Amo
et Odi
A
La Push pioveva sempre. Non ricordo un giorno della mia esistenza
monotona in cui il sole non veniva oscurato dalle nuvole cariche
d'acqua, e quelle poche volte che succedeva io stavo a casa con
l'influenza, comico, no?
Credo di essere l'unica ragazza al mondo che non abbia mai passato un
compleanno all'aperto, sempre chiusa in casa.
Ed anche quel giorno non era da meno. Chiusi la valigia con forza, come
se tentassi inutilmente di chiuderci dentro, oltre i miei pochi abiti,
anche la mia coscienza, che si ribellava al fatto di lasciare da soli
mia madre e mio fratello.
Delle volte ancora mi chiedo, a distanza di anni, se il fatto che il
tempo non accennasse a cambiare fosse un segno del destino: la mia
assenza non avrebbe sconvolto nessuno, niente sarebbe mutato, tutto
sarebbe continuato a scorrere normalmente.
Dopo tutto io chi ero?
Nulla, semplicemente nulla, un'appendice di una storia, una postilla
noiosa alla fine di un trattato complicato, che nessuno vuole leggere o
notare.
Sospirai affranta e alzai il mio bagaglio, avevo salutato tutti prima e
stabilito l'orario di partenza in modo tale che nessuno potesse venire.
Quando aprii la porta mi augurai con tutta me stessa di non incontrare
nessuno, il massimo che potevo accettare era Billy. Delle volte mi
chiedo se la fortuna in verità ci veda bene, benissimo, e
che abbia una qualche faida con me; perché il fatto che
ritrovai davanti a me Sam, imbarazzato e con la testa china, lo riporto
unicamente alla mia sfortuna.
Mi bloccai di colpo, facendo cadere il trolley e fissandolo sconvolta:
cosa voleva da me? Perché era qui?
Sentivo nella mia testa una confusione di sentimenti, che si
accavallavano, uno sopra l'altro, confusionari, urlanti, perfidi.
Cercai di scacciarli malamente, ma ritornavano, sempre più
gonfi e pomposi.
Dovevo decidere cosa fare: ricordare il passato, rendermi schiava di
esso, oppure scappare, seguire la mia intenzione di guardare il futuro
come qualcosa di concreto e non come l'ennesima utopia.
Forte della mia convinzione lo superai a testa bassa, urtandolo
leggermente con la spalla.
Una cosa che accomuna me e Sam, nonostante tutto, è la
testardaggine, così mi prese e mi trattenne, obbligandomi a
voltarmi.
Non dovevo piangere,
era un imperativo che la mia mente mi ripeteva prepotente.
-Cosa vuoi?- chiesi lapidaria, lasciavo sfuggire lo sguardo lontano,
verso i miei amati boschi che mai più avrei rivisto.
Partire, partire.
Fuggire, fuggire.
Scappare, scappare.
Dimenticare, dimenticare.
-Volevo salutarti- mormorò a bassa voce, cercando di
sollevarmi la testa con un gesto leggero della mano, quel tocco che
tanto mi aveva fatto gioire e che ora rimaneva freddo e apatico.
-Bene, addio- tagliai corto riprendendo il mio misero bagaglio e
portandolo fuori dalla veranda. Ignorai la pioggia che scendeva sui
miei capelli, schifosamente corti, non come quelli lunghi, morbidi e
femminili di lei, la sua lei, l'unica lei che poteva esistere nella sua
vita.
-Oh! Leah! Non puoi essere così... infantile! Stai partendo,
metti un attimo da parte il rancore!- gridò esasperato
percorrendo quei pochi metri che ci separavano con una lunga falcata.
Mi bloccai, strinsi le labbra in una linea sottile, chiusi i pugni
intorno al manico della valigia fino a distruggerlo, facendola
così cadere nuovamente, questa volta in una pozzanghera.
Volevo morire.
Volevo imprecare, dirgli con tutta me stessa quanto ...l'odiassi.
Perché era proprio così: io l'odiavo,
più di Emily, molto di più.
Si può scrivere, parlare, pensare d'amore, creare delle
storie intorno ad esso con l'assurda speranza di farlo vivere, ma
c'è poco da fare, l'odio è il principale
sentimento.
L'Amore è il primo stadio dell'odio, una persona ama per poi
odiare, è come un subalterno troppo superbo che ha gonfiato
troppo il petto.
Tu ami qualcosa che vive, che parla, che si comporta in un certo modo.
Tu odi qualcosa, qualcuno, per il semplice fatto che esiste, e poco
importa il resto: lo odi.
Ed era esattamente quello che provavo in quel momento, una rabbia
animale, un 'invidia, che era sfociata nel rancore represso per mesi.
Perché a lui era concesso di dimenticare? Perché
aveva la dannata fortuna di poter dire che era tutto finito?
Perché lui conosceva la parola fine, mentre io vivevo in un
perenne flash back?
Non era giusto, non era affatto giusto.
-Sam io... io non ce la faccio a dimenticare, lo capisci? Io non posso
dire che tutto è finito, che tra me e te non c'è
stato nulla. CI VUOI ARRIVARE!? Non chiedermi di fare finta di nulla,
non chiedermelo se veramente mi vuoi bene. Non. Sottopormi. Anche. A.
Questa tortura!- gli urlai in faccia.
Tutta l'ira che avevo trattenuto dentro di me,
quell’antipatia che riversavo su di tutti, senza esclusione,
finalmente riusciva a travolgere chi veramente la meritava: lui.
Mi fissò sconvolto dalla mia reazione, aprì la
bocca ma non riuscì a parlare immediatamente, dovette
prendere fiato più volte, cercare di calmarsi.
-Vorrei solo che tu riuscissi a dimenticarmi, come io ho fatto, in
parte, con te- sussurrò affranto.
Non doveva dirlo, non doveva aggiungere anche questo coltello nella mia
piaga troppo sanguinante.
L'odio puro è inspiegabile, peggio dell'amore.
Incontrollabile, arriva e rimane. E' veramente per sempre. Se odi una
persona difficilmente smetterai di farlo, è così.
Tremai alle sue parole, di nuovo quella gelosia, sempre male orientata:
io non ero gelosa di Emily, non ora, io ero gelosa di lui, del fatto
che fosse riuscito a scordarsi di me, a scordarsi di tutto
ciò che mi tormentava.
-Sai invece cosa voglio io Sam?- chiesi gelida tirandomi su, dritta e
ostile. Negò con la testa, attento ai miei movimenti.
-Ogni notte, quando ricordo i tuoi tocchi sul mio corpo, vorrei
smembrarti con i denti e le mani, quando vedo i tuoi occhi che mi
compatiscono, che riversano su di me quel senso di colpa che io non
riesco, NON DEVO!, provare, li vorrei sapere bevuti dai cani. Vorrei
che anche tu soffrissi come me, che sentissi il dolore che mi provochi,
che mi fai patire con il tuo atteggiamento da martire. Sono gelosa,
Sam. Sono gelosa del fatto che tu, bastardo, mi hai dimenticato, mi hai
potuto dimenticare- conclusi sibilando, ritirando lentamente il dito
che gli avevo puntato contro presa dall'impeto del mio discorso. Non
stavo piangendo, no. Non avrei mai più pianto per lui,
nessuna lacrima sarebbe scesa a causa sua. Mai più.
Continuava a piovere, ormai eravamo entrambi zuppi, le gocce scendevano
sulla mia faccia, così come sulla sua.
-Capisco...- mormorò colpevole facendo pochi passi per
superarmi.
Era finita. Era veramente finita.
Lo guardai in silenzio mentre superava la strada, si inoltrava
lentamente tra gli alberi, fino a sparire del tutto nella foresta.
-Addio Sam...- sussurrai al vento senza rancore, senza sentimenti,
finalmente libera.
L'Amore e l'Odio giocano a fare i funamboli sullo stesso filo, e la
maggior parte delle volte, appena il primo cade, il secondo ha il via
libera.
Afferrai velocemente il bagaglio e mi diressi alla fermata della
corriera, la presi e mi sedetti pensierosa.
Ero finalmente leggera, senza quel peso opprimente che mi aveva
schiacciato per anni, la gelosia che mi soffocava. Chiusi gli occhi e
sospirai... felice?
Era possibile che io fossi tale?
Sì.
Lasciai l'ultima lacrima scorrermi lenta sulla guancia, avrei lasciato
la tristezza a Forks, tra le mura della mia vecchia casa, tra la
foresta che mi aveva accolto la prima volta che mi ero trasformata.
Aprii gli occhi: c'era il sole.
Forse, allora, qualcosa valevo davvero.
Angolo autrice:
Avevo pubblicato in passato la ff, che si è posizionata 4 al
contest "le nuvole" indetto da Nikeloas.
I giudizi in questo momento non li posso avere, li metterò
al più presto.
Bhè, non molto da dire. Una semplice rivalsa per Leah (la
mia alterego).
Tutto qui, una semplice fanfiction.
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