timorosa e
dolcemente impulsiva,
lei che si era trovata in mezzo ad una cosa più grande di
lei.
Lei che non c’entrava
nulla. Lei che era andata lì per loro.
Per poi ritrovarla stesa al suolo in
un mare di piccole
scaglie di vetro. Con il viso graffiato, gli occhi socchiusi, una mano
premuta
sul petto per bloccare il dolore. Lo stesso dolore che lui percepiva
non appena
l’aveva vista. Gli era bastato uno sguardo per poter capire
quello che era
successo.
Il suo cuore già stava
pompando in lui il dolore che
irrefrenabile gli invadeva il cuore. Perché lei era
innocente e bella, piccola
stella del suo cielo, dolce fata del suo cuore.
Per poi ritrovarla stesa al suolo con
lo stesso sorriso dolce,
stretto però in una morsa di dolore. Che lo fissava con
amore. Tante parole
singhiozzate e mormorate mentre il rumore lento di
un’ambulanza avanzava senza
troppa fretta, senza la velocità che sarebbe servita mentre
l’animo di lei
scivolava sul corpo di lui posandovi un casto bacio senza troppi
rancori e
prima di volare via rimanere imprigionata tra la terra il cielo nel suo
cuore
caldo e vivo.
Per poi ritrovarla al suolo fredda e
immobile, esalato anche
l’ultimo respiro il risuonare delle sirene era stato inutile,
solo un preteso
in più per allontanarlo dal suo corpo freddo, che per essere
scaldato aveva
bisogno di un anima che non c’era più. Rubata,
risucchiata dal cuore del
ragazzo.
Troy sobbalzò dal suo
stesso singhiozzo quando si ritrovò
nel prato un tempo di fiori. Ora un leggero strato di neve ricopriva un
terreno
freddo e arido, privato di ogni vita. E troppo simile quel prato che
lei amava
tanto al suo dolce cadavere.
Troy in un moto di disperazione
passò la testa al centro
della cappio e immediatamente la ruvidezza di questa gli
sfregò il collo
facendolo sobbalzare. Sentì il petto stringersi e
contorcersi quando con gesti
agili e decisi si arrampicò su un ramo elevato
dell’enorme albero. Il cielo
emise un brontolio e con una folata di vento gelido gli
schiaffò in viso quella
neve fredda e delicata come segno della sua muta e impotente protesta.
Il ragazzo strinse la corda attorno
ad un ramo e si preparò
a lasciarsi andare mentre la corda attorno al collo iniziava a bruciare
e il
dolore al cuore si faceva più forte. Tutto il corpo al
ricordo di quello di lei
sembrava ardere, come se la ragazza lo stesso richiamando alla vita
ricordandogli quante volte con i suo baci gli aveva sfiorato ogni
singolo
centimetro di pelle. Ricordandogli che il cuore che batteva nel suo
petto era
come fosse il suo, ricordandogli che se il suo respiro poteva vivere
era solo
grazie a lui, ma il ragazzo non sapeva cosa volesse dire continuare a
vivere
senza di lei, non sapeva cosa volesse dire continuare a sognare ancora
senza di
lei. Lasciò scivolare una gamba nel vuoto e sentì
la pesantezza di quel corpo,
provando una punta di rimorso: l’avrebbe uccisa? Morendo lui
stesso avrebbe
ferito il suo animo intrappolato nel proprio cuore?
Mentre pensava non si accorgeva di
passi rapidi e veloci
finche quando travolto dal suo dolore non si spinse in avanti non
sentì uno schianto
alle sue spalle e vide un braccio scuro cingergli la vita e tirarlo
indietro.
Si voltò terrorizzato e
vide alle sue spalle con uno sguardo
sconvolto Chad che lo fissava teso e ansioso. Il suo viso era contrito
e anche
arrabbiato mentre con un coltello tagliava la corda. Il biondo
iniziò a
dimenarsi mentre calde lacrime gli rigavano il viso:
Perché non gli lasciava
raggiungere la sua Gabriella? Sentì uno
scalpiccio sotto e abbassato lo sguardo vide dei capelli biondi mossi
dal
vento. Era Sharpay. La fissò e si sentì
sciogliere: la migliore amica della sua
Ella che lo guardava in lacrime.
Abbandonò ogni resistenza.
E mentre Chad lo trascinava giù
da quell’albero che avrebbe dovuto segnare la sua fine
sentì il cuore tornare a
battere normale e il corpo smettere di bruciare, diventando
più leggero.
Ella era contenta ora…
Fine.
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