Si
era passata il pettine più volte nei suoi capelli lisci e
color
grano, guardandosi allo specchio. Si era assicurata che non ne fosse
rimasto attaccato nemmeno un capello e guardò la sua amica
Hannah
attraverso lo specchio, a fianco a lei, che si truccava. Si metteva
il rossetto e apriva e schiudeva le labbra. Era così
perfetta. Si
voltò di nuovo alla sua immagine per capire che non era
affatto come
lei.
«Hannah?»,
le aveva avvicinato il pettine, «Grazie».
Hannah
le aveva sorriso, riprendendo il pettine e infilandolo nel suo beauty
case. «Stai così bene, Sam», le aveva
passato le mani sulle
braccia, per poi sistemarle la camicia sul colletto. «Adesso
devo
andare a lezione. Ci vediamo dopo». Aveva ripreso tutte le se
cose
ed era uscita dal bagno.
Samantha
aveva preso in mano i libri che aveva appoggiato sul lavabo ed era
uscita dal bagno anche lei, mentre due studentesse entravano,
passandole accanto senza accorgersene. Ci era abituata. Solo Hannah
si accorgeva di lei. All'uscita da scuola, le aveva detto che si
sarebbero riviste in biblioteca di pomeriggio e Samantha si era
appoggiata sul muretto per aspettare che la passassero a prendere.
Aveva visto tutti i ragazzini e le ragazzine andarsene, persa fra i
suoi pensieri. La professoressa stava per uscire, era l'ultima, ma
l'aveva vista e si era fermata:
«Samantha?
Cosa fai ancora qui? Stai aspettando qualcuno?».
«No»,
aveva scosso la testa, sistemando lo zainetto sulle spalle,
«Sto
andando a casa».
Si
era avviata da sola, non era certo una novità. Aspettava e,
quando
era stanca di farlo, tornava a casa. Poi si chiudeva nella sua stanza
e ci restava finché non era arrivata l'ora di andare in
biblioteca e
raggiungere Hannah. Fino a quando un giorno Hannah non c'era
più ed
era rimasta solo lei.
«La
tua amica Hannah?», aveva sbottato la segretaria a scuola,
per poi
passarsi la mano sulla fronte, ricordandosi. «Ah,
sì, ho capito:
Hannah! È vero che ha sempre te appresso… Non ti
avevo
riconosciuta! Comunque no, oggi non è venuta a scuola e
abbiamo già
avvertito la famiglia: torna in classe».
Lei
se lo sentiva, se lo sentiva dentro ed era diventata rossa dalla
voglia di gridare: gliel'avevano ammazzata. L'uomo di cui lei si era
fidata l'aveva uccisa.
Hannah
era morta e lei era rimasta sola con se stessa, una se stessa che non
era abbastanza fino a quando, anni più tardi, decise di
essere Root.
«Quello
è un osso duro», sbuffò Fusco,
scuotendo la testa, «L'ho
torchiato per tutta la sera, ieri, e non c'è stato niente da
fare.
Ha ammesso di conoscere Lars, dice che è un brav'uomo, che
sta
ricominciando una nuova vita, bla bla, tutte fesserie…
Intanto ha
richiesto un avvocato», precisò, sedendo
più a fondo sulla sedia
davanti alla sua scrivania, «Verrà fra poco.
È una gran
seccatura».
Root
scrollò di spalle, poggiata accanto allo schermo del pc.
«Ho
bisogno di parlarci un attimo».
«Non
puoi», sbottò, «Insomma, hai sentito
cos'ho detto? Ha richiesto un
avvocato e non possiamo fargli domande prima del suo arrivo: siamo
con le spalle al muro».
«Hai
ragione: sarebbe così se fossi una vera
poliziotta», gli fece
l'occhiolino. Si allontanò e lui restò senza
fiato, decidendo di
lasciar perdere. Root camminò spedita verso la sala con le
celle dei
detenuti in attesa di sistemazione e lui, appena la vide, si
alzò,
mostrando un sorrisetto soddisfatto.
«Il
tuo amico non ti ha aggiornato? Voglio un avvocato, principessa, non
dirò più nulla se non in sua presenza».
«E
funziona, amico mio… con i veri poliziotti,
s'intende».
Daryl
Boscoferro si avvicinò alle sbarre, annuendo.
«Finalmente! Mostri
la tua vera faccia, Root», sibilò. Alzò
gli occhi e guardò dritto
la telecamera a poco dalla sua cella, indicandogliela con un cenno
della testa: «Lo sa tutto il distretto? Ti fai riprendere
mentre lo
dici così tranquillamente?».
«Non
preoccuparti della telecamera», scosse la testa, mettendo le
mani
nelle tasche dei jeans. «Sul tuo computer ho trovato una
lunga lista
di nomi. Ho rimandato a casa i Marshall Mason inattivi: spero non ti
dispiaccia».
Lui
alzò lo sguardo al soffitto e gonfiò le guance,
avvicinandosi
ancora per appoggiarsi alle sbarre, stringendole. Sbuffò.
«Sapevo
che avrei dovuto trasferirli da un'altra parte. È che tutto
questo
non sta andando affatto come mi aspettavo quando mi hai contattato.
Ad ogni modo, sono curioso di capire come ti sei mossa a riguardo di
quelli attivi».
«Ci
sto pensando».
«Devi
pensare in fretta, Root. Il tempo sta per scadere: sanno dove sono e
sanno dove sei tu. A meno che non intenda scappare ancora, non ti
resta che affrontare ciò che avverrà! Verranno a
prenderti ma,
prima di ucciderti», sorrise, scuotendo brevemente la testa,
«e
sai che Lars lo vuole con tutte le sue forze,
ti porteranno via tutto ciò che hai».
«Non
ho molto: ne rimarrà deluso».
«Si
accontenterà», scrollò di spalle.
«Sai a cosa mi riferisco. Sì
che lo sai».
Root
deglutì, forzando un sorriso. Certo che lo sapeva. Tempo fa
non
avrebbe avuto paura di incorrere a simili minacce, non aveva nulla se
non se stessa, ma ora era diverso. Aveva qualcosa per cui era
finalmente felice di vivere, aveva lottato per proteggere le persone
a lei care, era cambiata, e di una cosa era certa: non avrebbe
permesso a nessuno, e sicuramente non per un errore del suo passato,
di fare del male a Shaw.
La
porta della sala si aprì d'improvviso portando con
sé una donna,
interrompendo i suoi pensieri. Sicura della sua valigetta e dai passi
pesanti e incisivi, la donna si frappose fra loro, impedendo a Root
di vedere Boscoferro. «Basta così»,
tuonò, per poi mostrarle la
mano per stringergliela, «Detective Dawson, immagino. Il mio
cliente
ha parlato fin troppo: non sono stati rispettati i suoi
diritti».
«Non
importa, avevo finito».
Se
ne andò.
Per
un attimo, l'idea di scappare ancora era diventata particolarmente
allettante: avrebbe portato Shaw e Bear in un'altra città,
avrebbero
indossato i panni di qualcun altro, una nuova identità, un
nuovo
lavoro, una nuova casa, forse. Ma Lars non si sarebbe arrestato e i
Marshall Mason l'avrebbero trovata ancora, e di nuovo. Lui aveva
soldi e risentimento. Lei invece cos'aveva? Lei e Shaw insieme
potevano farcela, ma si sentiva sicura a rischiare? Intanto, stava
già formulando un piano alternativo…
«Puoi
farmi avere l'indirizzo?», domandò con un
mormorio, tornando verso
Fusco. Udì la Macchina risponderle ma, come al solito, le
diede
problemi e udì un fischio terribile, stringendo i denti e
passandosi
una mano sulla fronte. Poggiò una mano su una spalla
dell'amico e
per poco lui non saltò dalla sedia, reggendosi poi il petto
per lo
spavento. «Lionel, devi fare una cosa per me».
Lui
la fissò per un breve istante prima di cedere.
«Devono spararmi
addosso?».
Si
abbassò sulla scrivania e prese un foglietto e una penna.
«Devi
andare qui per prendere un pacco. Nessuno ti sparerà
addosso, te lo
prometto», gli sorrise.
Lui
sbuffò, roteando gli occhi e prendendo il foglietto in mano,
dandogli un'occhiata: Root gli sorrise e lui, per leggere, strinse
gli occhi, con la bocca aperta. «Un pacco? Mi hai preso per
il tuo
fattorino?».
«È
molto importante per me».
«E
va bene», sbottò, piegando il foglietto e
infilandoselo in una
tasca. «Ma non ci andrò prima di aver finito il
turno».
«Grazie,
grazie! Sei un tesoro», gli baciò una guancia e
Fusco, diventato
rosso, la scacciò:
«Sì,
vai, vai, ci guardano tutti», se la staccò di
dosso e lei prese
passo per andarsene. «Te l'ho detto: non ci andrò
prima di aver
finito il turno».
«Te
ne sarò riconoscente», gli gridò.
«Prova
a non morire», ribatté ad alta voce e molti si
girarono. «Mi basta
questo», sussurrò poi per sé, scuotendo
la testa, tornando a
trafficare con il suo computer, «Non finirò di
nuovo dal coroner
per identificare il tuo cadavere». Sfogliò due
pagine nei documenti
sulla scrivania, mosse il mouse e lo fermò, ricercando il
foglietto
sulla tasca e leggendo, così si alzò e
sfilò la giacca dalla
sedia, andando subito.
Root
attraversò e la strada, cercando ancora una connessione con
la
Macchina, seguendo i cavi del telefono. «Sì, sono
un po'
arrabbiata», inclinò la testa, «Un po'.
Non voglio che mi chiami
con quel nome». Strinse i denti, toccandosi l'orecchio buono.
«So
come mi chiamo! Ma-», si fermò, sospirando. Era la
prima volta che
non era d'accordo con la Macchina e aveva una discussione con lei: le
sembrava così strano. Era più Root o
più Samantha? Root non aveva
bisogno di nessuno, era stata una killer, un hacker informatica
solitaria e ora… Root era cambiata e probabilmente l'aveva
avvicinata a Samantha più di quanto si aspettasse. Forse la
Macchina
non sbagliava a chiamarla così, dopotutto.
Salì
su un tram in mezzo alla folla e scese appena in tempo per non
perdere un autobus, da cui si fece fermare in periferia. Sorrise ai
tre uomini sporchi e trasandati che la fissarono scendere dal bus e
camminò con sicurezza lungo il marciapiede, con loro che la
seguivano. Un altro passo e il cellulare nella tasca posteriore
destra vibrò, così controllò subito
chi era. Rispose, svoltando un
angolo.
«Ehi,
amore, com'è andata dal veterinario?».
S'imbronciò, ascoltando la
risposta, intanto che uno dei tre uomini svoltava e le veniva
addosso: lei lo prese per un braccio, tirandolo fino a farlo sbattere
contro il muro, lasciando che cadesse a terra. «Davvero?
Questa
mattina sembrava stare piuttosto male, forse-»,
lasciò il
cellulare, che cadde a terra, mentre uno dei tre tirava fuori un
coltello: gli diede un calcio sull'addome e lo prese per mano,
aspettando l'arrivo del terzo che voleva aggredirla a braccia aperte,
pugnalandolo con la mano e il coltello del compagno. Il terzo si
distese a terra e così anche il secondo, colpendolo ancora,
lasciandogli cadere l'arma. Riprese il telefono, inchinandosi verso
di loro, frugando nelle tasche delle giacche e dei pantaloni.
«Forse
ha mangiato qualcosa che non doveva! Beh, se non ha nulla è
meglio
così», sorrise, trovando un pacchetto di
sigarette, infilandoselo
in sua tasca, «Non sto picchiando nessuno! Devi aver sentito
male:
Lionel si sta ingozzando con un panino». In una tasca del
terzo
trovò un cellulare e digitò il 911,
appoggiandoglielo addosso con la chiamata aperta. «Non
morirà»,
sussurrò verso la telecamera, spostando il cellulare
dall'orecchia.
Riprese a camminare, lasciando i tre stesi sul marciapiede con un
ultimo calcio al primo che tentava di rialzarsi. «Pensavo di
portarlo io, ma sai che Bear preferisce te per queste cose. Non ti
sto nascondendo nulla. Sai, stavo ripensando a una cosa: voglio che
diventi un Marshall Mason», attese, fermandosi davanti a una
porta
fintamente chiusa da un lucchetto rotto, «Avevi ragione! Mi
sono
fatta dire da Daryl dove possiamo andare. Certo che lo ha detto, il
mio vecchio amico penserà di averci incastrato entrambe,
troveremo
dei Marshall Mason attivi ovunque… Ma noi ce la possiamo
fare»,
sorrise, dondolando, «Adesso devo andare, Lionel mi sta
chiamando,
vorrà che lo aiuti con il caso di Daryl. Va bene,
raggiungici dopo
aver preso il pranzo. Ciao, ciao», pigiò sulla
cornetta rossa,
guardando di nuovo verso la telecamera: «Lo so che non
approvi, ma
capirai anche tu che è meglio così».
Aprì la porta nera e la
richiuse dietro di lei, scendendo gli scalini bui.
Un
grosso uomo, seduto su una seggiola in un tunnel scarsamente
illuminato, la vide e si alzò, venendole incontro.
«Ehi, no, è
proprietà privata», enunciò con voce
grossa, «Non puoi passare:
torna indietro».
Lei
sospirò, infilando una mano in tasca. «Io devo
andare a trovare un
amico e lui mi ha detto che vai matto per queste», gli
mostrò il
pacchetto di sigarette rubato poco fa, «Possiamo trovare un
accordo». Lui sembrò pensarci più del
dovuto ma alla fine
acconsentì, tornando a sedersi. Lei lo sorpassò.
In quel tunnel
sentiva solo i passi dei suoi stivali. Ignorò tutte le
porte, fino a
trovare quella più grande di un magazzino. Passò
attraverso
scatoloni, udendo le voci di più uomini che ridevano,
scherzando e
bevendo. Finalmente li vide, facendo qualche passo in avanti, intanto
che, seduti intorno a un tavolo, intagliavano polvere bianca.
«Toc
toc!
Spero di non disturbare», sorrise e Brandon si
alzò dalla sedia in
modo brusco, gettandola a terra, spaventato. Tutti gli altri le
puntarono addosso una pistola.
«Oh,
merda! È uno sbirro», brontolò lui.
«Ehi, sorella, hai fatto male
a venire qui», continuò, pur guardandosi intorno,
forse per paura
di veder comparire Shaw, «Siamo troppi e tu sei una. Vuoi
arrestarci?». I suoi amici risero, brindando con la bottiglia
di
birra o gettando a terra la cenere delle loro sigarette.
«Al
contrario», sorrise dolcemente, alzando le mani in resa,
«Daryl
Boscoferro vi deve dei soldi e io ho bisogno di uomini pronti a
tutto, un po' come voi! Beh, vi offro un accordo: aiutatemi e vi
darò
Daryl Boscoferro. Tutto per voi».
Il
gruppo abbassò le armi, guardandosi fra loro.
Tutti
applaudirono, mentre nel grande schermo della sala veniva proiettato
il primo teaser trailer da cinquanta secondi della serie: i primi
momenti appartenevano alla serie madre, dall'apparente morte di Root
alla prigionia di Shaw nelle mani di Samaritan, e così
all'incontro:
la Macchina che chiama Shaw per l'ultima volta, il suo sorriso, le
istruzioni e la passeggiata con Bear al guinzaglio per ritrovarla;
due bus e una camminata nei bassifondi, una corsa sotto la pioggia
dopo aver perso Bear, fino a una casa abbandonata. Una fioca luce blu
la porta in una piccola stanza, illuminata dal monitor di un computer
portatile e lei è lì, che saluta Bear che l'ha
trovata per primo.
Il viso stanco, ma sereno. Felice.
«…
sei viva», sussurra Shaw, immobile sui suoi passi. L'acqua le
cola
sul viso.
«Adesso
sono certa di esserlo», ribatte Root.
Veloce,
lo schermo cambiò sequenza e mandò in scena una
sparatoria, Shaw
che colpiva qualcuno, Bear con la mantella da cane poliziotto che
riceveva un dolcetto, Root che caricava una pistola, le due che si
baciavano e lo schermo divenne nero. La voce di Root, nel buio:
«Non
voglio più sentirmi come a dodici anni… Adesso
posso fare
qualcosa», una breve pausa, «Adesso posso
proteggere chi amo».
Dal
buio comparve una scritta in rosso, sotto lo sparo di una pistola:
Shoot:
ultimate chance.
Il
teaser trailer finì e lasciò sullo schermo il
posto a foto del
dietro le quinte, una dopo l'altra in uno slideshow, intanto che
tutti i presenti applaudivano entusiasti. Sarah e Amy si guardarono
una volta sola, di sfuggita, e risero, mentre molti facevano loro i
complimenti, stringendo le mani e quelle dei produttori. Anche Steve,
a fianco della moglie, diede le sue congratulazioni prima a lei,
accompagnate da un bacio in cui Sarah parve a disagio, e poi a Amy,
allungandogli la mano per fargliela stringere. Lei ricambiò
subito
la stretta, sorridendogli. Sarah parve a disagio anche per quel
gesto, grattandosi dietro un'orecchia e distogliendo lo sguardo. A
poco da loro, Kevin sorseggiava del vino bianco tenendo d'occhio
entrambe.
Le
riprese erano finite da due giorni ma la loro relazione nascosta non
lo era altrettanto. Approfittavano di ogni momento per guardarsi con
complicità, per sorridersi, per fare battute che solo loro
potevano
capire, per tenersi la mano, per baciarsi, anche se solo a fior di
labbra, un contatto rubato in un attimo dedicato ad altro. Il set
ormai stava venendo smantellato, ogni membro del cast aveva fatto le
valigie e dopo l'evento di chiusura di quella sera, in una sala
appositamente noleggiata per una cena di fine prima stagione, si
sarebbero salutati. Tutti ritornavano alla propria vita, o almeno
quasi. Ormai ognuno di loro sapeva dell'imminente divorzio di Amy e
la notizia era trapelata anche in rete, anche se lei né
James
avevano confermato ai giornalisti o sui social. Per una volta,
all'evento di chiusura era sola, e odiava ammettere che un po' le
mancava, soprattutto il suo appoggio. Di tanto in tanto guardava il
cellulare, forse sperando in una notifica di un suo messaggio, ma
sapeva che non sarebbe arrivato: non sarebbe stato giusto ed era
meglio così.
Steve
circondò sua moglie con un abbraccio e le diede un altro
bacio su
una guancia. Sarah tentò di discostarsi avendo lo sguardo di
Amy su
di lei, e perfino quello di Kevin. Si sentiva particolarmente
infastidita, ma più cercava di toglierselo di dosso,
più lui
diventava appiccicoso, tentando, a suo modo, di darle il suo
appoggio. Lui non sapeva nulla e non poteva fargliene una colpa, ma
sentiva quasi di non riuscire a respirare.
«Mi
spiace per il divorzio, Amy», disse Steve a un certo punto,
riprendendo a mangiare. Sarah gli aveva dato un colpo con un piede e
lui rise. «Se non altro adesso tornate entrambi sulla
piazza».
Kevin
tossì e una signora davanti a lui gli passò un
bicchiere d'acqua
che accettò di buon grado.
Amy
sorrise, masticando; forse lasciò il boccone in bocca un po'
più a
lungo, in questo modo non avrebbe dovuto rispondere e il discorso
sarebbe caduto. Sarah la guardò e spalancò gli
occhi, ma Amy si
limitò a sorridere.
«E
con i bambini come fate? Gliel'avete già detto? Staranno da
te…?».
Steve non si perse d'animo e aspettò che finisse di ingoiare
per
porle altre domande.
Amy
si ripulì le labbra e prese fiato. «Adesso che
sono finite le
riprese torno a casa e… James ha già un permesso
per tornare anche
lui, così… parleremo con loro».
«Quindi
non lo sanno ancora?».
«Lo
sanno… La notizia è arrivata ai giornali e
gliel'abbiamo detto noi
al telefono prima che potessero scoprirlo in quel modo».
«E
come l'hanno presa?».
«Steve!»,
Sarah lo rimproverò, richiamandolo a bassa voce, ma lui
scrollò le
spalle con fare innocente: stava solo cercando di fare conversazione.
Molti dei commensali intorno allo stesso tavolo stavano ascoltando in
silenzio la loro discussione, intanto che Kevin scuoteva la testa in
modo arrendevole.
Amy
si sforzò di rispondere ancora, con la tachicardia ormai
alta. «Non
bene… Ma sono bambini, è normale che abbiano
l'idea che i loro
genitori si ameranno per tutta la vita! Un giorno capiranno».
Steve
stava per aprire bocca di nuovo, così Sarah si
alzò in piedi con il
bicchiere in mano e forzò un sorriso verso Amy, chiedendo a
tutti di
fare altrettanto per un brindisi. Solo al momento del brindisi si
accorse di avere il bicchiere quasi vuoto e che l'unica a non averlo
potuto fare era lei. Dopo, fortunatamente, altri allo stesso tavolo
presero a parlare a voce alta di serie tv e ascolti e così
lui
abbandonò l'idea di riprendere la discussione da dove
l'aveva
lasciata. A cena finita, aumentarono la musica e portarono il dolce,
e finito il dolce quasi tutti lasciarono i propri tavoli per
discutere e altri per ballare al centro della sala. Steve si
alzò
dalla tavola per chiederle di ballare ma Sarah gli disse di essere
stanca e così lui si allontanò per bere qualcosa
in compagnia di
altri commensali.
Kevin
passò dietro la sedia di Amy e le chiese se stesse bene,
osservati
da Sarah. Lei annuì con un sorriso e lui prese un altro
bicchiere,
sparendo in mezzo alla gente in centro sala.
«Scusa»,
esclamò verso Amy, che ancora finiva la sua fetta di torta.
«Sai
com'è fatto Steve: è curioso e ingenuo, non
voleva ferirti».
«Lo
so», annuì, «Non devi scusarti per
lui».
Sarah
la sentì distante e un po' fredda e capì
immediatamente perché:
non era solo per il discorso di Steve, il problema erano le riprese
che finivano e la loro relazione clandestina che era destinata a
interrompersi a causa del trasferimento. Se avessero voluto, ora che
lei divorziava da James e Steve che era sempre fuori perché
le sue
riprese non erano ancora finite, avrebbero potuto vedersi in ogni
caso, anche se non come prima. Non che volesse continuare ad avere
una storia d'amore dentro l'armadio e una all'esterno,
perché sapeva
che era una cosa sbagliata, ma l'idea di separarsi non piaceva
nemmeno a lei. Non le piaceva per niente.
Si
allontanarono per le interviste ma Sarah continuava a essere
distratta: di tanto in tanto distoglieva lo sguardo e la cercava. La
vedeva sorridere e ridere tanto che di riflesso lo faceva anche lei,
dimenticando ciò che stava dicendo. Vedeva che il divorzio
le stava
facendo in qualche modo del male, era stata lei a lasciare James e
quasi certamente si sentiva in colpa, e un po' sola, e Sarah non
riusciva a fare a meno di pensarci da quando glielo aveva confidato.
Amy sorrideva e rideva e si sforzava di farlo come suo solito, ma che
c'era qualcosa che non andava lo avrebbe capito anche un bambino.
Vederla in quel modo le faceva venire voglia di stringerla e tenerla
con sé, ma non poteva. Forse una parte di sé non
voleva ammetterlo,
ma la voglia di stringerla e tenerla con sé non avrebbe
risolto
niente: Amy stava divorziando e lei non riusciva neppure a dire a suo
marito che a volte era indiscutibilmente invadente e inopportuno.
«E
dunque cosa ne pensi: il pubblico gradirà il ritorno di Shaw
e Root
in un'avventura in solitaria, senza i protagonisti della serie
madre?», le domandò la giornalista e lei
guardò ancora verso Amy,
accorgendosi che aveva fatto altrettanto e così si
sorrisero, solo
un attimo.
Ritornò
seria, portandosi i capelli da un lato. «Sì,
sì, penso che molti
non vedano l'ora di vederle riapparire sullo schermo, quindi
sì!
Francamente, non vedo l'ora neppure io! Avete visto il teaser?
Dev'essere interessante, insomma, lo voglio vedere»,
scoppiò a
ridere e la giornalista con lei.
«Per
quanto riguarda la tua collega Amy Acker, ho notato che, di tanto in
tanto, distogli lo sguardo per cercare il suo. Siete diventate molto
amiche sul set di Person
of Interest:
quant'è cambiato il vostro rapporto con Shoot:
ultimate chance?».
Sarah
restò a bocca aperta, poi si grattò la nuca,
spostando di nuovo i
capelli e giocando con le ciocche fra le dita. «Siamo molto
amiche
come prima ma più di prima», rise, ricercando il
suo sguardo: ma
lei non c'era più. «Per Amy e me è
sempre stato come un conoscersi
da sempre; non è stato difficile entrare in sintonia e
capirci e
quindi diventare intime… amiche,
amiche intime… dicevo», prese respiro,
«Un rapporto come il
nostro è inossidabile. Siamo-», si
fermò, guardandosi ancora
intorno e non trovandola, vedendo Steve a pochi passi. Si
grattò la
testa e deglutì, decidendo che era abbastanza.
«Scusate, devo
andare», sorrise e la giornalista e il cameraman fermarono la
registrazione.
«Ehi,
piccola, vuoi un bicchiere d'acqua?», mormorò
Steve addosso a lei,
mentre Sarah si guardava ancora intorno, alla ricerca di Amy.
«Ho
notato che ti stavi un po' impappinando, poco fa».
«Steve,
per favore, non adesso», lo allontanò da
sé con una mano ma lui le
stava ancora addosso, per via della mole.
«E
quando? Io ti credo quando mi dici che siete solo amiche ma solo
perché sei tu a dirmelo, se dovessi dare retta al mio
istinto-»,
lei lo interruppe, cercando di mantenere la voce più bassa
che
poteva per non dare spettacolo:
«Non
adesso, santo cielo! Il tuo istinto non è un metro
attendibile!
Torno subito».
Steve
la lasciò passare e lei si fece dire dov'era il bagno
poiché, se
Amy non c'era da nessun'altra parte, lì e l'esterno del
locale erano
le sue due ultime possibilità. Entrò
nell'antibagno e una donna
finì di lavarsi le mani: le diede le sue congratulazioni per
la
serie prima di uscire. Allora anche Amy uscì da una delle
cabine e,
vedendola, si bloccò, poi pensò di andarsi a
lavare le mani.
«Ehi»,
le sorrise Amy attraverso lo specchio, prendendo il sapone,
«Come
sta andando? Le ultime interviste prima della Convention fra due
mesi…».
«Già»,
si avvicinò ma sentì improvvisamente il suo corpo
farsi come di
legno, faticando a muovere i piedi o a piegare le ginocchia. Si
sentiva sulle spine come non succedeva da tempo. «Ci andiamo
insieme?», domandò, prima di scuotere la testa e
riprovare: «Voglio
dire, ci dobbiamo andare insieme per forza, ma con insieme
intendo se andiamo insieme, ci troviamo prima e-».
Amy
strinse le labbra, in disaccordo. «Ci vedremo direttamente
lì».
«Ah»,
ansimò. Come immaginava, Amy stava provando a respingerla di
nuovo e
stavolta senza darle il tempo di capirci qualcosa. Sarah era tesa
come una corda di violino, era stressata per via della gelosia di
Steve, anche se stavolta aveva un fondamento, Amy voleva sicuramente
troncare il rapporto anche se aveva chiesto il divorzio da James
e…
Puntò il suo sguardo in basso e prese coraggio, cogliendola
intanto
che si finiva di asciugare le mani con della carta. «Lo vedo
che
stai male e la cosa fa stare male anche me».
Aspettò che la
guardasse per continuare indisturbata: «Sto faticando a
capirci
qualcosa, davvero: hai chiesto il divorzio eppure mi rifiuti!
È
perché al contrario non ho detto nulla a Steve? Dannazione,
Amy, io
non volevo che arrivassimo fino a questo punto», si
passò una mano
sulla fronte, «Forse il tutto ci è sfuggito di
mano, ma per me sei
importante, lo sai, e non voglio vederti stare così, senza
James…».
«Il
problema per te è vedermi senza James?».
«No!
Non è proprio questo che intendevo».
«È
parso che intendevi proprio questo».
Sarah
sbuffò, appoggiandosi al lavello. «No, ma James
è tuo marito… lo
è ancora per poco, e vi amate! Lo so che vi
amate… E mi sento
responsabile per quello che è successo! Io ti a-»,
si fermò,
prendendo respiro, e a Amy mancò un battito. «Io
ti voglio bene e
non posso fare a meno di pensare di aver rovinato la tua
vita… Ho
rovinato la tua vita».
Sul
volto di Amy si delineò un sorriso divertito e Sarah la
guardò
confusa. «Ci sto male? Mentirei dicendo il contrario! Certo
che amo
James, ma sono cambiata e il mio sentimento per lui è
diverso da
quello che lui prova per me e vorrebbe che io provassi per lui. Sei
la responsabile, Sarah, è vero, ma solo di avermi fatto
crescere e
avermi dato modo di capirmi di più. Con il mio divorzio tu
non
c'entri niente», scosse la testa, «È una
cosa che riguarda solo me
e James! Io non lascio James per te: è chiaro questo? Lo
lascio per
me e per lui, perché si merita qualcuno che lo ami come io
ho smesso
di fare».
«Ah»,
emise di nuovo, annuendo debolmente.
Amy
le si avvicinò addosso. Poteva respirare il profumo
dei suoi
capelli.
«Ti
rifiuto perché ami tuo marito e lui ama te. Voglio stare con
te,
Sarah, ma tu non vuoi stare con me e io non posso farci
niente», si
morse un labbro, «È stato bello,
ma…», lasciò la frase a
mezz'aria e le diede un bacio sui capelli: Sarah ne
approfittò per
imprimersi nella testa l'odore della sua pelle, che la inebriava. Amy
si staccò di colpo e Sarah sentì il vuoto. Stava
per uscire dal
bagno quando all'ultimo lasciò la porta, tornando indietro
lentamente. «Fra una settimana parto con i
bambini», confessò, «Li
porto in vacanza in modo da poter passare del tempo con loro e
spiegare ciò che succederà nelle loro vite da
domani in avanti,
quando io e James diremo loro perché divorziamo. Se vuoi
venire, c'è
un posto libero. Se verrai capirò che potremo stare insieme
e se non
ti vedrò… beh, se non ti vedrò
è finita», deglutì, leccandosi
un labbro, «E avremo un sacco di bei ricordi. Insieme, in tv,
potremo ancora essere come un incendio colossale, dopotutto»,
non
poté fare a meno di sorridere.
Sarah
stava per spalancare la bocca, per dire qualcosa, ma Amy non le diede
il tempo e uscì dal bagno. Si appoggiò meglio,
perché ora non si
sentiva più di legno, ma di budino. Amy le aveva dato un
ultimatum:
doveva scegliere. Ma aveva davvero una scelta?
Shaw
camminava con attenzione, pronta a tutto, brandendo la sua pistola.
Si lamentava da quando avevano lasciato Bear a Fusco in centrale che
non le avesse lasciato portare il cane con loro e così aveva
tenuto
il broncio.
Aprirono
un tombino e scesero di sotto, attente a dove mettevano i piedi.
«Sorprenderemo
i Marshall Mason passando di sotto», disse Root a Shaw che la
seguiva. La guardò e scosse la testa, lasciandosi andare a
un
sorriso divertito. «Non essere arrabbiata, Bear è
più al sicuro
con Lionel».
«Poteva
esserci utile», rimbeccò, «Sai, mi hanno
detto che è esattamente
a questo che serve un cane addestrato».
«Secondo
me sta ancora un po' male da stamattina».
«Il
cane non ha niente. Mi hai fatto andare dal veterinario per
niente».
Aveva
ragione, era solo una scusa e, per quanto ne poteva dire, aveva
funzionato. Non le rispose. Camminarono ancora per un po', fino a
ritrovarsi davanti a delle tubature. Root si avvicinò e Shaw
la
seguì subito, guardandosi intorno.
«Si
può sapere dove diavolo stiamo andando? Ho come
l'impressione di
girare in tondo», sbottò Shaw a un certo punto.
Root
si tirò dietro di lei e, in fretta, l'agganciò a
una delle
tubature, allontanandosi.
«Root,
cos'hai fatto?», guardò le manette che la tenevano
bloccata con la
mano destra e irrigidì i denti, alzando gli occhi.
«Sapevo che
avrei dovuto tenerle io, quelle. È incredibile come non
possa mai
fidarmi di te. Liberami subito».
Lei
fece qualche passo all'indietro, scuotendo la testa. «Mi
spiace,
Sameen, ma non posso. Ho bisogno di saperti al sicuro».
Shaw
accennò un sorriso dal fastidio, per poi stringere le
labbra. «Era
tutta una montatura! Non hai mai smesso di nascondermi le cose, non
hai mai voluto che ti aiutassi con tutta questa faccenda di
Lars…»,
prese respiro, continuando a parlare nel tentativo di fermarla il
più
a lungo che poteva, intanto che entrambe le mani lavoravano per
liberare quella destra dalle manette. «Non fare la stupida,
sai che
da sola non puoi farcela… Non sai quanti Marshall Mason
potresti
trovare! Insieme…», strinse le labbra,
«Il messaggio criptato che
mi avevi inviato durante la mia prigionia da Samaritan… Incendio
colossale:
ci hai mai creduto? Era quello che ti dissi prima di separarci la
prima volta… Ha mai significato qualcosa per te,
Root?».
I
suoi occhi si inumidirono. «Lars vuole portarmi via tutto
quello che
ho… Sei tu l'unica cosa che ho».
Shaw
ringhiò: «E non ti è per caso saltato
per la testa che se ti
uccide sarò io a perdere te?! Di nuovo! Non ti interessa?
Sei la
solita fottuta egoista!». Sudava, ma le manette continuavano
a
fregarla, non ci riusciva. «Non pensi mai al fatto che anche
io ti
abbia perso, una volta? Non hai pensato a come mi sentissi, ai miei
sentimenti?».
«I
tuoi sentimenti, Sameen?», sorrise, trattenendo le lacrime, e
infine
sospirò, «Quanto ho aspettato per sentirti parlare
di sentimenti…»,
decise di avvicinarsi. «Potrei quasi pensare che ti sei
innamorata
di me».
Ce
l'aveva quasi fatta. Poteva farcela. Le manette stavano per cedere.
«Ho sentito il mondo cadermi addosso»,
confidò, guardandola negli
occhi, tremando, «Ti avevo appena ritrovata e poi ti avevo
persa di
nuovo, credevo per sempre», strinse di nuovo i denti; anche i
suoi
occhi erano lucidi. «Ma cosa ti passa per quel dannato
cervello? A
questo punto era meglio se fingevi di restare
morta…».
Root
si avvicinò, inchinandosi. Le passò la mano
sinistra sul viso e si
baciarono. Shaw c'era quasi. C'era quasi. «Ti amo, Sameen
Shaw»,
sussurrò. Shaw liberò la mano destra e strinse il
braccio sinistro
di Root, ma era tardi: si bloccò, mancandole il respiro,
quando
l'altra le infilò un ago nel collo, drogandola. La stretta
al
braccio sinistro divenne sempre più leggera, non riusciva a
resistere.
«N-Non
lo fare…», emise e l'altra la baciò
ancora, un'ultima volta,
riportando la siringa in una tasca.
«Farò
di tutto per tornare da te. Come sempre». Si
rialzò, facendo
qualche passo, fermandosi per vederla accasciarsi a terra senza
energie. «Non voglio più sentirmi come a dodici
anni… Adesso
posso fare qualcosa», deglutì, «Adesso
posso proteggere chi amo».
Se ne andò, lasciandola sola.
Sola.
Sentiva
sbattere qualcosa, era lontano. Davvero lontano. Era un fruscio, un
tremolio, poi di nuovo un fruscio. Sentiva che si stava svegliando e
aveva un mal di testa fortissimo. Pensò dovesse essere per
via
dell'odore nelle fogne, o a causa della puntura, o entrambe insieme.
Era stordita e provò a girarsi, con ancora gli occhi chiusi,
strizzati. Provò a chiamarla ma non uscì una
lettera dalle sua
labbra indolenzite; a mala pena prese fiato. Stava male e
singhiozzò
prima ancora che riuscisse a capire di doverlo fare. «…
Root?»,
biascicò, deglutendo. Singhiozzò ancora e si
piegò in due dal
dolore che diventava ogni momento più forte, e
più forte, e allora
si abbracciò, stringendosi, e diventava più
forte, e singhiozzò di
nuovo, di nuovo, strinse gli occhi e trattenne il fiato, la gola le
bruciava, il suo corpo tremava, strinse così intensamente i
suoi
occhi che cominciò a vedere le forme e i colori e il dolore
non
smetteva, ancora e ancora, forse si ferì con le unghie, le
nocche
diventarono bianche, e il dolore era ancora più forte che,
alla
fine, gridò, aprendo gli occhi.
Si
mosse di scatto e prese una boccata d'aria, spalancando gli occhi,
spostando la coperta di dosso. Udì di nuovo il fruscio e
guardò la
finestra: la sentiva tremare. La camera era completamente buia.
Respirò con pesantezza dalla bocca, tentando di calmare la
tachicardia e, appena i suoi occhi si abituarono un po' al buio,
cercò di guardarsi attorno. Si trovava a casa di Root:
riconobbe
subito la disposizione dei mobili e l'odore di lei nell'aria,
inconfondibile. Credeva di averla lasciata con lei per via dei
Marshall Mason. Si scoperchiò e si sedette sul materasso,
scorgendo
non poco lontano Bear che dormiva sul suo materassino.
Si
toccò il petto, ricordando quell'orribile sensazione che
aveva
provato poco fa, ma per fortuna era solo un sogno. Era come aver
svegliato una parte di lei che credeva non esistere. Non si era mai
sentita tanto vulnerabile, triste; come se avesse potuto rompersi
da un attimo all'altro per aver perso l'unica persona della sua vita.
Ma era solo un sogno. Un incubo, pensò. Ora doveva sentirsi
meglio.
Deglutì, toccando l'altra parte del materasso. Era fredda.
«Root?»,
chiamò con un filo di voce nel silenzio. Doveva sentirsi
meglio ma,
non vedendola, cominciava a spaventarsi.
Decise
di scendere dal letto e strisciò lungo il materasso,
fermandosi non
appena vide la giacca di Root appesa con la stampella sul muro e
un'orribile sensazione le salì fin sulla schiena nuda.
«Root?!»,
chiamò di nuovo, mettendosi in piedi. «Dove
diavolo sei finita…?»,
borbottò e si portò le mani alle tempie, girando
intorno sul
tappeto. Bear si era mosso e lei lo fissò alzare la testa e
guardarla, poi emettere un lamento, piegandola da un lato.
«No, no,
no…», emise con voce strozzata, correndo verso la
giacca con passi
pesanti. Aveva capito. Si era svegliata e aveva capito. La
strappò
con furia dalla stampella che lanciò a terra, e
così la fissò
stringendola con quanta più forza avesse in corpo. Lei non
c'era. Si
era sentita tanto sola che aveva sognato un modo per riaverla
indietro. Aveva sognato di doverla proteggere perché non era
riuscita a farlo quando ne aveva avuto l'occasione. E si era sentita
in colpa. E ferita. E vuota.
Era
la sua Root e non era riuscita a salvarla. Proprio come nel suo
sogno: aveva fatto di testa sua e non aveva potuto fare niente. Le
era scivolata dalle mani per inseguire un destino ingiusto. Come
poteva arrendersi a quello?
Urlò
e infilò le unghie nella giaccia, gettandosi con le
ginocchia sul
pavimento; la sfilacciò e creò un buco,
allargandolo, strappando
tutto. Il sangue le salì al cervello.
Era
tutto finto e tutto finito. Il suo ti
amo
era una menzogna prodotta dalla sua testa proprio come le
simulazioni. La voleva indietro ma era morta. Era morta. E niente
poteva cambiarlo, neppure le sue lacrime.
Eccomi
di ritorno ^_^
Root
ha fatto di testa sua e ha lasciato indietro Shaw ma… lei
all'improvviso si sveglia e realizza che tutto ciò che era
successo
fino a quel momento non era altro che un sogno prodotto dalla sua
testa! Voleva talmente salvare Root e rimettere a posto le cose che
un lungo sogno le era sembrato realtà.
Intanto,
all'evento di chiusura della prima stagione, Steve mette in
difficoltà Amy e lei e Sarah parlano della loro relazione,
mettendo
dei punti in chiaro, finalmente!
Ah,
e poi abbiamo scoperto il nome di questo spinoff (alla
buon'ora): Shoot:
ultimate chance!
Delusi?
Arrabbiati? Non linciatemi, please…
non è ancora finita! :P
Piccola
nota/precisazione:
- Steve
è così perché è proprio
così che io lo immagino: invadente
e inopportuno.
Spero di non trasmettere eccessiva antipatia anche a voi che leggete
:D
Grazie
mille ai recensori, non sapete quanto vi adori! Spero che anche
questo capitolo, nonostante tutto, vi sia piaciuto ^^
Al
prossimo lunedì con il decimo capitolo: Forse
un giorno!
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