Silence
...
Cos’era
diventato?
Se lo chiedeva spesso. Sempre più spesso, e mai una volta
riusciva a trovare una risposta soddisfacente.
In verità, non v’era risposta , o forse, una
troppo terribile per essere anche solo pensata.
Un brivido lo scosse nel profondo, rimestando in lui i sentimenti e i
ricordi più terribili della sua vita.
I suoi genitori in un lago di sangue ,denso e vischioso come
una ragnatela. La ragnatela di sofferenza di cui egli stesso era finito
col diventare preda.
Suo fratello – il suo piccolo fratellino Ichiru
così debole ed indifeso – era stato soggiogato da
un vampiro ed ora era il suo servo più fedele.
Come in un incubo risentì la sensazione del sangue che,
lentamente ed inesorabilmente, fluiva dal suo corpo.
Risentì il sangue scorrere sulla sua pelle e si
sentì come quella volta. Come in quella maledetta notte si
sentì vuoto e privo di emozioni, privo di ogni cosa e di
ogni sentimento e ,senza accorgersene, si sentì privato a
poco a poco da ogni briciolo d’umanità.
Anche quella era stata risucchiata, in quella maledetta notte, insieme
al sangue, anche quella era sparita lasciando ,in lui, quel terribile
vuoto, quel terribile senso di nulla che lo coglieva impreparato ogni
qual volta rimaneva in silenzio.
Si rifugiava nel silenzio e in quell’oscurità
ricca di sottointesi , non solo per fuggire dal chiasso degli studenti
,dalle loro schiocche risate o dalle loro frasi prive di senso, ma,
soprattutto, voleva fuggire da se stesso.
Da quell’Io che a stento riconosceva.
Si formava nel suo essere. Lento ed inesorabile come il sangue che
fluì da lui in quella maledetta notte, quel nuovo essere
così alieno ma così simile a lui fuggiva dal sole
e ricercava prede.
Cercava fine a quel tormento così struggente. Quel dolore
così intenso che lo faceva barcollare che rendeva piccola e
insignificante la sua tenacia, la sua forte tempra e soprattutto il suo
autocontrollo.
Tutto diventava piccolo e insignificante se paragonato alla sofferenza
vischiosa che strisciava lenta nel suo animo ormai corrotto e
indiscindibilmente spaccato.
Tutto rimpiccioliva davanti alla fame.
Ed il fatto che ancora avesse dalla sua parte la ragione rendeva tutto
ancora più difficile ancora più tormentato e
ancora più ridicolmente divertente.
C’era una sorta di macabra ironia una sorta di orribile
divertimento nel dover arrendersi alla fame. Arrendersi a quella
terribile bestia che lo consumava come fuoco dannato e ardente.
E poi?
Poi tornava la ragione, poi tornava lo Zero di sempre e tutto cadeva su
di lui come un macigno minacciando di affogarlo, minacciando di
schiacciarlo dal suo stesso senso di colpa per ogni stilla di sangue
sottratta per ogni oncia di dolore che le
faceva patire.
Cadeva sempre più in basso in un dolore e in un senso di
colpa talmente forti e onnipresenti che lo facevano barcollare
più della struggente sofferenza che solo la fame sapeva
istigare.
Cadeva a terra strisciando nell’oscurità come il
mostro che era diventato e che odiava con tutto se stesso. Si rifugiava
in luoghi oscuri e silenziosi per punirsi, per auto infliggersi quella
pena e quel dolore che ora non provava più perché
la fame era stata già saziata ma che avrebbe dovuto provare,
perché non avrebbe mai dovuto cedere
Mai,
Mai,
Mai,
Mai con lei.
Soffriva e si dannava perché era giusto perché
sentiva di meritarsi tutto quel dolore che colmava il vuoto nel suo
animo incrinato.
Vedeva il mondo puro e incontaminato attraverso la cortina di capelli
argentei che quasi rinchiudevano i suoi cupi e malinconici occhi viola.
Vedeva il mondo e sapeva che non sarebbe rimasto così a
lungo per godersi una vera vita . Per lui non c’era scampo e
non c’era nessun dio che potesse perdonare il suo essere
terribile. Nessuno poteva perdonare i suoi peccati
,nessun’anima era abbastanza forte da caricarsi i fardelli ,
suoi, e del suo mostro personale.
Nessuno,
Nessuno,
Nessuno,
Nessuno a parte lei.
Lei che l’aiutava, lei che sorrideva per entrambi.
Lei che l’abbracciava, lei che gli permetteva di bere il suo
sangue.
Facciamo insieme la cosa più imperdonabile
L’aveva dannata. Aveva dannato anche lei.
Le aveva concesso libero accesso alla sua anima fatta di nulla e
dolore. Le aveva permesso di avvicinarsi a lui come mai nessuno aveva
fatto.
Ma qual’era il prezzo?
Era un prezzo troppo alto. Troppo alto.
Le faceva del male lui, proprio lui, che più di tutti voleva
proteggerla; la uccideva pian piano con i suoi denti ,con i suoi occhi
vermigli ,con la sua scostanza, col suo essere così freddo
così vuoto
dentro…
Eppure qualcosa era nato tra i rovi del suo essere.
Un sentimento.
Qualcosa di così distante da ciò che ,tra breve
,sarebbe diventato da suonare ridicolo e privo di un qualsiasi senso.
Era un mostro. Non poteva permettersi di provare qualcosa. Non doveva,
non poteva ma forse nemmeno lui sapeva quanto in realtà
volesse.
Questo dolce sorriso…Queste
mani… Li desidero.
Anche se so … che non devo.
Ed era una passione struggente che lo logorava e lo infiammava ,che lo
faceva impazzire e ,che lo cullava, nelle infinite notti di calvario,
che lo dannava ancor di più e che lo faceva avvicinare ad
una ,quanto mai improbabile, redenzione.
Quante volte le aveva chiesto scusa?
Non se lo ricordava. Non lo ricordava più glielo aveva
sussurrato tante di quelle volte…
Ma non era importante, non era rilevante il numero delle volte in cui
le aveva implorato dal più profondo dei baratri di
perdonarlo.
Rimaneva comunque un mostro un essere che non sapeva trattenere i
propri istinti che non guardava in faccia nessuno -nemmeno lei-
pur di dar tregua anche solo per un giorno a quel dolore straziante che
minacciava di sopraffarlo ogni giorno di più.
Nulla l’avrebbe fermato né il suo autocontrollo
-che ,come una drammatica parodia, rimaneva fermo, e non si incrinava
nemmeno di fronte all’ondata ,impetuosa e selvaggia, della
fame- né lei .
A breve nulla l’avrebbe fermato dal diventare ciò
che più aborriva; ciò a cui fin da piccolo aveva
imparato a disprezzare ed a cacciare.
Un vampiro di livello E.
Bestie in forma umana
Come a proteggersi dall’opprimente verità del suo
essere si rannicchiò ancor di più contro il muro
freddo.
Sapeva ciò che doveva essere fatto. Ogni fibra del suo
essere lo supplicava a gran voce.
Doveva prendere la Bloody rose e con un solo colpo
preciso ed efficace avrebbe detto basta al suo dolore ed alla sua
sofferenza ,senza fine e senza fondo, così grande da essere
paragonata all’intensità melanconica dei suoi
occhi viola.
Ma non poteva.
Doveva ma non voleva.
Lei glielo impediva, gli aveva promesso che lo avrebbe aiutato che non
l’avrebbe lasciato morire che avrebbe fatto di tutto per
averlo di nuovo al suo fianco come prima, come se nulla fosse successo.
Perché lo faceva?
Affetto? O puro egoismo?
A lui non importava; nel suo dolore ,l’unica cosa che gli
dava la forza ,per aprire gli occhi, dopo una notte costellata di
incubi o di rialzarsi ,dopo essere stato soprafatto dalla cieca fame,
era lei.
L’unica luce , seppur fievole, della sua solitaria esistenza
era la consapevolezza che lei volesse che lui vivesse ancora, che lui
non si arrendesse, che non rinunciasse e che, finalmente, imparasse a
sorridere.
A sorridere veramente coma mai aveva fatto e come lei, ancora adesso,
aveva il coraggio di fare.
Quindi poco importava il dolore ed il supplizio eterno a cui lei
l’aveva costretto. L’importante era che lei lo
volesse ancora . anche dopo tutto quel che aveva
fatto che le aveva fatto.
Aveva dato un’unica condizione però. Se non fosse
stato più in grado di andare avanti, se fosse diventata
quella bestia sanguinaria, priva d’intelletto che tanto lo
disgustava, lei e solo lei avrebbe dovuto ucciderlo.
E sarebbe stato come vedere uno spicchio di cielo ed
eternità, morire, per mano sua. Sarebbe stato un eterno
conforto ,sapere, che proprio le sue fragili mani gli avevano regalato
la pace che da tempo ,ormai immemore, agognava.
Ma in attesa di quel momento che – aveva la certezza -
sarebbe presto arrivato, lui si costringeva a vivere. A vivere al suo
fianco osservando il suo eterno sorriso e la freschezza del suo viso
che mai faceva trapelare le sofferenze del suo animo spezzato.
Era forte. Forse anche più di lui.
E si costringeva a vivere tra peccato e rimpianto. Aspettando con ansia
il giorno in cui ,tutto si sarebbe concluso , il giorno in cui i suoi
occhi avrebbero potuto riempirsi della dolce immagine di lei che ,con
le sue piccole e calde mani, segnava la fine del suo incubo personale e
l’arrivo della pace che ,bramava, più di ogni
singolo, rantoloso, respiro ottenuto ,proprio, dal sangue di lei.
Tra peccato e rimpianto…
Si costringeva a vivere.
Un rumore di passi gli fece alzare l’imperscrutabile sguardo
viola.
“Yuuki…”
La ragazza lo osservò e ,con quel suo dolce sorriso e,
quella luce brillante negli occhi scuri, gli si avvicinò
cauta ,ma senza paura, e ,inginocchiandosi davanti a lui, gli
sistemò ed abbottonò la camicia candida,
borbottando rimproveri con la sua voce gentile.
“Resta.”
E lei sorrise di nuovo sedendosi accanto a lui e dividendo il suo
calore.
Poiché
Zero bramava il silenzio
Ma ,più di tutto,
Qualcuno con cui condividerlo.
...
Note
della Red: Ahem... questa è la prima fanfiction
di VK che ho scritto, non è molto recente, ma ancora mi
piace [stranamente O_o]
Spero tanto che piaccia anche a voi!
Credo che tornerò a scrivere su Zero, personaggio che
realmente adoro *O*, e forse anche su Yuuki.
Ovviamente sono una grande fan della coppia. *annuisce*
Fan Zeki, sono dalla vostra parte! XD
Red
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